Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La funzione economica della permuta e la sua evoluzione storica, Dispense di Diritto Civile

La funzione economica della permuta e la sua evoluzione storica, partendo dalle origini del baratto fino alla sua regolamentazione giuridica nel diritto giustinianeo. Si sottolinea come la permuta sia stata superata dalla vendita, ma abbia ancora una funzione nell'economia moderna, come nel settore immobiliare. Vengono inoltre analizzate le diverse posizioni giuridiche di venditore e compratore nella permuta e nella compravendita. Il documento può essere utile per uno studio approfondito di diritto commerciale e di storia economica.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 05/10/2023

Alesssfausttt
Alesssfausttt 🇮🇹

4.9

(11)

6 documenti

1 / 59

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La funzione economica della permuta e la sua evoluzione storica e più Dispense in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! LA PERMUTA 1. La funzione economica della permuta. La letteratura specialistica dedicata alla permuta è concorde nel sottolinearne la marginale importanza nell'ambito delle operazioni di scambio per la circolazione dei beni, dominato, sul piano della frequenza e rilevanza pratica, dalla compravendita. Questa, rispetto alla permuta, realizza uno scambio tra un bene in natura e quel particolare bene rappresentato dal denaro come unità di misura del valore di ogni entità economicamente rilevante e mezzo universale di scambio. Dunque la permuta (/ baratto) è un'operazione diffusa in sistemi economici rudimentali, caratterizzati dall'assenza / scarsa circolazione di moneta, destinata pertanto a essere superata e soppiantata dalla vendita ovunque vi sia un minimo sviluppo dei mercati. Del resto, della supremazia funzionale della vendita si nota anche dall'esiguità degli artt. del cc dedicati alla permuta rispetto a quelli inerenti alla vendita. Ciò nondimeno, è al contempo altrettanto diffusa tra gli studiosi la convinzione che la permuta abbia ancora una funzione da assolvere nell'economia moderna: la permuta è il mezzo giuridico idoneo a soddisfare l’esigenza soggettiva di "sacrificare" un bene di cui si è proprietari e che non si alienerebbe mai per denaro, per conseguire la disponibilità di un diverso bene che il titolare a sua volta non alienerebbe se non in cambio del primo. Passando poi dal piano microeconomico a quello macro, si è osservato che ci sono casi in cui il baratto può tornare più opportuno che non la vendita, come in periodi di crisi economica, con frequenti oscillazioni della moneta e della circolazione fiduciaria (es: post 2°GM con la sua inflazione, venivano barattati soprattutto beni di prima necessità). A partire dalla ricostruzione postbellica, il contratto di permuta ha ininterrottamente avuto un massiccio impiego nel settore immobiliare (permuta suolo edificabile e edifici). In giurisprudenza è stato poi qualificato come permuta anche il negozio di conferimento di beni in natura in società di capitali. La permuta fa la sua comparsa perfino nei mercati finanziari sotto forma di offerta pubblica di scambio (OPS), variante dell'offerta pubblica di acquisto (OPA) e dell'offerta pubblica di acquisto e scambio (OPAS). 2. Cenni storici. Nel mondo antico si pervenne all'introduzione della moneta soltanto dopo un lungo periodo di tempo nel quale sembrava non esservi spazio per la compravendita, la quale postula concettualmente l'esistenza della moneta. Dunque la vendita discende dal ceppo della permuta. Ciò nondimeno, acute indagini storiche hanno messo in evidenza che, nel passaggio dal baratto alla compravendita, è possibile ravvisare situazioni intermedie, nelle quali già si può assegnare agli autori dello scambio il ruolo sostanziale di venditore e compratore. Molti popoli mediterranei, pur in assenza di una moneta modernamente intesa, consideravano, infatti, alcuni beni in natura alla stregua di misuratori del valore degli altri beni: trattasi della c.d. moneta "naturale". Si è inoltre rilevato che, pur in assenza di valutazione in moneta, da alcuni testi appare evidente la differenziazione della posizione giuridica di venditore / compratore. Si aveva quindi: 1. la formula di « compravendita in natura » in cui uno soltanto dei contraenti desidera il bene acquistato, mentre l'altro acquista il bene ricevuto in cambio quale mera "compensazione patrimoniale" per la perdita dell'oggetto trasferito; 2. quella di « puro baratto, o permuta » in cui ciascuna delle parti è mossa proprio dal desiderio di acquistare di per se stesso il bene dell'altra, « sicché veramente non c'è modo di considerare l'una come venditrice e l'altra come compratrice ». Superata la fase delle origini, in epoca storica era ormai ampiamente diffuso nell'economia romana il rame, dapprima allo stato grezzo e irregolare (aes rude), e poi in pani sui stampati (aes signatum), fino a pervenire, infine, alla prima emissione statale di moneta in rame, grazie alla quale si ebbero rapporti che potremmo definire di compravendita ad effetto reale reciproco.Gli studiosi ipotizzano che, all'inizio, non vi fossero divergenze sostanziali, sotto il profilo giuridico, tra compravendita e permuta, realizzandosi entrambe, per le res nec mancipi, attraverso due traditiones contestuali (cosa/prezzo o cosa/cosa) e, per le res mancipi, attraverso particolari adattamenti della mancipatio. Poi si ebbe disputa tra la Scuola sabiniana e quella proculiana: ● La prima affermava che la permuta dovesse essere fatta rientrare nello schema della compravendita, che differenziava compratore/venditore sia in relazione alle obbligazioni nascenti dal contratto, sia in merito alle 1 azioni esperibili dai contraenti. Questa tesi, equiparando la vendita alla permuta, consentiva di accordare anche alle parti di quest'ultima la tutela processuale rappresentata dalle actiones empti et venditi; ● Dalle Istituzioni di Gaio emerge anche una soluzione intermedia per cui se taluno ha posto in vendita una res, deve essere considerato venditore anche nell'ipotesi in cui riceva in corrispettivo un'altra cosa, anziché una somma di denaro; ● La tesi proculiana, invece, faceva sorgere la questione di quale fosse la tutela processuale applicabile alla fattispecie. La definitiva configurazione della permuta quale contratto a sé, e la sua regolamentazione giuridica fu compiuta solamente dai compilatori giustinianei: nel diritto giustinianeo la compravendita viene a caratterizzarsi come contratto consensuale, mentre la permuta viene considerata come contratto reale. La permuta costituisce una autonoma figura rientrante nel novero dei contratti innominati do ut des, che si perfeziona tramite datio di uno dei beni oggetto dello stesso. Nei confronti della controparte inadempiente, il contraente fedele è assistito, a sua scelta, dalla condictio o dall'azione di buona fede generalmente denominata praescriptis verbis, dirette, rispettivamente, alla ripetizione di quanto dato e al conseguimento della controprestazione. La permuta viene così a distinguersi dalla compravendita per: 1. Il modo di conclusione, re la prima e consensu la seconda; 2. Per i differenti obblighi gravanti sulle parti (essendo tenuti entrambi i contraenti, nella permuta, a trasferire la proprietà della cosa); 3. Per la facoltà di recesso, accordata nella permuta alla parte adempiente tramite il riconoscimento della condictio, finché non fosse stata eseguita la controprestazione, e non riconosciuta invece (se non in via convenzionale) nella compravendita; 4. Per la mancata estensione alla permuta dell'istituto della laesio enormis. Già a partire dall'età postclassica gli studiosi registrano un progressivo avvicinamento di vendita e permuta, con la prima che si evolve in contratto reale. Nel periodo medioevale, la permuta viene ad assumere una notevole rilevanza, sia per l’assenza di mezzi monetari, sia per le disposizioni del diritto romano e del diritto canonico, che vietarono la vendita dei beni ecclesiastici, consentendone tuttavia la permuta, a condizione che fosse vantaggiosa per l'ente ecclesiastico. La successiva rinascita del diritto romano a opera della Scuola di Bologna fece sì che si recuperasse il diritto giustinianeo, sì da considerare la permuta come contratto che si perfeziona. Poi, la progressiva valorizzazione del consenso per influenza del diritto canonico e delle idee illuministiche condusse i giuristi francesi ( il Domat e il Pothier) e, su loro influenza, il Code Napoléon a un finale ravvicinamento della compravendita e della permuta, attratte nell'orbita del consensualismo. Il codice civile francese configurò la permuta come contratto consensuale (art. 1703), estendendole le regole dettate per la vendita, ma escludendo l'applicabilità della rescissione per lesione enorme. Tali scelte normative trovarono una perfetta corrispondenza nel codice civile italiano del 1865, che inoltre stabiliva che, qualora una delle prestazioni corrispettive in natura fosse stata accompagnata da un conguaglio in denaro, il contratto era da considerare come permuta o, piuttosto, come vendita, secondo che il conguaglio non avesse o, rispettivamente, avesse valore maggiore della res. L'art. 1555 cc 1865 fa applicare alla permuta le altre regole inerenti alla vendita. 3. I caratteri del contratto. La permuta è un contratto tipico o nominato, poiché espressamente contemplato e disciplinato dal legislatore agli artt. 1552-1555 cc. Essa si atteggia come negozio oneroso e come contratto di scambio, sinallagmatico a prestazioni corrispettive. Ciò non esclude che la permuta possa eventualmente presentarsi come negotium mixtum cum donatione, allorquando vi sia un' oggettiva sproporzione di valore tra le controprestazioni e tale sproporzione, sia voluta per liberalità da colui che la subisce e sia nota e accettata dall'altra parte. La permuta è poi un contratto commutativo, giacché di regola entrambe le attribuzioni corrispettive sono certe; non può escludersi tuttavia, almeno sul piano teorico, che la permuta possa atteggiarsi come contratto aleatorio, allorché una o entrambe le attribuzioni patrimoniali consistano in una semplice "speranza", sul modello della o vendita a sorte (art. 1472.2 cc), ovvero della vendita a rischio e pericolo del compratore (art. 1488.2 cc) oppure della vendita di eredità senza specificazione di beni o, 2 diversi da quello "ufficialmente accolto dall'ordinamento giuridico di volta in volta considerato. Ciò spiega perché, nei diversi Paesi, l'autonomia privata (e la dottrina) si affanni(no) a configurare tecniche traslative diverse / opposte rispetto al modello-base di riferimento e perché i redattori del Draft Common Frame of Reference (DFCR), pur fissando la regola-base secondo cui la proprietà si trasmette con la consegna del bene, abbiano riconosciuto alle parti la facoltà di accordarsi circa i tempi e i modi del trasferimento della proprietà. Questa esigenza ha trovato un esplicito riconoscimento normativo in Francia, con la recente riforma del Code civil: l'art. 1196, dopo aver confermato, al primo comma, la perdurante vigenza del principio del consenso traslativo, al successivo capoverso ha espressamente rimesso alla volontà delle parti la facoltà di differire il trasferimento a un successivo momento. 3. La derogabilità del principio consensualistico. Nell’ordinamento italiano, pressanti esigenze pratiche che resterebbero insoddisfatte dalla rigorosa applicazione del principio consensualistico spingono talvolta le parti a differire la produzione dell'effetto reale rispetto al momento della conclusione del contratto, fino a giungere eventualmente a scomporre la vicenda traslativa in due distinti atti, così da tornare alla scissione tra titulus e modus adquirendi. Principale es. è quello della contrattazione immobiliare facente capo alle imprese edili, la quale ha determinato una sorta di mutazione genetica del contratto preliminare ereditato dalla precedente tradizione culturale, il quale spesso e volentieri si allontana sempre più, in concreto, dal modello primigenio del mero pactum de contraendo per assumere i contorni di una vera e propria vendita "obbligatoria", intesa (= contratto che fa sorgere un'obbligazione di dare in senso tecnico, da soddisfare con un successivo atto esecutivo di "mero trasferimento"). Ciò coinvolge pienamente pure il contratto di permuta e il suo contratto preliminare: sul piano teorico, posto che anch'esso è attratto dall'art. 1376 cc, ma pure su quello pratico, giacché è sporadicamente emerso a livello giurisprudenziale anche con riferimento a tale tipo contrattuale. Partiamo quindi da una questione pregiudiziale: quella della derogabilità della regola consacrata nell'art. 1376 cc. Tale problema non si pone nelle ipotesi in cui le parti mirino semplicemente a differire la produzione dell'effetto reale dopo la conclusione del contratto traslativo (ad es apponendo un termine iniziale o subordinando l'efficacia della vendita al pagamento del prezzo / alla consegna della cosa / alla successiva ripetizione del contratto in forma idonea alla trascrizione se concluso per scrittura privata semplice). In tali casi l'autonomia privata rivela la sua attitudine a governare il meccanismo di produzione dell'effetto reale MA in essi non c’è, propriamente, deroga al principio consensualistico, giacché, verificatosi l'evento preso in considerazione come condizione di efficacia del negozio l'effetto reale discende pur sempre dal contratto traslativo già concluso, senza la nascita di una intermedia obbligazione di trasferire da soddisfare con un distinto atto traslativo solvendi causa. La questione non riguarda neppure la "ordinaria" sequenza contratto preliminare - contratto traslativo definitivo, la quale non deborda dalla regola consensualistica. Inoltre, pur avendo fatto proprio il principio del consenso traslativo come regola generale (art. 1376 cc), il diritto italiano reca segni della residua presenza del sistema tradizionale di circolazione dei diritti imperniato sulla scissione tra titulus e modus, i cui esempi più evidenti sono rappresentati dagli artt. 1706.2 e 651.1.2°pt cc. Alla stregua di tali disposizioni, tanto il mandatario senza rappresentanza incaricato di acquistare beni immobili o mobili registrati quanto l'erede nel caso di legato obbligatorio di cosa altrui (entrambi tenuti ad acquistare dal terzo proprietario i beni oggetto dell'incarico gestorio / del legato) devono, dopo averli acquistati, trasmetterli, al mandante / legatario, con un successivo atto di "mero trasferimento": si tratta di una dobbiamo obbligazione (acquistare + trasferire). Ma l'autonomia privata può riproporre tale sequenza anche in ipotesi ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dalla legge, sì da sottrarle all'ambito applicativo della regola ex art. 1376 cc? Gli studiosi hanno superato l’iniziale posizione di chiusura espressa dalla dottrina tradizionale e l'ormai massiccia affermazione dell'opposta soluzione permissiva, propugnata ormai da tempo dalla massima parte della dottrina successiva. Quest'ultima ha confutato le principali argomentazioni opposte dalle tesi tradizionali alla derogabilità della regola consensualistica: 1. Il principio di tipicità delle cause negoziali traslative; 2. Il principio di necessaria causalità degli atti negoziali, che inibirebbe il riconoscimento di negozi astratti. Il primo dei rammentati principi discenderebbe dal dogma del numerus clausus dei diritti reali, impedendo il riconoscimento di figure di atti traslativi (es: quelli di "mero trasferimento") non espressamente previste e regolate dalla legge: l'ordinamento consentirebbe il trasferimento di diritti reali ai soli schemi contrattuali tipici, caratterizzati dalla dipendenza diretta dell'effetto traslativo dal consenso perfezionativo. Conseguentemente, far determinare la 5 produzione dell'effetto reale, qualora esso fosse soltanto programmato ma non anche attuato, da un successivo "puro atto traslativo", esecutivo dell'obbligazione di dare generata da quello, significherebbe ricollegare il trasferimento a un negozio atipico. Tale negozio atipico, in quanto mero atto di esecuzione di una preesistente obbligazione di trasferire (cd pagamento traslativo) non esprimerebbe in se stesso alcun profilo causale, e si configura come negozio astratto, quindi inammissibile ex art 1325.2 cc, che richiede necessariamente che gli atti di autonomia siano sostenuti da una giustificazione causale. La successiva dottrina ha sconfessato i suddetti postulati: 1. Negando che il principio del numero chiuso dei diritti reali comporti la necessità di un corrispondente numero chiuso delle cause negoziali traslative; 2. Denunciandone l’apriorismo in base all'art. 1322.2 cc, che riconosce ai privati la facoltà di dare vita a schemi contrattuali ulteriori rispetto ai tipi espressamente disciplinati dall’ordinamento, con il limite della meritevolezza degli interessi perseguiti. Si è inoltre sottolineata l'esigenza di interpretare l'art. 1376 cc in maniera armonica rispetto al principio di autonomia privata: il contratto soggiace alla regola del consenso traslativo, se e in quanto questa sia stata l'effettiva volontà dei contraenti, che così abbiano realmente inteso programmare la vicenda dispositiva in base ai loro interessi. Dunque si è giunti ad affermare che l'art. 1376 cc sia una norma interpretativa, volta a far ritenere, nel dubbio circa la loro effettiva volontà, che le parti abbiano voluto programmare la vicenda dispositiva secondo il modello del consenso traslativo, ferma restando la possibilità che esse manifestino una diversa volontà, diretta a dissociare titulus e modus adquirendi. La dottrina più recente ha poi superato le posizioni tradizionali anche con riferimento alla pretesa astrattezza dell'atto di "puro trasferimento". Nel caso di scissione tra titulus e modus, il "puro atto traslativo", in cui quest'ultimo consiste, non contiene in sé la sua causa (a differenza del contratto traslativo ex art. 1376 cc) MA in tale ipotesi il presupposto causale « risiede in un rapporto precedente al quale la prestazione traslativa è collegata da una funzione esecutiva ». In tali casi, cioè, la giustificazione causale dell'atto dispositivo si rinviene fuori da quest'ultimo, nel rapporto obbligatorio (= obbligazione di trasferire), che ne costituisce il fondamento causale oggettivo, necessariamente espresso dall’atto di disposizione (cd expressio causae). Il negozio, pertanto, non è un negozio astratto, perché ha pur sempre un fondamento causale, sebbene estrinseco alla sua struttura. Dunque ● Le suddette argomentazioni + ● La convinzione che il principio del consenso traslativo non sia espressivo né di una pretesa necessità logica né di valori collegati a superiori esigenze di ordine pubblico + ● Il dato comparatistico che rivela che anche negli altri ordinamenti si tende a escludere la natura imperativa delle regole che presiedono alla circolazione dei diritti muovono la dottrina dominante ad affermare la derogabilità convenzionale del modello circolatorio consensualistico, di cui l'art. 1376 cc rappresenta il precipitato normativo. Di conseguenza, è offerta all'autonomia delle parti la possibilità di ricorrere a un modello circolatorio alternativo rispetto a quello disegnato da tale disposizione, e fondato sulla dissociazione tra titulus e modus adquirendi: per soddisfare i loro interessi concreti, i contraenti potrebbero quindi dare vita a un contratto causale che, senza direttamente trasferire esso stesso il diritto, obblighi la parte alienante a farlo con un successivo negozio di "pura" (il c.d. pagamento traslativo). 4. La contrattazione preliminare. Il principale luogo in cui ha occasione di manifestarsi l'esigenza di dissociare titulus e modus adquirendi è dato dalla contrattazione preliminare. Già secondo tale rappresentazione, il contratto preliminare, allorché abbia a oggetto la conclusione di un contratto a effetti reali, rivela, quindi, l'esigenza delle parti « di frammentare la vicenda traslativa in due distinti atti, l'uno dei quali connotato da mera obbligatorietà ». Tuttavia, nel modello di contratto preliminare appena ricordato (cd puro) gli effetti propri del tipo contrattuale "definitivo" discendono unicamente da quest'ultimo e la sequenza contratto preliminare "puro” (contratto definitivo non riesce a spezzare la regola consensualistica, giacché le parti, col primo di essi, si obbligano a concludere un successivo contratto traslativo « causalmente autosufficiente »). Ne discende che non si ha nessuna sostanziale deroga all'art. 1376, nonostante la frammentazione del procedimento traslativo in due fasi (una obbligatoria e l'altra traslativa). 6 Gli interessi concreti che frequentemente ricorrono nelle contrattazioni immobiliari, soprattutto allorquando la parte alienante sia rappresentata da una impresa edile e specie se si tratti di un immobile ancóra da costruire o in corso di costruzione, spingono i contraenti a fare massiccio ricorso al diverso modello del c.d. contratto preliminare "a effetti anticipati" / " a esecuzione anticipata" / "complesso". In tale ipotesi, l'accordo preliminare (di compravendita) fa sorgere immediatamente, in capo al promittente alienante, l'obbligazione di consegnare l'immobile al promissario acquirente (anche se non è ancora proprietario) e/o, in capo a quest'ultimo, l'obbligazione di pagamento del prezzo. Nell'ipotesi in cui si fosse in presenza di un contratto preliminare a effetti totalmente anticipati, l'assetto sostanziale della vendita definitiva (oltre all'effetto traslativo) può dirsi raggiunto in virtù della sola stipulazione preliminare, con la quale le parti si obbligano altresì a trasferire il diritto in un secondo momento. Secondo gran parte della dottrina più recente, in questi casi, il contratto definitivo non esprime più da se stesso la propria causa, ma la mutua integralmente dal preliminare attuando l'obbligazione di dare sorta da quest'ultimo, atteggiandosi quale atto di puro trasferimento con causa esterna. In definitiva, il c.d. preliminare a effetti anticipati (o a esecuzione anticipata) acquista i contorni funzionali di una vera e propria vendita obbligatoria, ossia di mero titulus della successiva attribuzione patrimoniale, capace di reggere causalmente quest'ultima, che si realizza per mezzo del contratto definitivo, rappresentabile a questo punto nei termini di negozio di pura attribuzione patrimoniale (pagamento traslativo) e, quindi, di modus dell'acquisto. Dunque la locuzione "contratto preliminare ad esecuzione anticipata" non identifica uno schema contrattuale ma designa una tecnica traslativa basata sulla scissione tra titulus e modus adquirendi. Questa ricostruzione non trova puntuale riscontro presso i giudici, i quali, nel risolvere concreti conflitti di interesse, non fanno affidamento su un impianto concettuale altrettanto nitido e saldo, e si muovono spesso a tentoni. La giurisprudenza, per un verso, sembra ignorare le categorie concettuali che stanno a base di alcune delle costruzioni della dottrina (l'obbligazione di dare, il pagamento traslativo, il negozio con causa esterna) e, per l'altro verso, non ha percepito appieno la varietà dei congegni e modelli traslativi che caratterizza il nostro sistema positivo. Questa constatazione spiega il ricorso generalizzato, da parte dei nostri giudici, alla figura del contratto preliminare. La giurisprudenza tende a identificare con il preliminare qualsiasi obbligazione negoziale avente ad oggetto il compimento di un successivo atto traslativo e, in particolare, di un’obbligazione di dare e del pagamento traslativo. Le evidenti difficoltà di inquadramento della esatta dimensione dogmatica di questa contrattazione preliminare emergono nitidamente dalla cura con cui i giudici affrontano ex professo la questione della derogabilità dell'art. 1376 cc. Tali difficoltà traspaiono poi con ancóra maggiore evidenza da quelle sentenze che, per risolvere nel senso della detenzione la vexata quaestio della natura giuridica del potere di fatto esercitato dal promissario acquirente sul bene di cui non è ancóra divenuto proprietario, affermano che le obbligazioni di consegna anticipata (in capo al promittente venditore) e di pagamento anticipato del prezzo (in capo al promissario acquirente) non discenderebbero dallo stesso contratto preliminare (che resta un "normale" contratto preliminare) ma da distinti e collegati negozi di comodato e di mutuo gratuito. Emerge dunque la sensibilità della giurisprudenza nell’intravedere / sistematizzare, la reale natura di "vendita obbligatoria" (= tradizione) di molte delle concrete modalità di esplicazione della contrattazione preliminare, e nel cogliere in pienezza il progressivo allontanamento del contratto preliminare dal modello primigenio di negozio generativo di un mero obbligo a contrarre. 5. Permuta e varietà dei congegni traslativi. Il nostro ordinamento riconosce e consente il ricorso a una varietà di congegni traslativi in grado di soddisfare i possibili diversi interessi ricorrenti nei singoli casi concreti. Il modello di base è costituito dalla regola consensualistica (ex art. 1376 cc), la quale ordinariamente comporta che l'effetto traslativo si produca al momento stesso della conclusione del contratto di alienazione. La stessa legge conosce, inoltre, ipotesi di contratti a efficacia traslativa differita, ad es le vendite c.dd. obbligatorie: in tali ipotesi si resta pur sempre nell'alveo concettuale del principio del consenso traslativo, posto che l'effetto reale rinviene la sua fonte e il suo fondamento causale nei contratti de quibus (e non in un successivo pagamento traslativo), sebbene la sua produzione sia differita al verificarsi di ulteriori eventi, i quali tuttavia costituiscono «meri atti o fatti di integrazione dell'efficacia ». Inoltre, gran parte della dottrina e della giurisprudenza riconosce alla stessa autonomia privata la possibilità di procrastinare la produzione dell'effetto reale a un momento successivo alla conclusione del contratto (es della 7 manifesta sia nel contesto della conformità dei beni alle condizioni contrattuali (art 129.1, del Codice del Consumo), considerato un requisito dell'obbligo di consegnare, sia nel passaggio del rischio di deterioramento o perdita del bene, che avviene solo con la consegna effettiva al consumatore, indipendentemente dal momento in cui avviene il trasferimento della proprietà4. In questa maniera, l'Italia aderisce a un approccio condiviso da numerosi sistemi giuridici internazionali e dalla Convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili. Questa convenzione è stata ratificata e resa operativa in Italia attraverso la legge n. 765 del 11 dicembre 19855. È importante notare che la normativa sulla vendita di beni di consumo, come specificato nell'art. 128.1 del Codice del Consumo, si applica anche ai contratti di permuta. Tuttavia, affinché questa normativa possa essere applicata, devono essere soddisfatti alcuni requisiti essenziali. In particolare, una delle parti coinvolte nella permuta deve soddisfare i requisiti definiti nell'art. 128.2, lettera b) del Codice del Consumo per essere considerata un "venditore". Inoltre, il bene oggetto della permuta deve essere classificato come un "bene di consumo" secondo le definizioni fornite nei commi 2, lettera a) e 3 del medesimo art.. Infine, l'altra parte coinvolta nella permuta deve essere qualificata come un "consumatore" ai sensi dell'art. 3.1, lettera a) del Codice del Consumo. 7. Il trasferimento del diritto nelle ipotesi di permuta c.d. obbligatoria (permuta di cosa generica, permuta alternativa e con facoltà alternativa, permuta di cosa altrui e parzialmente altrui). Nel presente capitolo, ci concentriamo sulla vendita obbligatoria e la sua controparte, la permuta obbligatoria, con particolare enfasi sulla produzione dell'effetto traslativo e senza approfondire gli altri aspetti della loro regolamentazione. Dal punto di vista sistematico, la categoria della vendita obbligatoria, e quindi anche della permuta obbligatoria, si basa sull'obbligo imposto al venditore (o permutante) "di far acquisire la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto non è effetto immediato del contratto" (art. 1476.2 cc). Questo obbligo svolge un ruolo fondamentale nella produzione dell'effetto traslativo, poiché mira a realizzare gli eventi che ne sono alla base, ma che sono eventi esterni al contratto e agiscono come una semplice condizione per la validità del consenso iniziale. L'obbligo in questione non comporta direttamente il trasferimento del diritto, che, come precedentemente indicato, trova ancora la sua fonte (modus adquirendi) e la sua giustificazione causale (titulus adquirendi) nella permuta (o nella vendita) obbligatoria. Piuttosto, questo obbligo precede il trasferimento come un effetto strumentale e preparatorio. Di conseguenza, la permuta obbligatoria (come la vendita obbligatoria) è ancora un contratto a effetti reali, ma con la peculiarità che il trasferimento di proprietà non avviene immediatamente al momento della conclusione del contratto, ma è ritardato nel tempo, risultando quindi cronologicamente mediato. In sintesi, l'opinione prevalente sostiene che la permuta (e la vendita) obbligatoria sia un contratto pienamente concluso e completo in tutti i suoi aspetti prima della produzione dell'effetto reale, ed è immediatamente efficace per quanto riguarda gli obblighi contrattuali. Un es. di questa categoria è la permuta di beni generici, in cui uno o entrambi gli oggetti scambiati sono identificati solo in termini di genere (limitato o illimitato) e quantità. Secondo l'art. 1378 cc, che si applica a tutti i contratti di alienazione, compresa la permuta, il trasferimento del diritto in queste situazioni richiede un atto di individuazione o specificazione. Questo atto ha lo scopo di identificare in modo univoco la cosa trasferita, separandola idealmente (e spesso fisicamente) dal genere indistinto a cui appartiene, trasformandola così in una cosa specifica che può essere oggetto del diritto trasferito. In sintesi, nonostante ci sia un dibattito in corso sulla questione, prevale l'opinione che l'atto di individuazione nella permuta (e nella vendita) obbligatoria non abbia natura negoziale ma rappresenti semplicemente l'adempimento dell'obbligazione a carico dell'alienante, come previsto dall'art. 1476.2 cc. Questo "accordo" tra le parti, che l'art. 1378 cc indica come modalità ordinaria per l'atto di individuazione, non costituisce una negoziazione, ma rappresenta l'accettazione da parte dell'acquirente dell'adempimento da parte dell'alienante. Nella permuta di cose generiche mobili da trasportare da un luogo all'altro, l'individuazione avviene mediante la consegna della cosa da parte dell'alienante al vettore o allo spedizioniere, a meno che le parti non abbiano diversamente concordato. Questa disposizione normativa esclude il coinvolgimento diretto dell'acquirente nell'atto 5 Disciplina che non si applica alla permuta, nemmeno in caso di conguaglio in denaro. 4 Se l’alienante risponde dei difetti di conformità fino al momento della consegna, ciò comporta che bei debba subire il rischio del perimento della cosa, anche se la proprietà sia già stata trasferita all’acquirente. 10 di individuazione, poiché il bene esce dalla sfera di controllo dell'alienante e non può più essere sostituito o manipolato da lui. Una figura ulteriore di permuta obbligatoria, simile all'ipotesi di vendita, è la permuta alternativa. Questa situazione si verifica quando una o entrambe le prestazioni previste dal contratto includono la scelta tra due o più cose specifiche (ad es., il cavallo Saetta o il cavallo Fulmine) o generiche (come un cavallo arabo o un cavallo sardo) specificate nel contratto. L'art. 1449.2 del Codice Civile del 1865 regolamentava esplicitamente la vendita alternativa, definendola come la vendita che aveva per oggetto "due o più cose alternativamente". L'attuale codice non replica questa disposizione, ma il medesimo risultato si raggiunge estendendo alle attribuzioni di trasferimento tipiche dei contratti di vendita il meccanismo normativo espressamente previsto per le obbligazioni alternative, come indicato negli artt. 1285 ss cc. Nella permuta (così come nella vendita) alternativa, la determinazione effettiva del bene trasferito avviene attraverso il processo chiamato "concentrazione", che si verifica quando una delle cose alternative specificate nel contratto viene scelta come oggetto del contratto, oppure quando le altre prestazioni alternative diventano impossibili per una causa non imputabile prima della scelta.6 In applicazione della disciplina delle obbligazioni alternative (art. 1286.1 cc), quest'ultima spetta al debitore - ossia all'alienante -, a meno che il contratto non l'attribuisca al creditore, cioè all'acquirente, o a un terzo7. In sintesi, per quanto riguarda la vendita o permuta alternative: 1. Se la facoltà di scelta spetta all'alienante, quest'ultimo è tenuto a esercitarla in conformità all'art. 1476.2 cc. In caso di sua inadempienza, l'acquirente può richiedere al giudice di assegnargli un termine entro il quale l'alienante deve effettuare la scelta. Se il termine scade senza che la scelta sia stata effettuata, il diritto di scelta passa all'acquirente (art. 1287.1 cc); 2. Se la facoltà di scelta spetta all'acquirente e questi non effettua la scelta entro il termine stabilito o quello indicato dall'alienante, la facoltà di scelta passa all'alienante (art. 1287.2 cc); 3. Se la facoltà di scelta è affidata a un terzo e quest'ultimo non procede alla scelta entro il termine assegnatogli, la scelta sarà effettuata dal giudice (art. 1287.3 cc). Anche per l'atto di scelta, come per l'atto di individuazione nelle alienazioni di beni generici, c'è un dibattito sulla sua natura negoziale. Tuttavia, prevale l'opinione che l'atto di scelta non abbia natura negoziale e, nella maggior parte dei casi, non richieda la forma scritta per essere valido. In ogni caso, la scelta è un requisito esterno per l'efficacia della permuta (o della vendita), che rimane la fonte del trasferimento di proprietà. Una volta effettuata la concentrazione (cioè quando una delle alternative è stata scelta), il rischio associato al principio "res perit domino" passa all'acquirente. Vi è una distinzione tra due figure: 1. L'alienazione (vendita o permuta) con facoltà alternativa, che coinvolge un oggetto complesso, in cui sono presenti diverse alternative. In questa situazione, se il contratto ha come oggetto una cosa determinata solo nel genere, si tratta di una permuta (o vendita) obbligatoria, poiché il trasferimento è ritardato fino all'individuazione del bene, e la facoltà di sostituzione rappresenta una modifica dell'oggetto dell'obbligo ai sensi dell'art. 1476.2 cc; 2. L'alienazione (vendita o permuta) con facoltà di sostituzione del bene, che coinvolge un oggetto semplice, dove è presente un solo bene specifico, ma l'alienante ha la possibilità di sostituire questo bene con un altro, anch'esso specificato nel contratto. In questo caso, la dottrina è divisa sulla questione se il trasferimento avvenga immediatamente nel momento della conclusione del contratto o solo quando l'alienante effettua la scelta. Alcuni ritengono che il trasferimento sia immediato, mentre altri sostengono che avvenga solo con la scelta dell'alienante, considerando quindi il contratto come una permuta (o vendita) obbligatoria. Chi segue la prima tesi deve ipotizzare che l'esercizio del potere di sostituzione risolva retroattivamente l'effetto traslativo rispetto al primo bene e determini un nuovo trasferimento del bene sostitutivo. La seconda opinione, che sostiene che il trasferimento avvenga solo con la scelta dell'alienante nella vendita o permuta con facoltà di sostituzione del bene, è preferibile perché sembra più in linea con la presunta volontà delle 7 Secondo una parte della dottrina, quando la facoltà di scelta spetti all’acquirente, non ricorrerebbe un’ipotesi di vendita (/ permuta) obbligatoria. 6 Se però la cosa è generica, il trasferimento del diritto avverrà solo nel momento ulteriore in cui si sarà compiuta la specificazione entro il genere scelto. 11 parti. Questa interpretazione evita l'idea che le parti abbiano voluto condizionare il trasferimento del diritto alla decisione successiva dell'alienante di sostituire la cosa già trasferita con un'altra. Vi è anche l'ipotesi della permuta di cosa altrui, che si verifica quando uno o entrambi gli oggetti dello scambio sono rappresentati come di proprietà di un soggetto diverso dall'alienante, il quale conclude il contratto in proprio nome. Ci sono due situazioni possibili: ● La prima, chiamata "fisiologica", si verifica quando l'alienante esplicita chiaramente che la cosa è di un'altra persona o quando l'acquirente è a conoscenza di questa circostanza al momento del contratto, anche se l'alienante non lo menziona; ● La seconda, detta "patologica", si verifica quando l'alienante negozia il bene come se fosse di sua proprietà e l'acquirente è all'oscuro della sua reale provenienza. Nella permuta di cosa altrui, se al momento della conclusione del contratto manca la legittimazione del disponente (colui che ha il diritto sulla cosa), l'art. 1478 cc stabilisce che l'alienante rimane obbligato a procurare il diritto all'acquirente. In altre parole, l'alienante deve garantire che il diritto sul bene sarà trasferito correttamente all'acquirente, anche se all'inizio non disponeva della legittimazione necessaria. Nella permuta di cosa altrui, l'obbligazione dell'alienante si manifesta in modo diverso a seconda della situazione: ● Nella situazione "fisiologica", in cui l'acquirente è pienamente consapevole che il diritto acquistato è di un'altra persona, il disponente viene considerato inadempiente solo se è scaduto il termine di adempimento concordato tra le parti o stabilito dal giudice in conformità all'art. 1183 cc; ● Nella situazione "patologica", in cui l'alienante ha negoziato il diritto come se fosse di sua proprietà, l'alienante è considerato inadempiente all'impegno traslativo fin dal momento della conclusione del contratto, secondo il programma negoziale. L'acquirente ha il diritto di chiedere la risoluzione del contratto in qualsiasi momento, a meno che, nel frattempo, l'alienante non abbia comunque fatto acquisire il diritto all'acquirente, come previsto dall'art. 1479.1 cc. Nella permuta (come nella vendita) di cosa altrui, il trasferimento del diritto all'acquirente avviene solo quando l'alienante ha acquisito il diritto dal suo titolare. In questo caso, il diritto entra temporaneamente nel patrimonio dell'alienante per poi passare automaticamente e immediatamente all'acquirente, senza necessità di ulteriori atti di trasferimento.8 Nella permuta di cosa altrui, l'alienante può adempiere alla sua obbligazione di far acquisire il diritto in modo indiretto, cioè inducendo il titolare del bene a trasferire direttamente il diritto all'acquirente senza coinvolgere l'alienante come intermediario. Questa soluzione sembra essere supportata dal testo del Codice Civile, in particolare dall'uso del verbo "procurare" nell'art. 1478.1 cc, e dall'art. 1476.2, che parla dell'obbligo di far acquisire il diritto all'acquirente in modo più generale. Tuttavia, è oggetto di controversia se l'alienante adempia esattamente alla sua obbligazione se l'acquirente acquisisce il diritto non in virtù del contratto stesso ma per altri motivi (ad es., per un trasferimento a non domino). Secondo alcune interpretazioni, anche se l'acquirente ha acquisito il diritto, potrebbe comunque richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, ma questa è una questione dibattuta. Esiste anche la figura della permuta di cosa parzialmente altrui, prevista dall'art. 1480 cc. Questa situazione si verifica quando l'acquirente non è a conoscenza dell'alienità (parziale) della cosa negoziata e rientra nella stessa categoria della permuta di cosa altrui, in particolare nella situazione "patologica" in cui l'acquirente non sa della (parziale) alienità della cosa. Nella permuta di cosa parzialmente altrui, l'acquirente ha il diritto di richiedere la risoluzione del contratto (e il risarcimento del danno) solo quando è evidente che non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di cui non è diventato proprietario. In caso contrario, può richiedere solo una riduzione del prezzo (oltre al risarcimento del danno). Per la permuta, si applica la disciplina dell'evizione parziale. La figura della permuta di cosa parzialmente altrui può presentarsi in due scenari: ● Quando il bene (o il diritto) trasferito è stato esplicitamente negoziato come parzialmente altrui; ● Quando l'acquirente è consapevole, al momento della conclusione del contratto, della parziale alienità della cosa, anche se l'alienante non ha dichiarato apertamente questa situazione. In entrambi i casi, il contratto avrà effetto immediato per la parte della cosa (o del diritto) effettivamente di proprietà dell'alienante, mentre per la parte rimanente, sorgerà l'obbligazione dell'alienante di procurare l'acquisto per conto dell'acquirente. L'acquirente può attivare i rimedi previsti dall'art. 1480 cc solo se è trascorso inutilmente il termine di adempimento concordato nel contratto o fissato dal giudice in base all'art. 1183 cc. 8 Ex art. 1478.2 cc. 12 terreno che cede un'area edificabile a un'impresa edile, insieme a una o più unità immobiliari da costruire in quella zona. L'impresa edile si impegna quindi a costruire gli edifici sull'area specifica. Questo tipo di permuta è diventato popolare perché è in grado di soddisfare le esigenze contrastanti del proprietario del terreno e dell'impresa edile. Per il proprietario del terreno, spesso privo delle risorse finanziarie necessarie per commissionare direttamente la costruzione dell'edificio, la permuta offre la possibilità di diventare comunque proprietario di una o più unità immobiliari nella zona. D'altro canto, questa forma di permuta è altamente vantaggiosa per l'impresa edile, poiché le consente di evitare l'acquisto diretto del terreno, riducendo così la necessità di ottenere un finanziamento bancario per l'acquisto del terreno. Inoltre, l'impresa edile può immediatamente acquisire l'area edificabile, mettendola sotto ipoteca per ottenere il finanziamento necessario per la costruzione dell'opera. In questo modo, la permuta si è rivelata una soluzione flessibile e adatta a soddisfare le esigenze finanziarie di entrambe le parti coinvolte in un progetto immobiliare. Il contratto in questione, che coinvolge lo scambio tra cosa presente (il terreno) e cosa futura (le unità immobiliari da costruire), comporta una sequenza di trasferimenti reciproci che si svolge in due fasi distinte, creando una situazione asimmetrica tra le parti coinvolte. In conformità con il normale sviluppo delle regole sul trasferimento della proprietà, il proprietario del terreno perde la proprietà del suo bene nel momento stesso in cui il contratto viene concluso. Tuttavia, acquisirà la proprietà delle unità immobiliari in costruzione solo in un momento successivo, che potrebbe essere molto distante nel tempo, ovvero quando l'edificio sarà completato. Questo significa che il proprietario del terreno è esposto al rischio che l'edificio non venga effettivamente costruito, ad es. a causa dell'insolvenza o del fallimento dell'impresa edile o per altre ragioni impreviste. È quindi evidente che questa forma di tutela può essere efficacemente attuata solo se il proprietario del terreno ha una fiducia sufficiente nella serietà del costruttore, nelle sue capacità operative e nella sua solidità finanziaria. In altre parole, la sicurezza dell'operazione dipende in gran parte dalla fiducia che il proprietario del terreno ripone nell'impresa edile e nella sua capacità di portare a termine la costruzione in modo affidabile e sicuro. È importante notare che queste considerazioni sono valide indipendentemente dalle normative recenti relative alla tutela degli acquirenti di immobili in costruzione, che verranno esaminate nel paragrafo successivo. Quando il proprietario dell'area non ha sufficiente fiducia nell'impresa edile coinvolta, è possibile garantire i suoi interessi utilizzando il meccanismo delle condizioni contrattuali, che è anche opponibile a terzi in base all'art. 2659, ultimo comma. Come precedentemente spiegato, se è possibile utilizzare una condizione sospensiva (legata all'adempimento, ad es., al pagamento del prezzo) e una condizione risolutiva (legata all'inadempimento, come il mancato pagamento del prezzo) nella vendita, non vi è motivo per non applicare un meccanismo simile nella permuta. Così,il trasferimento del terreno all'impresa edile può essere condizionato alla venuta a esistenza dell'edificio, garantendo che il proprietario del terreno non ceda la proprietà fino a quando l'impresa edile non abbia completato la costruzione in modo adeguato. Questo può essere fatto tramite una condizione sospensiva (che rende il trasferimento del terreno condizionato al completamento dell'edificio) o una condizione risolutiva (che annulla il trasferimento del terreno in caso di mancato o incompleto completamento dell'edificio). In alternativa, è possibile ottenere lo stesso risultato utilizzando il meccanismo della riserva di proprietà, previsto dal Codice Civile per la vendita di beni mobili ma generalmente esteso anche alle vendite immobiliari. In questo caso, il trasferimento della proprietà del terreno avverrà solo quando l'impresa edile avrà adempiuto alla sua parte del contratto, cioè quando l'edificio sarà stato ultimato in conformità alle condizioni contrattuali. Se si ritiene possibile derogare alla regola consensualistica stabilita dall'art. 1376 cc e si ammette che la permuta possa essere considerata come un negozio meramente obbligatorio, nel senso che genera solo l'obbligo di trasferire (da soddisfare con un pagamento successivo) ma non ha effetti reali immediati, è possibile soddisfare l'interesse del proprietario del terreno attraverso questa tecnica traslativa. In questo caso, il contratto può essere configurato come un negozio meramente obbligatorio, in cui il proprietario del terreno si obbliga a trasferire la proprietà in un momento successivo, subordinato alla previa realizzazione della costruzione. Questo significa che il trasferimento della proprietà del terreno avverrà solo quando l'edificio sarà stato effettivamente completato, garantendo così al proprietario del terreno che non cederà la proprietà fino a quando la costruzione non sarà stata realizzata conformemente agli accordi contrattuali. In sostanza, questa tecnica traslativa consente di soddisfare gli interessi del proprietario del terreno in modo flessibile, garantendo che il trasferimento della proprietà avvenga solo quando siano stati soddisfatti determinati requisiti, come la costruzione dell'edificio. 15 È importante notare che le cautele descritte precedentemente possono complicare notevolmente la realizzazione di un'operazione di questo tipo quando l'impresa edile non ha la capacità finanziaria di realizzare l'opera senza impegnare il terreno stesso come garanzia. Ad es., se l'impresa edile non può acquisire immediatamente la proprietà del terreno, non avrà titolo di proprietà e, quindi, non potrà costituire un'ipoteca a garanzia per ottenere il finanziamento necessario. Inoltre, se l'acquisizione del terreno è subordinata alla condizione risolutiva del mancato completamento dell'edificio, la risoluzione successiva travolgerà anche l'ipoteca costituita sull'area, creando ulteriori complicazioni nell'accesso al credito bancario per l'impresa edile. Oltre a queste considerazioni, è importante notare che la necessità di equilibrare i rischi tra le parti e le considerazioni fiscali hanno portato all'adozione progressiva di soluzioni contrattuali più avanzate nella pratica commerciale. Una di queste soluzioni è la "riserva di superficie," in cui il proprietario dell'area vende il terreno all'impresa edile, ma si riserva il diritto di costruire sulle parti del terreno dove saranno realizzate le sue unità immobiliari. Inoltre, viene stipulato un contratto di appalto tra il proprietario e l'acquirente, in cui il compenso in denaro viene compensato con il prezzo dell'area trasferita. Questo approccio consente di gestire in modo più flessibile l'uso del terreno, bilanciando meglio i rischi tra le parti e tenendo conto delle considerazioni fiscali. Un'altra tecnica utilizzata in queste operazioni è il collegamento negoziale di due o più contratti. Questo avviene spesso attraverso la vendita di una quota ideale della proprietà dell'area ad un determinato prezzo e la contemporanea stipula di un contratto di appalto per un prezzo identico, con compensazione dei due prezzi. In questo modo, il proprietario del terreno si riserva una quota di comproprietà dell'area corrispondente al valore delle unità immobiliari che saranno assegnate a lui. Man mano che l'edificio viene costruito, il proprietario diventa comproprietario per accessione. Per garantire che le singole unità immobiliari siano di proprietà esclusiva dei destinatari fin dall'inizio, in modo che il regime condominiale possa essere istituito immediatamente sull'edificio, l'operazione solitamente comprende anche una divisione contestuale di cosa futura. Questo atto serve a identificare le parti comuni dell'edificio e a consentire ai comproprietari di assegnarsi immediatamente in titolarità esclusiva le rispettive unità immobiliari, in base alle loro quote ideali precedentemente stabilite. Nella pratica notarile, a volte, l'operazione unitaria di permuta viene suddivisa in due negozi distinti, tra loro collegati: la vendita immediata del terreno al costruttore e la retrovendita (preliminare o definitiva) delle future unità immobiliari da parte del costruttore, con una compensazione totale o parziale dei prezzi, a seconda dei casi. La dottrina, tuttavia, ha diverse opinioni su questa pratica. Da un lato, si interroga se e in quali limiti l'autonomia delle parti possa consentire la suddivisione giuridica di un'operazione economica originariamente unitaria. Dall'altro lato, si sottolinea il rischio che in sede giudiziale questa suddivisione possa essere considerata artificiale e che le due vendite incrociate siano reinterpretate come un unico contratto di permuta o addirittura siano ritenute simulate e dissimulanti una permuta unitaria. 10. Alienazione di immobili da costruire e disciplina a tutela dell'acquirente. La recente disciplina di tutela degli acquirenti di immobili da costruire o non ancora ultimati ha introdotto importanti misure di protezione per coloro che intendono acquistare immobili futuri. Questi acquirenti si trovano di fronte a due principali rischi. In primo luogo, l'acquirente è esposto al rischio di stipulare contratti con un oggetto così generico e indeterminato da poter causare la nullità del contratto per mancanza di determinatezza dell'oggetto. Questo rischio deriva dal fatto che, al momento della contrattazione, l'immobile non esiste ancora in quanto tale. In secondo luogo, l'acquirente è esposto al rischio di dissesto economico dell'imprenditore che vende l'immobile. Questo rischio è particolarmente evidente nelle operazioni di vendita di immobili futuri, in cui è pratica comune pattuire il pagamento di cospicui acconti, spesso anche l'intero importo del prezzo, in favore dell'impresa costruttrice prima che l'immobile sia completato e prima che l'acquirente ne diventi proprietario. In caso di fallimento dell'impresa costruttrice, l'acquirente si troverebbe senza l'immobile desiderato. Inoltre, se si tratta di un contratto preliminare, la legge fallimentare consente al curatore di sciogliersi da tali contratti, e questa opzione viene spesso esercitata. In tal caso, l'acquirente potrebbe cercare di ottenere il rimborso degli acconti versati, ma tali pagamenti sarebbero effettuati in valuta fallimentare e quindi potrebbero essere solo parziali o addirittura nulli. 16 La nuova disciplina cerca di affrontare questi rischi introducendo regole più rigorose per la vendita di immobili futuri e fornendo maggiore protezione agli acquirenti in caso di fallimento dell'impresa costruttrice. Un grave rischio si presenta anche per chi ha effettuato una permuta di un terreno edificabile, trasferendolo immediatamente all'impresa edile in cambio di unità immobiliari da costruire sullo stesso terreno (o su un terreno diverso). In questa situazione, l'aspirante acquirente rimarrebbe privo del bene futuro e potrebbe solo cercare di ottenere il controvalore in moneta fallimentare attraverso l'insinuazione nel passivo fallimentare, il che comporterebbe un rimborso solo parziale o addirittura nullo. Date le gravi implicazioni sociali causate dalla frequenza di questo fenomeno, che viola anche diritti di primaria importanza costituzionale come il diritto al risparmio e alla proprietà dell'abitazione (art 47 Cost), il legislatore ha dovuto intervenire per proteggere gli acquirenti. Un primo intervento è stato realizzato con il decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, che ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano gli artt. 2645-bis e 2775-bis cc. L'art. 2645-bis ha permesso la trascrizione dei contratti preliminari di vendita di immobili (compresi quelli di permuta) anche se avevano come oggetto edifici da costruire (paragrafi 4, 5 e 6). L'art. 2775-bis ha stabilito un privilegio speciale sull'immobile (oggetto del contratto preliminare) a favore del promissario acquirente, al fine di garantire il credito derivante dalla restituzione del prezzo pagato in caso di risoluzione (a causa di inadempimento del promittente venditore) o di scioglimento (a causa del fallimento del promittente venditore) del contratto preliminare. La possibilità di trascrivere i contratti preliminari, sebbene abbia offerto una protezione al promissario acquirente contro i creditori dell'impresa edile (e in generale contro tutti i promittenti venditori) in caso di azioni esecutive individuali sul bene oggetto del contratto, non ha risolto i problemi di tutela che sorgono in caso di fallimento. Per lungo tempo, la giurisprudenza ha riconosciuto al curatore del fallimento del promittente venditore il diritto di risolvere il contratto preliminare in base all'art. 72 della legge fallimentare, anche nei casi in cui il preliminare fosse stato trascritto prima della dichiarazione di fallimento o in cui fosse stata presentata una richiesta di registrazione in base all'art. 2932 cc. Per quanto riguarda il privilegio di cui all'art. 2775-bis cc, la lunghezza delle procedure esecutive, sia fallimentari che individuali, e l'esito spesso insoddisfacente delle aste lo hanno reso uno strumento di tutela poco efficace, oltre al fatto che è riconosciuto solo in favore del promissario acquirente e non del contraente in un contratto definitivo di vendita o permuta di cosa futura. Per affrontare questi problemi, il legislatore è intervenuto nuovamente con il d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, che ha introdotto "Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210". La disciplina introdotta da questa legge è stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina, degli operatori economici e professionali ed è stata considerata come avente "luci e ombre". La disciplina introdotta dal d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, riguarda non solo la vendita e il preliminare di vendita, ma anche "ogni altro contratto (...) che abbia o possa avere per effetto l'acquisto o comunque il trasferimento non immediato (...) della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire." Questo significa che la disciplina si applica anche alla permuta (e al relativo preliminare) di un terreno in cambio di appartamenti da costruire. Questa disciplina è riservata solo all'acquirente o promissario acquirente "persona fisica" e impone all'alienante o promittente alienante l'obbligo di rilasciare una garanzia fideiussoria a favore dell'acquirente. Tale garanzia è volta a coprire il rischio di una "situazione di crisi," come definita dalla legge, che potrebbe portare alla perdita delle somme o del valore di ogni altro corrispettivo dovuto al costruttore, compreso il valore del terreno nel caso di permuta. Inoltre, il legislatore rafforza la posizione dell'acquirente imponendo al costruttore l'obbligo di stipulare, al momento del trasferimento della proprietà, una polizza assicurativa decennale a beneficio dell'acquirente. Questa polizza copre i danni da rovina totale o parziale o da gravi difetti costruttivi come previsto dall'art. 1669 cc. La disciplina introdotta dal d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, prevede una serie di misure a tutela dell'acquirente di immobili da costruire o non ancora ultimati: 1. Diritto di Prelazione: l'acquirente ha il diritto di prelazione nell'acquisto dell'immobile se destinato ad abitazione principale sua o di uno stretto congiunto. Questo diritto può essere esercitato in caso di espropriazione forzata individuale o concorsuale; 2. Azione Revocatoria Fallimentare Limitata: viene limitata l'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare relativa agli atti di alienazione degli immobili destinati a residenza dell'acquirente o dei suoi parenti o affini; 17 La possibilità di includere una clausola a favore di un terzo in un contratto di permuta dipende dalla soluzione di una questione più ampia relativa alla validità di un effetto traslativo a favore di terzi in generale, come previsto dall'art. 1376 cc. Se si ammette la possibilità di un effetto traslativo a favore di terzi, resta aperta un'altra questione riguardante la validità della stipulazione a favore di terzi in un caso specifico, come quello comune nella permuta, in cui si scambiano beni presenti con beni futuri, come terreni edificabili con unità immobiliari da costruire. Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, quando gli effetti di un contratto vengono estesi a un terzo estraneo tramite l'apposizione della clausola prevista dall'art. 1411 cc, si configura una forma di liberalità indiretta a favore di quest'ultimo, a condizione che lo stipulante abbia agito con spirito di liberalità nei confronti del terzo. Questo si verifica, ad es., quando il proprietario di un terreno edificabile scambia la sua proprietà con unità immobiliari in costruzione e il contratto prevede che queste unità siano acquisite da un parente del proprietario del terreno, che ha l'intenzione di costruirle. La questione di se la clausola a favore del terzo sia applicabile all'acquisto di beni futuri, come nel caso delle unità immobiliari in costruzione, è oggetto di discussione, ma generalmente si ritiene che il terzo acquisisca immediatamente il diritto di credito correlato all'obbligazione prevista dall'art. 1476.2 cc. La permuta è soggetta ai divieti di acquisto previsti dalle norme sulla vendita, come ad es. quelli indicati nell'art. 1471 cc, e da altre disposizioni di legge, come l'art. 1261 cc in materia di cessione dei crediti. Nel caso in cui i soggetti coinvolti nella permuta siano qualificabili rispettivamente come "professionisti" e "consumatori" in base alle disposizioni dell'art. 3 del codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005) o altre leggi pertinenti, si applicano le regole settoriali a favore del consumatore o, se applicabili, le altre regolamentazioni settoriali a tutela delle diverse categorie di contraenti considerate "deboli". La dottrina tradizionalmente considera la permuta come un contratto bilaterale, cioè con due sole parti coinvolte, anche se possono esserci più soggetti all'interno di ciascuna parte. Questa concezione deriva dalla definizione stessa della permuta, che descrive lo scambio reciproco tra le parti come il "trasferimento reciproco da un contraente all'altro". Questa bilateralità è anche presupposta dalle norme successive che regolano la permuta. Nell'ambito della permuta, è stata ipotizzata la possibilità di una figura chiamata "permuta trilaterale a catena" o "permuta circolare". Questa figura ha ricevuto scarsa attenzione dalla dottrina giuridica, ma è stata recentemente considerata dalla giurisprudenza, soprattutto dal punto di vista fiscale. In questa situazione specifica, lo scambio coinvolge tre soggetti anziché due. Tizio trasferisce un bene a Caio, Caio trasferisce un bene a Mevio e Mevio trasferisce un bene a Tizio. Questo scambio non è biunivoco, poiché coinvolge tre parti. Dal punto di vista pratico, questo risultato può essere ottenuto attraverso tre distinti atti di vendita, dove Tizio vende a Caio il bene, Caio vende a Mevio un altro bene e Mevio vende un terzo bene a Tizio. In alternativa, si potrebbe utilizzare il meccanismo delle permutazioni, in cui Tizio e Caio scambiano i loro beni iniziali e poi Tizio, ora proprietario di un bene diverso, lo scambia con un bene di Mevio. Nel tentativo di realizzare in modo diretto l'assetto d'interessi desiderato dalle parti coinvolte, si è ipotizzata una soluzione alternativa. Piuttosto che utilizzare vendite o permutazioni tradizionali, che potrebbero comportare prezzi non reali o obblighi di garanzia non voluti, si è proposta una permuta tra Tizio e Caio, dove assumono i ruoli di stipulante e promittente rispettivamente, a favore di un terzo, Mevio. Questa permuta sarebbe condizionata al trasferimento del bene gamma da parte di Tizio a Caio. Secondo questa tesi, il terzo (Mevio) effettuerebbe l'attribuzione del bene gamma attraverso un negozio giuridico unilaterale causale, recettizio, non rifiutabile, con effetti reali, collegato alla permuta. La costruzione di una permuta trilaterale con vincoli e condizioni aggiuntive presenta notevoli complessità e problematiche, tra cui il problema generale dell'ammissibilità di un contratto traslativo a favore di terzi. Queste questioni esulano dall'ambito del presente volume. Inoltre, questa costruzione avrebbe senso pratico solo quando il promittente e lo stipulante desiderano impegnarsi immediatamente, ma il terzo non è presente o non è ancora pronto per l'assegnazione. Tuttavia, questa costruzione potrebbe risultare complicata e superflua se i tre soggetti coinvolti fossero pronti a concludere direttamente gli scambi incrociati. La dottrina che ha affrontato questa questione ritiene generalmente che, sebbene possa essere considerata atipica, questa figura di negozio svolge una funzione di scambio simile a quella della permuta. In tal caso, le norme relative alla permuta potrebbero essere applicate, eventualmente con le necessarie modifiche, almeno per analogia. 20 Nel caso di evizione in una permuta circolare, dove la logica dell'accordo non è biunivoca ma incrociata, l'art. 1553 cc dovrebbe essere interpretato nel senso che il valore della cosa evitata o la differenza di valore della cosa difettosa, e in generale il risarcimento del danno, possono essere richiesti solo al contraente inadempiente che ha assunto direttamente l'obbligo di trasferire il bene. La restituzione della cosa data, sia in caso di evizione che in caso di richiesta di restituzione per vizi della cosa ricevuta, può essere chiesta all'altro contraente, precisamente al destinatario dell'attribuzione traslativa del permutante evitato. La giurisprudenza tributaria ha applicato la disciplina fiscale alla permuta circolare, considerandola un contratto atipico con analogia alla permuta ordinaria. Per quanto riguarda le imposte di registro, ipotecaria e catastale, si sono seguite le regole specifiche previste per la permuta "ordinaria" come stabilite dall'art. 43.1, lettera b) del Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). Inoltre, si è fatto riferimento al principio secondo cui, se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente l'una dall'altra per la loro natura intrinseca, l'imposta si applica come se l'atto contenesse solo la disposizione che comporta l'imposizione più onerosa. 3. La conclusione del contratto. Permuta e prelazioni. La permuta è un contratto consensuale e non reale, il che significa che si perfeziona con il semplice consenso o accordo delle parti, senza la necessità di consegnare effettivamente i beni scambiati. La permuta può essere conclusa utilizzando una delle tecniche di formazione contrattuale ordinarie previste dalla legge, come definite negli artt. 1326 ss cc, ad eccezione di quella prevista nell'art. 1333 cc, che è incompatibile con la natura della permuta. Non ci sono particolari problemi nella formazione della permuta che siano diversi da quelli che si applicano in generale ai contratti. Inoltre, per quanto riguarda i cosiddetti "vincoli preliminari" nella formazione del contratto, come la proposta ferma, il patto di opzione o il contratto preliminare, non sorgono questioni particolari nel contesto della permuta, tranne che per un tipo specifico di vincolo noto come "prelazione". Questo tipo di vincolo influisce sulla libertà di scelta della controparte contrattuale ed è pertanto meritevole di ulteriori considerazioni. La "prelazione" può essere sia di tipo legale, ossia prevista dalla legge, sia di tipo volontario, cioè stabilita attraverso una manifestazione di volontà delle parti private. In entrambi i casi, la prelazione implica un obbligo di dare la preferenza al prelazionario nella futura conclusione di un determinato contratto, ma solo a condizione che l'offerta del prelazionario sia paragonabile a quella formulata da un'altra parte che è soggetta al vincolo di preferenza (eventualmente basata su una proposta ricevuta da un terzo). La prelazione trova il suo principale campo di applicazione nella compravendita, poiché implica che la prestazione richiesta dal contratto sia fungibile e quindi eseguibile da parte del prelazionario in luogo di qualsiasi altro possibile contraente. Questa prestazione tipicamente comprende il pagamento di un prezzo in denaro. Tuttavia, il contratto di permuta tende a essere escluso dall'applicazione delle prelazioni, a meno che non si verifichino circostanze particolari. Questo perché la permuta coinvolge lo scambio di diritti o beni che le parti considerano come infungibili e quindi non sostituibili con attribuzioni provenienti da terzi. In tali casi, il prelazionario, non essendo titolare del bene o del diritto che la parte soggetta al vincolo di preferenza desidera ottenere in cambio della sua attribuzione, non potrebbe garantire le stesse condizioni offerte da un terzo titolare di quel bene o diritto. Di ciò si ha, del resto, una conferma più o meno esplicita in diverse ipotesi. L'art. 8.2 della legge n. 590/1965 esclude espressamente la permuta dalla prelazione agraria, che è il diritto di riscatto riconosciuto agli affittuari di fondi rustici, ai mezzadri, ai coloni e ai compartecipanti. Questa esclusione si applica anche alla prelazione prevista dall'art. 7 della legge n. 817/1971 a favore dei coltivatori diretti e degli imprenditori condifiniti, poiché l'art. 7 richiama espressamente l'art. 8 della legge n. 590/1965. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che la permuta è esclusa dall'ambito di applicazione dei diritti di prelazione e di riscatto previsti dagli artt. 38 e 39 della legge n. 392/1978 a favore dei conduttori di immobili urbani non adibiti a uso abitativo. Questa esclusione è basata sulla considerazione che il conduttore prelazionario non può offrire condizioni uguali a quelle richieste dal proprietario locatore, in quanto la permuta comporta uno scambio di beni invece che un pagamento in denaro, come richiesto dalla legge. La permuta è anche esclusa dalla prelazione prevista nell'art. 3 della legge n. 431/1998 a favore del locatore che intenda vendere un immobile urbano adibito a uso abitativo. Questa disposizione si riferisce espressamente alla vendita e non alla permuta. 21 Non sempre è vero che il diritto del prelazionario di essere preferito nella conclusione di un contratto sia subordinato alla possibilità di soddisfare le stesse condizioni richieste dal soggetto gravato dall'obbligo di prelazione. Questo principio è valido per le prelazioni legali, che sono previste dall'ordinamento per proteggere interessi considerati prevalenti rispetto all'interesse del proprietario alla libera scelta dell'acquirente. In questo caso, il legislatore può decidere di privilegiare l'interesse preferito anche sulle condizioni contrattuali della controparte, a sua discrezione. Lo stesso principio si applica alle prelazioni volontarie, a condizione che si accetti l'opinione diffusa secondo cui il requisito della parità di condizioni non è essenziale per la validità dell'atto che dà origine alla prelazione. In altre parole, il diritto del prelazionario di essere preferito può sussistere anche se le condizioni offerte non sono identiche a quelle richieste dal soggetto gravato dall'obbligo di prelazione. Nella pratica, si è posta la questione della validità delle clausole di prelazione presenti negli statuti di società per azioni e a responsabilità limitata, che concedono ai soci il diritto di essere preferiti nell'acquisto di azioni o quote sociali rispetto alle alienazioni previste dal titolare delle stesse, sia a terzi che ad alcuni soci specifici. È controverso se, in assenza di un'espressa previsione estensiva nella clausola di prelazione, il diritto di preferenza si estenda anche alle diverse modalità di trasferimento delle partecipazioni, come il conferimento in un'altra società, la scissione, il trasferimento mortis causa, la donazione e, appunto, la permuta. La dottrina giuscommercialistica ha discusso questa questione e ha considerato che gli interessi sostenuti dagli altri soci, come quelli di mantenere il controllo sulla composizione della compagine sociale e di evitare cambiamenti negli equilibri esistenti, siano generalmente prevalenti rispetto all'interesse del titolare delle partecipazioni a determinare liberamente le condizioni del loro trasferimento. Pertanto, a meno che la clausola di prelazione non escluda espressamente la permuta, il diritto di preferenza potrebbe applicarsi anche a questo tipo di contratto, consentendo al prelazionario di acquisire le quote o le azioni offerte in permuta corrispondendo il valore in denaro della controprestazione prevista. Dunque, secondo questa opinione, una clausola di prelazione potrebbe estendersi anche alle permutazioni, a meno che ci sia una specifica esclusione nella clausola stessa. Nel caso di clausole di prelazione volontaria diverse da quelle societarie, generalmente si applica la regola che la preferenza sussiste solo a parità di condizioni. Di conseguenza, in linea di principio, la permuta potrebbe sfuggire alle richieste del prelazionario. Tuttavia, ci sono eccezioni a questa regola. La conclusione che esclude la permuta dall'ambito di operatività della prelazione non si applica se il patto di prelazione stabilisce espressamente l'estensione della preferenza al contratto di permuta. Inoltre, se il contratto di permuta è strutturato in modo da prevedere che l'attribuzione corrispettiva in natura (rispetto a quella oggetto della prelazione) sia costituita da beni fungibili, allora la permuta potrebbe essere considerata compresa nel patto di preferenza. Questo è particolarmente vero se il bene offerto in permuta è fungibile, come un'automobile di serie o titoli facilmente negoziabili in borsa. Poiché la ragione per escludere la permuta dalla prelazione risiede nell'infungibilità della controprestazione, se la controprestazione è fungibile, non ci sarebbe motivo, in base ai principi di buona fede nell'interpretazione e nell'esecuzione dei contratti (art. 1366 e 1375 cc), per escludere la permuta dal patto di preferenza. In questo caso, il prelazionario potrebbe esercitare il suo diritto trasferendo al concedente i beni fungibili in questione o, alternativamente, corrispondendo l'importo monetario necessario per l'acquisto di tali beni. Per le stesse ragioni discusse in precedenza, sembra ragionevole estendere la conclusione alla permuta anche nelle ipotesi di prelazioni legali dalle quali di norma si ritiene che la permuta sia esclusa. Inoltre, nella dottrina che interpreta le disposizioni in materia in modo teleologicamente orientato, sta diventando sempre più comune questa soluzione anche per quanto riguarda il diritto di prelazione spettante ai coeredi secondo l'art. 732 cc nel caso di alienazione (anche parziale) delle quote da parte degli altri coeredi. Questo diritto di prelazione è espressamente richiamato dall'art. 230-bis cc, che riconosce ai partecipanti all'impresa familiare la preferenza nell'acquisto in caso di trasferimento dell'azienda o di sua divisione ereditaria. Questo avviene nonostante l'art. 732 menzionato parli espressamente di "prezzo" e sembri fare riferimento principalmente alla vendita. Pertanto, la permuta verrebbe esclusa da queste prelazioni solo se comportasse come controprestazione per l'alienazione di quote ereditarie (o di azienda, nel caso previsto dall'art. 230-bis) una prestazione non fungibile. In generale, l'analisi delle prelazioni sembra confermare la lezione che emerge dall'indagine storica condotta in precedenza. Questo suggerisce che la permuta richiede un trattamento giuridico diverso a seconda che entrambe le attribuzioni dello scambio siano considerate dai contraenti come valore intrinseco (come solitamente avviene 22 permuta potrebbe essere soggetta a vincoli di forma scritta non a pena di nullità ma a fini probatori o per la trascrizione, a seconda dei beni oggetto dello scambio e delle norme applicabili. Ad es., l'azienda o i diritti di utilizzazione delle opere letterarie e artistiche richiedono una forma scritta ai sensi dell'art. 2556.1 cc, mentre altri beni potrebbero richiedere la forma scritta solo per fini pubblicitari, come nel caso dei veicoli registrati nel pubblico registro automobilistico o delle aziende e quote di S.r.l. All'atto scritto - anche solo ricognitivo - le parti devono ricorrere pure nel caso di permuta che abbia a oggetto crediti, per poter notificare la cessione al debitore ceduto (artt. 1264.1, 1265, 2914.2 e 2915 cc) e in ogni altra ipotesi in cui intendano munire il contratto di data certa, ai sensi dell'art. 2704 cc.. 5. L'oggetto. La permuta è un contratto che implica una reciproca attribuzione patrimoniale tra le parti. Questa attribuzione patrimoniale ha come oggetto non le cose in sé, ma i diritti relativi a tali cose. È importante sottolineare che questi diritti possono essere eterogenei tra loro, il che significa che le parti possono scambiare la proprietà di cose o altri diritti, come specificato nell'art. 1552 cc. In altre parole, la permuta può coinvolgere il trasferimento della proprietà di beni materiali o di diritti diversi da quelli di proprietà su beni materiali. Nel contesto della permuta, è possibile alienare non solo la piena proprietà dei beni ma anche la proprietà nuda o altre forme di diritti reali di godimento, come l'usufrutto, la superficie o l'uso, sia quando questi diritti siano già esistenti prima dell'atto di permuta, sia quando vengano creati contemporaneamente all'atto di permuta attraverso una contestuale riserva di tali diritti da parte del venditore. Tuttavia, le servitù prediali, essendo strettamente legate al fondo dominante, non possono essere cedute separatamente dalla proprietà del fondo. Inoltre, i diritti di uso e abitazione solitamente hanno natura personale e non possono essere liberamente ceduti, in conformità all'art. 1024 cc. Secondo la dottrina prevalente, il riferimento testuale alla nozione di "trasferimento" nella permuta non esclude la possibilità che possa dar luogo anche alla creazione di diritti reali di godimento. Ad es., il proprietario di un bene potrebbe costituire un diritto di usufrutto o superficie a favore della controparte contrattuale attraverso un accordo di permuta. Questa opinione è sostenibile in quanto la permuta, come la vendita, rappresenta un acquisto a titolo derivativo, che può includere sia l'acquisizione derivativa traslativa che quella derivativa-costitutiva. Le due tipologie di acquisizioni sono unite nella principale norma di riferimento, l'art. 1376 cc, che tratta dei contratti a effetti reali e menziona esplicitamente sia il "trasferimento" che la "costituzione di un diritto reale". Inoltre, l'art. 1465.2 cc, considera congiuntamente gli "effetti traslativi o costitutivi". Accettando questa opinione, non ci sarebbero ostacoli per ritenere che la permuta possa anche comportare la creazione di servitù prediali e diritti di uso e abitazione, oltre che di diritti di usufrutto e superficie. Possono essere oggetto di scambio una vasta gamma di diritti soggettivi alienabili. Questi includono: 1. Diritti di comproprietà, come la quota di proprietà indivisa, nonché altri diritti reali indivisi come l'usufrutto, la superficie, e altri simili; 2. Diritti di multiproprietà immobiliare, che sono considerati una forma particolare di comproprietà o comunione di diritti reali; 3. Diritti reali di garanzia, come il pegno e l'ipoteca, che possono essere oggetto di permuta solo se il permutante è anche il creditore del debito garantito dal pegno o dall'ipoteca; 4. Diritti di credito, che rappresentano crediti verso terzi e possono essere scambiati attraverso una permuta; 5. Diritti di utilizzazione economica di beni immateriali, come diritti d'autore o diritti di utilizzo di marchi registrati; 6. Partecipazioni societarie, che rappresentano quote di partecipazione in una società; 7. Titoli di credito, come azioni e obbligazioni. La cessione di una posizione contrattuale in cambio di un corrispettivo pecuniario potrebbe essere considerata una forma di vendita, se si segue una prospettiva favorevole a questa interpretazione. Tuttavia, ci sono alcune questioni controverse riguardo alla cedibilità di alcuni diritti specifici, come i diritti potestativi e le aspettative. In generale, si tende ad escludere la cessione delle facoltà, considerate parte integrante di un diritto più ampio e non suscettibili di separazione. 25 Va notato che il possesso in quanto tale, cioè separatamente da diritti che conferiscono il diritto di possesso sulla cosa (ius possidendi), di solito non è trasferibile in quanto rappresenta una situazione di fatto e non di diritto, e quindi non è soggetto a circolazione autonoma. 6. I requisiti dell'attribuzione traslativa. Nel contesto della permuta, l'attribuzione traslativa di beni o diritti deve rispettare i requisiti generali previsti per l'oggetto dei contratti, come definiti nell'art. 1346 cc. Questi requisiti includono la possibilità, la liceità e la determinatezza o determinabilità dell'oggetto. La mancanza di uno di questi requisiti può portare alla nullità del contratto, come stabilito dall'art. 1418.2 cc. 1. Possibilità: l'impossibilità materiale si verifica quando il bene o il diritto oggetto della permuta è già perito, immaginario o inesistente, in modo che non possa mai esistere in futuro. L'impossibilità giuridica, invece, riguarda situazioni in cui il bene o il diritto non può essere legalmente trasferito, ad es., a causa di restrizioni legali o impedimenti contrattuali; 2. Liceità: l'oggetto della permuta deve essere lecito, ossia conforme alla legge e non contrario all'ordine pubblico o al buon costume. Se ciò che viene scambiato è illegale, il contratto potrebbe essere considerato nullo; 3. Determinatezza o Determinabilità: l'oggetto della permuta deve essere determinato o almeno determinabile. Questo significa che le parti devono essere in grado di identificare chiaramente ciò che viene scambiato, anche se non è necessario che sia già esistente. Ad es., è possibile scambiare diritti futuri, come crediti futuri, o diritti su cose future, come edifici da costruire, purché siano identificabili in modo chiaro e preciso. Inoltre, è importante notare che la permuta deve rispettare le leggi sulla proprietà e i diritti reali. Se un bene o un diritto non può essere trasferito a causa di restrizioni legali o di altri impedimenti, la permuta potrebbe essere invalida. La conformità alle leggi sulla proprietà e ai diritti reali è un elemento chiave da considerare nella stipula di un contratto di permuta. Nel contesto della permuta, esistono diverse situazioni in cui un bene o un diritto potrebbe essere considerato inalienabile, il che potrebbe portare alla nullità del contratto o rendere il trasferimento inefficace. Ecco alcune considerazioni relative a ciascun aspetto: 1. Diritti della Personalità e Familiari: la legge generalmente considera inalienabili i diritti della personalità e i diritti familiari, poiché sono strettamente legati alla persona e non possono essere oggetto di scambio o alienazione; 2. Diritti a Contenuto Patrimoniale: alcuni diritti a contenuto patrimoniale possono essere considerati inalienabili per legge, ad es.: a. Usufrutto Legale: stabilito per legge in determinate situazioni; b. Credito Alimentare: finalizzato al sostentamento di una persona; c. Diritti di Uso e Abitazione: ex art. 1024 cc, i diritti di uso e abitazione potrebbero essere considerati inalienabili, anche se questa norma è discussa e potrebbe essere derogabile. 3. Inalienabilità Relativa: esistono situazioni di inalienabilità relativa, in cui un diritto non può essere trasferito autonomamente da un'altra situazione soggettiva principale. Ad es., la servitù non può essere alienata separatamente dalla proprietà del fondo dominante. Allo stesso modo, la ditta e l'insegna sono strettamente legate all'azienda e potrebbero non essere trasferibili separatamente. Per quanto riguarda il pegno e l'ipoteca, c'è un dibattito in corso sulla loro alienabilità; 4. Incommerciabilità della Cosa: la cosa oggetto del diritto alienato potrebbe essere soggetta a limiti legali di circolazione. Questi limiti possono essere assoluti o relativi e possono comportare la nullità, l'annullabilità o l'inefficacia dell'atto di alienazione che li viola. In questo contesto, è importante considerare le restrizioni all'alienazione di determinati beni o diritti. Ecco alcune delle restrizioni più comuni che potrebbero influenzare la validità di una permuta: 1. Divieti Temporanei di Alienazione: alcuni beni, come gli alloggi di edilizia economica e popolare o quelli assegnati ai soci di cooperative edilizie con contributo statale, potrebbero essere soggetti a divieti temporanei di alienazione. Ciò significa che non possono essere scambiati o alienati per un determinato periodo di tempo; 26 a. Beni Pubblici e Privatizzazione: i beni relativi alla privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico potrebbero essere soggetti a restrizioni di alienazione. Questi beni possono essere oggetto di piani di sviluppo specifici; b. Usi Civici e Terreni Assegnati: le unità fondiarie gravate da usi civici, i terreni assegnati per la colonizzazione o quelli riscattati in virtù della legislazione sulla riforma fondiaria potrebbero avere restrizioni all'alienazione; 2. Agevolazioni per la Proprietà Coltivatrice: i fondi agricoli acquistati con agevolazioni per la formazione della proprietà coltivatrice potrebbero essere soggetti a restrizioni di alienazione; 3. Costruzioni Abusive e Lottizzazioni abusive: le costruzioni abusive, gli spazi per parcheggio, i terreni e le aree abusivamente lottizzate potrebbero essere soggetti a limiti alla commerciabilità. In molti casi, queste restrizioni sono finalizzate a contrastare l'abusivismo edilizio. Per quanto riguarda la liceità dell'oggetto, le opinioni possono variare a seconda della concezione dell'oggetto del negozio giuridico. Alcuni ritengono che l'oggetto sia la cosa materiale (oggetto del diritto trasferito) e, quindi, non applicano il requisito della liceità all'oggetto stesso, ma piuttosto alla causa del contratto. Altri potrebbero considerare il requisito della liceità anche in relazione all'oggetto, soprattutto se questo può comportare attività illegali o contrarie all'ordine pubblico. Il requisito della determinatezza o determinabilità dell'attribuzione traslativa è essenziale nel contesto di una permuta. Ecco cosa significa: ● Determinatezza dell'Attribuzione Traslativa: la determinatezza si verifica quando il contratto specifica il tipo di diritto che verrà trasferito e, nel caso di diritti reali che riguardano beni materiali, identifica chiaramente il bene oggetto del trasferimento. In altre parole, il contratto deve essere chiaro nell'individuare il diritto e il bene a cui si riferisce; ● Determinabilità dell'Attribuzione Traslativa: la determinabilità si verifica quando il contratto fornisce le informazioni necessarie per identificare il diritto e il bene in modo inequivocabile, anche se potrebbero essere necessari ulteriori riferimenti esterni al contratto stesso per ottenere questa identificazione certa. Questo significa che il contratto può fare riferimento a documenti esterni o a elementi che possono essere determinati successivamente in modo chiaro. Ad es., se due parti stipulano un contratto di permuta e intendono scambiare diritti di proprietà su terreni, il contratto deve essere sufficientemente chiaro nel definire i confini dei terreni e le relative mappe catastali o planimetrie. In questo modo, le parti saranno in grado di identificare in modo specifico i terreni soggetti alla permuta. La determinatezza e la determinabilità sono importanti per garantire la validità della permuta e la chiara identificazione degli oggetti dello scambio. Questi requisiti aiutano a evitare ambiguità e controversie in futuro e assicurano che entrambe le parti abbiano una comprensione chiara di cosa sia oggetto della permuta. I diritti di credito sono entità ideali e astratte che possono essere alienate mediante permuta. La loro individuazione avviene in base a vari elementi, tra cui le parti coinvolte nel rapporto creditizio, il contenuto del credito e gli eventi che lo hanno generato. Quando si tratta dell'alienazione di un insieme di beni mobili (universalità di beni mobili), le singole cose che ne fanno parte possono essere determinate per relazione all'intera universalità. Ad es., se un inventario è allegato al contratto, le cose incluse nell'inventario sono considerate parte del contratto. Lo stesso principio si applica all'alienazione di aziende o eredità. Le singole cose o diritti che compongono un'azienda o un'eredità possono essere determinati facendo riferimento all'azienda stessa o al patrimonio dell'eredità al momento dell'apertura della successione. Il requisito della determinabilità si applica quando il contratto fornisce criteri chiari che consentono di individuare il diritto o la cosa in modo inequivocabile. Tuttavia, se la cosa è solo determinabile e non già determinata, l'effetto traslativo non può prodursi fino a quando la cosa non viene effettivamente determinata. Ciò è in linea con la disciplina relativa all'alienazione di cose generiche, che richiede l'individuazione successiva alla stipula del contratto per le cose che sono solo determinabili. Le cose generiche sono differenti dalle cose specifiche, in quanto nel contratto vengono identificate solo attraverso il genere a cui appartengono (che può essere illimitato o limitato) e la loro quantità (peso, numero o misura). 27 almeno per analogia, alla complessiva operazione economica che combina questo contratto con i successivi atti di trasferimento (pagamenti traslativi). Il contratto che coinvolge lo scambio di un'area edificabile con unità immobiliari di un edificio da costruire solleva questioni riguardo al suo inquadramento e coordinamento con la disciplina dell'appalto. La dottrina dominante e la giurisprudenza generalmente qualificano questo tipo di contratto come una permuta di cosa presente (il suolo) con cosa futura (le unità immobiliari in costruzione). Tuttavia, a causa dell'importanza dell'obbligazione di costruire nell'ambito dell'appalto e della locazione d'opera, alcune interpretazioni alternativamente vedono questo contratto come un misto tra vendita e appalto. Queste diverse interpretazioni conducono a una sorta di regolamentazione dei confini dell'accordo. A seconda della volontà effettiva delle parti nei casi concreti, il contratto può essere qualificato come una permuta, un contratto misto tra vendita e appalto, oppure può implicare un collegamento tra una vendita del suolo e un contratto di appalto, con l'obbligo di costruire l'edificio da parte dell'acquirente dell'area. Quest'ultimo scenario può comportare che l'edificio venga acquisito per accessione in proprietà superficiaria dall'originario proprietario del suolo. La distinzione tra la vendita e la permuta in un contratto che coinvolge un'area edificabile e unità immobiliari da costruire dipende dalla volontà effettiva delle parti e dall'importanza attribuita all'obbligo di costruire. Nel primo caso, la permuta si verifica quando il trasferimento reciproco di proprietà attuale del suolo e di proprietà futura delle unità immobiliari è al centro dell'accordo, con l'obbligo di costruire considerato come accessorio. Nel secondo caso, si tratta di una vendita quando la costruzione dell'edificio è l'obiettivo principale delle parti, e la cessione dell'area è solo un mezzo per raggiungere questo obiettivo. Tuttavia, se le reciproche alienazioni avvengono tra comunisti come parte dello scioglimento della comunione, la causa di scambio tipica della permuta viene meno, e il contratto potrebbe essere qualificato come una divisione. È importante notare che, ai fini delle imposte indirette, le divisioni di comunioni tra gli stessi soggetti sono considerate come permuta, tranne nel caso in cui l'ultimo acquisto di quote derivi da una successione mortis causa.9 8. (Segue) Criteri distintivi tra vendita e permuta. La permuta con conguaglio in denaro (con particolare riferimento allo scambio tra autoveicolo nuovo e usato). La distinzione tra vendita e permuta è chiara in astratto: la vendita comporta il trasferimento di un diritto in cambio di un prezzo, mentre la permuta prevede il trasferimento reciproco di diritti o di situazioni giuridiche. Un es. specifico è dato dalla permuta con conguaglio in denaro, che può includere lo scambio tra un autoveicolo nuovo e uno usato, dove il pagamento in denaro rappresenta la differenza tra i valori dei veicoli coinvolti. La differenza fondamentale tra la vendita e la permuta è la presenza necessaria del prezzo come corrispettivo del diritto alienato dal venditore nella vendita. Il denaro si caratterizza per la sua utilità come mezzo generale di misura del valore e di scambio di beni e servizi. Tuttavia, in alcune situazioni concrete, può sorgere il problema di distinguere tra vendita e permuta, e questo richiede criteri specifici. Nonostante l'art. 1555 cc equipari in gran parte la vendita e la permuta, il problema della distinzione tra i due tipi di contratto persiste a causa delle peculiarità delle diverse transazioni. Il riferimento alle norme sulla vendita contenuto nell'art. 1555 non è assoluto e non tutte le norme applicabili alla vendita si estendono automaticamente alla permuta. Inoltre, alcune disposizioni sono specifiche solo per la permuta e derogano alla disciplina della vendita, mentre altre norme escludono espressamente l'applicabilità alla permuta. L'inquadramento di un accordo specifico come vendita o permuta può avere conseguenze pratiche significative, poiché può determinare l'applicazione di discipline legali (anche parzialmente) diverse, a seconda della qualificazione scelta. Pertanto, la distinzione tra vendita e permuta rimane un tema di dibattito nella dottrina e nella giurisprudenza, specialmente in situazioni confinanti in cui la distinzione non è chiara. Per quanto riguarda il problema della qualificazione tra vendita e permuta in situazioni complesse, alcune circostanze possono rendere difficile l'inquadramento di un contratto in uno dei due tipi contrattuali. Ecco alcuni casi problematici: 1. Attribuzione traslativa in cambio di attribuzione traslativa o somma di denaro alternativamente: se il contratto prevede l'attribuzione traslativa di un bene in cambio di un'altra attribuzione traslativa o di una somma di denaro in modo alternativo, sarà l'atto di scelta, da effettuare secondo le regole sull'obbligazione 9 C.d divisione con masse plurime. 30 alternativa, a determinare la natura del contratto. La scelta definitiva stabilirà se si tratta di una permuta o di una vendita; 2. Compensazione dei prezzi in due vendite reciproche: se due contratti di vendita reciproca prevedono fin dall'inizio la compensazione dei prezzi, l'operazione sembra rientrare nello schema della permuta. In questo caso, l'effettivo significato socio-economico dell'operazione è quello dello scambio di beni tra le parti; 3. Scambio con conguaglio in denaro: al di fuori dei casi sopra descritti, la difficoltà nell'inquadramento tra vendita e permuta può sorgere quando uno scambio prevede il reciproco trasferimento di diritti, tipico della permuta, ma include anche il pagamento di un ulteriore corrispettivo in denaro (conguaglio) da parte di una delle parti a favore dell'altra. Questo schema sembra ricalcare l'obbligazione di pagamento del prezzo prevista per la vendita; 4. Surrogazione al denaro e valutazione del bene come pagamento: in altre situazioni, la difficoltà nell'inquadramento può derivare dalla capacità di alcune entità di considerare un bene diverso dalla moneta avente corso legale come pagamento del prezzo. In questo caso, il valore del bene trasferito viene considerato come un pagamento senza che la res prestata assuma un'importanza specifica connotata di infungibilità. Il problema dell'inquadramento tra vendita e permuta può sorgere in situazioni complesse in cui si verificano alternative nelle attribuzioni traslative, compensazioni di prezzi o pagamenti aggiuntivi in denaro. La determinazione definitiva del tipo contrattuale dipenderà dalle specifiche circostanze e dalla volontà delle parti nella negoziazione. In generale, un contratto può essere considerato una vendita quando le parti pattuiscono espressamente che il prezzo, sebbene costituisca un'obbligazione pecuniaria, può essere pagato tramite mezzi diversi dalla moneta contante, come cambiali, assegni, bonifici bancari, mezzi elettronici di pagamento, accollo di mutuo, cessione di crediti pecuniari o altri strumenti simili. Anche se il pagamento con questi mezzi avviene in fase esecutiva del contratto, la qualificazione del contratto sarà basata sul programma negoziale concordato originariamente, e non sulle successive variazioni nel modo di pagamento. Pertanto, il contratto sarà considerato una vendita, eventualmente seguita da una datio in solutum. Tuttavia, esistono situazioni in cui si può avere uno scambio tra attribuzioni traslative, di cui una parte diversa dalla moneta (o da crediti pecuniari) viene considerata dalle parti come un surrogato immediato della moneta a causa della sua facile convertibilità in valuta a correnti prezzi di mercato. Ad es., potrebbe trattarsi dell'alienazione di un diritto in cambio di lingotti d'oro, azioni quotate in borsa, quote di fondi di investimento o titoli di Stato. In tali casi, potrebbe essere ragionevole qualificare il contratto come una vendita, come talvolta ha fatto la giurisprudenza. Dunque, la qualificazione tra vendita e permuta dipende dal modo in cui le parti concordano il pagamento e dalla considerazione della sostanza dell'attribuzione traslativa non monetaria nel contesto dell'accordo negoziale. Se il contratto prevede espressamente il pagamento in modo diverso dalla moneta contante, è probabile che sia una vendita. Tuttavia, in situazioni particolari in cui una parte non monetaria è trattata come un surrogato immediato della moneta, la qualificazione può variare. In situazioni in cui una delle reciproche attribuzioni traslative non ha le caratteristiche socio-economiche di un immediato surrogato della moneta, ma è stata considerata dalle parti esclusivamente per il suo valore di scambio oggettivo, a tal punto da essere valutata come se fosse un prezzo, si potrebbe ancora qualificare il contratto come una permuta. Tuttavia, in queste circostanze, il corrispettivo non monetario, soprattutto se è caratterizzato da genericità e fungibilità, potrebbe funzionalmente avvicinarsi al denaro, almeno in misura variabile a seconda dei casi. Anche se si decidesse di non applicare completamente la disciplina delle obbligazioni pecuniarie in queste situazioni, ciò potrebbe comportare la compatibilità di alcune norme relative al prezzo previste per la vendita, specialmente quelle che si basano sulla fungibilità della moneta. Questo risultato sarebbe molto simile a qualificare la transazione come una vendita sul piano pratico. Queste considerazioni potrebbero essere estese anche alle situazioni in cui uno dei termini dello scambio è costituito da un surrogato immediato della moneta, se si decidesse di mantenere la qualificazione come permuta. In sostanza, la qualificazione tra vendita e permuta può variare in base a come le parti considerano e valutano le attribuzioni traslative non monetarie nel contesto del contratto. Anche se una transazione è tecnicamente una permuta, potrebbe funzionalmente assomigliare a una vendita, specialmente se il corrispettivo non monetario è trattato come un surrogato della moneta. 31 In situazioni in cui il corrispettivo di un'attribuzione traslativa consiste sia in un'altra attribuzione traslativa che in una somma di denaro, si tratta di una permuta con conguaglio, in cui il denaro supplementare viene utilizzato per compensare la differenza di valore oggettiva tra i diritti scambiati. In questa situazione, il corrispettivo che consiste in denaro assume le caratteristiche del prezzo, rendendo l'operazione in parte simile a una vendita e in parte simile a una permuta. Il codice civile del 1865 affrontava questa situazione specificamente nel contesto della rescissione per lesione, limitandola alla vendita immobiliare e escludendo la permuta. In questa circostanza, l'art. 1554 stabiliva che se una delle parti aveva accettato un conguaglio in denaro che superava il valore dell'immobile che aveva dato in permuta, il contratto doveva essere considerato come una vendita, e l'azione di rescissione spettava alla parte che aveva ricevuto il conguaglio. Il criterio utilizzato dal codice civile del 1865 per risolvere questo problema era oggettivo e basato su una valutazione quantitativa, in cui si considerava la prevalenza aritmetica del valore tra la cosa (o il diritto) e il denaro nell'intero corrispettivo. Se il valore della cosa superava il valore del denaro, il negozio era considerato una permuta; se il valore del denaro superava il valore della cosa, il negozio era considerato una vendita. Il codice civile attuale ha introdotto alcune modifiche rispetto all'approccio del codice del 1865 per quanto riguarda la qualificazione dei contratti che coinvolgono una permuta con conguaglio. In primo luogo, la disciplina sulla rescissione per lesione è stata trasferita nella parte generale del contratto (artt. 1448 ss), estendendo così la possibilità di richiedere la rescissione per lesione a tutti i tipi di contratto, inclusi quelli di permuta. Inoltre, il codice attuale non contiene una disposizione simile al comma 2 dell'art. 1554 del codice del 1865, che stabiliva che in presenza di un conguaglio in denaro superiore al valore dell'immobile dato in permuta, il contratto doveva essere considerato una vendita. In questo contesto normativo, una parte della dottrina ha cercato di risolvere il problema della qualificazione dei contratti di permuta con conguaglio utilizzando il criterio della prevalenza, ma diverge sulla base di quale parametro effettuare tale giudizio, se oggettivo o soggettivo. All'interno di questa corrente di pensiero, un approccio sostiene la continuazione dell'utilizzo del criterio oggettivo di prevalenza basato sul valore, già presente nel codice civile del 1865. Questa visione ritiene che il criterio oggettivo sia più idoneo a evitare incertezze applicative e che la mancanza di riproposizione della disposizione nel nuovo codice non implichi necessariamente la sua negazione, poiché la sua estensione generale alla rescissione per lesione copre anche la permuta e, pertanto, il criterio oggettivo potrebbe continuare a essere applicato per altri scopi.10 Un altro approccio nella dottrina considera il criterio soggettivo di prevalenza, basato sull'interesse delle parti nel contratto, in particolare dell'acquirente. Secondo questo criterio, il contratto dovrebbe essere qualificato come permuta se l'interesse principale delle parti è rivolto all'attribuzione traslativa piuttosto che al denaro, mentre dovrebbe essere considerato una vendita nell'ipotesi opposta. Con questo criterio, il contratto potrebbe essere classificato come permuta anche se il valore oggettivo del conguaglio supera quello dell'attribuzione traslativa, a condizione che l'interesse predominante fosse concentrato su quest'ultima. All'interno di questa corrente di pensiero, alcune opinioni integrano il criterio quantitativo del valore come un indicatore dell'interesse prevalente, presumendo in linea di massima che la prevalenza dell'interesse sia in qualche modo riflesso della prevalenza di valore. Tuttavia, questa presunzione potrebbe essere superata se tutte le circostanze del caso concreto, considerate nel loro insieme, indichino che l'interesse principale era concentrato altrove. In pratica, questo approccio si basa sull'analisi dell'interesse soggettivo delle parti nel contratto per determinare se si tratti di permuta o vendita, e il valore oggettivo è utilizzato come indicatore di tale interesse, ma non necessariamente come regola di soluzione. Un'altra parte della dottrina evita di seguire un'approccio "esclusivo" basato sulla prevalenza (sia oggettiva che soggettiva) e considera la situazione in questione come un contratto atipico o addirittura come un contratto misto, come ad es. un contratto misto di vendita e permuta. Questa prospettiva è in linea con la cosiddetta "teoria della 10 In sintesi, il codice attuale ha aperto il dibattito sulla qualificazione dei contratti di permuta con conguaglio, e la dottrina diverge su come affrontare questa questione, con alcune correnti che preferiscono un criterio oggettivo basato sul valore e altre che propongono un criterio soggettivo. 32 ● Compensazione per deterioramenti: è generalmente accettato che il permutante garante debba compensare in denaro eventuali diminuzioni di valore causate da deterioramenti della cosa; ● Aumento di valore dovuto a miglioramenti: c'è disaccordo sulla questione dell'aumento di valore dovuto a miglioramenti. Alcuni sostengono che l'art. 936 cc possa essere applicato, consentendo al garante di richiedere un'indennità, con la possibilità di compensare le somme dovute come risarcimento del danno Altri ritengono che l'unico rimedio sia l'azione di ingiustificato arricchimento; ● Restituzione della cosa deteriorata: il permutante evitto ha il diritto di chiedere la restituzione della cosa che ha trasferito, anche se questa ha subito deterioramenti o una diminuzione di valore. Questo principio è basato sull'art. 1479.2 cc, che tratta la vendita e viene richiamato dall'art. 1483 cc. Tuttavia, se i deterioramenti o la diminuzione di valore sono stati causati dal permutante evitto, l'altro contraente può tener conto del valore dell'utile ottenuto dall'evizione; ● Determinazione del controvalore monetario: se il permutante evitto sceglie il controvalore monetario della cosa persa, il suo valore dovrebbe essere determinato al momento dell'evizione, considerando sia i deterioramenti che gli eventuali miglioramenti, in modo che l'evitto non riceva né più né meno di quanto ha perso; ● Rimborso delle spese: l'art. 1479.3 cc, stabilisce che il permutante garante è tenuto a rimborsare all'evitto le spese necessarie e utili sostenute per la cosa, e, se era in mala fede, anche le spese voluttuarie. ● Ristoro dei danni: Ex art 1553 cc. In questo contesto, si applica la disciplina della vendita in materia di evizione. In merito all'interesse negativo nella garanzia per evizione nella permuta: 1. L’evitto ha diritto al valore dei frutti che ha dovuto corrispondere al terzo evincente, come stabilito dall'art. 1483.2 cc. Questo valore include anche le spese sostenute durante la lite, sia per la chiamata in causa dell'altro permutante (come previsto dall'art. 1485 cc, che si applica anche alla permuta), sia per la condanna alle spese verso il terzo evincente; 2. L’evitto ha anche il diritto di ottenere il rimborso delle spese sostenute per il contratto. Tuttavia, questo diritto non sussiste nel caso in cui l'evitato scelga di ricevere il valore della cosa eviziata anziché richiedere la restituzione della prestazione eseguita da lui stesso, cioè opti per la risoluzione del contratto. In questo caso, il pagamento da parte dell'altro permutante è considerato una prestazione surrogatoria di quella originariamente dovuta, il che significa che il contratto rimane in vigore in qualche modo e l'equilibrio contrattuale originario viene sostanzialmente ripristinato; 3. Per quanto riguarda il risarcimento dell'eventuale interesse positivo, si applicano le regole generali. Nella permuta sono applicabili anche le seguenti disposizioni: ● Gli artt. 1481, 1486, 1487 e 1488 cc, che regolamentano varie questioni relative alla permuta; ● L'art. 1482 cc, secondo il quale un permutante che ha acquistato una cosa gravata da garanzie reali o vincoli derivanti da pignoramento o sequestro può sospendere l'esecuzione del contratto se era ignaro della loro esistenza. Il giudice può fissare un termine, alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto viene risolto, e l'alienante deve risarcire il danno, come stabilito dall'art. 1479 cc; ● L'art. 1489 cc, che stabilisce che se la cosa è gravata da oneri o diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, l'acquirente che ne è all'oscuro può richiedere la risoluzione del contratto o una riduzione del prezzo, in conformità con quanto previsto dall'art. 1480 cc. Inoltre, va notato che il codice attuale non ripete la disposizione dell'art. 1553 del codice civile del 1865, che stabiliva che la risoluzione del contratto per evizione non avrebbe influito sui diritti acquisiti dai terzi prima della trascrizione della domanda giudiziale. Tuttavia, i terzi subacquirenti ricevono la stessa protezione in base alle regole generali stabilite dall'art. 2652 del codice civile (per i beni immobili) e dall'art. 2690 cc (per i beni mobili registrati). 3. L'evizione parziale. Nel caso dell'evizione parziale nella vendita, la situazione è regolata dall'art. 1484 cc. Questo art. stabilisce che in caso di evizione parziale, si devono seguire le disposizioni dell'art. 1480 e del secondo comma dell'art. precedente. L'art. 1480 consente all'acquirente di una cosa parzialmente altrui di richiedere la risoluzione del contratto (e il risarcimento del danno) se, in base alle circostanze, si ritiene che non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di 35 cui non è diventato proprietario. In caso contrario, può ottenere solo una riduzione del prezzo, con il risarcimento del danno. Tuttavia, sorge un interrogativo in relazione alla permuta riguardo alla compatibilità di questo secondo rimedio. Questo perché nella permuta non c'è un prezzo o un corrispettivo in denaro come avviene nella vendita. In questo contesto, il problema della riduzione del corrispettivo in caso di evizione parziale può essere superato in alcuni casi. Quando si affrontano attribuzioni divisibili, in cui è possibile effettuare una riduzione in natura, la situazione è più chiara. Ad es., se nell'accordo di permuta sono scambiati dieci acri di terreno da un lato e venti acri dall'altro, e due degli acri da dieci vengono persi a causa dell'evizione, l'evitto dovrebbe trasferire solo sedici acri invece di venti. Se aveva già trasferito tutti e venti gli acri, potrebbe richiedere quattro acri in restituzione. Tuttavia, quando il bene oggetto della permuta è indivisibile e la riduzione in natura non è possibile, la dottrina ha proposto diverse soluzioni. In passato, si è suggerito di applicare la riduzione dei corrispettivi attraverso "congrue rifatte," senza specificare il criterio di determinazione. Altre opinioni hanno suggerito il rimborso del valore corrente della cosa, ma questa proposta è stata criticata poiché il pagamento del controvalore non sarebbe equivalente alla riduzione del prezzo, ma rappresenterebbe una forma di risarcimento del danno. In risposta a queste critiche, si è sostenuto che il risarcimento del danno dovrebbe essere ammesso solo se l'inadempimento è imputabile al contraente, mentre la riduzione del corrispettivo è un rimedio oggettivo che non dipende dall'imputabilità dell'inadempimento. Pertanto, queste due misure dovrebbero essere considerate autonome e non completamente intercambiabili. La questione della riduzione del prezzo nella permuta in caso di evizione parziale è stata esaminata sotto diverse prospettive. Si è sostenuto che la riduzione del prezzo può ristabilire l'equilibrio contrattuale originario e ripristinare l'equivalenza soggettiva delle prestazioni, garantendo che essa operi con riferimento al bene integro dato dal permutante non inadempiente. Inoltre, il valore del bene deve essere calcolato al momento del contratto. Tuttavia, va notato che in alcune situazioni, sebbene rare, lo scambio potrebbe avvenire senza un rapporto di valore tra i beni permutati. In tali casi, una riduzione del prezzo basata sul criterio proposto potrebbe essere considerata arbitraria. Inoltre, tutte le opinioni esaminate finora si sono concentrate sulla compatibilità della disciplina dell'evizione nella permuta rispetto a quella prevista per la vendita, trascurando la specifica logica "differenziale" che la disciplina della permuta esprime in materia di evizione nell'art. 1553 cc. Questo aspetto non è stato adeguatamente affrontato nelle analisi precedenti, e quindi è necessario considerare la prospettiva offerta dall'art. 1553 in relazione all'evizione parziale nella permuta. Nel trattare la questione della riduzione del prezzo nella permuta in caso di evizione parziale, è importante considerare la prospettiva offerta dalla disciplina specifica della permuta stessa, come stabilita nell'art. 1553 cc. Pertanto, in base a questa prospettiva e integrando l'art. 1553 nel problema dell'applicabilità dell'art. 1484 e, attraverso di esso, dell'art. 1480 cc, si possono trarre le seguenti conclusioni11: ● Se il permutante parzialmente evitto non avrebbe acquistato la cosa senza la parte persa a causa dell'evizione, ha il diritto di richiedere la risoluzione del contratto, in conformità con quanto stabilito dall'art. 1480 cc. Tuttavia, in alternativa, può scegliere di mantenere il contratto e accettare la prestazione "surrogatoria" offerta dal permutante garante, che consiste nel pagamento del valore al momento dell'evizione della parte della cosa persa; ● Se l'attribuzione prevista nel contratto, colpita dalla parziale evizione, ha un valore complessivo superiore alla somma del valore della parte della cosa non persa e del denaro corrispondente al controvalore della parte persa, il permutante evitto può richiedere il pagamento dell'eventuale differenza come risarcimento del danno positivo. Questo risarcimento è regolamentato nell'ultimo inciso dell'art. 1553 cc e dipende dalla presenza del presupposto soggettivo della colpa da parte del garante, come richiede l'opinione dominante per l'applicazione di questa misura risarcitoria. Nel caso in cui non risulti che il permutante garantito non avrebbe acquistato la cosa senza la parte evitta, sono disponibili diverse opzioni: ● Il permutante evitto può chiedere la riduzione del corrispettivo che deve affermare, se possibile, in natura o, se ciò non è possibile, ottenendo un rimborso monetario. Il calcolo del rimborso dovrebbe essere 11 In sintesi, la disciplina specifica della permuta, come stabilita nell'art. 1553 cc, fornisce orientamenti chiari su come trattare l'evizione parziale in caso di permuta, e questi principi dovrebbero essere applicati in conformità con le specifiche circostanze contrattuali. 36 effettuato in base ai criteri precedentemente esposti e con riferimento al momento della conclusione del contratto; ● In alternativa alla riduzione del corrispettivo, in conformità con il criterio specificamente previsto per la permuta nell'art. 1553 cc, il permutante parzialmente evitto può richiedere la corresponsione del valore della porzione di cosa persa a causa dell'evizione parziale. Questo valore dovrebbe essere calcolato in base al momento dell'evizione stessa; ● Se sussistono i presupposti, il permutante evitto può anche richiedere il risarcimento dell'eventuale interesse positivo violato. Va notato che c'è un'opinione isolata che suggerisce che l'art. 1553 cc potrebbe consentire al permutante parzialmente evitto di chiedere alla controparte garante in mala fede, anziché la risoluzione, il controvalore pecuniario dell'intera cosa parzialmente persa a causa dell'evizione. Questo potrebbe comportare una sorta di riacquisto forzato del bene da parte del garante. 4. L'evizione bilaterale (totale e parziale). Nel contesto della permuta, l'efficacia traslativa bilaterale implica che entrambi i permutanti possano potenzialmente subire l'evizione. Tuttavia, questo solleva un dibattito, principalmente di natura dottrinale12, poiché non ci sono sentenze specifiche sulla questione, riguardo all'applicabilità della regola prevista nell'art. in esame. Secondo un'opinione, l'alternativa offerta da questa disposizione potrebbe non essere applicabile in un contesto in cui entrambi i permutanti subiscono l'evizione, poiché, a causa di questa evizione bilaterale, non sarebbe possibile per i contraenti richiedere la restituzione delle prestazioni originariamente effettuate, dato che i diritti scambiati sono ora detenuti da terzi. Di conseguenza, ciascun permutante potrebbe chiedere all'altro solo il valore monetario della parte di cosa persa a causa dell'evizione, insieme al risarcimento del danno. Tuttavia, va notato che anche se si suppone che le cose o i diritti scambiati avessero un valore equivalente al momento della conclusione del contratto, non è garantito che le reciproche obbligazioni pecuniarie che emergerebbero da questa situazione siano completamente compensate tra loro. Nel frattempo, potrebbe essersi verificato un aumento del valore di una delle prestazioni rispetto all'altra, e i danni subiti dai due permutanti potrebbero essere stati quantificati in misura diversa. In tal caso, uno dei permutanti potrebbe rimanere creditore di una somma pari alla differenza tra quanto gli spetta dalla controparte e quanto deve a questa. In questo contesto, è importante notare che questa situazione non preclude necessariamente la possibilità di adottare la prima alternativa offerta dall'art. 1553 cc. In altre parole, anche se l'evizione bilaterale impedisce ai permutanti di recuperare fisicamente le cose scambiate, è sempre possibile ottenere il loro equivalente monetario. Questo principio di tutela è comunemente riconosciuto quando la cosa da ripetere è stata distrutta o alienata, ed è applicabile anche in questo caso. Di conseguenza, in caso di evizione bilaterale, è possibile seguire la prima delle opzioni alternative offerte dall'art. 1553 cc, che prevede la restituzione (sotto forma di equivalente monetario) della cosa data in permuta. Tuttavia, ci potrebbe essere la complicazione che uno dei permutanti debba qualcosa all'altro per ragioni analoghe a quanto discusso in precedenza. Quanto alla compatibilità tra le domande discordanti dei due permutanti, una rivolta alla restituzione (sotto forma di equivalente monetario) della cosa data in permuta e l'altra rivolta all'ottenimento del valore della cosa evitata, sembra che tale compatibilità debba essere esclusa. Questo perché la prima opzione offerta dall'art. 1553 cc presuppone la risoluzione della permuta, mentre la seconda la esclude, considerandola come una forma di manutenzione del contratto. In tal caso, potrebbe essere necessario adottare una soluzione basata sul criterio della prevenzione, simile a quanto previsto dall'art. 1453 cc per situazioni in cui i contraenti richiedono adempimento o risoluzione del contratto a causa di inadempimenti reciproci di equivalente entità. Questo criterio darebbe priorità alla prima domanda presentata. In merito all'applicabilità dell'art. 1553 cc e della sua duplice alternativa all'ipotesi dell'evizione bilaterale nella permuta, esiste un'opinione che nega in radice questa applicabilità. Secondo questa visione, l'art. 1553 12 In breve, la possibilità di evizione bilaterale nella permuta solleva questioni complesse riguardo alla compensazione delle obbligazioni pecuniarie tra i permutanti, e la soluzione dipenderà dalle circostanze specifiche e dalle leggi applicabili. 37 In passato, c'era una disputa sulla validità del patto di accollo degli oneri fiscali alla parte che aveva causato la registrazione a causa del suo inadempimento. Questa controversia è stata affrontata dall'art. 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986, che ha confermato la validità di tale patto. Tuttavia, alcuni hanno sollevato dubbi sull'eventuale illegittimità costituzionale di questa disposizione. Altri sostengono la validità del patto di accollo degli oneri fiscali in base all'art. 8.2 della legge n. 212 del 27 luglio 2000, il quale consente l'accettazione del debito d'imposta di un altro senza liberare il contribuente originario. Infine, se esiste un vincolo solidale tra i permutanti per una spesa coperta dall'art. 1554 cc, come ad es. l'imposta di registro, chi è costretto a pagare l'intero importo al creditore può rivalersi sulla controparte per la metà o per la quota prevista da un accordo tra le parti, seguendo le regole delle obbligazioni solidali stabilite dagli artt. 1298 e 1299 cc. 2. Profili tributari. Dal punto di vista fiscale, il contratto di permuta è regolato dall'imposta di registro in base agli artt. 21.2, e 43.1, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (T.U.R.). L'art. 21.2, stabilisce che se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente l'una dall'altra per la loro intrinseca natura, l'imposta si applica come se l'atto contenesse solo la disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa. L'art. 43.1, lett. b, dispone che per i contratti di permuta, la base imponibile è costituita dal valore del bene che dà luogo all'applicazione della maggiore imposta. Questo significa che ai fini dell'imposta di registro, è necessario considerare sia gli aspetti oggettivi che soggettivi dell'atto per determinare l'eventuale diritto ad agevolazioni fiscali, separatamente per ciascuna vicenda traslativa. Nel caso in cui i beni scambiati siano omogenei (ad es., due fondi agricoli o due porzioni di fabbricato) e l'aliquota applicabile sia la stessa per entrambi, sarà il maggior valore imponibile di uno di essi a determinare l'imposta più onerosa da pagare. Se i beni scambiati sono eterogenei e soggetti ad aliquote fiscali differenti, sarà necessario calcolare l'imposta dovuta per ciascun bene trasferito. In alcuni casi, l'imposta più onerosa potrebbe essere determinata dal carico fiscale relativo a un bene di valore inferiore ma soggetto a un'aliquota fiscale più elevata.13 Nel caso in cui un permutante trasferisca all'altro più di un bene, è necessario calcolare l'imposta di registro separatamente per ciascuna attribuzione patrimoniale corrispettiva. Ad es., se Tizio cede a Caio una porzione di fabbricato e un terreno edificabile in cambio di un fondo agricolo, occorre valutare se l'imposta dovuta per il trasferimento dei due beni è inferiore o superiore a quella dovuta per la cessione del fondo agricolo. Per quanto riguarda l'IVA, ai sensi dell'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi sono soggette all'IVA separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono effettuate. Ciò significa che se entrambe le cessioni coinvolte nella permuta sono soggette a IVA, ciascun permutante deve emettere una fattura per la propria prestazione. In questo caso, la permuta è soggetta anche all'imposta di registro in misura fissa, come previsto dall'art. 40.1 del T.U.R. Tuttavia, viene dovuta solo un'imposta di registro (fissa). Se solo una delle attribuzioni patrimoniali operate dalla permuta rientra nel campo di applicazione dell'IVA, allora l'imposta di registro si applica sulla cessione o prestazione non soggetta all'IVA, come stabilito dall'art. 40.2 del T.U.R. In questo caso, la permuta è interessata da una doppia imposizione in misura proporzionale (IVA e registro), superando il principio tradizionale dell'alternatività, secondo il quale non dovrebbe essere corrisposta l'imposta di registro per operazioni soggette a IVA. Per quanto riguarda l'imposta ipotecaria, essa è commisurata alla base imponibile determinata ai fini dell'imposta di registro, che, come visto, è data dal valore dell'attribuzione che dà luogo all'applicazione della maggiore imposta. Pertanto, la permuta è soggetta a un'unica imposta ipotecaria. Per quanto riguarda l'imposta catastale, in passato si riteneva che dovessero essere corrisposte imposte catastali separate per ciascun immobile permutato, in quanto la voltura catastale avveniva separatamente per ciascun immobile coinvolto nella permuta. Tuttavia, questa interpretazione è stata successivamente abbandonata in seguito a modifiche normative. 13 In breve, la tassazione della permuta tiene conto dei valori e delle aliquote fiscali dei beni scambiati, applicando l'imposta più onerosa tra quelli coinvolti nell'atto di permuta. 40 L'entrata in vigore dell'art. 10 del d.lgs. n. 23/2011 ha modificato la disciplina delle imposte ipotecarie e catastali. Secondo questa modifica, è previsto che per gli atti assoggettati alla nuova disciplina, l'imposta catastale è fissata in euro cinquanta per ciascuna delle imposte ipotecarie e catastali dovute. Pertanto, l'Agenzia delle Entrate ha riconosciuto che l'imposta catastale per la permuta è dovuta una sola volta. In riferimento agli atti di permuta immobiliare soggetti all'IVA, la circolare menzionata ha stabilito che si applicano due imposte ipotecarie nella misura fissa di 200 euro ciascuna, oltre a due imposte catastali nella misura fissa di 200 euro ciascuna, a meno che la permuta non abbia ad oggetto beni immobili strumentali. In quest'ultimo caso, si applica l'imposta di registro nella misura fissa di 200 euro, insieme all'imposta ipotecaria nella misura proporzionale del 3% e all'imposta catastale nella misura proporzionale dell'1% per ciascun bene immobile coinvolto. Tuttavia, questa interpretazione è stata oggetto di critiche, in quanto alcuni ritengono che essa possa obliterare l'autonomia delle regole che disciplinano le imposte ipotecaria e catastale, estendendo indebitamente il criterio applicato all'IVA, il quale considera la permuta come una doppia cessione. Ciò potrebbe contraddire la struttura unitaria della fattispecie della permuta. 41 ART. 1555 APPLICABILITÀ DELLE NORME SULLA VENDITA “Le norme stabilite per la vendita si applicano alla permuta, in quanto siano con questa compatibili.” CAPITOLO I. PERMUTA E DISCIPLINA DELLA VENDITA 1. La disciplina applicabile alla permuta: premessa. La disciplina codicistica relativa alla permuta è estremamente limitata e si basa principalmente sugli artt. 1553 e 1554 cc. Nonostante un'analisi più ampia della legislazione speciale, si nota che la permuta è presa in considerazione solo in alcune disposizioni relative alla prelazione legale e, in alcuni aspetti, alla vendita dei beni di consumo. Al di fuori di questi riferimenti normativi limitati, la regolamentazione della permuta si basa principalmente sulla mutuazione di disposizioni da altre discipline, sia generali che speciali. Sotto il primo aspetto, le disposizioni generali relative ai contratti di alienazione sono direttamente applicabili anche alla permuta. Tali disposizioni sono state discusse in dettaglio in precedenza. È importante notare che l'art. 2817.1 cc stabilisce che l'alienante ha un diritto di ipoteca legale sugli immobili oggetto di alienazione per garantire l'adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di alienazione, che si applica non solo alla vendita ma anche alla permuta. Infatti, la permuta può presentare anche aspetti obbligatori, ad es. quando una delle attribuzioni corrispettive include un pagamento in denaro da effettuare in un secondo momento. Inoltre, l'art. 1323 cc stabilisce che la permuta è regolata anche dalle altre norme contrattuali in generale, a meno che non siano derogate dalle disposizioni specifiche sulla vendita, che in gran parte si applicano anche alla permuta. Le altre disposizioni di carattere generale si applicano alla permuta, inclusi aspetti come la capacità dei contraenti, la legge di circolazione dei beni oggetto della permuta, le modalità di conclusione del contratto, la revocabilità degli atti in frode ai creditori, le disposizioni fallimentari e molto altro. Gli aspetti più rilevanti delle regole di carattere generale applicabili alla permuta sono stati discussi in dettaglio in sezioni precedenti, mentre altri possono essere tralasciati poiché non sono centrali per la comprensione della permuta. 2. La disciplina della vendita e il filtro della "compatibilità": il criterio "strutturale" del prezzo. La regolamentazione della permuta è fortemente influenzata dalla normativa prevista per la vendita, come indicato nell'art. discusso. Tuttavia, questa influenza non comporta una semplice applicazione meccanica delle leggi sulla vendita alla permuta. Invece, l'art. 1555 cc richiede che il trasferimento normativo tra i due tipi di contratto sia valutato in base al criterio di "compatibilità". In altre parole, non tutte le disposizioni relative alla vendita possono essere applicate alla permuta, ma solo quelle compatibili con la sua natura intrinseca. La precisazione contenuta nell'ultimo inciso dell'art. 1555 sembra limitare la portata del rinvio alle leggi sulla vendita, indicando che la disciplina della vendita non può essere applicata integralmente alla permuta. Questo pone l'interprete di fronte al compito di identificare esattamente quali disposizioni sono incompatibili con la natura della permuta e, di conseguenza, quali norme possono essere applicate alla permuta in base alla disciplina della vendita. La dottrina tende a concordare sull'importanza del prezzo come criterio distintivo tra la permuta e la vendita. L'elemento chiave che differenzia questi due contratti è il prezzo, che è un aspetto essenziale della vendita ma non della permuta. Di conseguenza, molte delle norme sulla vendita che non si basano sul prezzo possono essere considerate compatibili con la permuta, anche se potrebbero richiedere alcune modifiche o adattamenti. D'altra parte, le norme che si riferiscono direttamente al prezzo non sono compatibili con la permuta e quindi non sono applicabili a quest'ultima. Dunque, il prezzo rappresenta il principale criterio di differenziazione tra permuta e vendita, e questo influisce sulla determinazione di quali norme della vendita possano essere applicate alla permuta. 42 Nel caso dei beni immobili, il luogo di esecuzione coincide con il luogo in cui si trovano tali beni. Per i beni mobili, generalmente si applicano le norme contenute nell'art. 1510 cc, il che implica che, in mancanza di accordo o usi contrari, la consegna dei beni mobili deve avvenire nel luogo in cui la cosa si trovava al momento in cui il contratto è stato perfezionato, se le parti ne erano a conoscenza, oppure nel luogo in cui l'alienante aveva il suo domicilio o la sede dell'impresa. Nella permuta "con spedizione" o tra piazze diverse, la consegna può avvenire tramite il conferimento della cosa al vettore o allo spedizioniere, salvo patto o uso contrario. Per quanto riguarda le obbligazioni del compratore, generalmente si ritiene che gli artt. 1498 e 1499 cc non siano applicabili alla permuta, poiché queste norme presuppongono la natura pecuniaria del prezzo, mentre la permuta, ai sensi dell'art. 1552 cc, non prevede un prezzo in denaro. Tuttavia, questi artt. potrebbero trovare applicazione nel caso in cui sia previsto un conguaglio in denaro in aggiunta alla permuta. 5. L'applicabilità delle norme sul patto di riscatto. Sono considerate generalmente compatibili con la permuta le disposizioni degli artt. 1500-1509 cc, che riguardano il "riscatto convenzionale". Tuttavia, si sottolinea che la tradizione di queste disposizioni indica che esse sono state sviluppate per rispondere a esigenze speculative estranee alla permuta. Il riscatto può essere unilaterale o bilaterale, ossia può essere concesso a uno solo dei permutanti o a entrambi. A differenza della compravendita, in cui il venditore che esercita il riscatto dovrebbe restituire al compratore il prezzo ricevuto, nella permuta, l'esercizio del riscatto comporta la reciproca restituzione tra i permutanti dei beni o dei diritti precedentemente scambiati. Inoltre, è possibile stabilire contrattualmente che il riscatto venga esercitato mediante il pagamento di una somma di denaro invece della restituzione dei beni o dei diritti. In questo caso, dovrebbe trovare applicazione l'art. 1500.2 cc, il quale stabilisce che la somma di denaro non può superare il valore dei beni o dei diritti alienati dal riscattante. È importante notare che l'art. 1502.1 cc, che stabilisce le condizioni per il rimborso nel caso di riscatto convenzionale, deve essere adattato nel caso della permuta. Questa disposizione deve essere estesa a entrambi i permutanti, il che significa che le reciproche partite di dare e avere possono essere compensate tra loro fino a un importo pari alla minore delle somme dovute per le rispettive cause, come il prezzo, le spese della vendita, le spese per le riparazioni necessarie e le spese che hanno aumentato il valore della cosa. Lo stesso principio si applica anche al rimborso dei deterioramenti eventuali, per i quali ciascun permutante deve rispondere se sono dovuti alla sua colpa. Anche l'art. 1505 cc, che riguarda la restituzione di una cosa esente da pesi e ipoteche, deve trovare applicazione con riferimento a entrambi i permutanti, e non solo al venditore come nella compravendita. Tuttavia, il venditore è tenuto a mantenere le locazioni fatte senza frode, a condizione che abbiano data certa e siano state convenute per un periodo non superiore a tre anni. 6. L'applicabilità delle norme sulla vendita mobiliare. Continuando con l'analisi delle disposizioni applicabili alla permuta: ● Gli artt. 1510, 1511, 1512, 1513 e 1514 cc sono anch'essi applicabili alla permuta e si riferiscono a entrambi i permutanti; ● L'art. 1517, che riguarda la risoluzione di diritto, è compatibile con la permuta. Nonostante contenga riferimenti al prezzo, questi vengono considerati non come una tipica prestazione pecuniaria, ma come una controprestazione; ● Anche l'art. 1519, che tratta della restituzione di cose non pagate, è compatibile con la permuta. Questo perché il permutante insoddisfatto, nel caso in cui il contratto non preveda dilazioni per l'esecuzione della controprestazione, ha la stessa esigenza di tornare in possesso dei beni alienati, simile a quanto riconosciuto al venditore quando non è stata prevista una dilazione per il pagamento del prezzo. L'applicabilità, invece, dell'art. 1518 cc alla permuta è oggetto di discussione. Questo art. stabilisce che, nel caso in cui la vendita abbia per oggetto una cosa con un prezzo corrente e il contratto si risolva per l'inadempimento di una 45 delle parti, il risarcimento è costituito dalla differenza tra il prezzo concordato e quello corrente nel luogo e nel giorno in cui sarebbe dovuta avvenire la consegna. Vi sono due posizioni contrastanti riguardo all'applicabilità di questa norma alla permuta: ● Alcuni ritengono che questa norma presupponga uno scambio tra cosa e denaro e non tra cosa e cosa, quindi non sarebbe compatibile con la permuta; ● Altri, invece, sostengono che il confronto tra i valori delle controprestazioni è un criterio generale per determinare il mancato guadagno, e quindi questa norma può essere applicata anche alla permuta. Le ragioni di questa regola sono mirate a evitare speculazioni ingiustificate a scapito del contraente inadempiente basate su previste oscillazioni di mercato, e queste ragioni sarebbero valide anche quando si tratta di una alienazione a titolo di permuta. Per quanto riguarda gli artt. 1515 e 1516 cc, che prevedono il rimedio dell'esecuzione coattiva per l'inadempimento del compratore e del venditore nella vendita, la loro compatibilità con la permuta è oggetto di controversia e non è chiaramente definita. Secondo un'opinione, questi artt. rappresenterebbero un rimedio di carattere generale per l'inadempimento volontario delle obbligazioni contrattuali, e la loro ratio si applicherebbe anche alla permuta. Questo sarebbe valido anche quando oggetto del contratto è una cosa determinata, purché faccia parte di un genere in commercio e abbia un prezzo corrente, e il creditore sia interessato al rapido adempimento dell'obbligo e sia disposto a ricevere un altro esemplare della stessa cosa. Tuttavia, un'opinione contraria sottolinea che, essendo la permuta priva di un prezzo da pagare, il problema della compatibilità si porrebbe solo per l'art. 1516, che disciplina l'esecuzione coattiva dell'obbligo del venditore riguardo alle cose fungibili con prezzo corrente. In questo caso, la soluzione dovrebbe essere negativa perché l'art. consente l'esecuzione di una vendita attraverso l'acquisto delle cose dovute e il pagamento del prezzo, ma non consentirebbe l'esecuzione di una permuta. Pertanto, adattare questa norma alla permuta sembrerebbe richiedere la creazione di un nuovo rimedio, diverso da quello previsto dall'art. 1516, il che potrebbe essere al di là di una semplice questione di compatibilità normativa. Chi difende l'applicabilità degli artt. 1515 e 1516 cc sostiene che questi rappresentino un rimedio generale per l'inadempimento contrattuale, che può essere utilizzato anche nella permuta. In questo contesto, si considera la compravendita in danno come una forma di realizzazione di una vendita ineseguita e non come una sostituzione del contratto. Pertanto, il rimedio della compravendita in danno si basa sulla prospettiva di una doppia operazione di rivendita e di acquisto da parte del permutante, con l'obiettivo di ottenere il rimpiazzo completo del contratto ineseguito e la liquidazione del danno attraverso il confronto tra il prezzo ottenuto e il prezzo speso. Questo rimedio è considerato compatibile con la permuta e può anche essere utilizzato come mezzo di parziale rimpiazzo del contratto nel caso in cui il permutante abbia già eseguito la prestazione dovuta, consentendo una rapida liquidazione stragiudiziale del danno. Per quanto riguarda la vendita di beni mobili, anche se la permuta di solito coinvolge beni determinati di cui le parti conoscono le qualità, non è escluso, in linea di principio, che il contratto possa riguardare beni che richiedono l'approvazione del cessionario, la prova delle qualità pattuite, l'idoneità all'uso o beni negoziati con riferimento a un campione o tipo di campione. In tali casi, le disposizioni contenute nel § 2 (Della vendita con riserva di gradimento, a prova, a campione) della Sezione II (Della vendita di cose mobili) del Capo 1 (Della vendita) del Titolo III (Dei singoli contratti) del Libro IV del codice civile, che includono gli artt. da 1520 a 1522, sono considerate compatibili con la permuta e quindi applicabili ad essa. Le disposizioni riguardanti la riserva di gradimento, la prova, e la cessione su campione o tipo di campione, così come le norme in materia di vendita con riserva della proprietà, possono essere applicate alla permuta. La riserva di gradimento può essere stabilita da uno o entrambi i permutanti. In tal caso, la permuta non si perfeziona fino a quando il gradimento non viene comunicato all'altra parte. Questo principio si applica anche alle situazioni in cui si verifica la prova o la cessione su campione o tipo di campione, che possono riguardare una o entrambe le alienazioni coinvolte nella permuta.14 I riferimenti contenuti negli artt., come "venditore" e "compratore", devono essere interpretati come riguardanti, rispettivamente, chi aliena e chi acquista la cosa oggetto della permuta. 14 Art 1520.1 cc. 46 Le norme in materia di vendita con riserva della proprietà, sebbene siano state principalmente pensate per la vendita di beni mobili, sono considerate compatibili anche con la permuta. Pertanto, possono essere applicate anche quando la permuta coinvolge beni mobili, consentendo alle parti di stabilire una riserva della proprietà o di definire le condizioni per il trasferimento della proprietà in un momento successivo. Il patto di riservato dominio può essere applicato alla permuta, incluso il caso in cui ci sia un conguaglio rateale o successivo alla conclusione del contratto. Questo patto serve come mezzo di tutela per l'alienante e consente di mantenere il diritto sulla cosa oggetto della permuta fino a quando la controparte non abbia completamente adempiuto la sua parte dell'accordo. Questa protezione si applica anche alla permuta in cui si verifichi uno sfasamento cronologico tra le prestazioni corrispettive, compresi i casi in cui la controprestazione deve essere effettuata in un'unica soluzione differita. Per quanto riguarda l'art. 1525 cc, che stabilisce che il mancato pagamento di una sola rata non determina automaticamente la risoluzione del contratto se non supera l'ottava parte del prezzo dovuto, nella permuta l'ottavo dovrebbe essere valutato in relazione al valore complessivo della prestazione dovuta dalla parte che ha ottenuto la rateazione. L'applicazione del patto di riservato dominio alla permuta può comportare alcune difficoltà in particolari scenari, come ad es. uno scambio di beni indivisibili con un conguaglio in denaro rateale. In questo caso, il calcolo dell'ottavo dovrebbe tenere conto del valore dell'intera prestazione, compreso il conguaglio e il valore della cosa. Questo potrebbe risultare complicato se il contratto non specifica un valore convenzionale per la cosa. Per quanto riguarda l'art. 1526.1 cc, che regola la restituzione delle rate pagate in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del compratore, il diritto all'equo compenso dovrebbe essere bilaterale nella permuta e non si applicherebbe alle cose fungibili che devono essere restituite per equivalente. Quanto al comma 2° dell'art., che tratta delle rate acquisite al venditore come indennità, la penale dovrebbe essere calcolata in base alla portata della rateazione. Ad es., se la rateazione riguarda solo il conguaglio in denaro, la penale si limiterebbe a questo importo, ma rimarrebbe l'obbligo di restituire la cosa in natura o un equivalente. Le norme relative alla vendita su documenti (artt. 1527-1529 cc) sono applicabili anche alla permuta, con la precisazione che in questo contratto la cessione su documenti può essere unilaterale o bilaterale. Tuttavia, l'art. 1530 cc, che riguarda la vendita con pagamento contro documenti tramite una banca, non è compatibile con la permuta, a meno che non si tratti di un eventuale conguaglio in denaro. Per quanto riguarda le operazioni a termine su titoli di credito, sebbene la loro funzione sia in gran parte estranea alla permuta, si può teoricamente ipotizzare la possibilità di una "permuta a termine di titoli di credito," ad es., lo scambio di proprietà di una cosa con azioni di una società non quotata, con trasferimento rinviato a una data futura. In tal caso, alcune norme come gli artt. 1531, 1532, 1533 e 1534 potrebbero trovare applicazione, ma non sarebbero applicabili gli artt. 1535 e 1536 cc. 7. L'applicabilità delle norme sulla vendita immobiliare. La dottrina prevalente ritiene che gli artt. 1537-1541 cc siano compatibili con la permuta, anche se potrebbe essere necessario apportare alcune modifiche o adattamenti. Pertanto, sarebbe possibile stipulare una permuta immobiliare a corpo o a misura. La permuta a misura avviene quando un immobile viene scambiato con l'indicazione della sua misura e per un corrispettivo stabilito in base a un valore per unità di misura. Ad es., si potrebbe considerare lo scambio di dieci ettari di terreno in cambio di mille quintali di grano per ogni ettaro. In questa situazione, se la misura effettiva dell'immobile è inferiore a quella indicata nel contratto, l'altra parte avrebbe diritto a una riduzione proporzionale della sua prestazione. Se, invece, la misura effettiva fosse superiore, l'altra parte dovrebbe corrispondere un supplemento, a meno che l'eccedenza non superi la ventesima parte della misura dichiarata, caso in cui potrebbe essere possibile recedere dal contratto in base all'art. 1537.2 cc. Gli artt. 1537-1541 cc sono generalmente considerati compatibili con la permuta, anche se potrebbero richiedere alcune modifiche o adattamenti. In breve: ● Per quanto riguarda la permuta a misura, se il bene oggetto della permuta è divisibile, le rettifiche dovrebbero essere proporzionali, simili a quanto avviene per il prezzo. Se il bene è indivisibile, la rettifica dovrebbe essere calcolata in base al suo valore pecuniario, comportando la corresponsione di un conguaglio in denaro; 47 Tuttavia, questa normativa sembra presupporre che il contratto possa essere considerato "pendente", e solo in questo caso il curatore ha il diritto di effettuare questa scelta. Nella permuta di suolo edificabile con costruende unità immobiliari, questa situazione potrebbe verificarsi solo in alcune circostanze particolari, come: ● Quando alla data della dichiarazione di fallimento, il costruttore fallito non ha ancora acquisito la proprietà dell'area edificabile, ad es., se la permuta prevedeva una scelta tra più fondi e la scelta non è stata ancora fatta, oppure se il terreno era definito in modo generico senza un atto di individuazione specifico; ● Se l'area edificabile appartiene a un'altra parte e il costruttore non ha ancora acquistato la proprietà al momento del fallimento. In queste situazioni, il contratto può essere considerato pendente e soggetto alle regole dell'art. 72-bis della legge fallimentare, consentendo al curatore di fare la scelta tra il subentro nel contratto e il suo scioglimento. Tuttavia, è importante tenere conto delle specifiche circostanze del caso per determinare l'applicabilità di questa normativa. Nel caso in cui la permuta preveda il trasferimento di un'area edificabile e non sia ancora avvenuto il versamento di un conguaglio in denaro, potrebbero sorgere dubbi sulla possibilità per il permutante di escutere la fideiussione ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 122/2005. Questo perché il permutante non ha ancora perso la titolarità del bene alienato e, quindi, non ha diritto a ricevere un corrispettivo che non ha ancora versato. La stessa situazione si applicherebbe se il curatore decidesse di sciogliersi dal contratto ai sensi dell'art. 72. della legge fallimentare. In entrambi i casi, a meno che non sia previsto il versamento di un conguaglio in denaro, il permutante non avrebbe nulla da recuperare e non potrebbe escutere la fideiussione. Tuttavia, il curatore potrebbe optare per l'opzione opposta, cioè il subentro nel contratto, costringendo così il contraente in bonis ad eseguire un contratto in cui la controparte è un costruttore fallito, rappresentato dalla curatela fallimentare. Questa situazione potrebbe creare una simile dinamica a quella che l'art. 72-bis della legge fallimentare cerca di evitare con lo scioglimento automatico del contratto. Infatti, sembra che la ragione dietro questa norma sia quella di consentire al contraente in bonis (l'acquirente delle unità immobiliari future) di scegliere lo scioglimento del contratto per evitare di dover trattare con una curatela fallimentare, soprattutto quando può "neutralizzare" il danno derivante da tale scioglimento attraverso l'escussione della garanzia fideiussoria prevista dall'art. 2 del d.lgs. n. 122/2005. Sembra ragionevole riconoscere al permutante dell'area edificabile la facoltà di sciogliersi dal contratto semplicemente comunicando al curatore la sua decisione in tal senso prima che quest'ultimo faccia la sua scelta, anche in assenza dell'escussione della garanzia fideiussoria, poiché in questa situazione non vi sarebbe alcun danno da evitare. Non essendo ancora stato effettuato il versamento del corrispettivo, che consiste nel trasferimento dell'area edificabile, non ci sarebbe alcun credito da garantire con la fideiussione. Nel caso in cui, alla data della dichiarazione di dissesto, la proprietà dell'area edificabile non sia ancora passata al costruttore fallito perché il trasferimento è stato sottoposto alla condizione sospensiva dell'adempimento della prestazione edificatoria, sembrerebbe che non sia applicabile l'art. 72-bis l. fall. In questa situazione, non vi sarebbe ancora un corrispettivo a carico dell'acquirente delle unità immobiliari in costruzione, e quindi la garanzia ex art. 2 d.lgs. n. 122/2005 non sarebbe dovuta. D'altra parte, se l'area edificabile è già passata in proprietà al costruttore alla data del dissesto, il contratto non potrebbe essere considerato "pendente," e quindi l'art. 72-bis l. fall. sembrerebbe non applicabile. Tuttavia, negare al contraente in bonis la possibilità di escutere la garanzia e provocare il conseguente scioglimento del contratto sembrerebbe contrastare con l'obiettivo della legge, che è quello di proteggere il contraente in bonis dall'acquistare un immobile futuro senza poter recuperare il corrispettivo già versato al costruttore. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di consentire al contraente in bonis di escutere la garanzia e recuperare il valore pecuniario dell'immobile futuro attraverso questa escussione, senza necessariamente provocare lo scioglimento del contratto. In questo modo, il contraente in bonis non perderebbe l'immobile ma otterrebbe un rimborso in denaro equivalente al valore dell'immobile futuro. L'ipotesi di consentire al contraente in bonis di escutere la fideiussione senza provocare lo scioglimento del contratto sembra presentare alcune complessità e sfide di coordinamento con il sistema legislativo esistente. In particolare, la legge stabilisce chiaramente che l'escussione della fideiussione determina lo scioglimento del contratto. Pertanto, una soluzione che consentisse all'acquirente di escutere la fideiussione senza lo scioglimento del contratto potrebbe essere in contrasto con la legge stessa.Tale soluzione potrebbe causare problemi di coordinamento tra l'escussione della fideiussione, che riguarda il controvalore pecuniario dell'immobile 50 definitivamente acquisito al fallimento, e il diritto del contraente in bonis di insinuarsi al passivo della procedura per recuperare l'equivalente monetario del valore delle unità immobiliari che avrebbe dovuto ricevere. Le due misure non sembrano facilmente conciliabili, e il contratto non si scioglie. Una soluzione alternativa potrebbe essere consentire al contraente in bonis di insinuarsi al passivo della procedura solo per l'eventuale eccedenza del suo credito rispetto a quello garantito dalla fideiussione, mantenendo comunque la possibilità di escutere quest'ultima. Tuttavia, questa soluzione potrebbe complicare ulteriormente la procedura e richiedere ulteriori adattamenti normativi. Dunque, sembra che una soluzione condivisibile a questa complessa situazione contrattuale nella permuta di suolo edificabile con erigende unità immobiliari in caso di fallimento del costruttore potrebbe essere la seguente: ● Il permutante in bonis dovrebbe avere il diritto di escutere la fideiussione, il che determinerebbe lo scioglimento del contratto. Questa soluzione rispecchia l'obiettivo del legislatore di garantire al contraente in bonis il recupero dei corrispettivi pagati; ● Lo scioglimento del contratto comporterebbe il riacquisto della proprietà del suolo da parte del permutante in bonis, che potrebbe richiederne il rilascio in base all'art. 103 della legge fallimentare. Tuttavia, se il suolo non può essere recuperato, ad es. perché è stato ceduto a terzi dal costruttore prima del fallimento, potrebbe non esserci un interesse pratico da parte del permutante in bonis a domandare il pagamento del controvalore pecuniario al fideiussore. In tal caso, sembra che la fideiussione non potrebbe essere escussa, poiché la reintegrazione del corrispettivo pagato avviene in forma specifica e non è possibile dimostrare la sua irrecuperabilità. Pertanto, il permutante in bonis dovrebbe avere il diritto di sciogliersi dal contratto semplicemente comunicando al curatore la sua scelta in tal senso, indipendentemente dall'impossibile escussione della fideiussione. 11. (Segue) Preliminare di permuta e fallimento. Prima della riforma del 2006-2007, la legge fallimentare non conteneva disposizioni specifiche per il contratto preliminare di contratto traslativo o altri tipi di contratti simili. La dottrina e la giurisprudenza predominanti avevano interpretato che le norme sulla vendita (contenute nell'art. 72 della legge fallimentare) potessero essere applicate per analogia, permettendo al curatore, a prescindere dalla parte fallita, di decidere se subentrare o sciogliersi dal contratto. Tuttavia, questa situazione è cambiata con la riforma del 2006-2007, che ha introdotto una disposizione specifica sull'argomento. L'art. 72.3 della legge fallimentare, ora dedicato alla disciplina del contratto preliminare, fa riferimento alla disciplina del comma 1 dell'art. 72, consentendo al curatore di decidere se subentrare o sciogliersi dal contratto preliminare. Questo si applica al contratto preliminare di contratto traslativo, che è considerato pendente ai fini concorsuali se il contratto definitivo non è stato ancora stipulato al momento della dichiarazione di fallimento. Il curatore può prendere questa decisione indipendentemente dalla parte che ha dichiarato fallimento. Inoltre, la riforma ha equiparato la stipulazione del contratto definitivo alla sentenza costitutiva prevista dall'art. 2932 cc, emessa dal giudice in caso di inadempimento di uno dei contraenti all'obbligo di concludere il contratto. Tuttavia, si riteneva in passato che il curatore potesse sciogliersi dal preliminare solo se la sentenza ex art. 2932 fosse ancora impugnabile al momento della dichiarazione di fallimento. Queste modifiche legislative hanno fornito una base più chiara per la gestione dei contratti preliminari di contratto traslativo nel contesto di un fallimento, stabilendo le procedure da seguire e i poteri del curatore in tali situazioni. Prima della riforma la dottrina e la giurisprudenza predominanti permettevano al curatore di sciogliersi dal contratto preliminare anche se la domanda giudiziale ex art. 2932 cc fosse stata trascritta prima della sentenza dichiarativa di fallimento. Tuttavia, ci fu una divergenza con una pronuncia delle sezioni unite della Cassazione, che affermò che al curatore sarebbe stata preclusa la possibilità di sciogliere il contratto preliminare se il promissario acquirente avesse proposto e trascritto la domanda ex art. 2932 cc prima del fallimento. Dopo questa pronuncia, alcune decisioni continuarono a seguire l'orientamento precedente, mentre altre si adeguarono al nuovo indirizzo. Le sezioni unite della Cassazione poi ribadirono la loro posizione originale. Di conseguenza, si è consolidato un orientamento interpretativo che consente al curatore di sciogliersi dal contratto preliminare, ma lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente che ha trascritto la domanda ex art. 2932 cc dell'iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese. Questo effetto prenotativo è previsto dall'art. 2652 cc, che stabilisce che la trascrizione della sentenza favorevole prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda. Pertanto, affinché il promissario acquirente possa beneficiare di questo effetto, deve trascrivere la sentenza favorevole successiva. 51 Il legislatore del d.lgs. n. 14/2019 ha recepito l'orientamento della giurisprudenza in merito al potere del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita immobiliare, anche se il promissario acquirente ha proposto e trascritto una domanda di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 cc prima dell'apertura della liquidazione giudiziale. Tuttavia, lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene successivamente accolta. Nel caso in cui sia stato trascritto solo il preliminare, ma non sia stata presentata la domanda ex art. 2932 cc prima della dichiarazione di fallimento, il curatore ha il potere di sciogliersi dal contratto preliminare. Tuttavia, questa possibilità è preclusa dal comma 8 dell'art. 72 l. fall. se il contratto preliminare riguarda l'acquisto di un immobile destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o dei suoi parenti entro il terzo grado, o un immobile destinato a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente. 12. Dalla struttura alla funzione: la multiforme natura della permuta e la variabile estensione del giudizio di compatibilità. Nel capitolo precedente, è stata condotta un'analisi sulla compatibilità della permuta con le disposizioni sulla vendita nel codice civile italiano. La dottrina generalmente distingue la permuta dalla vendita principalmente a causa dell'assenza del prezzo, e quindi il giudizio di compatibilità, come richiesto dall'art. 1555 cc, è spesso condizionato da questa differenza strutturale. Tuttavia, sono emerse alcune disposizioni specifiche, come gli artt. 1498 e 1499 cc, che presuppongono l'esistenza di un obbligo pecuniario e quindi non sono applicabili alla permuta. Inoltre, si evidenzia che molte altre disposizioni sulla vendita possono essere applicate alla permuta solo dopo opportuni adattamenti. Ad es., quando le norme fanno riferimento al prezzo, è necessario utilizzare conguagli in denaro. Tuttavia, ci sono ancora dibattiti in dottrina su questioni specifiche, come se il permutante può fare ricorso alla quanti minoris come alternativa all'actio redhibitoria. Questa possibilità dipende dalla natura dei beni coinvolti nella permuta, in particolare se sono beni fungibili e divisibili o beni indivisibili e infungibili. Le questioni sollevate riguardo all'applicabilità delle norme sulla vendita alla permuta evidenziano una serie di sfide concettuali. Ad es., riguardo alla possibilità di ridurre la prestazione di una permuta in base a valori di mercato, alcuni ritengono che ciò sia problematico poiché le parti potrebbero non aver considerato questi valori nella loro intenzione originale di scambiare beni in natura. In altre parole, nella permuta, le parti potrebbero essere più interessate alla qualità intrinseca dei beni piuttosto che al loro valore di mercato. Un altro es. riguarda l'applicazione dell'art. 1538 cc, che disciplina la vendita immobiliare a corpo. Alcuni ritengono che questa norma sia incompatibile con la permuta, in quanto le parti potrebbero aver considerato principalmente la qualità dei beni scambiati, indipendentemente dalla loro estensione o misura. In caso di scostamento significativo tra la misura indicata nel contratto e quella effettiva, alcuni sostengono che dovrebbe essere considerato un inadempimento rispetto all'oggetto della permuta, piuttosto che una questione di prezzo. Tuttavia, c'è anche chi ritiene che l'art. 1538 possa essere applicato alla permuta, a condizione che il contratto indichi la misura del bene oggetto dello scambio. Questo può applicarsi sia a beni fungibili che quelli omogenei, che possono essere ridotti o aumentati in natura, sia a beni infungibili e non omogenei, in cui potrebbe essere necessario un conguaglio in denaro. La recente riflessione dottrinale ha messo in luce la necessità di superare l'approccio aprioristico che fino ad oggi ha caratterizzato l'analisi della compatibilità tra permuta e norme sulla vendita. In particolare, si è sottolineata la complessità intrinseca del contratto di permuta, che va oltre la semplice assenza di un prezzo e richiede un'analisi più approfondita. Questa nuova prospettiva si basa anche sull'osservazione della storia dell'istituto della permuta, che ha mostrato come questo tipo di contratto possa essere variamente articolato. La permuta può assumere la forma di un vero e proprio baratto, in cui i beni scambiati sono desiderati per le loro qualità intrinseche e non sono valutati in termini economici. In questi casi, il valore di mercato dei beni è trascurato o considerato irrilevante, e le parti sono interessate principalmente al loro valore d'uso o a motivazioni simboliche, affettive, culturali, morali o religiose. L'analisi della storia dell'istituto della permuta ha dimostrato che questo tipo di contratto può assumere diverse forme e funzioni, che vanno oltre la semplice mancanza di un bene monetario come prezzo. Recentemente, la dottrina ha identificato tre diverse situazioni paradigmatiche che possono confluire in una permuta, rivelando così la sua natura multiforme e la sua polivalenza funzionale: 52 del 1980. In ogni caso, la scelta della legge applicabile in una permuta internazionale richiede un'attenta analisi delle circostanze specifiche e delle norme applicabili nel contesto internazionale. La scelta della legge applicabile in una permuta internazionale comporta alcune complicazioni, indipendentemente dal modello di permuta utilizzato. Tuttavia, in entrambi i casi, la legge dello Stato con il "collegamento più stretto" al contratto di permuta sarà quella applicabile. Questo significa che non è possibile determinare in astratto quale legge sia applicabile, ma dipenderà dalle circostanze specifiche del singolo contratto. Sia la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 che il Regolamento UE 593/2008 richiedono all'interprete di identificare la "prestazione caratteristica" del contratto per stabilire quale legge debba essere applicata. In sostanza, la prestazione caratteristica è quella prestazione non monetaria che è tipica del contratto. Nel caso della Convenzione di Roma, questa corrisponde alla prestazione del venditore. Tuttavia, nella permuta, entrambe le prestazioni sono non monetarie e quindi entrambe potrebbero essere considerate caratteristiche allo stesso modo. Di conseguenza, il criterio della prestazione caratteristica potrebbe non essere applicabile, a meno che si adotti l'opinione isolata secondo cui nella permuta la prestazione caratteristica è quella di chi ha iniziato il processo che ha portato alla conclusione del contratto. Quando il criterio della "prestazione caratteristica" non è applicabile, sia la Convenzione di Roma sia il Regolamento UE richiedono che il contratto sia disciplinato dalla legge del Paese con il quale ha il "collegamento più stretto". Questo Paese deve essere identificato caso per caso, prendendo in considerazione tutti gli elementi rilevanti, come la lingua e la valuta dell'accordo, il luogo in cui il contratto è stato negoziato e concluso, la nazionalità delle parti, e così via. Tuttavia, questa valutazione può portare a risultati incerti e fragili, con il rischio che il criterio del luogo di conclusione del contratto, precedentemente messo da parte, possa essere nuovamente utilizzato attraverso una concretizzazione del "collegamento più stretto". Per affrontare la questione in modo più sostanziale, è importante considerare il "centro di gravità" dell'istituto. Ad es., se una permuta coinvolge un contraente italiano e uno tedesco e non c'è una giustificazione ragionevole per applicare una legge "neutra", la questione principale diventa se debba essere applicata la legge italiana o quella tedesca. Sia in Italia che in Germania l'applicazione delle regole sulla vendita sarebbe la soluzione più probabile per i contratti di permuta, anche se esiste una disciplina uniforme della vendita internazionale. Questo perché sia l’art. 480 del BGB tedesco che l'art. 1555 cc stabiliscono che le regole sulla vendita si applicano "corrispondentemente" alla permuta. Tuttavia, quando la permuta riguarda diritti reali immobiliari, le leggi europee offrono diverse presunzioni o criteri di collegamento. Ad es., la Convenzione di Roma presume che il contratto abbia il collegamento più stretto con il Paese in cui l'immobile è situato, mentre il Regolamento UE 593/2008 stabilisce direttamente che il contratto è disciplinato dalla legge del Paese in cui si trova l'immobile. Tuttavia, queste soluzioni possono diventare complesse quando entrambi i contraenti hanno come oggetto un diritto reale immobiliare, e in tal caso, si potrebbe dover fare riferimento nuovamente al criterio del "collegamento più stretto". Quando si tratta delle qualità soggettive dei permutanti e uno è un professionista mentre l'altro è un consumatore, la legge applicabile alla permuta dipende da vari fattori: ● Convenzione di Roma del 19 giugno 1980: la legge applicabile sarà quella del Paese in cui il consumatore ha la residenza se la conclusione del contratto è stata preceduta in tale Paese da una proposta specifica o da una pubblicità, e se il consumatore ha compiuto nello stesso Paese gli atti necessari per la conclusione del contratto o se l'altra parte o il suo rappresentante ha ricevuto l'ordine del consumatore nel Paese di residenza; ● Regolamento UE 593/2008: la legge applicabile sarà quella del Paese in cui il professionista svolge le sue attività commerciali o professionali se il consumatore ha la residenza abituale in tale Paese, o se il professionista dirige tali attività, con qualsiasi mezzo, verso tale Paese o vari Paesi tra cui quest'ultimo, e sempre che il contratto rientri nell'ambito di dette attività. Queste regole possono diventare più complesse quando la permuta coinvolge un consumatore e un professionista e ha come oggetto un diritto reale immobiliare. In tal caso, il Regolamento UE 593/2008 stabilisce che il contratto è disciplinato dalla legge del Paese in cui l'immobile è situato, a meno che non riguardi un "diritto di godimento a tempo parziale" di beni immobili, ai sensi della direttiva 2008/122/CE del 14 gennaio 2009. 3. Le Convenzioni dell'Aja. Quando si affrontano i problemi relativi a una permuta internazionale, l'interprete si trova di fronte a due principali opzioni: 55 1. Utilizzare i criteri di collegamento del diritto internazionale privato: in questo caso, si applicano le norme di diritto internazionale privato per determinare quale legge nazionale debba essere applicata al contratto di permuta. Tuttavia, questo approccio può essere complicato e incerto, poiché richiede una valutazione dettagliata degli elementi pertinenti al caso specifico; 2. Considerare il diritto uniforme della vendita: alcuni trattati internazionali, come la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Vendita Internazionale di Beni (CISG), forniscono regole uniformi per i contratti di vendita internazionale. Questi trattati non menzionano esplicitamente la permuta, ma possono essere applicati in alcune situazioni, ad es., quando il contratto di permuta contiene elementi di vendita mista con permuta o quando viene concesso al compratore di sostituire o integrare il pagamento del prezzo con la consegna di beni. La scelta tra questi due approcci dipenderà dalle circostanze specifiche del caso e dalle leggi nazionali applicabili. In passato si riteneva che una permuta internazionale "pura" non fosse coperta dalle Convenzioni dell'Aja sulla vendita, mentre le situazioni in cui la permuta era mista a elementi di vendita potevano rientrare nell'ambito di tali Convenzioni. Tuttavia, rimaneva aperta la questione se il pagamento in denaro avesse una rilevanza tale da far applicare le leggi sulla vendita anziché quelle sulla permuta. A seguito del limitato successo delle Convenzioni dell'Aja, si è manifestata la necessità di un nuovo strumento internazionale di regolamentazione per la vendita che potesse ottenere un maggiore numero di adesioni da parte dei diversi Paesi nel mondo. 4. La Convenzione di Vienna. La Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di cose mobili (CISG) ha ottenuto un ampio successo con un alto numero di adesioni da parte di diversi Paesi in tutto il mondo. Questa convenzione è stata concepita per regolare in modo uniforme i contratti di vendita internazionale. Durante i lavori preparatori della CISG, è stata affrontata la questione della disciplina uniforme della permuta. Alcuni Paesi, tra cui la Cecoslovacchia, l'Unione Sovietica e l'Asian-African Legal Consultative Committee (AALCC), hanno richiesto la formulazione di regole uniformi per i contratti di permuta. Questo è stato fatto in riconoscimento dell'importanza crescente della permuta nelle relazioni commerciali con Paesi in via di sviluppo e della mancanza di una disciplina specifica nel progetto di Convenzione. Il Segretariato della United Nations Commission on International Trade Law (UNCITRAL) ha affrontato la questione della disciplina della permuta internazionale, notando che a livello nazionale la permuta viene regolata in modi diversi, talvolta assimilandola alla vendita e talvolta con una disciplina autonoma. Tuttavia, a livello internazionale, la permuta ha suscitato un crescente interesse applicativo, specialmente nelle transazioni internazionali. Di conseguenza, il Segretariato ha raccomandato di mantenere temporaneamente il contratto di permuta o scambio internazionale nel programma di lavoro dell'UNCITRAL, in attesa di uno studio più approfondito sulla possibilità di un regime uniforme. Nel corso dello studio condotto dal Segretariato, è emersa una chiara distinzione tra la permuta e i contratti simili a una permuta noti come "barter-like transactions". La permuta, in cui le parti scambiano beni con beni, è risultata essere poco diffusa, anche a livello internazionale, e quindi l'uniformazione delle regole per questo tipo di contratto è sembrata di scarsa utilità. D'altra parte, nel traffico internazionale, sono stati riscontrati contratti che in qualche modo assomigliavano alla permuta, ma che avevano come obiettivo principale, dal punto di vista economico, l'eliminazione o la riduzione dell'uso del denaro. Questi contratti, spesso costituiti da una combinazione di accordi, erano diffusi in diverse aree di mercato e sono stati oggetto di maggiore attenzione nell'ambito dello studio dell'UNCITRAL. Nel contesto dello studio condotto dall'UNCITRAL sulla disciplina della permuta internazionale, sono emerse situazioni meno problematiche, come ad es. quando un compratore otteneva una riduzione del prezzo consegnando un bene usato nell'acquisto di un bene nuovo. Tuttavia, le situazioni di maggiore interesse erano quelle che coinvolgevano strutture contrattuali più complesse. Esempi di situazioni complesse includevano casi in cui il pagamento per la costruzione di un impianto industriale o l'estrazione di una miniera avveniva in parte o totalmente attraverso la consegna della produzione dell'impianto o della miniera. Altre situazioni comprendevano royalties per la licenza di un brevetto o altra proprietà industriale pagate in merci prodotte sotto licenza, o accordi in cui un venditore di beni concordava, nella stessa transazione, l'acquisto di altri beni dalla controparte o da una terza parte designata da questa. A causa della diversità di queste strutture negoziali, non è emersa una "struttura legale unificata" che potesse giustificare una riduzione in una singola categoria giuridica. Inoltre, sono emerse difficoltà significative sia 56 nell'ambito delle modalità di esecuzione reciproca, soprattutto per quanto riguarda i "payment terms," sia nell'ambito delle rimediali in caso di inadempienza. 5. L'orientamento negativo. Né la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di cose mobili (CISG) né la sua successiva interpretazione sembrano avere spazio per la permuta e contratti simili nella loro formulazione letterale. La permuta non è inclusa nell'ambito di applicazione materiale della Convenzione, secondo un orientamento ampiamente diffuso. Tuttavia, vi è un'eccezione per i contratti "barter-like," che coinvolgono uno scambio tra un bene e una controprestazione in denaro o strumenti di pagamento simili. È importante notare che l'integrazione del prezzo in natura in una vendita, entro certi limiti, non la trasforma in una permuta e viceversa. Inoltre, anche se l'obbligazione di pagare il prezzo viene successivamente estinta mediante la consegna di beni in pagamento (datio in solutum), la transazione rimane una vendita. La CISG stabilisce regole relative al suo ambito oggettivo di applicazione, ma non fornisce indicazioni specifiche per la permuta, né nel regime delle esclusioni (art. 2) né nelle disposizioni relative ai contratti di fornitura di merci da produrre o costruire o ai servizi connessi alla vendita (art. 3). La CISG presenta esclusioni basate su criteri eterogenei, come l'uso del bene acquistato, la modalità di acquisto, o specifici tipi di beni (come valori mobiliari, effetti di commercio, moneta, navi, aerei, energia elettrica). Tuttavia, questi criteri non offrono una distinzione chiara in termini di natura pecuniaria o non pecuniaria della controprestazione. Le disposizioni relative alle merci da costruire o ai servizi connessi alla vendita si concentrano principalmente sul lato della prestazione del venditore per stabilire criteri di prevalenza rispetto ai tratti tipici di un appalto o di un contratto d'opera. Questa regola potrebbe essere utilizzata per distinguere tra una vendita con integrazione del prezzo in natura e una permuta con conguaglio in denaro. Un elemento significativo a sostegno dell'estraneità della permuta all'ambito di applicazione materiale della CISG è l'art. 53, che stabilisce l'obbligo dell'acquirente di effettuare il pagamento del prezzo in denaro, senza prevedere la possibilità di adempiere mediante la consegna o il trasferimento di un bene. La distinzione tra vendita e permuta è un concetto noto e utilizzato da giuristi in tutto il mondo, indipendentemente dalle loro origini geografiche. Tuttavia, le conseguenze di questa distinzione possono variare a seconda del contesto legale in cui viene applicata. A livello nazionale, la distinzione tra vendita e permuta comporta solitamente l'applicazione di regole sulla vendita attraverso diverse tecniche disciplinari, come l'estensione diretta, l'applicazione analogica o il ricorso ai principi generali in materia di negozi traslativi a titolo oneroso. Queste tecniche sono finalizzate a adattare le regole di vendita alle specificità della permuta. Tuttavia, a livello internazionale, la distinzione tra vendita e permuta può comportare la negazione dell'applicazione delle regole uniformi sulla vendita alla permuta. In questo caso, si fa ricorso ai criteri di collegamento della lex fori (la legge del tribunale competente), che determineranno quale diritto nazionale sia applicabile al contratto di permuta. Di solito, ciò significa che verrà applicato un diritto nazionale sulla vendita che sia in qualche modo compatibile con la permuta, dato che spesso manca una disciplina specifica per la permuta. 6. L'orientamento positivo. L'argomento principale secondo il quale il prezzo in un contratto dovrebbe essere denaro ha perso parte della sua forza persuasiva con l'entrata in vigore della CISG. Mentre la ULIS aveva un bacino culturale limitato a un numero ristretto di Stati europei, la CISG ha ottenuto un'ampia adesione, compresi Stati Uniti, ex URSS e molti Paesi in via di sviluppo. Questa diversa percezione del rapporto tra vendita e permuta può essere spiegata dalle pratiche commerciali diffusa in questi Paesi, in cui gli scambi permutativi sono spesso utilizzati per superare la mancanza di strumenti di pagamento finanziari. Negli Stati Uniti, in particolare, la considerazione del prezzo è stata adattata in modo diverso attraverso il Uniform Commercial Code (UCC), che stabilisce che il prezzo può essere pagato in denaro o in altro modo. Di conseguenza, il prezzo non è necessariamente limitato alla moneta, ma indica semplicemente l'esistenza di una controprestazione. In termini pratici, la vendita e la permuta possono essere entrambe considerate come "vendita" secondo la legge statunitense, soggette alle relative disposizioni giuridiche. Dunque, mentre la tradizione giuridica romanistica potrebbe distinguere tra vendita e permuta sulla base del concetto del prezzo come denaro, la legge 57
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved