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La formazione. I metodi, Dispense di Metodologia Delle Scienze Sociali

Riassunto del libro di Quaglino Capitoli:1, 2, 6, 7, 8, 15, 18, 23, 26, 30, 31, 34 Richiesti dalla professoressa Carenzio per l'esame di metodologia delle attività formative e speciali

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 21/06/2019

marti.monto93
marti.monto93 🇮🇹

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Scarica La formazione. I metodi e più Dispense in PDF di Metodologia Delle Scienze Sociali solo su Docsity! LA FORMAZIONE. I METODI Capitolo 1 – ACTION LEARNING La metodica dell’action learning ha segnato fin dall’inizio degli anni ’80 una forma di attenzione capace di allertare la ricerca e i formatori Revans fu il primo sperimentatore e ideatore di AL L’idea dell’action learning si sviluppa a partire da 2 fonti d’ispirazione: la figura/attività paterna (grande peso della ricerca condotta dal padre sulle cause del disastro del Titanic), le esperienze professionali-manageriali di Revans antecedenti la sua attività di docente universitario (esperienza come occasione per confrontarsi con il suo interesse per i processi di apprendimento raggiungere risultati ‘’impossibili’’ attraverso collaborazione di gruppo) e la spiritualità e il credo di Revans (relazione tra la pratica della religione e gli action learning sets) → Revans elabora e scrive i principi fondamentali di AL nel 1971 → metodica ispirata da una forte attenzione al contesto, alle condizioni di esperienza del soggetto, alla pratica L’action learning è un metodo di formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni → è un metodo innovativo di formazione operante nelle organizzazioni capace di assistere i suoi “clienti” nell’affrontare meglio la “sfida della complessità” → stato proposto e impiegato in contesti molto diversi e ha subito via via modificazioni rispetto alla definizione e impostazione originarie formulate da Revans. AL può essere definito un metodo di formazione per adulti operanti in organizzazioni, a partire da un approccio al lavoro e all’apprendimento attraverso l’affrontare un progetto o un problema reale proposto da un committente ed elaborato in setting educativi diversi, sempre caratterizzati dalla presenza di un gruppo di lavoro operante sia nel suo insieme che in alcuni sottogruppi di lavoro, con l’assistenza costante di uno specialista di formazione degli adulti, all’interno di un predefinito patrimonio di risorse temporali e budgetarie per eventuali richieste di assistenza specialistica Caratteristiche: ● Centrato sull’agire → l’azione costituisce la modalità primaria e fondamentale dell’essere al mondo; ● Convinzione che non vi possano essere apprendimento e invenzione avulsi dal lavoro, dalla pratica quotidiana; ● Ogni apprendimento/cambiamento esige un’esposizione verso lo squilibrio/sovvertimento; ● Il lavoro, la pratica vanno problematizzati attraverso lo sviluppo di una coscienza critica in grado di interrogarsi e di interrogare il mondo (riflessività); ● Solo partecipando all’azione collettiva condivisa con altri esseri umani, il soggetto singolo si costituisce e si articola come un sé; 1 ● Concretizza in sé un’organizzazione nell’organizzazione → i partecipanti divengono membri di un’organizzazione a tempo, ciò rappresenta per i partecipanti un’opportunità di sperimentazione e confronto con la realtà operativa del ‘lavoro per progetti’ Il processo di apprendimento è favorito dalla ricerca di soluzioni operative proposte dai partecipanti a problemi reali dell’organizzazione committente, quindi la problematica è reale e complessa → l’analisi del problema e la ricerca delle soluzioni alternative sono svolte all’interno di un piccolo gruppo in una dimensione relazionale; la ricerca della soluzione e lo sviluppo dell’apprendimento sono processi paralleli, contemporanei e correlati I pilastri della struttura di action learning: ● La natura del problema proposto​ → il problema deve essere ‘tale’, reale, rilevante e urgente La soluzione proposta deve implicare un miglioramento sostanziale per l’organizzazione Il problema proposto offre varie prospettive di soluzione (non ha un’unica soluzione), quindi è attrattivo per i partecipanti (sfida reale alle proprie capacità) → deve essere fattibile, alla portata delle capacità reali dei membri del gruppo ● Il set​ → il gruppo di AL è il cuore operativo del processo di apprendimento sociale in cui i partecipanti imparano insieme algi altri e dagli altri; è un piccolo gruppo costituito da un minimo di 4 a un massimo di 8 membri Idealmente i partecipanti hanno esperienze e know-how diversi in modo da costruire una vera e propria micro-organizzazione → è auspicabile che nel gruppo siano presenti livelli gerarchici diversi E’ il luogo elettivo del lavoro di ricerca, discussione e decisione; è il setting dove si svolge il confronto anche conflittuale e dove si registra il percorso fatto: all’interno del set, il gruppo di lavoro ha a disposizione risorse temporali (10-15 giorni fulltime), risorse consulenziali e ruoli operativi (facilitatore e tutor) ● Il processo di lavoro “binoculare” volto alla ricerca della soluzione e al processo di apprendimento​ → il processo di lavoro si sviluppa attraverso 3 fasi: ○ Analisi della natura del problema​ → confronto tra gruppo e committente avviene in una situazione ‘protetta’ (favorisce l’autoesposizione): il processo di questioning/answering può offrire l’occasione per confrontarsi con la tematica della relazione committente/consulente e alla relazione management e gruppo di AL L’interrogativo centrale da porsi verte sulla reale natura della domanda sottesa al problema proposto (porsi di fronte alla reale natura dei problemi da affrontare) → il gruppo focalizza il proprio apprendimento su tre livelli: sul problema che viene affrontato, su quello che si scopre su se stessi e sulla propria personalità manageriale, sul processo dell’imparare a imparare 2 ● La narrazione è un processo creativo a carattere pratico: implica la capacità intellettuale di immaginare alternative Non è semplice però costruire un contesto formativo nel quale sia possibile far diventare centrali l’attività narrativa e la riflessività attiva → occorrono sforzo, pazienza e tempo per apprendere dalla propria esperienza e per perseverare nel continuare a dare senso È importante non smettere di ricercare e riflettere per impedire la cristallizzazione di abitudini relative ad uno specifico contesto → interrogarsi sui modi dell’accadere significa rivivere e problematizzare esperienze non sempre gradevoli; è faticoso affrontare situazioni dimenticate o lasciate sospese, ri-mettendosi in gioco e in discussione, mostrando la propria fragilità rispetto a problemi della propria vita reale Per metodo dell’autocaso intendiamo il processo di costruzione di un setting all’interno del quale sia possibile far diventare oggetto di lavoro educativo una situazione problematica accaduta realmente a uno o più partecipanti di un gruppo in formazione È da un lato, l’allestimento di un materiale didattico messo per iscritto o raccontato oralmente per illustrare la situazione critica che intende far diventare oggetto di analisi e discussione, dall’altro è la gestione di questo materiale nella relazione a due con il docente e con i colleghi in tre momenti (prima dell’incontro, durante e dopo) Obiettivi: ● Sviluppare la capacità di presenza mentale ed emotiva, coltivare la capacità di controllo e dominio della propria mente e delle proprie emozioni, padroneggiare le situazioni ed adottare la filosofia della ‘sospensione’ dell’azione a vantaggio della riflessione ● Far venire dei dubbi, far riconoscere che i propri pensieri e le proprie emozioni sono eventi mentali, frutto delle proprie percezioni e pregiudizi ● Recuperare pensieri e vissuti personali rispetto all’esperienza rievocata, attraverso i quali conoscersi e ri-conoscersi ● Sviluppare la capacità di analisi e diagnosi dei problemi → rileggere e rielaborare l’esperienza personale confrontandosi e condividendola, vedere il proprio mondo con gli occhi dell’altro ● Sviluppare la capacità di soluzione dei problemi e sostenere l’adozione di modelli alternativi di pensiero sulla tematica e situazione in oggetto ● Favorire la consapevolezza di possedere una visione parziale dell’evento critico accaduto e di poter trarre utilità dal cercare il confronto con altri attori organizzativi, con ruoli anche diversi ● Portare alla luce conflitti interni ed esterni onde studiare strategie positive di governo del conflitto utili a stimolare il cambiamento del soggetto e del gruppo ● Sviluppare la meta-competenza di apprendere ad apprendere, acquisire un metodo di lavoro, di analisi e diagnosi delle situazioni nonché un metodo di aiuto all’elaborazione dei problemi degli interlocutori 5 La formazione che utilizza l’autocaso in un percorso formativo è sovrapponibile alla consulenza, mentre la formazione che utilizza l’autocaso in un percorso formativo che vede la domanda della committenza non collegata a precisi obiettivi organizzativi è poco sovrapponibile alla consulenza L’autocaso è particolarmente utile in alcune situazioni organizzative → formazione che accompagna processi organizzativi di cambiamento o ristrutturazione, formazione che si rivolge a nuovi ruoli o funzioni, se i cambiamenti sono legati a conseguenze sul piano individuale relativi a cambiamenti di ruolo, identità professionale e nella relazione con altre figure professionali L’autocaso è adeguato ad affrontare tutte quelle questioni in cui è in gioco la storia personale dell’individuo (esercizio del potere, leadership, comunicazione, empatia, processo decisionale, gestione dei conflitti e dello stress..) Lavorare con gli autocasi significa svolgere una preliminare attività di scrittura → scrivere è fare ricerca e non è un processo scontato Il processo di attivazione della memoria e di traduzione in un racconto è un processo delicato e impegnativo e non si può progettare l’utilizzo di tale metodo all’inizio di un percorso formativo → esso richiede la costruzione di un clima di gruppo d’aula in grado di rendere possibile usufruire di un capitale di fiducia precedentemente maturato È possibile fornire ai partecipanti una traccia che suggerisca e indichi i punti che potrebbero essere coperti (contesto, scena, clima relazionale, attori coinvolti, il carattere, aspettative, sensazioni, strategie, reazioni, conseguenze, possibili alternative d’azione, ricerca della morale), lasciando piena libertà in termini di lunghezza della storia Il passo successivo è scegliere la storia più rilevante per l’intero gruppo; si considerano le varie opzioni, si cerca di capire quanto siano affrontabili in aula e si procede nella scelta di una o più storie che raccolgono il maggior interesse, identificando quella da cui iniziare In seguito si approfondisce con le domande dei colleghi e si procede alla discussione sino a produrre le interpretazioni e le prescrizioni per il futuro → per scegliere i racconti/testi più adeguati si presta attenzione a diversi aspetti tra i quali i temi fondamentali, le metafore utilizzate, le dimensioni emozionali, la chiarezza, le omissioni, le contraddizioni, le persone coinvolte, ecc... Non sarà consentito alcun disturbo elettronico, si interromperà il racconto del testimone solo se ci saranno problemi di chiarezza da risolvere per evitare fraintendimenti, si dovrà sospendere ogni comportamento giudicante Il tempo che dedichiamo all’analisi di un caso oscillerà tra le 2 e le 4 ore per non correre il rischio di essere ridondanti 6 È importante progettare uno spazio per la valutazione di ciò che resta dell’esperienza di utilizzo di tale metodo: può essere utile che ciò avvenga individualmente per una successiva condivisione in aula → ha fatto luce su aspetti prima non considerati? Cosa ho imparato? Mi è piaciuto il metodo? Si può anche procedere inventando il futuro là dove la storia non sia conclusa, in tal caso il narratore darà un nuovo titolo al racconto. Autocaso riprogettato​ → vengono immaginate possibili evoluzioni della storia e vengono messi in scena role play Due macrofasi ● Reframing → analisi e valutazione dell’esperienza; ricostruzione del passato sino al presente; rielaborazione per costruire nuovi frame cognitivi più adeguati alla soluzione del problema ● Empowering → progettazione del futuro a partire dal presente Role play ​→ prima variante dell’autocaso riprogettato → far giocare la simulazione alla stessa persona testimone, la quale adotterà la strategia messa a punto Seconda variante → inversione dei ruoli → là dove l’autocaso è collocato all’interno di un percorso a tappe progressive che vede l’alternarsi di aula e di lavoro sul campo, è importante prevedere che i protagonisti dei casi trattati e vivano l’intermezzo come uno spazio sperimentale di attivazione di nuovi comportamenti Attivazione di un forum/classe virtuale per un lavoro di recall​ → possibilità di usufruire di colloqui individuali di coaching/counselling Vantaggi: realizzare il passaggio dalla teoria alla pratica (realtà come viene vissuta), coinvolgimento diretto e attivo dei partecipanti e, indirettamente, dei loro capi/colleghi Rischi: difficoltà a mantenere alto il livello di efficacia se il testimone non è chiaro, problema non interessante, partecipanti non esperti del tema trattato, il partecipante si difende/giustifica perché si sente valutato e non sostenuto, scarsa apertura del gruppo, poco tempo, gruppi troppo numerosi Limiti: difficoltà per il docente di affrontare tutti i temi previsti, distorsioni percettive personali, presunzione di considerare che la realtà raccontata sia stata espressa nella sua complessità 7 Sui risultati della discussione si misurano diverse dimensioni relative a ● Area cognitiva (analisi, problem solving, innovazione) ● Area relazionale (collaborazione, influenza, gestione conflitti) ● Area realizzativa (decisionalità, concretezza, iniziativa) Queste tre dimensioni sono riconducibili a diverse fasi del caso, ovvero ANALISI, VALUTAZIONE, CONCETTUALIZZAZIONE E DISCUSSIONE DELLE APPLICAZIONI Le capacità sviluppate in aula possono essere trasferite ad altre situazioni, consentendo la risoluzione di problemi simili Il metodo dei casi consente, inoltre, di ‘trasformare le prospettive’ Per riassumere potremmo affermare che i principali obiettivi del metodo dei casi sono sviluppare un apprendimento di diagnosi e approfondimento e sviluppare la capacità di scelta e decisione (sviluppare alternative di azione passando anche da momenti di brainstorming) Per progettare un caso è necessario considerare alcuni elementi importanti ● La veridicità della situazione (verosimiglianza e credibilità); ● L’aderenza al contesto e al ruolo che dovranno ricoprire i partecipanti (coerenza con la situazione aziendale) sempre più difficile per i cambiamenti imprevedibili; ● La gradevolezza (il caso deve poter essere trattato con modalità creative e esprimendo le competenze di ognuno dei partecipanti) In seguito è necessario definire le fasi di costruzione, che sono sostanzialmente quattro: 1. Definizione dell’obiettivo da raggiungere; 2. Ricostruzione di una situazione problematica con dati che possano servire (soggetti, 3. interlocutori, storia organizzativa, storia professionale, antecedenti); 4. Richiedere la revisione a persone che sono in possesso dello stesso livello professionale dei partecipanti per eventuali suggerimenti; 5. Messa alla prova del caso in aula, con l’arricchimento dell’esperienza Ci sono poi delle variabili cardine da considerare: contenuti, tempo a disposizione, tipo di supporto, info, ruolo del formatore Il caso ideale deve essere breve (da 5 a 10 pagine) e richiede un lasso di tempo utile all’esplorazione completa È necessario definire dei ruoli per facilitare la discussione in aula, come ad esempio il ruolo del docente stimolatore della discussione, esprime punti di vista diversi vs le soluzioni che emergono dalla discussione e favorisce il dibattito → il ruolo del facilitatore che rispecchia bene gli obiettivi che vengono definiti dall’autore in base ai diversi casi 10 L’utilizzo dei casi può variare ● Versione 1 (CASI CHIUSI a carattere tecnico/scientifico) → lezione chiarificatrice prima del caso, lettura in plenaria del caso lettura individuale discussione in sottogruppi presentazione in plenaria Non utilizza il caso all’inizio del corso per non confondere i partecipanti ● Versione 2 → uso dei casi dall’inizio fasi di analisi individuale discussione (prima in sottogruppi e poi in plenaria) lezione ● Versione 3 → casi come unico metodo di insegnamento non solo all’avvio dell’aula con fase di discussione successiva → è importante far emergere alla fine gli elementi di apprendimento Al di là di tali opzioni, un caso prevede sempre le seguenti fasi ● Lettura individuale ● Discussione in sottogruppi ● Presentazione delle conclusioni in plenaria ● Relativa discussione in plenaria È necessario poi formulare con attenzione le domande, favorire il coinvolgimento soggettivo dei partecipanti, focalizzare la discussione sui fatti presentati (non andare fuori tema), favorire l’emergere di punti di vista diversi, far sintetizzare quanto emerso dai partecipanti stessi, far ragionare sugli apprendimenti e chiedere di esplicitarli CRITICA 1: Quaglino → è una buona esercitazione perché ha un buon valore esemplificativo ma sul piano dei risultati di apprendimento non si può pensare che possano essere rilevanti RISPOSTA 1: A questa critica si può rispondere pensando al metodo dei casi come ad un attivatore del pensiero, e quindi un’occasione per riflettere sul proprio modo di vedere il mondo e di agire di conseguenza CRITICA 2: Il metodo sembra presentare ai partecipanti tutte le info necessarie per risolvere il problema, ma nella realtà organizzativa tutto questo è molto difficile (improbabile) che succeda RISPOSTA 2: I formatori per rispondere a questa critica hanno da una parte dovuto progettare casi molto complessi e dall’altra dovuto predisporre gli INCIDENTI o i “casi a più fasi” (che prevedono di distribuire ai partecipanti la situazione critica e poche info per fargliene richiedere altre successivamente) Nella prima fase ai partecipanti viene richiesto di individuare quali informazioni ritengono necessarie per affrontare/risolvere il problema; in seguito vi è la discussione in plenaria con la docenza in cui vengono presentate le richieste da parte dei partecipanti i quali ottengono una seconda parte del caso 11 Il metodo dei casi trova una difesa nel lavoro di Garner che parla di ‘vitalità costante’ del metodo. Citando solo alcuni dei vantaggi, secondo Garner il metodo dei casi insegna agli studenti a come insegnare a se stessi: confronta in modo efficace gli studenti con le competenze di un autoeducatore; allena a ricercare le fonti, fare confronti, formulare ipotesi (stabilire obiettivi chiari, utilizzare metodi alternativi x obiettivi diversi, aggiornare i casi proposti, utilizzare formatori che sappiano stimolare l’apprendimento) Limite: necessità che i formandi abbiano qualche esperienza organizzativa che permetta loro di cogliere i diversi livelli problematici e riuscire ad individuare linee di intervento CRITICA 3: i casi dovrebbero essere così precisi e completi da risultare ‘di per sé’ strumento di apprendimento RISPOSTA: una parte essenziale del processo di apprendimento si ritrova nella riflessione post discussione d’aula (Report riflessivo resoconto scritto dai partecipanti) Real Time Case Method (metodo dei casi in tempo reale) → la differenza sta nella tecnologia che modifica sia le attività di apprendimento sia i materiali del caso (copertura estesa + interattività in tempo reale) Lo studente riceve una massa di dati e informazioni che riguardano l’organizzazione e il suo andamento lungo l’arco dei mesi considerati: interagiscono con l’organizzazione ponendo domande su argomenti di tipo decisionale → questa modalità arricchisce il metodo tradizionale dei casi, fornendo un’importante esperienza agli studenti, i quali possono vivere da vicino le vicende delle diverse funzioni aziendali Sul versante dell’insegnamento basato sui problemi utilizzato in ambito manageriale e medico (stimolare la riflessione sulle diverse possibilità di affrontare un problema – insegnare la complessità piuttosto che individuare la soluzione), è possibile trovare: ● Metodo dei casi interrotti → il docente svela varie parti del problema con l’obiettivo di far cogliere ai partecipanti che il loro processo decisionale dipende dal tipo di info in loro possesso ● Metodo dei casi dialogici → gli autori presentano in aula lo stesso caso attraverso diverse letture facendo in questo modo analizzare il problema ad alcuni sottogruppi di partecipanti che ‘giocano’ vari ruoli → richiede un buon livello di capacità di ascolto e di analisi ● Metodo dei casi di successo → utile al fine di valutare gli esiti della formazione manageriale → attraverso interviste e questionari si individuano i casi di successo della formazione 12 Un secondo contributo di tipo scientifico riguarda l'apprendimento di abilità relative all'esplorazione di una situazione da differenti punti di vista → un film o un video possono essere veicoli davvero efficaci per insegnare la flessibilità concettuale e l'abilità a cambiare prospettiva Un ultimo tipo di attivazione cognitiva specifica ha a che fare con la messa a fuoco dei processi di costruzione della realtà e di attribuzione di significato → sul fronte di attivazione emozionale, il cinema ha la capacità di suscitare emozioni; attraverso differenti strategie di ripresa e montaggio, il cinema riesce ad attivare intensamente l'affettività, catturando il soggetto nel suo gioco di fiction nel quale il soggetto stesso riesce a trovare parti di sé rimosse o semplicemente dimenticate → proprio questa possibilità di sollecitare reazioni emotive e facilitare l'immaginazione, costituisce il principale vantaggio in termini di apprendimento che deriva dall'utilizzo dei film I passaggi che è necessario compiere quando ci si propone di utilizzare i materiali filmici nelle attività di formazione degli adulti sono 4 ● selezione dei film o sequenza​ → quale film o sequenza può essere utilizzato per promuovere l'apprendimento di un particolare contenuto all'interno di uno specifico percorso formativo? La fase di selezione confronta il formatore con la necessità di individuare il materiale da utilizzare in aula recuperando un insieme di riferimenti, visionandoli e scegliendo ciò che appare più efficace rispetto al raggiungimento degli obiettivi di formazione È opportuno distinguere tra due tipi di formatori → da un lato abbiamo i formatori che hanno una spiccata cultura personale in ambito cinematografico e nel tempo stesso si sono costruiti un archivio di titoli e riferimenti utili per la loro attività professionale che alimentano progressivamente; dall'altro vi sono quei formatori che non dispongono di tali conoscenze in campo cinematografico e dunque si trovano a voler utilizzare i film senza l'archivio di titoli e vanno alla ricerca delle informazioni e dei suggerimenti presenti in quelle rassegne che elencano una serie di materiali filmici classificati in funzione dei contenuti di apprendimento ● la progettazione dell'utilizzo​ → il passaggio della progettazione mette a confronto il formatore con tre scelte cruciali relative a a. che cosa, ovvero l'ampiezza del materiale, l'intero film oppure uno spezzone b. quando, ovvero il momento all'interno del percorso formativo nel corso del vero e proprio lavoro d'aula o nei momenti completamenti di ulteriore confronto e riflessione, per esempio nelle serate di un corso residenziale c. come, ovvero le modalità di utilizzo, precisando il significato che viene attribuito al momento di visione del materiale 15 Golde individua 5 principali modalità di utilizzo del materiale cinematografico ● il riscaldamento → il materiale cinematografico può rappresentare un momento di riscaldamento in tre distinte eccezioni ○ la prima a che fare con l'energia → è importante aiutare i partecipanti ad avere una partecipazione attiva: il materiale cinematografico è in grado di suscitare questo effetto perché crea una netta separazione tra ciò che sta per accadere e ciò che è accaduto prima ○ la seconda riguarda la possibilità di entrare in tema → il materiale cinematografico consente di prendere contatto con un concetto, un'idea o una problematica ○ la terza rinvia al fare gruppo → condividere la visione la riflessione su un film potrà favorire la disponibilità dei singoli partecipanti a entrare in relazione, collaborare e mettersi in gioco nel perseguimento del processo formativo ● esempio → quando il materiale cinematografico offre una dimostrazione chiara e puntuale di una storia, di un concetto o di un comportamento che il formatore vuole illustrare ai partecipanti: nel caso di un esempio di un comportamento potremmo essere in presenza di un esempio positivo oppure di un esempio negativo ● caso → un film dotato di una trama efficace può essere utilizzato dal formatore per presentare un caso da discutere in aula, suscitando commenti, riflessioni e ipotesi di problem solving più ricchi di quelli che si potrebbero ottenere mediante una storia scritta, grazie al più elevato livello di coinvolgimento che il materiale audiovisivo è in grado di attivare ● esercizio → siamo in presenza di un esercizio quando una scena di film rappresenta lo stimolo per un compito che i partecipanti sono chiamati a svolgere, individualmente o in sottogruppo Con l'esercizio i partecipanti sono chiamato a mettere realmente in pratica la soluzione proposta, con la possibilità di verificare i risultati raggiunti e confrontarli con quelli ottenuti da altri partecipanti o dai protagonisti della sequenza filmica utilizzata ● simbolismo/metafora → le scene di un film possono rappresentare una forma di mediazione simbolica rispetto a contenuti astratti di portata molto generale e dunque difficili da comunicare in tutta la loro intensità; in altre occasioni il film presenta un rinvio metaforico in grado di semplificare pensieri complessi e chiarire i concetti teorici Il vissuto dei soggetti o le caratteristiche del contesto in cui essi si trovano a operare possono essere esplicitati attraverso l'utilizzo di un materiale filmico che ne offre una rappresentazione ironica, capace di evidenziare quei paradossi e quelle contraddizioni che potrebbero essere difficili da esprimere per la loro tonalità emotiva particolarmente carica o per l'imbarazzo che colpisce che si trova a svelare per primo delle verità nascoste 16 Proprio al fine di favorire l'espressione di questi vissuti, può essere utile invitare i partecipanti a produrre loro stessi un cortometraggio di tipo simbolico/metaforico/ironico mediante il quale esprimere un vissuto, un'immagine, un valore o un problema ● messa a punto dei materiali​ → ogni formatore che abbia utilizzato il cinema in un percorso formativo di cui era responsabile, sa che il materiale cinematografico non può essere semplicemente fatto vedere ai partecipanti → il suo valore per l'apprendimento sarà tanto maggiore quanto più essi saranno in grado di comprenderlo, approfondirlo ed interiorizzarlo Per rispondere a queste esigenze al formatore deve mettere a punto strumenti di descrizione e analisi dei film, cioè deve mettere a punto una vera e propria scheda di descrizione del materiale cinematografico, da archiviare tra i suoi materiali professionali, che comprenda ○ Dati: regista, anno, paese di produzione, attori principali e durata ○ Trama: trama del film ○ Descrizione della sequenza: durata della sequenza, posizione nel film e descrizione dettagliata che precisa i nomi dei personaggi, degli attori che interpretano e i legami con la trama complessiva ○ Temi centrali: legami tra le immagini del film e contenuti su cui si intende lavorare ○ Rimandi teorici: in relazione a particolari contenuti possono essere esplicitati i riferimenti teorici principali e fornita una bibliografia di approfondimento ○ Trascrizione della sequenza: trascrizione fedele della sequenza ○ Modalità di utilizzo: indicazioni circa il modo in cui si può gestire l'uso della singola sequenza Al fianco di questa scheda, un secondo materiale da predisporre è rappresentato dalla check-list per la riflessione, che comprende un insieme di sollecitazioni e domande che possono essere rivolte al partecipante per condurlo lungo un percorso di ripensamento e di ricerca di contatto con la propria esperienza personale e professionale ● azione in aula​ → è importante evidenziare un percorso di utilizzo del materiale cinematografico → le attività d'aula possono essere progettate per condurre i partecipanti attraverso dei passaggi del ciclo ● osservazione → il momento della visione del materiale può essere seguito da una sessione di lavoro centrata sul osservazione: in questa fase è utile chiedere ai partecipanti un commento ai comportamenti degli attori In seguito è possibile avviare una ricerca di veri e propri esempi positivi e negativi del comportamento oggetto di apprendimento → se non si tratta di una sequenza di durata eccessiva, la realizzazione di questo compito può essere fornita da un ulteriore visione del materiale filmico selezionato 17 L’inglese coach riflette il duplice significato di carrozza (coche, cocchio) e quello simbolico di guida come insegnamento o allenamento: in ambito sportivo è colui che accompagna il giocatore alla piena espressione del suo potenziale Coaching, counseling e mentoring condividono uno stesso orientamento allo sviluppo del soggetto, ma il counseling è più concentrato sulla dimensione emotiva e sulle problematiche personali del lavoratore che possono interferire con la sua prestazione, mentre il mentoring è un percorso a medio-lungo termine che si concentra su aspetti di sviluppo professionale e di carriera, il coaching è in una posizione intermedia Coaching è un processo che consente alle organizzazioni di rispondere alle specifiche esigenze di apprendimento di una figura o di un gruppo di lavoro, attraverso la relazione interpersonale tra un coach e uno o più coachee → la relazione prevede un supporto nella rilettura delle situazioni quotidiane riconosciute come problematiche e un confronto su casi reali e attuali con l’obiettivo di individuare strategie per apprendere modi nuovi e diversi per farvi fronte Rispetto alla realizzazione del coaching è possibile distinguere tra ● One to one coaching → serie di incontri individuali di circa 1/2 ore ● Team coaching → incontri di gruppo di 2/4 ore Le principali declinazioni di coaching rivolte all’adulto sono ● Personal coaching → obiettivi definiti dal coachee in diversi ambiti ● Corporate coaching → applicazione del coaching in contesti aziendali ● Executive coaching → quando i coachee sono persone che occupano ruoli di massima responsabilità Temi intrecciati al coaching possono essere ● Leadership, lavoro di gruppo e gestione di progetti: un tema che può essere affrontato in un percorso di coaching è legato all’apprendimento di modi nuovi di lavorare in gruppo e di portare a conclusione diversi progetti ● Cambiamento organizzativo: prima o dopo un cambiamento organizzativo persone con ruoli chiave possono avere bisogno di percorsi di coaching come supporto formativo per agire in coerenza con le trasformazioni ● Comunicazione: coaching metodo utile perché consente di lavorare all’individuazione del problema specifico definendo un progetto mirato in relazione alle richieste di ruolo del coachee 20 ● Problem solving e decision making: il coaching è uno strumento formativo ideale anche a supporto del miglioramento della capacità di risolvere i problemi e prendere decisioni ● Sviluppo alti potenziali: alcune organizzazioni realizzano percorsi di coaching al fine di promuovere lo sviluppo di soggetti individuati come potenziali → interventi mirati a sostenere lo sviluppo di risorse personali o individuare capacità ● Sviluppo di carriera: coaching messo al servizio di un bisogno di sviluppo di carriera Un individuo si rivolge al coach per lavorare sul proprio percorso di sviluppo facendosi sostenere nella realizzazione delle azioni utili a conseguire il risultato atteso: un’organizzazione può richiedere coaching per soggetti che riconosce potenzialmente adatti a ricoprire ruoli che richiedono specifiche risorse ● Equilibrio lavoro famiglia: la difficoltà di conciliazione può richiedere percorsi individualizzati mirati a sviluppare modalità diverse di fronteggiare le richieste di ruolo legate alla doppia appartenenza ● Gestione dello stress: anche qui il coaching può essere una soluzione, riferimento a percorsi mirati per individuare stressor più rilevanti e a promuovere l’apprendimento di modi nuovi di far fronte ai problemi I primi 4 temi sono più formativi e individuali, gli altri più gestionali e organizzativi, ma in realtà in tutti ci sono entrambi gli aspetti Ci sono anche distinzioni a livelli 1. primo livello quando un coach esperto esterno all’azienda affianca un manager dell’azienda e lo sostiene in un percorso di apprendimento 2. secondo livello quando lo stesso manager diventa coach di se stesso, diviene regista e non più attore del suo percorso di crescita 3. terzo livello in cui il manager essendosi allenato ad allenare diviene coach dei suoi collaboratori Approcci teorici e pratiche di coaching Dalla cornice teorica di riferimento deriva il significato degli interventi che il coach mette in atto nella relazione e la sequenza delle azioni in vista del raggiungimento degli obiettivi formativi individuati ● Approccio psicodinamico​ → il coaching secondo questa prospettiva pone al centro l’analisi delle dinamiche relazionali e si propone obiettivi di apprendimento legati allo sviluppo di abilità interpersonali Il coaching psicodinamico cerca di capire i moventi delle azioni e la relazione tra coach e coachee è strumento di lavoro privilegiato Punti di forza: capacità di individuare resistenze al cambiamento 21 Punti di debolezza: rischio di periodi di stagnazione che può portare lontano dai contenuti del lavoro formativo ● Approccio comportamentista​ → non ha molto influenzato i processi formativi nei contesti organizzativi Vantaggio e limite allo stesso tempo è la sua semplicità Vantaggi: sostegno al coachee nel riconoscere risposte apprese dal contesto, supporto che offre nel processo di gestione dei collaboratori ● Approccio cognitivo​ → utilità di concetti è evidente per le pratiche di coaching che intervengono a favore dell’apprendimento di modi nuovi per gestire lo stress o affrontare i problemi I percorsi di coaching mirano a comprendere i processi cognitivi a carattere disfunzionale, agendo a livello degli schemi e della valutazione degli stimoli e del giudizio ● Approccio umanista​ → la prospettiva della psicologia umanista (Rogers) è rilevante per tutte le pratiche individualizzate Per quanto riguarda il coaching a questa prospettiva si deve l’idea che il coach sia chi si pone in ascolto attivo dell’altro → ciò è possibile quando il coach si impegna nel costruire una relazione aperta (accoglienza) ● Approccio sistemico​ → colloca le interazioni all’interno di un quadro concettuale e guarda l’individuo all’interno del sistema di appartenenza ● Approccio psicologico-sociale​ → approccio integrato che nasce dalla constatazione che nessuna teoria singolare può rendere conto delle dinamiche del coaching → ciò si fonda su elementi che valorizzano il ruolo del contesto sociale come elemento decisivo per i percorsi di sostegno alla persona e portano a riconoscere l’importanza della relazione di coaching inserita nel suo contesto di attuazione ● Psicologia positiva​ → ha influenzato lo sviluppo del coaching, in virtù del suo orientamento alla promozione del benessere che pone al centro dell’attenzione l’individuazione di processi che favoriscono la piena espressione del potenziale individuale ● Modello di Kolb​ → proposta di modello del ciclo di apprendimento attraverso l’esperienza concreta, la riflessione l’astrazione e la sperimentazione attiva Modello utile per comprendere il processo di apprendimento che si sviluppa nel coaching e per sostenere una riflessione sullo stile di apprendimento del coachee ● Modello di Schon​ → la riflessività è il nodo che consente lo sviluppo della professionalità Imparare riflettendo su ciò che si fa e imparare a riflettere su ciò che si fa, fondamentali per il coaching 22 Deve essere motivato a conoscersi meglio accettando i feedback che riceve e cercando di approfondirli, deve essere motivato a sperimentare nuovi modi di interpretare gli eventi e di agire nelle situazioni quotidiane IL CONTESTO L’intervento di coaching si colloca in un contesto caratterizzato da ruoli, responsabilità, regole, abitudini → esso funziona meglio nei contesti organizzativi “coaching friendly” dove il percorso è coerente con le abituali pratiche di gestione delle risorse umane Il contesto è una precondizione necessaria al buon esito del percorso, un atteggiamento dell’azienda di riconoscimento del valore del coaching, di sostegno → nel caso in cui il coaching è attivato dall’azienda, è fondamentale chiarire le ragioni per cui alcuni sono destinatari dell’intervento Declinazione del percorso di coaching in 4 tappe in cui ci sono anche una fase preliminare e una di follow up 1. Richiesta di un percorso di coaching: primo momento dell’attività con telefonata per il primo incontro, nel corso della quale può avvenire il primo scambio di informazioni 2. Avvio: nel corso del primo incontro che prende forma l’attività. Analisi domanda e contratto di coaching. Richiede un colloquio approfondito dove viene precisata la domanda di consulenza, si chiariscono le aspettative reciproche e i tempi. Il coach illustra il processo, definisce le modalità di lavoro concordando regole e condizioni di riservatezza Individuati i risultati attesi e impegni reciproci. Questa fase generalmente si esaurisce nel primo incontro. Può essere previsto anche la formulazione di un contratto scritto che definisce obiettivi del coaching, durata e responsabilità e modalità. Indicati obblighi etici delle parti coinvolte 3. Analisi: seconda fase connotata dal processo dialogico di analisi della situazione. La domanda viene approfondita attraverso l’esplorazione della vita lavorativa e la definizione di problemi e difficoltà con riconoscimento di punti di forza e aree potenziali. Questa fase ha una connotazione diagnostica e può essere supportata dall’utilizzo di strumenti come check list o questionari. Il ricorso a questi strumenti varia in relazione all’approccio teorico scelto dal coach ma anche in funzione dei fini di ciascun intervento. Questa fase può richiedere più incontri anche se entro breve tempo deve portare all’individuazione di un piano di sviluppo. L’analisi dovrebbe riguardare casi e episodi o eventi che contengono problemi attinenti agli obiettivi di apprendimento dati: attraverso lo specchio dato dal coach il coachee può rivedersi criticamente nelle situazioni che porta, articolando gli obiettivi di apprendimento fissati a inizio percorso 25 In queste fasi di analisi la tensione a ricostruire il presente usando episodi del passato recente si accompagna all’importanza di definire il piano di sviluppo che guiderà gli incontri successivi. Con la definizione del piano di sviluppo si conclude questa fase. È un’articolazione dettagliata degli obiettivi individuati nel contratto di coaching perché fissa oltre alla meta i passaggi che servono per raggiungerla 4. Allenamento: il piano di sviluppo guida l’allenamento che è la più ampia fase del percorso. Il coachee è qui sollecitato a sperimentare nuovi modi di agire e di riflettere in questa fase sono la stimolazione a sperimentare e il sostegno a riflettere, il coach modulerà le sue azioni in base agli obiettivi e alle relazioni del coachee, ponendo attenzione a riconoscere i segnali di resistenza. Anche qui il coach può usare diari e check list oppure stimoli provenienti da letteratura o cinema (utili per favorire una rilettura dell’esperienza della vita, un cambio di sguardo) All’inizio di questa fase bisogna monitorare l’andamento della relazione, la coerenza del percorso con i tempi concordati e se il piano di sviluppo individuato debba subire cambiamenti 5. Arrivo: il coaching è un percorso teso a raggiungere una meta, è quindi importante preparare la relazione ad una conclusione. Questo richiede che una volta consolidati apprendimenti in fase di allenamento, il coach deve accompagnare il coachee in autonomia verso la sperimentazione o riflessione sull’esperienza. L’efficacia del coaching si protrarrà nel tempo solo se il coachee avrà sviluppato la capacità di essere allenatore di se stesso, capace di individuare in autonomia obiettivi di sviluppo, declinarli in azioni specifiche e valutarne le conseguenze 6. Follow up: dopo qualche mese dalla conclusione è possibile avere un altro incontro per monitorare gli effetti dell’esperienza. Può essere sia un colloquio tra coach e coachee, sia una serie di colloqui che possono coinvolgere anche il management. Il follow up ha la doppia funzione di rinforzare le acquisizioni del percorso e di acquisire dati di valutazione rispetto ai suoi effetti. La valutazione non si esaurisce con il follow up, ma dovrebbe rispondere a domande relative sia il processo che i risultati: sono stati chiaramente definiti gli obiettivi? L’intervento ha risposto in modo adeguato alla domanda? Ecc.. È necessario che i risultati raggiunti siano riconosciuti dai beneficiari del percorso DURATA E SETTING La durata deve essere coerente con gli obiettivi dell’intervento → relazione a breve-medio termine che si può sviluppare tra 6 e 12 mesi Ogni incontro è di due ore circa con cadenza settimanale → volte agli incontri in presenza si possono alternare modalità di contatto a distanza (web) 26 Il luogo può avere diversi significati in funzione degli obiettivi e della teoria di riferimento del coach Il luogo è capace di modificare il significato di ciò che avviene nel processo di coaching e quindi deve essere accogliente così da consentire la vicinanza necessaria al lavoro di relazione e protetto dalle interferenze Il coaching aziendale può svolgersi sia in organizzazione (probabile quando il coaching è promosso dal vertice aziendale, il coach può osservare il cliente nel suo ambiente di lavoro), sia in un setting esterno all’azienda (più probabile se è il coachee stesso a chiedere l’intervento, facilita l’emergere di temi in forma più libera entrando sia nei problemi lavorativi sia fuori dai confini della vita lavorativa) La leadership si può sovrapporre e intrecciare con il coaching Due direttive di approfondimento 1. Coaching realizzato da un esperto è un metodo formativo adeguato allo sviluppo della leadership​ → molti autori legano la complessità della relazione capo-collaboratore alla necessità di percorsi di formazione one to one, così da sostenere una leadership equilibrata → per avere questa leadership bisogna adottare approcci partecipativi e riflessivi L’opportunità offerta dal coaching nell’ambito di formazione della leadership sta nella sua capacità di cogliere con precisione il problema di leadership specifico della persona Si può lavorare anche sugli elementi più critici della leadership → per far si che ciò avvenga il coach deve essere formato sia sui sul fronte delle conoscenze relative alle dinamiche di leadership, sia sul fronte del metodo di lavoro 2. Leadership stessa come esercizio di coaching​ → sempre più importante è il ruolo della relazione tra capo e collaboratore: il coaching si configura come attività che un responsabile compie per un collaboratore nel quadro dei suoi doveri manageriali orientati allo sviluppo delle competenze professionali delle risorse che gli sono affidate In tutte le posizioni di responsabilità bisogna aver coach capaci di contribuire positivamente allo sviluppo dei collaboratori → le organizzazioni dovranno investire in una formazione destinata a chi ha ruoli di responsabilità avendo in mente il profilo della piccola leadership. Il leadership coaching può essere considerato come risorsa 27 Possono essere attuate nell’ambito di sviluppo di competenze, diverse strategie didattiche come il ​modelling​ → esso è valido per lo sviluppo di competenze e abilità pratiche, si rifà a un apprendimento di tipo esplorativo tale da permettere alla persona in formazione di progredire nella sua zona di sviluppo prossimale: nella formazione professionale è utilizzato nelle attività di formazione come stage o periodi di pratica durante i quali l’esperto può mostrare direttamente al novizio le modalità di risoluzione o di azioni previste operando una funzione di scaffolding (termine per indicare l’aiuto dato da una persona ad un’altra per svolgere un compito) rispetto all’apprendente I limiti di questa strategia in relazione al contesto di formazione d’aula sono che è poco praticabile in questo contesto e che non garantisce che avvenga una reale riflessione analitica sulle ragioni di alcune azioni Nella pratica, le possibilità di operare un’analisi condizionale dell’azione sono spesso limitate dalla contingenza della pratica stessa, perché nel contesto della pratica professionale reale non sempre ci sono le condizioni affinchè avvenga la riflessione su essa, per cui la conoscenza rimane spesso implicita e integrata nel fare In luoghi come la scuola e l’aula di formazione, è importante che si crei lo spazio per la riflessione su queste pratiche sia in senso induttivo (da pratica a elementi teorici) che deduttivo L’apprendimento di competenze non avviene solo il modellamento di comportamenti in situazioni reali, ma deve avvenire anche a mezzo di una riflessione sulle azioni da intraprendere al fine di raggiungere determinati risultati in certe condizioni, riflettendo sulle conseguenze ogni volta o su alternative possibili La domanda didattica è quindi relativa alle modalità con le quali l’insegnamento sia in grado di sviluppare competenze spendibili in situazione e riflettere sulla pratica professionale al fine di consolidare e sviluppare le relative risorse Per rispondere bisogna far riferimento a momenti della pratica in cui si danno le competenze → la situazione è così il referente naturale della competenza che è orientata da una finalità che la determina e da una situazione che la contestualizza Non è possibile parlare di competenza in astratto, ma solo in riferimento ai contesti o situazioni specifiche entro le quali le competenze vengono mobilitate: il soggetto così 30 assume un ruolo attivo di creatore dell’attività. non necessariamente se un soggetto possiede molte risorse è competente La competenza non è un sapere generale e astratto, ma una conoscenza in situazione, una particolare modalità di accoppiamento con il contesto Con riferimento alla necessità di immaginare percorsi didattici incentrati su situazioni reali si può far riferimento al modello didattico detto ​didattica per situazioni​ che ha come obiettivo lo sviluppo di competenze per il tramite della strutturazione di scenari didattici riferiti esplicitamente e intenzionalmente a situazioni Ma visto che fa riferimento sia a contesti professionalizzanti, sia scolastici, la DPS può riguardare situazioni che potrebbero essere incluse dal concetto di “situazioni significative di vita” siano esse professionali o no (socio-culturale) Come, a partire da situazioni professionali di riferimento che per loro natura sono a-didattiche, è possibile costruire delle situazioni didattiche la cui attuazione produrrà a sua volta una competenza operativa adatta e utilizzabile nelle medesime situazioni professionali di partenza o in situazioni simili? Per formare alla competenza professionale occorre attuare un circolo virtuoso che, partendo da reali situazioni professionali attivi meccanismi di apprendimento tali da sviluppare risorse e competenze utili per poter agire in quelle stesse situazioni di partenza o in altre situazioni simili All’inizio ci sono le situazioni reali che vanno introdotte nelle attività didattiche, così che le competenze necessarie per affrontarle vengano acquisite e consolidate → l’elaborazione riflessiva delle situazioni reali permette il ritorno alle situazioni reali, quindi dalla pratica alla pratica passando dall’elaborazione didattica I punti di partenza possono essere o quello delle situazioni reali o quello del sapere disciplinare → occorre pensare alla DPS come un cursore che va dal sapere pratico a quello disciplinare, scegliendo in base alle esigenze del contesto l’input che si ritiene più adatto. SITUAZIONI PROFESSIONALI E SITUAZIONI DIDATTICHE 1. Situazioni reali/professionali di riferimento: complessità elevata, il sapere è pre-condizione dell’azione 31 2. Situazioni didattiche/di insegnamento-apprendimento: complessità ridotta e graduale, il sapere è il prodotto che diventerà la risorsa utilizzabile nella situazione professionale Il fondamento teorico della DPS fa riferimento alle teorie di apprendimento secondo le quali l’apprendimento umano avviene in un contesto → gran parte della didattica scolastica avviene fuori da situazioni autentiche, in contesti astratti; lo sforzo di una didattica per competenze dovrebbe essere quello di portare le situazioni reali nello spazio dell’aula e di farvi costante riferimento Se l’apprendimento in situazioni didattiche avviene sia con riferimento a situazioni professionali, sia senza specifico riferimento a situazioni reali, allora il metodo della DPS si focalizza sulle situazioni didattiche che in maniera diversa si rifanno a situazioni reali (situazioni in cui il soggetto è coinvolto nella vita professionale vera) Nella DPS che si riferisce al processo di apprendimento che avviene nel contesto scolastico/formativo, il riferimento alla situazione di vita reale può essere diretto (immediato con diversi supporti dal vissuto reale come racconti o filmati) e indiretto (quando non ci sono le condizioni di presentificazione di esperienze reali e quindi il riferimento a una situazione della pratica prende la forma di situazioni modello) Il valore di autenticità di una situazione realmente vissuta dalla persona in formazione e dalla quale si può dare una diretta testimonianza, presenta un valore didattico superiore a qualsiasi altra simulazione della realtà, anche per via del portato emotivo che la persona può mettere nella situazione didattica, rendendola viva La distinzione tra situazioni di lavoro potenziali e situazioni di lavoro reali o autentiche ha un ruolo fondamentale per la sollecitazione della motivazione di persone in formazione a entrare nella situazione didattica, infatti più la situazione di insegnamento parla al vissuto del destinatario, più lui si metterà in gioco I principi generali della Dps si analizzano lungo tre assi di analisi: 1. ​Asse epistemologico​: la DPS , dal punto di vista epistemologico, è incentrata sulla distinzione tra CONOSCENZA implicita e esplicita La DPS si caratterizza per due movimenti: ● Dalle situazioni reali al sapere disciplinare: la DPS mira per mezzo di scenari didattici che attivano l’analisi induttiva di situazioni reali a un’esplicitazione dei saperi impliciti e a una condivisione della conoscenza tacita ● Dal sapere disciplinare all’applicazione alle situazioni reali: mira a usare elementi del sapere disciplinare per poi declinarli in situazioni reali Dal punto di vista epistemologico sapere pratico e teorico trovano possibilità di integrazione rappresentando le condizioni di riuscita della pratica professionale 32 ● Fase 0: nella formazione professionale di base per impiegati di commercio, la gestione di un colloquio di consulenza è una competenza centrale che rientra negli obiettivi del programma del secondo anno di formazione ● Fase 1: il formatore del corso di comunicazione chiede di riprendere con video situazioni di consulenza e vendita che avvengono nella loro azienda ● Fase 2: allievi in aula divisi in gruppi, i quali vedranno i video e dovranno prendere nota delle diverse fasi di svolgimento del colloquio, degli elementi corretti e di possibile miglioramento ● Fase 3: presentazione della situazione visionata e delle fasi individuate ● Fase 4: partendo dalle presentazioni, il formatore elabora un’analisi complessiva della situazione di gestione di un colloquio di consulenza, arrivando a formalizzare le risorse per gestire bene la situazione → gli allievi devono esercitare le capacità pratiche e gli atteggiamenti legati al colloquio ● Fase 5: a partire dagli elementi giusti o sbagliati trovati nella registrazione, il formatore elabora un input teorico sulle modalità di accoglienza della clientela, di formulazione di domande aperte e chiuse e di ascolto attivo e di congedo del cliente ed infine fa vedere un video di un venditore esperto ● Fase 6: per consolidare ciò che è stato appreso il formatore propone due attività pratiche: la prima di simulazione in aula in cui gli allievi a coppie sono chiamati a condurre una situazione di consulenza secondo una specifica consegna e la seconda che implica un trasferimento nel luogo di stage e prevede la gestione di una situazione reale con la clientela La DPS vuole proporsi come risposta pragmatica alla domanda relativa alle modalità con le quali sia possibile sviluppare didatticamente percorsi incentrati sullo sviluppo di competenze → il modello prevede un lavoro didattico incentrato sull’analisi e lo sviluppo integrato di risorse (conoscenze, atteggiamenti, capacità) necessarie per agire in maniera competente nelle situazioni professionali reali, permettendo anche di sviluppare un approccio riflessivo Si intende monitorare con maggiore attenzione le ricadute che la DPS può avere in ordine al reale sviluppo di competenza degli allievi e dei formatori e si intende usarla anche nella formazione di docenti e formatori professionali, partendo dalle loro situazioni professionali reali e potenziandone le competenze L’auspicio è percorrere nella formazione di tutti una via che, partendo dalle situazioni reali della professione, attivi una didattica incentrata sulla attività quotidiane 35 Capitolo 18 - ESERCITAZIONE L’esercitazione assume i connotati di qualcosa di obsoleto o di classico → è nata dalla contaminazione del classico metodo dei casi ed è stata una dei primi strumenti di formazione a tutti gli effetti attivo L’esercitazione consiste in un esercizio o un gioco durante il quale ai partecipanti è richiesto di raggiungere un obiettivo prefissato attraverso la realizzazione di una prestazione L’esercitazione assume una rilevanza particolare nel passaggio tra la sperimentazione e l’esperienza in sé → è questo che permette all’esercitazione di allontanarsi dai metodi di formazione tradizionali e di collocarsi tra gli strumenti attivi dal momento che può attrarre l’attenzione Caratteristiche ● Immediatezza → l’esercitazione è un’attività le cui modalità di svolgimento sono intuitive e accessibili a chiunque ● Sicurezza → le esercitazioni sono percepite come modalità non minacciose di interazione con le altre persone ● Coinvolgimento -> tutti i partecipanti si “fanno prendere” dalla componente ludica e riescono ad esprimere forme di cooperazione e interazione simili a quelle agite nella quotidianità ● Pragmaticità → permettono di mettere in pratica pratiche e comportamenti nuovi; permettono scoperte inaspettate di attitudini e reazioni a situazioni nuove ● Novità → la varietà delle esercitazioni permette al formatore di presentarsi in aula con materiale nuovo; le esercitazioni creano un ambiente di apprendimento inventivo e creativo L’esercitazione comincia in uno scenario che descrive l’ambiente/il sistema in cui i ruoli devono essere messi in pratica e fornisce un obiettivo da raggiungere in questo scenario; ai partecipanti viene richiesta una soluzione a un problema verificatosi nell’ambiente/nel sistema di riferimento → qualunque esperienza pregressa dei partecipanti potrebbe essere utile al raggiungimento dell’obiettivo fornito dallo scenario Possiamo affermare che le esercitazioni sono metodi didattici che sfruttano il loro appeal ludico per ottenere un coinvolgimento dei soggetti nel processo di apprendimento → questa struttura ludica modifica il ruolo del formatore, che viene inteso come co-formatore (partner dei partecipanti nel processo di co-costruzione del percorso formativo) 36 È necessario anche prestare attenzione alle criticità dell’esercitazione ● Distanza → le esercitazioni presentano un modello semplificato di realtà che non riesce a rendere la complessità del contesto quotidiano in cui operano i partecipanti ● Leggerezza → il rovescio della medaglia dell’immediatezza e della sicurezza è che i partecipanti prendano poco sul serio l’attività, relegandola nel limbo dello svago/distrazione ● Logistica → alcune esercitazioni richiedono uno sforzo di allestimento in termini di materiali e/o infrastrutture d’aula che non è possibile avere POSSIBILI OBIETTIVI FORMATIVI DELLE ESERCITAZIONI NELLA FORMAZIONE DEGLI ADULTI Le esercitazioni sono attività formative consistenti nella realizzazione di operazioni assimilabili ad alcune azioni organizzative organizzate in forma più o meno competitiva e potremmo dire che le esercitazioni mirano a ● Stimolare l’utilizzo di approcci nuovi e diversi all’analisi delle situazioni e alla risoluzione dei problemi; ● Aumentare la consapevolezza relativa al proprio modo di relazionarsi con gli altri; ● Puntare l’attenzione sull’importanza di alcuni fenomeni sociali Inoltre possiamo classificare le esercitazioni in ● casi di discussione → lettura della cronaca di un evento/storia organizzativa/caso che i partecipanti devono analizzare e commentare insieme al docente (tipo di esercitazione antica e centrata sull’attivazione razionale-cognitiva) ● incident → presenta una parte della storia organizzativa che i partecipanti devono completare; questo strumento attiva una maggiore dinamica e interazione all’interno del gruppo-aula ● simulazioni → prime esercitazioni attive. I partecipanti simulano un evento o un processo organizzativo condotti a valutati dal formatore (la prima simulazione venne chiamata business game) ● in-basket → qui si ricevono, si scrivono e si smistano le informazioni relative a una specifica situazione organizzativa fornita dal formatore ● role play → ai partecipazione è richiesto di rivestire un ruolo particolare con caratteristiche e conoscenze e di drammatizzarne l’interazione 37 stimolerà la consapevolezza dei partecipanti su ciò che l’esperienza ha mosso in loro ○ passaggio dal gioco alla realtà: è il passaggio più critico e delicato → il formatore deve accompagnare i partecipanti nella messa a fuoco di quanto i comportamenti agiti nel corso dell’esercitazione siano gli stessi agiti nella quotidianità lavorativa e nel riconoscere che le buone pratiche evidenziate possano rappresentare variazioni del comportamento professionale Dove va l’esercitazione? Abbiamo altre strade per sfruttare e innovare questo metodo? Si potrebbe applicare il carattere della serialità all’esercitazione, combinandone diversi tipi, al fine di creare un ambiente di apprendimento fortemente connotato e caratterizzato da un’immersione totale, un ambiente che stimoli la creatività e il distacco dalle proprie abitudini consolidate Capitolo 23 – LEZIONE Ci si riferisce alla metodologia in assoluto più utilizzata, più diffusa e forse più antica Nonostante le innumerevoli critiche di cui è fatta da tempo bersaglio, la lezione continua ad essere impiegata nelle aule di formazione di persone di ogni età, dalle elementari alle università della terza età, passando dalle aule di formazione aziendale La domanda che ci si deve porre è : “COME FARE A REALIZZARE LEZIONI EFFICACI?” ● Durata → è consigliabile che la lezione non si protragga eccessivamente nel tempo, pena un’alta probabilità di perdita di attenzione dei partecipanti → dopo 20/30 minuti la fatica nei partecipanti comincia a farsi sentire e la concentrazione si riduce in modo significativo ● Mezzi di comunicazione → la sola voce del docente non è abbastanza per garantire l’attenzione, è necessario quindi avvalersi di mezzi quali lavagne, pc, proiettori ecc. ● Necessità di non ridurre la lezione ad un monologo del docente → l’ascolto prolungato può diventare un impedimento all’attenzione e all’apprendimento È necessario che vi sia una reale interazione tra docente e partecipanti La prima attività che un docente deve affrontare per preparare una nuova lezione è la creazione di una scaletta in cui sono segnati i punti principali di cui vuole trattare e quelli che non è necessario toccare, nel tempo che ha a disposizione 40 Per fare ciò è necessario seguire alcuni criteri: ● L’obiettivo didattico che ci si prefigge → cosa devono ricordare i partecipanti al termine della lezione ● Il livello di preparazione dei partecipanti sul tema in oggetto → quanto ne sanno già ● Il tempo a disposizione → è un vincolo entro cui stare e in cui rimodulare gli obiettivi effettivi Il docente, inoltre ha due possibilità da utilizzare per trattare i propri argomenti: 1. Classica e deduttiva​ : si introduce l’argomento partendo dai suoi presupposti, poi si illustrano i concetti base e infine si fanno degli esempi Il materiale viene organizzato nel seguente modo: ● presentazione dei principi generali attinenti alla materia oggetto della sua lezione ● esame dei singoli punti in cui i principi generali possono essere scomposti, loro commento e loro analisi ● eventuali esempi applicativi dei vari casi ● conclusioni con eventuale richiamo ai principi generali esposti in apertura 2. Induttiva​ : si parte da un caso concreto, ci si chiede quale sia il motivo o la causa di quanto è accaduto, si costruiscono delle risposte e poi si prova ad applicare tali risposte ad altre situazioni simili Si tratta di decidere se si vuole privilegiare un taglio scientifico, ordinato oppure un taglio esperienziale e dialettico, più basato sulla scoperta Spesso la sequenza adottata è vincolata dall’argomento che è necessario trattare Come è stato detto, sono necessari degli apporti visivi e non solo della voce del docente per far sì che l’attenzione non venga distolta → si pensi allora al mezzo utilizzato nelle lezioni o nelle riunioni delle slide, che devono avere certe caratteristiche: ● la slide non è tutto il parlato del docente, ma è la sintesi di ciò che verrà detto ● la slide non contiene avverbi, non è costruita secondo la forma classica discorsiva ( soggetto, verbo, complemento), anzi spesso si limita solo al complemento e perciò non rispetta le regole sintattiche, ma si ispira alla comunicazione intuitiva ● i caratteri devono essere sobri e facilmente visibili: vanno quindi privilegiati i caratteri semplici con dimensioni adeguate alla situazione 41 ● immagini e motivi grafici (come frecce) aiutano il partecipante a cogliere alcuni concetti più rapidamente ● se si espongono fenomeni numerici è meglio utilizzare grafici ● un po’ di animazione, senza esagerare, aiuta a rimanere concentrati ● lo sfondo della slide → bianco con scritte scure, se si è in ambienti poco luminosi; scuro con scritte chiare, se si è in ambienti luminosi Altri strumenti utilizzati sono: ● La lavagna a fogli mobili risulta essere lo strumento di supporto visivo più efficace in alcuni specifici momenti della didattica In alternativa oggi viene utilizzata la LIM (pannello bianco connesso ad un computer e ad un video proiettore; sul pc e sullo schermo grande appare ciò che si scrive sulla lavagna utilizzando i pennarelli appositi o le dita) ● I filmati costituiscono un ulteriore forte mezzo di comunicazione nelle situazioni didattiche In generale, i filmati possono essere utilizzati per alcune categorie di situazioni ricorrenti: ➢ documentare una realtà esterna al contesto che altrimenti non sarebbe visibile (esperimento scientifico costoso) ➢ mostrare una situazione emblematica su cui poi discutere (formazione sui comportamenti interpersonali) ➢ trasmettere i concetti che si vogliono insegnare (filmato didattico) ➢ riportare un messaggio di un personaggio che non può essere presente fisicamente ➢ riportare un’intervista ad un personaggio famoso ● Oggetti come computer, o la presenza in aula degli oggetti di cui si parla ASPETTI DELLA COMUNICAZIONE D’AULA ● la voce → il tono e il volume della voce devono essere adeguati al contesto ● il ritmo → più è costante, più rischia di sembrare stancante ed ipnotico → l’eloquio più facile da seguire per chiunque è quello alternato: alcune parole scandite bene con pause annesse, altre parti più veloci ● il tipo di linguaggio → il linguaggio tecnico non è sempre comprensibile per i partecipanti Sorge quindi la necessità di prestare attenzione ai termini che utilizza e cercare di definire quelli più tecnici e più specifici della materia ● la gestualità → è un mezzo per comunicare e come tale è utile; se utilizzata in modo appropriato, aumenta l’efficacia della comunicazione e della comprensibilità di quanto esposto sul piano verbale; può diventare controproducente se trasmette dei messaggi negativi all’ascoltatore, se trasmette imposizione o aggressione; lo 42 scuola di “formazione accelerata del carattere” si rivolgeva ai giovani dell’aristocrazia inglese per sviluppare un carattere forte sicuro di sé ed eticamente corretto, ed era finalizzata a operazioni di salvataggio in mare. Egli fondò questa scuola perché era deluso dai comportamenti dei politici del ministro degli esteri tedesco → questa scuola ebbe un successo crescente durante la guerra per l’addestramento dei marinai, ma anche successivamente alla fine della guerra come modello educativo → così i partecipanti ai suoi corsi non furono più solamente i giovani aristocratici inglesi ma anche manager, i quadri aziendali e poi i venditori delle imprese associate Questa metodologia ha avuto bisogno di espatriare in America prima di avere diffusione anche in tutta Europa e quindi anche in Italia a partire dagli anni ottanta COS’E L’OUTDOOR? L’OT (è il diminutivo di outdoor training) è un metodo esperienziale per la formazione degli adulti che prevede percorsi formativi nella natura, in cui i partecipanti, incontrandosi fuori dai ruoli e dai contesti organizzativi consolidati e rigidi, vivono esperienze di apprendimento coinvolgenti emotivamente, affrontando compiti e situazioni nuove, spesso impreviste, riflettendo su quanto accaduto sviluppando così la capacità di apprendere nell’esperienza Bisogna distinguere tra le varie iniziative che vanno sotto il temine di outdoor, in quanto esiste ancora una discreta confusione fra l’OT inteso come metodologia finalizzata a raggiungere determinati obiettivi di sviluppo personale e di gruppo e altre pratiche che del binomio OT condividono la parte outdoor e sono carenti e non concentrati sulla dimensione training La specificità dell’OT è di essere una metodologia ad alta valenza formativa che propone percorsi esperienziali progettati e messi in sequenza a seconda degli obiettivi formativi e di apprendimento concordati → la valenza formativa di un progetto in OT è rappresentata dal portare i partecipanti fuori dalla realtà quotidiana per sperimentare modalità relazionali, comportamentali e decisionali che la quotidianità sul lavoro subordinato a logiche di produttività ed a abitudini comportamentali OT crea uno spazio di riflessione e dialogo tra i partecipanti per poter ripensare a sé stessi e ai propri comportamenti grazie ai feedback che si ricevono dagli altri durante le attività → OT è un’esperienza di coinvolgimento sia fisico che mentale, in quanto per raggiungere un obiettivo vengono richiesti sforzi fisici nonché ragionamenti complessi che tengono conto delle cause e delle conseguenze delle proprie azioni di quelle del gruppo e dei rischi che si possono correre 45 L’efficienza dell’outdoor si basa su Componente esperienziale​ → la formazione esperienziale rende i partecipanti responsabili delle azioni intraprese e delle conseguenze La formazione esperienziale è fortemente legata alla realtà e le situazioni che i partecipanti affrontano sono percepite come reali e concrete, in quanto si trovano ad affrontare una serie di problemi reali con persone reali, in tempi reali e con regole reali Utilizzo della metafora​ → attraverso le metafore proposte nelle attività si è in grado di riprodurre le situazioni che le persone vivono quotidianamente sul loro posto di lavoro Gioco, sfida e creatività​ → avanzare in un ambiente sconosciuto crea un clima di avventura che è un supporto pedagogico prezioso per attivare un atteggiamento euristico e per permettere un apprendimento basato sulla scoperta Calati in un contesto ludico, i partecipanti attivano il proprio sistema agonistico che li porta ad assumere comportamenti sfidanti sia nei confronti delle proprie possibilità e sia nei confronti degli altri componenti del gruppo Coinvolgimento​ → l’apprendimento avviene attraverso un circolo virtuoso che vede alternarsi il proprio coinvolgimento intellettuale (discussioni e riflessioni) a quello fisico (allenamento, prove). Dall’esterno viene favorita l’attivazione e l’emergere spontaneo delle risorse personali e di gruppo Importanza dell’osservazione e della riflessione​ → il partecipante a una formazione in OT è stimolato a osservarsi mentre agisce e a osservare il comportamento degli altri, attivando un processo di apprendimento continuo che valorizza il fermarsi a riflettere su quanto è accaduto/ sta accadendo per trarre utili indicazioni da tenere in conto per analogia ad approcci futuri Divertimento e sorpresa​ → le attività svolte dai partecipanti a un OT hanno un carattere inaspettato, sono accadimenti che il gruppo si trova ad affrontare in maniera apparentemente non programmata; la sorpresa aumenta il coinvolgimento dai partecipanti e favorisce un maggiore impatto emotivo Il gruppo​ → l’OT ci ricorda come sia sempre indispensabile l’altro e più in generale il gruppo; la soluzione pratica può essere raggiunta attraverso il coinvolgimento di tutti e grazie a un’efficace gestione delle dinamiche relazionali tipiche di un lavoro di gruppo Le persone coinvolte in un ot avranno modo di ● Sperimentare il gruppo come occasione di sostegno e gestione degli imprevisti ● Avere una maggiore consapevolezza di se stessi rispetto al modo di porsi nel rapporto con gli altri e con se stessi ● Individuare azioni e comportamenti singoli o collettivi, utili al miglioramento dei risultati del gruppo ● Consolidare un clima di fiducia e di collaborazione ● Sviluppare iniziativa-proattività-autonomia e il proprio senso di autoefficacia 46 ● Imparare ad apprendere dalla propria esperienza attraverso il metodo di riflessione su quanto accaduto La durata media di un programma di OT è di due/tre giorni consecutivi → giornate residenziali, partecipazione full time Il programma è composto da 5/6 attività, precedute da una plenaria di apertura e seguite da una plenaria di chiusura alla fine del programma Le attività seguono una logica didattica che alterna presentazione e svolgimento dell’attività e debriefing I debriefing rappresentano il cuore dell’opportunità di apprendimento offerta da una metodologia OT → l debriefing si compone di due marco-movimenti logici 1. il primo è rappresentato dalla rielaborazione dell’esperienza 2. il secondo dalla razionalizzazione dell’esperienza che deduce principi guida e modelli concettuali alla base delle competenze oggetto di sviluppo e predispone a sperimentare nuovi modelli di azione I debriefing hanno una durata variabile, ma mediamente durano da una a due ore Durante lo svolgimento delle attività, il tecnico outdoor farà delle foto dei momenti più significativi o delle videoriprese che verranno utilizzate per reintrodurre l’esperienza a distanza di tempo e facilitare la discussione sugli apprendimenti avvenuti e trasferiti sul lavoro Un progetto in OT può coinvolgere un numero molto variabile di partecipanti tuttavia è importante che ci sia un rapporto di 5/6 persone per ogni consulente che le seguirà IL FOLLOW-UP IN UN PERCORSO DI OUTDOOR TRAINING Nel workshop di follow-up, che in genere dura un giorno, si chiede ai partecipanti di esprimere i loro ricordi, sensazioni e riflessioni sul percorso fatto durante le giornate di OT Nel follow-up sono presenti tre momenti fondamentali: 1. Vengono reintrodotte e approfondite le competenze e i comportamenti oggetto di sviluppo durante l’outdoor 2. Segue una fase di riflessione sul gruppo che consiste nella visione delle videoregistrazioni per recuperare i comportamenti agiti durante le attività e fare collegamenti a situazioni aziendali reali 3. Si passa a una fase individuale nella quale viene chiesto ai partecipanti di ri-analizzare i feedback che i partecipanti si sono scambiati durante l’OT Il follow-up si chiude con una sintesi delle principali riflessioni emerse 47 diario di bordo ha lo scopo di coinvolgere le persone nel proprio processo di apprendimento e di creare le basi per una discussione ricca e consapevole che seguirà in gruppo e) Chiusura: in chiusura delle giornate di OT viene dato spazio alla valutazione e ai commenti sull’andamento dell’esperienza da parte dei partecipanti → il commento finale oltre che essere un momento di valutazione, rappresenta anche un momento di razionalizzazione e metabolizzazione di quanto appreso A livello individuale, ogni partecipante, può essere guidato a progettare un suo personale piano d’azione per garantire maggiore trasferibilità sul lavoro degli apprendimenti avvenuti durante l’OT A livello di gruppo, dopo aver individuato e approfondito i principali assi di miglioramento, potrà essere concordata una data nella quale convocare una riunione e decidere i necessari cambiamenti sui temi di miglioramenti individuati La chiusura deve prevedere anche un momento di celebrazione dell’esperienza per rafforzare quanto è stato realizzato, in tal caso è utile lasciare qualche ricordo dell’esperienza ai partecipanti RISCHI E OPPORTUNITÀ DI UNA FORMAZIONE IN OUTDOOR TRAINING I principali rischi di questa metodologia da conoscere e prevenire sono: ● I partecipanti fanno fatica a partecipare all’attività ● Attività proposte sono percepite come troppo facili o come metafora non credibili delle situazioni reali vissute dai partecipanti sul lavoro I principali vantaggi sono o OT ha il pregio di rimettere in moto la capacità e la voglia dei partecipanti di apprendere dall’esperienza e il pensare e il riflettere insieme o OT allena le persone al gioco delle percezioni reciproche attraverso l’opportunità continua di chiedere e ricevere efficaci e puntuali feedback o OT riesce a motivare e a coinvolgere i partecipanti in quanto le attività che vengono proposte sono impegnative, divertenti, stimolanti e si svolgono il più delle volte in un contesto accattivante o OT dispone favorevolmente le persone a svelare i lati inediti del loro carattere o OT fa sì che le emozioni che si provano giocando e appassionandosi a un’attività siano un aiuto del processo di apprendimento 50 Capitolo 30 – ROLE PLAY Tecnica di drammatizzazione di comportamenti di ruolo espressa attraverso una rappresentazione di situazioni prossime alla realtà La messa in scena di tali situazioni prevede la presenza di un conduttore, di uno o più attori e di altri soggetti che fungono da osservatori La tecnica prende avvio dall’esame di una situazione e dalla successiva simulazione → il role play è considerato un metodo didattico che valorizza l’esperienza dei partecipanti: rientrano in questo metodo tecniche di simulazione che ricostruiscono aspetti della vita reale in condizioni controllate e in un contesto protetto, oscillando tra l’osservazione sul campo e gli esperimenti in laboratorio Lo scopo di tale metodologia punta ad accrescere competenze relazionali con un livello di codificazione che in rapporto ai ruoli e ai comportamenti richiesti può essere più o meno accentuato sul piano della prescrittività e della strutturazione “​È una recita che avviene in presenza di una sceneggiatura allestita dal formatore dove il copione dipende dagli obiettivi di apprendimento e delle situazioni simulate​” Il role play favorisce l’accesso all’imprevisto e all’imprevedibile Role play e psicodramma Elementi comuni ● rappresentazione (messa in scena) che al racconto privilegia la drammatizzazione dei problemi indagati. ● si ricorre alla drammatizzazione di una situazione critica in un contesto protetto per far emergere le cause di eventi problematici ● presenza di un conduttore che allestisce e dirige il processo, svolgendo un ruolo contenitivo delle dinamiche emotive, consentendone l’emissione e curandone l’elaborazione Elementi di differenza ● riguardano lo scopo ed il grado di implicazione dei partecipanti, cioè la natura del contratto ovvero 51 ○ lo psicodramma ha obiettivi terapeutici VS il role play ha obiettivi formativi Il role play aiuta ad animare l’apprendimento grazie agli aspetti di creatività e di identificazione ed attraverso la simulazione viene attivato l’apprendimento motorio ed affettivo, grazie alla recitazione che funge da ponte tra parole ed azioni in un contesto protetto; ha per scopo quello di posizionare gli individui in una situazione diversa da quella abituale, assumendo così un valore transizionale (transizione del far finta e del fare per davvero) CARATTERISTICHE DEL ROLE PLAY ● cornice originaria → funziona per dividere gli eventi che si verificano al suo interno da quelli esterni tipici del mondo reale ● cornice secondaria → attraverso cui si chiede al partecipante di comportarsi “come sé...” ● episodio → è il materiale dell’evento, che è distaccato dal flusso di continuità del reale Il vantaggio dell’utilizzo del role play sta nel fatto che il processo che si sviluppa nel gioco di ruolo non avrà conseguenze dirette nella vita reale Non tutti i soggetti all’interno di un seminario possono partecipare al role play e sperimentarsi nei panni di protagonista: è importante però sottolineare che l’apprendimento non deriva solo dall’esperienza diretta, ma si utilizza la simulazione per esaminare tattiche generali di comportamento → l’attività dei neuroni-specchio stimola l’apprendimento di chi non agisce il role play da protagonista, ma ne resta esterno osservandolo È possibile individuare 2 categorie di role play ● Role play addestrativi → prevale l’obiettivo di far apprendere ai partecipanti regole comportamentali predefinite, funzionali all’esercizio di ruoli che richiedono competenze standardizzate Consiste nel far simulare ai partecipanti una specifica situazione per cui è predefinito il modo giusto di parlare e di rapportarsi con l’interlocutore, secondo una scansione strutturata 52 CONDUZIONE Nel role play viene richiesto ad alcuni componenti del gruppo di svolgere il ruolo di attori, rappresentando personaggi in interazione fra di loro, tutto ciò mentre i restanti componenti fungono da osservatori dell’evento simulato; al termine, il conduttore esplicita ed interpreta l’esperienza a beneficio di tutto il gruppo, focalizzando l’attenzione sui processi di comunicazione agiti all’interno del contesto rappresentato 10 fasi della modalità di conduzione del role play ● presentazione della metodologia didattica​ → è opportuno enfatizzare l’aspetto strumentale e non valutativo, illustrandone la valenza didattica e rassicurando i partecipanti riguardo alla riservatezza ● scelta del tema/problema​ → il formatore lo presenta come ciò che bisogna rappresentare nel role play al gruppo, evidenziando i collegamenti con il tema di apprendimento più generale; in altre situazioni, è lo stesso gruppo che sceglie il tema/problema da mettere in scena ● individuazione degli attori ​→ dovrebbe avvenire su base volontaria ● assegnazione del compito al gruppo​ → ai diversi attori viene assegnato il copione che dovranno interpretare; ogni attore studia poi la propria parte in modo autonomo, riflettendo sul ruolo secondo le istruzioni assegnate; i restanti membri del gruppo stabiliscono quali aspetti del role play osservare e in vista di quali risultati, grazie all’aiuto delle griglie di osservazione e delle schede di rilevazione ● warming up​ → il gioco ha inizio con questa fase che comprende quelle tecniche volte a riscaldare, cioè creare un clima stimolante che faciliti l’assunzione di un ruolo da parte degli attori, grazie al quale può prendere avvio il gioco Il conduttore deve aiutare i soggetti a immedesimarsi nel ruolo risolvendo gli eventuali dubbi → alcune principali tecniche sono ○ Cluster warming up: il gruppo viene suddiviso in sottogruppi che dovranno discutere del tema proposto riscaldando il clima ○ Brevi sketch : si fanno giocare brevi e semplici scene in sequenza rapida, senza commento → l’obiettivo è provare ad impersonare un ruolo ○ Interviste ai futuri attori: intervistare chi interpreterà un ruolo, chiedendo informazioni del personaggio assegnatoli per aiutare la persona ad entrare nel personaggio ○ Scenetta dimostrativa: il conduttore recita una scenetta dimostrativa, per illustrare con i fatti cosa sia una simulazione → si può chiedere alle persone di commentare la scenetta ○ La sedia vuota: il conduttore mette una sedia vuota e chiede alle persone di immaginare una persona con cui si hanno relazioni di ruolo: dopo aver scelto una situazione e dopo averla presentata, si comincia un gioco che può iniziare con le parole di chi ha visto sulla sedia un ruolo particolare, oppure si danno 55 istruzioni a un altro partecipante per ricoprire il ruolo e lo si fa sedere sulla sedia vuota ○ La bottega magica: il conduttore gioco ha il ruolo di un proprietario di una bottega piena di elementi immaginari, valori, atteggiamenti, competenze ecc che possono essere scambiati con altri beni immateriali che il partecipante possiede o pensa di possedere ○ Il buon ricordo: si propone di giocare un ricordo piacevole collegato alla propria esperienza passata ● messa in scena​ → della scena che avviene in acquario, ovvero che gli attori recitano mentre gli altri osservano Durante il gioco il formatore può intervenire con tecniche che arricchiscono l’esperienza, come ● la tecnica dell’ a parte, in cui il protagonista esprime a parte ciò che prova ● la tecnica del doppio, in cui un ego-ausiliare esprime, per conto dell’attore, ciò che questi sta provando in quel momento e che non riferisce mentre gioca ● l’inversione dei ruoli, in cui il protagonista prende il ruolo dell’antagonista ● la proiezione nel futuro, in cui il protagonista agisce immaginando di essere avanti nel tempo in situazioni nuove ● commento​ → al termine della recita, attori e osservatori annotano le osservazioni personali, allo scopo di aprire la discussione di gruppo Tutti sono invitati a intervenire → l’attore dovrà riferire quale fosse l’obiettivo che ha guidato la strategia comunicativa e le sensazioni provate, mentre gli osservatori riferiranno su quanto osservato dall’esterno; il conduttore deve spiegare che divergenze di opinioni tra attori ed osservatori sono un fatto naturale utile per scambiare i punti di vista In seguito al commento è possibile ripetere la simulazione per verificare l’applicabilità delle osservazioni emerse dalla prima simulazione ● conclusioni​ → i commenti vengono portati a un livello di astrazione più generale, contestualizzandoli rispetto agli obiettivi didattici e sottolineando i comportamenti positivi e negativi e gli effetti che da questi ne sono derivati ● cooling off​ → ha lo scopo di raffreddare l’esperienza, facendo uscire gli attori dal gioco e prendendo le distanze da ciò che è successo → i soggetti devono essere ricollocati nella realtà e non lasciati in uno stato di incertezza o con la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso; in questo modo ogni problema irrisolto viene depositato e affrontato all’interno del setting Il formatore deve invitare gli attori a domandarsi come si sentano a conclusione dell’esperienza e se sia rimasto qualcosa in sospeso di cui vorrebbero parlare, formalizzandone la chiusura ● debriefing​ → è lo spazio di riflessione sul gioco e può essere attuato attraverso una delle seguenti modalità: 56 ○ riflessione e analisi sistematica, in cui i partecipanti vengono sollecitati a un processo sistematico di autoriflessione sull’esperienza ○ intensificazione e personalizzazione, in cui i partecipanti vengono sollecitati a rifocalizzare l’attenzione sulle loro esperienze individuali e sui significati sottostanti ○ generalizzazione e applicazione, in cui i partecipanti vengono sollecitati a riflettere sulla praticabilità a mutare l’esperienza individuale in altre esperienze Specialmente per i professionisti inesperti è utile possedere una check-list che permetta di monitorare il proprio lavoro attraverso delle domande: ● Ho spiegato ai partecipanti gli obiettivi da raggiungere attraverso questa attività? ● Ho scelto dei volontari quali attori? ● Ho coinvolto? ● ecc PROGETTAZIONE Il lavoro di progettazione comprende la preparazione delle schede che guidano il formatore nella redazione dei copioni, nella messa in scena del role play e nella gestione delle osservazioni La scheda progettuale generale deve contenere: ● il titolo del role play ● gli obiettivi didattici ● le caratteristiche fondamentali della simulazione, in particolare ○ Obiettivi : elementi di atteggiamento e comportamento che si prevede emergeranno dalla vicenda simulata e che dovranno essere osservati e poi analizzati nel setting formativo Fungono da punti di riferimento x il progettista, poiché faciliteranno lo sviluppo dell’evento e la preparazione delle informazioni per gli attori ○ Descrizione della vicenda simulata : viene presentata una descrizione sintetica della vicenda, partendo dalla trama (successione di avvenimenti in un dato contesto), si costruiscono le istruzioni per gli attori attraverso alcune domande “dove accade” “quando accade” “a chi accade” ○ Caratteristiche e compiti degli attori : vengono presentate le denominazioni dei ruoli agiti dagli attori distinguendo tra i ruoli principali e quelli secondari Per ciascun ruolo è importante precisare caratteristiche personali, quali l’età, il genere ecc. È necessario definire i compiti assegnati i ruoli sulla base dei quali dovranno essere elaborate griglie operative, cioè le istruzioni, che sono composte da 57 Che significato attribuire alla parola sé?​ Chi si rivolge come un destinatario è già quel sé agente → scrive perché desidera guardarsi proiettato su una superficie cartacea o di altra natura, come a un altro: ne consegue che il sé al genitivo costituisce anche l’autore. Chi è infatti che scrive? Il soggetto scrivente si educa, educando dallo scrivere e dal confronto con gli esiti del proprio lavoro Ogni autore si stacca dal sé per diventare l’alter ego nel testo che va scrivendo Raccontando e scrivendo di noi, creiamo la nostra identità composita-molteplice-mutevole, decostruendola e ricostruendola nell’incontro con altre storie → il sé si rivela un vissuto narrativo in continua mutazione, poiché l’alter ego che abbiamo creato ci induce a non indulgere nella stabilità del pensiero, bensì nel suo ritrovare la via del moto Bruner afferma che noi costruiamo e ricostruiamo continuamente un sé secondo ciò che esigono le situazioni che incontriamo, con la guida dei nostri ricordi del passato e delle nostre speranze e paure per il futuro → parlare di noi a noi stessi è come inventare un racconto su chi e che cosa noi siamo, su cosa è accaduto e sul perché facciamo quel che stiamo facendo IL CONCETTO E LE PRATICHE IN UNA STORIA DI EMANCIPAZIONE Questa pratica dello scrivere ha fatto la sua comparsa nelle culture umane più evolute, quando il pronome io inizio ad apparire sulle superfici materiali Per merito soprattutto della riforma protestante, delle esigenze della borghesia, delle élite illuminate, fu ben presto un genere che accompagnò i viaggi per mare e per terra oltre che di coloro i quali si dedicarono alla conquista di mondi ignoti, dei geografi, degli esploratori, dei pellegrini Sarebbe quindi un errore ritenere che la diaristica, i saggi introspettivi, le cronache sentimentali era indirizzati soltanto negli ambienti colti e nei salotti letterali → l’individuo grazie a una penna usata per porsi domande e porre domande ai suoi oppressori, andava scoprendosi Scrittori e scrittrici, famosi e dimenticati da ogni cronaca, apprendevano che desideravano diventare padroni della propria storia e a questo scopo avvertivano il bisogno, in età giovanile o in vecchiaia, di raccontarla, sottoponendola a un vaglio a nessun altro affidato che al proprio lavoro introspettivo, anche soltanto per la ristretta cerchia famigliare e amicale La scrittura non è oggetto soltanto degli studi psicologici e letterari: già in antropologia storica Michel Foucault ne ritrovò le prime tracce nel mondo antico mediterraneo e neocristiano per quanto concerne il bisogno di soggettivazione come cura di sé → in 60 quell’epoca si trova una cultura di ciò che si potrebbe chiamare la scrittura personale: prendere appunti sulle letture, le conversazioni, le riflessioni che si sono ascoltate o che si sono rivolte a se stessi Foucault afferma che sono tecniche che avevano lo scopo di legare tra loro la verità e il soggetto Jacques Lacan, in ambito psicoanalitico, ha mostrato che sollecitare a scrivere i pazienti rappresenti una forma di conoscenza indispensabile per il terapeuta, oltre che a un sostegno all’analisi terapeutica Maria Zambrano, avvalendosi della parola rivivere, metteva in luce quanto uno scritto a orientamento autobiografico ci consenta di rammentare i nostri vissuti per poterli ritrovare, interpretare, giudicare e quindi coglierne anche tutta la finezza e la dissolvenza poetica Ella afferma che scrivere di sé è andare a raccogliere ciò che in noi e attorno a noi è noto per riscattarlo dalle oscurità iniziali e dargli occasione di rinascere perché nasca in altro modo, questa volta nel campo della visione In sintonia con gli studi di Zambrano vi è Aldo Giorgio Gargani, il quale dice che noi abbiamo una nascita che è determinata dall’atto di procreazione ma poi c’è una nuova nascita non recepita dall’esterno ed è la nascita che noi ci diamo da noi stessi con la scrittura LA PAROLA AUTOBIOGRAFICA: UN’APPARIZIONE TARDIVA Nella nostra lingua, sia la dizione scrittura di sé che autobiografia si affermarono lentamente a causa del ritardi inerenti ai processi di emancipazione culturale e sociale della penisola → non conobbero il consenso popolare, come era accaduto in altri paesi, per le condizioni di analfabetismo specie nelle regioni del sud oltre che per il controllo sulle coscienza esercitato dalla chiesa cattolica Scrivere di sé da un lato, consente all’autore di prendere coscienza progressivamente della sua situazione psicologica, sociale, civile; dall’altro permette agli osservatori di raccogliere indizi sufficienti per la presentazione di sé nel tempo e non solamente su quel tempo narrato e vissuto La tendenza a raccontarsi evidenziando l’io narrante appare già nell’infanzia, in relazione ai primi passi nell’arte del leggere-scrivere, del pensiero egocentrico: contrassegna l’apparire di una vocazione destinata a perdurare, gli anni dell’adolescenza, della prima giovinezza 61 È però negli anni della maturità o già approdati all’età senile, che il genere autobiografico ci ha lasciato e lascia le prove migliori anche letterarie. L’AUTOBIOGRAFISMO: SPIA DEL DISAGIO E DEI DIRITTI PERSONALI CONTEMPORANEI Autobiografismo→ movimento culturale informale ed inarrestabile, costituito da ignoti e in costante aumento anche per l’introduzione delle nuove tecnologie Ci si rivolge alla scrittura per reagire alla solitudine, per farsi ascoltare, per reagire a sofferenze fisiche e psichiche, per testimoniare situazioni estreme → la scrittura personale è in rapporto alla seconda metà della vita; ci si rivolge alla penna quale ne sia lo strumento e il supporto, cartaceo o digitale, per ritrovare quella concentrazione, quel silenzio, quella stanza meditativa che in ogni momento lo scrivere sa offrire Chi scrive è mosso dall’impulso per lo più spontaneo di offrire un resoconto di ciò di cui gli sia accaduto di fare esperienza diretta; in un crescendo narrativo che può muovere dai primi ricordi d’infanzia a quanto la vita gli abbia insegnato e che ritenga utile lasciare per iscritto ad altri; chi scrive è sollecitato a ciò in ragione di emozioni e fatti realmente vissuti Chi scrive di se vuole: rovistare nella memoria, cercare nessi e trame tra gli eventi, chiedersi quanto abbiano contato le figure più importanti che l’hanno allevato, educato, ostacolato e incoraggiato Chi scrive di sé è persona appassionata e tenace, sa che occorre molto coraggio e determinazione → non tutti infatti sono disposti a iniziare una simile impresa, ma chi la comincia e la porta a termine avrà atteso al compito di diventare pienamente donna o uomo Ogni vita conta se abbiamo saputo raccontarla da soli o se grazie all’aiuto di uno scriba possiamo rileggerla e rivederla. Chi scrive di sé è in dialogo interiore continuo, adotta una modalità solitaria per conoscersi anche quando quei fogli vengono condivisi, quando qualcuno ad alta voce le leggerà al suo posto 62 Dove ogni lettura dei propri scritti possa essere ascoltata, nel rispetto e nell’attenzione avalutativa più assoluta Momento II - ​il gruppo ​→ il gruppo è un fattore fondamentale per la buona riuscita del tragitto formativo: si scrive affiancati, si legge con e per altri, ci si confronta e si ascoltano storie orali; tuttavia nel percorso autobiografico è consigliabile che non si propongano momenti interattivi di carattere psicosociale e socioanalitico → scritture collettivamente perseguite basate su giochi di gruppo, sulla valorizzazione di un’interazione che non sia prevalentemente interiore, non farebbero altro che distogliere i presenti dagli obiettivi orientati secondo gli intendimenti di un’educazione interiore Momento III - ​le sollecitazioni​ → il compito del formatore consisterà nell’offrire, a ciascun membro del gruppo, quelle sollecitazioni memorialistiche che possano condurlo a ritrovare la propria mappa memoriale Deve essere ricordato ai presenti che l’autobiografia è ricostruzione di quanto il narratore ritiene di aver realmente vissuto → si tratta di una scrittura basata esclusivamente su esperienza percettive, cognitive, emotive LE APICALITÀ ESISTENZIALI Durante il percorso, un ruolo cruciale è rappresentato dai sollecitatori tematici introdotti → sono suggestioni visive, narrative, filosofiche, la cui funzione è volta ad approfondire alcuni momenti della vita, anche critici, dolorosi o viceversa evocatori di momenti sereni, felici, emersi durante il lavoro di recupero, ovvero di archeologia memoriale applicata a se stessi Questa prevede la scrittura di evocazioni ancora soltanto sensoriali, percettive, sceniche fino a risalire ai ritrovamenti più ambigui, coperti dal dubbio, dall’incertezza Dallo scrivere descrittivo di episodi, emozioni, eventi si transiterà a sollecitazioni volte a generare una scrittura più riflessiva e meditata, più prudente, più costruita a livello di impegno interpretativo ed esplicativo SCENEGGIATURE E TRAME Dalle liste dei ricordi, dai repertori memorialistici si possa transitare alla costruzione della trama, dell’intreccio, dell’intrigo → durante questa fase si assiste a un cambio di direzione di alcune mosse cognitive, poiché si chiede al pensiero una trasformazione delle modalità prima adottate che puntavano a suscitare soprattutto il coinvolgimento affettivo in quanto fonte di ricordi obliati prima della scrittura Ora l’impegno si renderà più personale e sarà affidato alla solitaria ricerca di un modello compositivo adatto a se stessi, alla propria sensibilità per il romanzo, alla propria filosofia di vita 65 Gli scriventi saranno invitati o A ricostruire la loro intera storia (ordine narrativo e cronologico) o A distinguere in periodi salienti, critici, problematici la loro esistenza (ordine esistenziale) o A stabilire quale genere autobiografico intendano realizzare, tra le varietà prevalenti di carattere introspettivo, genealogico-sequenziale, lirico-poetico (ordine stilistico e compositivo) o A restituire in un insieme il più possibile interconnesso la narrazione della propria storia o A curare i particolari anche i più irrilevanti al fine di arricchire il ritmo della resa narrativa o A connettersi a sfondi di carattere storico-sociale, al fine di collocare la propria storia dentro contesti non solo ambientali, famigliari o communitati ma più ampi: indipendenti dalle vicende narrate dal protagonista e delle quali sia stato attore L’AUTOFICTION La scrittura autobiografica verrà ad assumere un carattere romanzesco, anche nel suo essere antiromanzo; sarà sempre un testo un’opera riconducibile al genere definito letteratura personale, ma costituirà essa un artefatto letterario/ un’impresa nel quale l’autore inseguirà il sogno umano di entrare nei panni di un’altra storia, pur essendo quella narrata di nessun altro se non la propria, la quale assomiglierà a quella effettivamente vissuta DALL’ AUTOFORMAZIONE ALLA CONSULENZA AUTOBIOGRAFICA Il formatore (il cui scopo debbono suscitare autonomia e autoformazione nei suoi interlocutori mediante l’esclusiva attività di scrittura) si assumerà in tal caso compiti a livello di consulenza individuale, con la conseguenza che occorre istituire un setting di lavoro alquanto diverso, rispetto alle consuete attività informative soprattutto a una cultura di carattere educativo per l’età adulta Davanti a queste circostanze si è professionalmente costretti a mutare le modalità di porsi e a scegliere il metodo della relazione d’aiuto a due o della consulenza a micro-gruppi (dalle 3 alle 5 persone), garantendo in questo modo un’attenzione diversa a ciascuno, un aiuto che seppur personalizzato si giova anche dei vantaggi degli scambi interpersonali La consulenza autobiografica consiste nel condurre la persona in disagio esistenziale verso una maggiore disponibilità ad accettare e ad avvicinare le cagioni della sua sofferenza, di cui lo scrivente, oltre al parlarne, svela altri motivi e aspetti non sempre determinabili soltanto con l’impegno della “terapia della parola” 66 Capitolo 34 – STORYTELLING Con il termine storytelling si intende l’arte di creare immagini di una storia, di fronte a un pubblico specifico, attraverso le parole, la gestualità, l’utilizzo del corpo e la modulazione della voce Lo storytelling è un’arte, non già un metodo → affonda le sue radici nelle società orali dove la tradizione, cioè quell’insieme di concetti, valori e regole proprie di ogni specificità società, venivano insegnati e tramandati attraverso lo storytelling poetico Con i poemi omerici si ha la prima conferma storico-antropologica di come la poesia e lo storytelling siano i dispositivi educativi della comunità greca → in essi si trovano rappresentati gli archetipi dei comportamenti approvati e consigliati La diffusione dell’alfabetizzazione favorì la diffusione di una nuova modalità alternativa alla poesia, la prosa, che divenne un nuovo veicolo della narrazione continua e sistematica dei fatti del passato ritenuti importanti per la memoria della specie umana Bisogna fare una distinzione tra la storia (history) intesa come resoconto di sequenze di fatti realmente accaduti nel passato e la storia (story) intesa invece come narrazione orale o scritta di vicende immaginarie o verosimili ● Alla storia intesa come history viene affidato il compito di conoscere e trasmettere ciò che è veramente accaduto agli uomini in passato attraverso un’attività di ricerca basata su testimonianze-fonti e documenti ● Invece alla storia intesa come story, viene attribuita una complessa funzione comunicativa e ricreativa che varia dall’intrattenere, al convincere, all’educare e che si gioca su una dinamica di interazione tra autore e fruitore → precondizione indispensabile per la creazione di una storia è un patto di collaborazione narrativa tra un autore e un suo possibile lettore, che permette alla narrazione di sottrarsi alla condizione di verità in cambio di un coinvolgimento emotivo, di sorprese Per cogliere la peculiarità dello storytelling occorre esplorare non solo lo sviluppo storico-antropologico, ma anche le basi psicologiche → gli studi di Bruner spiegano che alla base dello storytelling c’è una capacità costitutiva degli esseri umani, il pensiero narrativo e grazie a questo gli esseri umani interpretano la realtà, producono significati e li condividono Bisogna distinguere il pensiero narrativo dal pensiero paradigmatico, che è un’altra modalità con cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo ● Il pensiero paradigmatico si basa su un tipo di ragionamento logico-matematico, tende a mostrare il vero in modo oggettivo attraverso un linguaggio regolato dai requisiti della coerenza e della non contraddizione; il suo ambito è costituito non 67 Un’altra conferma dell’efficacia dello storytelling nel contesto didattico ed educativo è dato dalla ​brain-based learning theory​ → questa teoria formulata a partire dagli anni novanta sostiene che per ottenere un’accelerazione nell’apprendimento occorrono tre condizioni didattiche: 1. Vigilanza rilassata​: creazione di un ambiente caratterizzato da un senso di sfida e di curiosità ad apprendere, in un clima di bassa minaccia e di sicurezza → in questo stato di benessere il cervello rilascia neurotrasmettitori che facilitano l’incremento dell’apprendimento e la memorizzazione di nuove informazioni 2. Immersione pianificata​: creazione di un ambiente di apprendimento totalizzante, che offre al discente esperienze complesse, ricche di stimoli, di opzioni e di possibilità di esplorazione 3. Elaborazione attiva​: è la differenza tra la semplice memorizzazione e la comprensione profonda Attraverso l’attivazione di proprie emozioni, concetti e valori il discente consolida e internalizza le informazioni in modo da renderle personalmente significative e concettualmente coerenti → in questo processo il discente integra le nuove informazioni con gli apprendimenti precedenti e genera nuove connessioni Grazie alle immagini mentali gli essere umani sono l’unica specie vivente che ha la facoltà di rappresentarsi in modo differente da quello conosciuto, stimolando e facilitando la produzione di immagini mentali → lo storytelling permette all’individuo di immaginare alternative e allena le basi del problem solving, della progettazione e dell’innovazione Le ricerche sperimentali confermano che quando l’ascoltatore si identifica nella narrazione avviene un incremento nella comprensione e aumenta la probabilità del trasferimento di quanto appreso all’interno del contesto di vita o del contesto lavorativo → proprio per il fatto che le storie hanno la potenzialità di evocare e suscitare emozioni, lo storytelling può essere considerato un metodo di insegnamento e di apprendimento Il processo di identificazione cognitiva e affettiva attivato dallo storytelling fa si che le storie favoriscano anche un apprendimento basato sull’osservazione, l’apprendimento non richiede necessariamente la performance e il contatto diretto con gli oggetti, ma può venire anche attraverso esperienze indirette sviluppate attraverso l’osservazione di altre persone Quando un individuo che osserva modifica il proprio comportamento in funzione del comportamento di un altro individuo che ha voluto la funzione di modello, avviene un processo di apprendimento denominato modeling → colui che impara non ha bisogno di vedere ogni azione intrapresa dal modello, ma basta che attivi un processo di 70 rappresentazione a partire dalle parole e dai simboli immaginati per ottenere una guida per i futuri comportamenti Vi è un’ulteriore dimensione dello storytelling come metodologia di apprendimento, evidenziando le sue potenzialità di coinvolgimento dell’autore e dell’ascoltatore in un processo di apprendimento riflessivo Per apprendimento riflessivo si intende un processo di elaborazione cognitiva e affettiva in cui il soggetto che apprende coglie il significato del materiale che sta apprendendo, lo integra con le sue conoscenze pregresse ed è disponibile a riconsiderare o cambiare i propri schemi di riferimento Lo storytelling offre all’adulto in apprendimento un’occasione per ● Riflettere sulle esperienze stesse ● Generalizzare da queste esperienze apprendimenti e trasferirli ad altre situazioni ● Progettare future azioni alla luce di questi apprendimenti ● Valutare i risultati STORYTELLING E FORMAZIONE LA COSTRUZIONE DI STORIE NELLE SESSIONI FORMATIVE Se si immagina una sessione formativa d’aula tradizionale, lo storytelling può essere utilizzato come apertura dell’attività → un trainer può rompere il ghiaccio raccontando una storia autobiografica o immaginata rispetto al tema di cui si andrà a parlare per creare una relazione empatica con i partecipanti Oppure si può usare lo storytelling come un metodo per la presentazione dei partecipanti → si può chiedere ai partecipanti di preparare una breve storia che riguarda il proprio nome, le proprie preferenze o passioni, una storia di un proprio successo professionale oppure una storia emotivamente coinvolgente dei passaggi chiave del proprio percorso professionale Lo storytelling può essere usato anche come strumento di visioning e di pianificazione individuale e di gruppo, oppure usato in sessioni esercitative per sperimentare, allenare e potenziare capacità specifiche come la comunicazione interpersonale, la negoziazione, il problem solving, la creatività individuale e in gruppo Lo storytelling può essere usato anche come momento formativo per incrementare la creatività e la costruzione di un ambiente sicuro per la generazione di idee; infine al termine della attività, lo storytelling è usato come dispositivo per fissare gli apprendimenti o valutare 71 l’esperienza e questo serve per aiutare le persone a fare sintesi degli apprendimenti e a prefigurarne l’uso nel contesto lavorativo LO STORYTELLING WORKSHOP Una metodologia di formazione riflessiva diffusa in questi ultimi anni soprattutto nel mondo anglosassone è lo storytelling workshop Per attivare questo tipo di metodologia occorre: ● Identificare gli stakeholder ● Favorire lo scambio di esperienze tra gruppi di stakeholder ● Esplorare le somiglianze e le differenze per aumentare la reciproca comprensione Lo storytelling workshop è come un processo relazionale e collettivo in cui gruppi di persone sviluppano conoscenze, rivalutazioni e apprezzamento su argomenti e pratiche Un processo di storytelling workshop si articola in tre fasi: 1. La scelta del focus o della pratica su cui si vuole orientare l’intervento: questo significa individuare un tema su cui si vuole generare apprendimento e sviluppare uno scambio di esperienze e di nuove soluzioni 2. La raccolta di un’ampia varietà di storie: per raccogliere un’ampia varietà di storie e ottenere quindi un ampio spettro di significati occorre basarsi sul principio della massima varietà, per cui in collaborazione con alcuni soggetti interessati al tema si fa una lista di tutti i possibili stakholder coinvolgibili e si iniziano le interviste → per fare emergere le storie, le interviste devono essere conversazioni informali con domande aperte realizzate con uno stile collaborativo; durante l’intervista si chiede all’intervistato chi (oltre a quelli già selezionati sulla lista) potrebbe essere toccato dal tema e così si inseriscono nuove voci da ascoltare Al termine della fase di intervista si è in grado di identificare le storie canoniche cioè quelle che rappresentano la cultura dominante e sono coerenti con la tradizione, ma si è anche in grado di identificare le storie di opposizione; a questo punto le storie vengono raccolte in un report e si è pronti per organizzare i workshop 3. La realizzazione del workshop: ogni workshop dura almeno mezza giornata ed è finalizzato a produrre uno scambio di conoscenze, di riflessioni e una molteplicità di significati e di punti di vista Partecipano a ogni sessione non più di otto-dieci partecipanti; le sedie sono messe in circolo e un facilitatore presidia il processo relazionale, i tempi e gli obiettivi di ciascuna fase Le sessioni sono le seguenti: 72
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