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La follia nella storia dell’arte, Temi di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche

Vari artisti del 900 che affrontano come tema la follia

Tipologia: Temi

2019/2020

Caricato il 20/08/2020

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Scarica La follia nella storia dell’arte e più Temi in PDF di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche solo su Docsity! LA FOLLIA «l’arte costituisce un regno intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga, un dominio in cui sono rimaste per così dire vive le aspirazioni all’onnipotenza dell’umanità primitiva… L’artista è, originariamente, un uomo che si distoglie dalla realtà giacché non può adattarsi a quella rinuncia dell’appagamento delle pulsioni che la realtà inizialmente esige, e lascia che i suoi desideri di amore e di gloria si realizzino nella vita di fantasia. Egli trova però traduce le sue fantasie in una nuova specie di cose vere, che vengono accettate dagli uomini come preziose raffigurazioni della realtà.” Sigmund Freud Nella storia dell’arte è molto lungo l’elenco di artisti famosi che si sono ammalati di disturbi nervosi più o meno gravi, restandone condizionati non solo nella vita d’ogni giorno ma anche durante la realizzazione delle loro opere migliori, stregati dalle manifestazioni oscure e instabili della mente. Gli artisti che citerò vogliono una rivincita nei confronti di quella ragione che era stata la divinità incontrastata del secolo che si avviava al termine. Così le arti danno voce a tutte le paure represse e alle efferatezze della fantasia umana che il passato aveva rigettato. L’artista è chiamato ad esprimere il proprio sentimento in una forma libera da ogni vincolo con la tradizione. FUSSLI (1741-1825) Fussli è un esponente della corrente del Neoclassicismo che si sviluppa in Europa tra la seconda metà del 700 e la caduta di Napoleone. In questo periodo vengono scoperti i siti archeologici di Ercolano e Pompei e lo studioso tedesco Winckelmann afferma che attraverso il recupero della forma antica è possibile trasmettere nelle opere quegli aspetti estetico-etici che essa conteneva. Esse sono esempio di semplicità, quiete e grandezza. In questo periodo nascono molte accademie italiane dove ci sono corsi di pittura, scultura e architettura secondo studi storici e teorici. Winckelmann: “Per noi l’unica via per divenire grandi e inimitabili, è l’imitazione degli antichi.” Johann Heinrich Füssli è stato un letterato e pittore svizzero di stile romantico, che esercitò la sua attività principalmente in Gran Bretagna. Abilissimo disegnatore, trasse ispirazione dai suoi studi sull'antico e su Michelangelo, come i neoclassici, ma scelse soggetti di ispirazione romantica, ricchi di pathos e di immaginazione, di gesti violenti e atmosfere magiche, precorrendo alcuni temi dell'Espressionismo e del Surrealismo. Johann Heinrich Füssli nacque a Zurigo nel 1741, Il padre non era interessato ad introdurre il figlio all'esercizio della pittura, sicché lo avviò alla carriera ecclesiastica, facendolo studiare al Collegio Carolino di Zurigo. Il suo amore per la letteratura ebbe invece impulso da Johann Jakob Bodmer, un amico del padre con un gusto contagioso per la letteratura: fu lui ad introdurlo agli scritti di Omero, di Dante, di opere dalle quali apprendeva ad ampliare gli orizzonti del suo mondo poetico e figurativo. Parallela all'attività letteraria, l'attività artistica: il giovane Johann, basandosi su una preparazione tecnica in gran parte di natura autodidatta, raffigurò soggetti esplicitamente desunti da quei testi che stava studiando in quegli anni, fitti di allegorie, guerre e violenza. Egli riconobbe nel 1768 la propria vocazione per l'arte figurativa e intraprende l'attività pittorica. Ad incantarlo a Roma non fu la statuaria classica, che Winckelmann celebrava per la sua «nobile semplicità e quieta grandezza», bensì le opere cariche di drammaticità e di pathos, soprattutto il ciclo di affreschi della cappella Sistina realizzato da Michelangelo Buonarroti, considerato negativamente dai teorici del Neoclassicismo ma che invece più di ogni altra opera sentì congeniale al proprio temperamento inquieto. “L’Incubo” (1781) La donna addormentata in primissimo piano assomiglia all’Arianna addormentata; è appoggiata sul bordo di un letto, sopra alcune lenzuola e con la testa che pende fuori dal letto stesso. Rappresentandola in questo modo, si possono notare alcuni dettagli come il suo collo lungo ed abbastanza robusto e le braccia stanno cadendo “a peso morto” a terra, dando quasi la sensazione che la ragazza in realtà sia morta a causa di questi demoni che hanno prosciugato la sua vita. Salta subito all’occhio la veste chiara e brillante indossata dalla donna; attorno a lei invece l’oscurità fa da padrona a tutta la scena, lasciando spazio ad un rosso scuro, al giallo (e delle sue varianti) ed altri colori spenti. Insomma, luce e ombra sono in perenne contrasto su questa tela. Si intravedere in secondo piano una grande tenda rossa in velluto da cui spunta fuori la testa di un cavallo con gli occhi sbarrati legato alla tradizione del popolo tedesco. Sul petto della protagonista c’è un demone che insieme agli altri elementi hanno a che fare con la definizione di incubo. La replica del 1790 per prima cosa è più piccola, poi la protagonista è sdraiata nella direzione opposta con la testa che pende a sinistra, mentre dall’altro lato c’è uno specchio; inoltre, il piccolo demone (che qui ha le orecchie da gatto) non guarda più verso di noi, me ha lo sguardo rivolto verso la donna. Goya (1746-1828) Francisco Goya si trova nel periodo a cavallo tra Neoclassicismo e Romanticismo, infatti le sue opere riprendono miti neoclassici allo stesso tempo esalta le emozioni e le sensazioni di un momento drammatico. È un pittore spagnolo importante per la sua capacità di ritrarre la drammaticità dell’esistenza umana con un realismo che colpisce lo spettatore. Egli è sempre stato molto attratto dalla rappresentazione della follia, della deformità e della perversione. L’artista è Quarto di sei fratelli, è figlio di un maestro doratore (la sua è una famiglia appartenente alla piccola borghesia), frequenta per alcuni anni lo studio del pittore José Luzán Martínez. Affascinato dalla pittura di Tiepolo conosciuta in Spagna, nel 1769 decide di partire per l'Italia, per poi tornare successivamente in patria. Nello stesso periodo lavora anche per i duchi di Osuna eseguendo temi campestri per la loro residenza di campagna e alcuni ritratti di famiglia. Goya viene colpito da una malattia molto grave che con il tempo lo porterà alla sordità: continua tuttavia a dipingere ritratti. Nel 1797 inizia a lavorare ai "Capricci", una serie di incisioni dove esprime con grande fantasia la sua ribellione contro ogni forma di oppressione e superstizione. “La casa dei matti” (1812-1819) Nell’opera si parla di un posto intorno al quale aleggiano tante paure,: il Manicomio dove il trattamento dei pazienti era a volte brutale e focalizzato sul contenimento e sulla moderazione del comportamento. Il soggetto rappresentato è quindi un ospedale psichiatrico, coi suoi ospiti ritratti in svariate pose, simboli della follia dell'uomo denudata dai suoi superficiali camuffamenti. Ispirato da Giovanni Battista Piranesi con le sue architetture claustrofobiche, la sola fonte di luce del dipinto è rappresentata da una finestra collocata in alto all'unica parete visibile, una soluzione volta, per così dire, a soffocare le figure sottostanti, le quali sono costituite da personaggi ben distinti, tutti impegnati in comportamenti grotteschi e caricaturali. “Saturno che divora i suoi figli” (1819-1823) Saturno addentra il corpo del figlio come fosse una preda animale e dai morsi scendono rivoli di sangue. Il cadavere è ormai privo della testa mentre un braccio si trova nella bocca di Saturno. Lo sfondo è indefinito e scuro, come anche il piano sul quale poggia il dio. Goya realizzò un’immagine piuttosto raccapricciante. Saturno, secondo il mito, per paura di essere sostituito dai figli iniziò a divorarli uno ad uno. Intanto, la moglie riuscì a salvare Zeus, il sesto genito e lo nascose sull’isola di Creta. Goya dipinse con grande efficacia la ferocia e la crudeltà di Saturno che, infatti viene rappresentato nel buio simile a un mostro. Il volto di Saturno è stravolto dall’ossessione e nonostante la vittima sia uno dei figli ne dilania il piccolo corpo. La tecnica utilizzata crea un’atmosfera scomposta mentre le zone di colore a macchie favoriscono la fusione di figura e sfondo. I contorni delle figure sono, infatti, definiti dalle macchie di colori chiari e scuri. Come le altre opere della serie, anche questo dipinto è molto buio e solo un lampo illumina la schiena del figlio e parte del corpo di Saturno. Il colore della scena è scuro e grigio mentre Saturno è dipinto di ocra e marrone. L’unico colore acceso è il rosso del di alienati rappresentano una condizione, una patologia, e non hanno niente di idealistico: documentano l’esistenza di una realtà di esclusione e di miseria, in cui il tormento divora l’individuo tanto da fissarsi nei lineamenti del volto e nelle pose. I monomani di Géricault sono bloccati in un pensiero fisso che li distanzia dalla realtà, il loro sguardo si perde lontano. Le espressioni stupite e quasi maliziose, la trasandatezza del vestiario e della pulizia, sono sintomi di una scarsa reazione agli stimoli esterni. Gli occhi sono incavati, arrossati, acquosi, le rughe profonde, la fronte corrugata coperta dai capelli spettinati. Lo sguardo imbambolato o cupo, colmo di una strana tristezza, si perde in chissà quali pensieri segreti. L’ossessione deforma i pensieri e rende drammatica l’esistenza. Il pittore coglie con sguardo acritico gli effetti esteriori dell’alterazione psichica, senza mai togliere dignità al soggetto, partecipando silenziosamente alla sua bellezza e alla sua peculiarità di essere umano. Sono donne e uomini affetti da disturbi psichici che si cullano nel limbo di un’incolmabile solitudine. La malattia che offusca i loro pensieri non è necessariamente pericolosa, e soprattutto non è contagiosa. Van Gogh(1853-1890) La follia di Vincent Van Gogh è un elemento fondamentale nella costruzione dell’ennesimo mito del genio maledetto. San Remy de Provence fu il manicomio dove soggiornò Van Gogh, era un antico monastero divenuto un ospedale psichiatrico. Nei quadri esso appare spesso inquietante, in cui predomina la sensazione di oppressione. Nel dicembre del 1889 dopo aver terminato notte stellata, il pittore tentò di avvelenati inghiottendo colori a tempera. Le condizioni di vita di Van Gogh non erano però paragonabili a quelle degli internati di Gericault, infatti egli aveva ben due stanze L’episodio del taglio dell’orecchio – con il brandello di carne recapitato ad una donna – è il drammatico climax che conclude – dopo una cruenta lite – l’amicizia dell’artista olandese con Paul Gauguin: l’esplosione della malattia mentale che porterà, infine, Van Gogh al suicidio, a soli 37 anni. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazione di campi di grano e girasoli. La sua formazione si deve all'esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. 3 sono i momenti che hanno segnato la sua vita: Il periodo in Belgio, quello ad Arles e quello in manicomio. Egli nelle sue opere sul modo particolare di dipingere l’incarnato, la pennellata è fissa tipica dell’espressionismo; nell’ultimo periodo però la pennellata è prima circolare e poi vorticosa. L’espressionismo rende la realtà personale e il proprio sentire dall’esterno all’interno, al contrario dell’impressionismo che esprime una sensazione soggettiva dall’interno all’esterno. Accostare verde e rosso per lui vuol dire trasmettere il senso di peccato, vizio, oscurità e notte. “Notte stellata” (1889) Notte stellata di Vincent van Gogh è uno degli ultimi inquietanti dipinti che realizzò l’artista prima di terminare tragicamente la sua vita. La Pennellata è tormentata e vorticosa con valore personale e simbolista La direzione dei segni colorati segue infatti, la forma delle figure. Nei tetti le linee sono oblique, i cespugli e gli alberi lontani sono rappresentati con pennellate curve. Le montagne, invece, sono modellate con linee ondulate. Il grande cipresso, invece, sembra una grande fiammata scura. Il cielo, infine, è animato da vortici di nubi e vento che creano aloni luminosi intorno alle luci delle stelle e della luna. La matrice pittorica, con l’approssimarsi della crisi finale, diventa progressivamente più tormentata. Le opere dipinte in periodi meno sofferenti sono notevolmente più solari e descrittive come ad esempio la Camera di Van Gogh ad Arles. Tutta la superficie del dipinto è invasa dalla materia pittorica blu che crea un’atmosfera in bilico tra sogno e solitaria. La profondità è descritta dal contrasto tra il grande cipresso in primo piano e il paesaggio con le case e gli alberi che si sovrappongono e diventano più piccoli in lontananza. “Autoritratto” (1888) Van Gogh dipinse un grande numero di autoritratti durante la sua carriera artistica, e questo è considerato uno dei suoi più belli, se non addirittura il migliore. Fu realizzato nel settembre 1889 nel manicomio di Saint-Rhémy, quando il pittore s'era appena apparentemente ristabilito. È appunto lo sguardo allucinato che colpisce subito, tanto da restare fissato in chi lo osserva. Ad esso va aggiunto il fondale formato da spirali grigio-verdi arrovellate simili a fiamme . La Posizione di malessere che si percepisce da destra, dolore che
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