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La globalizzazione: definizione, caratteristiche, storia,, Appunti di Storia

APPUNTI DI STORIA - RIF ESAME: LA GLOBALIZZAZIONE DIACRONICA

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 03/12/2019

raimondo-del-tufo
raimondo-del-tufo 🇮🇹

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Scarica La globalizzazione: definizione, caratteristiche, storia, e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! LA GLOBALIZZAZIONE DIACRONICA Capitolo 1 1)L’oggetto La globalizzazione diacronica utilizza la storia economica come strumento interpretativo. La storia economica esamina gli avvenimenti nel breve periodo (attraverso i mutamenti fondamentali , i fatti e le fluttuazioni) e nel lungo periodo (attraverso lo studio dei “trends” secolari e esaminando le problematiche dello sviluppo) di ogni singolo paese. In particolare, nel breve periodo non vi è alcuna tendenza al cambiamento perché le forze che operano nel contesto considerato si bilanciano e si definisce tale periodo “statico“. Al contrario, nel lungo periodo, l’approccio è più “dinamico” proprio perché vi è più tendenza al cambiamento; Questo approccio, applicato al susseguirsi dei diversi sistemi economici, ha trovato un proficuo campo di indagine delle tematiche dello sviluppo. 2)Il metodo L’economia nacque tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’ ‘800 in Inghilterra grazie a Adam Smith, Ricardo e Malthus. Questi tre personaggi vengono definiti i fondatori della “scuola classica”. Il metodo che adoperarono fu logico-‐deduttivo, ossia a partire da norme astratte ma comuni arrivavano a perseguire l’interesse personale. I classici rifiutavano qualsiasi intervento nell’economia da parte dello stato. Inoltre sostenevano che le loro leggi fossero eterne e dunque applicabili anche nell’avvenire e in ogni dove. Secondo Malthus vi era una connessione tra popolazione e risorse alimentari nella fase della protoindustrializzazione (la popolazione cresceva in maniera geometrica rispetto alle risorse alimentari); L’incremento demografico, faceva aumentare la domanda dei consumatori, provocava dunque un aumento dei prezzi. Ciò avrebbe provocato mortalità e peggioramento delle condizioni dei ceti più poveri. La soluzione proposta da Malthus era innalzare il livello di età di matrimonio (le persone si sarebbero dovute sposare soltanto una volta raggiunta un’autosufficienza economica. La dottrina classica si diffuse molto anche in Francia, sopratttutto grazie alla rivoluzione del 1789 mentre fu contestata nell’attuale Germania tra il 1843 e il 1900 (dunque all’indomani del congresso di Vienna). In Germania prevalse infatti il conservatorismo e la tutela delle identità nazionali e si diffuse un movimento conosciuto come “scuola storica” che preferirono un metodo induttivo per lo studio dell’economia. Essi, inoltre, ritenevano che le leggi dell’ economia fossero relative e legate a determinati fatti storici, politici e istituzionali. In Germania si sentì l’influenza della “scuola storica” che criticava soprattutto le conseguenze dell’industrializzazione inglese e del libero scambio ( sfruttamento minorile, femminile e delle masse) e proponeva alternative quali l’idealismo o il Marxismo. La tesi liberoscambista fu ripresa nel 1870 dai “Marginalisti” che a differenza dei classici privilegiavano lo studio della domanda a quello dell’offerta ed esclusero gli studi sociali. Ciò gli permise di raggiungere elevati livelli di elaborazione teorica anche grazie alle applicazioni matematiche. Nonostante la scuola storica non fornì mai una definizione di teoria dell’economia, il suo metodo fu un impulso fondamentale per lo studio della scuola economica. Agli inizi del ‘900, negli Usa vi era la dottrina “istituzionalista” che può essere definita come la nuova scuola storica tedesca. Fino alla prima guerra mondiale lo studio dell’economia secondo il metodo marginalistico e storicistico erano validi e furono abbandonati soltanto con la macroeconomia keyenesiana. Capitolo 2 1) I sistemi economici Un sistema economico è l’insieme delle forme istituzionali, dei rapporti giuridici o consuetudinari, e delle strutture sociali che regolano l’attività economica dell’uomo. Il processo storico di sviluppo ha fatto si che nel corso della storia si siano susseguiti diversi sistemi economici. Nel corso dei secoli si sono susseguiti il sistema Feudale, il Mercantilismo, il Capitalismo e il Collettivismo. Questi ultimi due, a partire dagli anni 2000, hanno dato vita alla Globalizzazione. I sistemi economici non si riscontrano come “puri” nella realtà ma possono anche coesistere tra loro e in ciascuno può essere presente caratteristiche di un altro. Inizialmente la formazione economica comunitaria si fondava sulla proprietà collettiva e sul lavoro su base individuale-‐familiare. Poi, con l’avvento di una gerarchia sociale divisa in classi, si ebbe il pasaggio alle formazioni tributarie nelle quali i proprietari erano in grado di accumulare un “surplus” grazie all’affitto delle terre ai ceti più poveri. A seguito delle invasioni barbariche, tale sistema tributario divenne di gran lunga più complesso e nacque il feudalesimo. 2) L’economia feudale Tale sistema, diffuso soprattutto in Europa tra il 700 e il 1200, era basato sulla cessione delle terre dal sovrano al feudatario e da quest’ultimo a vassalli minori. Era un sistema gerarchico che dal signore giungeva fino ai servi della gleba. Ogni servo della gleba coltivava un piccolo appezzamento di terreno ( il manso),che spesso non era nemmeno sufficiente al sostentamento della famiglia. Queste persone dovevano inoltre prestare servizio al proprio signore sotto forma di Corvèes. La rendita generata dal lavoro non permetteva al Signore di accumulare un surplus anche perché non era possibile commerciare i prodotti di cui si era in possesso. Una caratteristica del feudalesimo infatti era l’economia chiusa, basata sull’autoconsumo. Tale sistema economico era inoltre statico; ovvero la struttura piramidale della società non cambiava facilmente e rimanevano sempre gli stessi status sociali. I primi mutamenti iniziarono a verificarsi nel XII secolo, all’indomani delle invasioni barbariche. Infatti, in quel periodo, grazie ad un rapido incremento demografico si iniziarono a diffondere le nuove tecniche nel campo agricolo e la popolazione si spinse in zone nuove e non ancora colonizzate. A mano a mano si intensificò la creazione di Surplus; I signori iniziarono a concedere tutte le terre ai contadini in quanto era più conveniente a causa dell’aumento della produttività e dell’aumento della manodopera e ottenevano un profitto più alto rispetto a quello delle corvees. Nel giro di poco tempo dalla rendita in natura si passò alla rendita monetaria che si sviluppò anche grazie alla nascita delle economie urbane. Le città infatti iniziarono ad essere un aspetto integrante del sistema feudale ma mai dominante. I feudatari, però, iniziarono a chiedere tributi sempre più ingenti e ben presto la situazione per i contadini diventò molto difficile e iniziarono le prime fughe verso le città. L’abbandono delle terre portò a un calo della produzione agricola e a una diminuzione del potere d’acquisto dei suoi percettori sui mercati urbani. Ciò testimonia che l’agricoltura era alla base del sistema feudale. Per Smith dunque il Capitale ha un ruolo fondamentale nel sistema capitalistico in quanto consente di reclutare forza-‐lavoro e di possedere Terre. Ricardo formulò una diversa teoria del valore-‐lavoro; in questa teoria escluse la rendita come componente del valore di scambio, in quanto non costituiva un reddito originario ma derivato. Ricardo dimostrò che il lavoro era la fonte delle società (sia precapitalistiche che industrializzate). Egli sosteneva che il valore di scambio di una merce derivasse dalla somma del lavoro “diretto” (ossia della manodopera e degli operai) e da quello “indiretto” (ossia degli impianti di produzione ecc…). Marx, che partì dalla filosofia hegeliana basata sull’immutabilità della natura umana e sulle trasformazioni della storia, arrivò al concetto di “materialismo dialettico”. Per Marx lo scopo dell’economia era lo studio dei rapporti sociali di produzione. Per Marx ,infatti, ogni forma di produzione comporta determinati rapporti sociali che costituiscono la struttura economica di un sistema. Su questa struttura nasce una sovrastruttura politica, istituzionale, ideologica ecc… Inoltre, le sovrastrutture mutano al cambiamento delle strutture economiche (influenzato da hegel). Per Marx dunque il capitalismo altro non è che una fase storica molto ambigua; infatti mentre da un lato era basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, dall’altro richiedeva rapporti sociali di tipo cooperativo per raggiungere un’adeguata produttività. Tale dicotomia si sarebbe risolta solo a seguito di una violenta lotta di classe al termine della quale vi sarebbe stato il trionfo del socialismo e della collettivizzazione. Marx riprese le idee sull’analisi del valore-‐lavoro introdotta dai classici sostenendo in particolare l’impostazione ricardiana del valore. Marx sosteneva che il plusvalore fosse uguale alla differenza tra il “valore d’uso” e il “valore di scambio della forza lavoro”. I detentori dei capitali per marx sfruttavano la classe operaia; infatti il capitalista genera un profitto concedendo un minimo salario di sussistenza al lavoratore; ciò era possibile a causa dell’esistenza di un “esercito industriale di riserva” (ossia a causa dei molti disoccupati). Dunque il lavoro è l’unica “merce” in grado di generare profitto per Marx. Al tempo stesso, il lavoro può anche generare sovrapproduzione. Le crisi di sovrapproduzione per Marx erano cicliche e crescenti e avrebbero portato all’implosione del capitalismo. Dunque il filosofo sosteneva che questo conflitto tra capitale e lavoro sarebbe terminato soltanto con la fine di questo sistema economico e con l’instaurarsi di quello capitalistico. La storia condanna però Marx e la sua critica al capitalismo in quanto questo sistema non è mai crollato (nemmeno con la crisi del 29) e il socialismo si è instaurato soltanto laddove non si era sviluppato il capitalismo (russia e cina in primis infatti avevano una struttura feudale). La situazione sociale è migliorata con la nascita dei sindacati e del “welfare state”. Marx però aveva previsto che si sarebbe manifestata la necessità di nuovi bisogni e sarebbe stato necessario abbandonare un isolamento nazionale per dare spazio a una “interdipendenza universale tra le nazioni”. Si può dire dunque che marx abbia anticipato la nascita di multinazionali e della globalizzazione. Dunque, mai come oggi può risultare attuale una rilettura di Marx; non solo per quanto aveva scritto riguardo l’interdipendenza universale tra le nazioni ma anche a seguito della crisi dei debiti sovrani. Tale lettura comunque va interpretata in chiave contemporanea tenendo conto che non tutte le previsioni di marx si sono poi realizzate. 6) Crisi e rinascita del capitalismo La filosofia marxiana che prevedeva le crisi di sovrapproduzione nel sistema capitalistico, aveva posto in discussione la cd. “teoria degli sbocchi”. Tale teoria prevedeva che il reddito percepito dalle vendite fosse interamente reinvestito nel mercato e non prevedeva alcuna forma di tesaurizzazione. In verità non fu così e molto spesso si verificarono eccedenze di offerte e crisi di sovrapproduzione proprio come aveva previsto Marx. Lo studioso Malthus si preoccupò così di capire le cause di queste crisi di sovrapproduzione e cercò di capire come andavano affrontate. Per Malthus i lavoratori avevano un salario che consentiva a questi di sopravvivere senza possedere nessun risparmio. Se i salari fossero aumentati, i lavoratori avrebbero avuto modo di avere famiglie più numerose e la conseguenza sarebbe stata che il costo della manodopera sarebbe precipitato. Al contrario, gli imprenditori per accumulare maggiori capitali da un lato diminuirebbero la domanda di beni di consumo e dall’altro utilizzerebbero tali capitali in capacità produttiva aumentando l’offerta sul mercato. Ciò avrebbe generato uno squilibrio che dipendeva dalla trasformazione di reddito in capitale. Malthus riteneva che lo squilibrio dipendeva da coloro che non operavano in via immediata la trasformazione in capitale (i proprietari terrieri). Egli individuò nella rendita la fonte del consumo improduttivo e difese il ruolo dei proprietari terrieri. Per malthus tale squilibrio poteva essere compensato ad esempio attraverso opere pubbliche (anticipa keynes) realizzabili attraverso un’imposta. Anche De Sismondi si interrogò sulla produzione e sul consumo per comprendere le crisi di sovrapproduzione. La sua tesi può essere così riassunta: in una società capitalista l’aumento del reddito degli imprenditori rispetto a quello dei consumatori genera un diseguale accrescimento della domanda. Infatti mentre si accrescerà la domanda dei prodotti destinati ai capitalisti, l’altra porzione della domanda di beni destinati ai lavoratori non aumenterà nello stesso modo. Per De Sismondi la soluzione a questo problema è il ritorno a una società di piccoli imprenditori che come in passato devono riunire capitale e lavoro; è necessario inoltre un intervento nell’economia da parte dello Stato. Era dunque palese che il capitalismo andasse rivisto dopo le critiche di Marx , De Sismondi e Malthus anche a seguito delle numerose crisi. Nel 1873 vi fu un periodo (conosciuto come la grande depressione) di continue crisi economiche che si susseguirono, alternandosi con lievi riprese, fino alla grande crisi del 1929 dove sembrava che si stessero per realizzare le previsioni di Marx. In questi anni comunque si rafforzarono i commerci esteri dei singoli paesi e i mercati si rafforzarono anche grazie al “gold standard”. Questo contesto storico conteneva tutti i postulati della teoria marginalistica. Alla fine della prima guerra mondiale, gli Usa avevano un debito derivato dal conflitto molto alto e tutti gli stati si erano indeboliti economicamente; fu poi molto difficile riconvertire l’industria bellica e tutto ciò portò come si può pensare a un eccesso di offerta che non si manifestò immediatamente ma solo dopo un decennio. La disoccupazione aumentò molto tra il 1920 e il 1930 e così gli Stati iniziarono a finanziare molti lavori pubblici per lenire la disoccupazione. In questi anni Keynes elaborò la sua teoria che è alla base della macroeconomia. Keynes si ispirò a Malthus e ad altri che avevano anticipato altri aspetti della sua teoria. Per keynes la condizione necessaria per l’equilibrio economico era l’uguaglianza tra risparmio e investimento. Per keynes tale variazione si può realizzare esclusivamente con la variazione del reddito. La grandezza di keynes fu quella di studiare l’economia in aggregato. Per questo è considerato il fondatore della macroeconomia. Per keynes le aspettative hanno un ruolo fondamentale; maggiori saranno queste ultime maggiori saranno gli investimenti degli imprenditori. Altrimenti ci sarebbe un eccesso di liquidità (considerata una trappola da keynes). Per keynes gli imprenditori valutano l’efficienza marginale del capitale rispetto al saggio di interesse. Per fare in modo che si arrivi a un’uguaglianza tra risparmio e investimento per keynes era necessario un intervento dello stato in economia. Come è noto infatti nella teoria keynesiana l’intervento dello stato in economia ha un effetto moltiplicativo sul reddito. Lo stato deve ricorrere al prestito per promuovere opere pubbliche (deficit spending). Capitolo 3 1) Onde lunghe e onde brevi nell’attività economica Il capitalismo si è caratterizzato negli anni con tendenze di fondo come ad esempio il progressivo abbandono del settore primario per quello secondario e in seguito anche terziario. Un’altra tendenza del capitalismo è stato il “trend” secolare positivo; infatti nel periodo che va dal 1820 a oggi vi è stata sempre una crescita costantemente superiore al periodo precedente. Questo nel lungo periodo, mentre nel breve periodo si sono sempre manifestati dei periodi di crisi di sovrapproduzione, sottoconsumo o più in generale di fluttuazioni economiche. Molti studiosi hanno analizzato tali fluttuazioni; per Smith dipendevano da fattori esogeni e transitori e non permettevano l’equilibrio nel preve periodo mentre nel lungo periodo non influivano. Malthus invece attribuiva il problema alle crisi di sovrapproduzione nel breve periodo. Per Marx invece le fluttuazioni dipendevano dal sottoconsumo. John Stuart Mill riteneva che la colpa fosse dell ‘eccesso di risparmio che provocava la caduta del saggio di interesse e dei prezzi con conseguente rarefazione della moneta dovuta ad acquisti speculativi da parte dei detentori di capitali. Comunque anche per mill tali fluttuazioni si sarebbero riassorbite nel lungo periodo. Anche molti esponenti della scuola storica si interrogarono su tali fluttuazioni economiche. Roscher nel 1865 sottolineò che tanto più il sistema economico era più ampio, tanto più era più difficile raggiungere un equilibrio economico. Clement Juglar, invece, notò che le onde di breve periodo hanno una durata di circa dieci anni contraddistinte da fasi di prosperità, di crisi e di liquidazione (crolli finanziari fallimenti e disoccupazione). Per Juglar l’origine di queste crisi andava attribuita all’espansione e contrazione del credito e al livello del saggio d’interesse. Juglar riuscì a dimostrare che le crisi erano sistematiche e avevano carattere ricorrente ma non regolare. Egli per svolgere i suoi studi si servì dei dati di prezzi,depositi, conti correnti di Usa e Inghilterra. Altro studioso fu Joseph Kitchin che nel 1923 riscontrò l’esistenza di fluttuazioni “minori” della durata di circa 40 serie di trattati commerciali ispirati al liberismo. Il commercio internazionale raddoppiò tra il 1860 e il 1880 per poi addirittura triplicarsi nel 1913. Ciò fu favorito soprattutto dal trionfo del libero scambio e all’affermarsi del gold standard. Nonostante tutti questi tentativi e questi progressi nell’interdipendenza degli scambi anche grazie all’adozione del sistema libero-‐concorrenziale, il processo di globalizzazione dei mercati non era ancora concluso ma andava esteso ancora alla circolazione dei capitali e alla internazionalizzazione finanziaria. 3)La globalizzazione della conoscenza I progressi compiuti dall’industria richiedevano un adeguamento dei mezzi di trasporto e di comunicazione. Dal punto di vista dei trasporti fu utilizzata per la prima volta l’elettricità e il motore diesel. Per quanto riguarda le comunicazioni si diffuse il telegrafo, la radio e il telefono. Nel 1910 era possibile telefonare fino a 3000 km di distanza! L’avvento della rete elettrica può essere paragonato a quello di internet per quanto fu rivoluzionario e innovativo. La diminuzione della distanza organizzativa fu fondamentale per la nascita della grande industria. In questi anni nascono le prime transnazionali e fu agevolato il processo di internazionalizzazione. In Germania soprattutto le imprese si aggregarono in cartelli controllando i prezzi attraverso il fenomeno del “dumping”. Negli usa ci furono molte più spa e nacquero le “pools” per ridurre i costi e le “holding companies” che erano società finanziarie a controllo incrociato. In europa invece si diffusero le multinazionali dell’automobile. Ci fu in questi anni inoltre la moltiplicazione delle Borse e i rapporti tra banche e imprese crebbe sempre di più in tutto il mondo. 4)La globalizzazione tecnica e i nuovi paradigmi dell’economia L’innovazione ha contraddistinto le fasi dell’industrializzazione e ha portato alla cosidetta “new economy”. La New economy ha implementato le più innovative tecnologie informatiche e ha avviato un’ulteriore spinta delle produttività e del processo di globalizzazione. La “new economy” è stata definita una di quelle innovazioni che ha fatto epoca in quanto ha generato un forte sviluppo economico. La new economy ha però portato anche ad una “bolla speculativa”. In questi anni inoltre gli Usa sono cresciuti maggiormente rispetto all’Europa, probabilmente poiché hanno investito maggiormente nello sviluppo e nelle innovazioni. La new economy ha portato a numerosi mutamenti e ad una globalizzazione “complessa”. Sono stati introdotti infatti nuovi paradigmi nella teoria e nel pensare l’economia. Fino alla prima guerra mondiale infatti la globalizzazione del mercato sembrava avvalorare il meccanismo della concorrenza e lo strumento dei prezzi come regolatore dell’equilibrio economico. Con il crollo di Wall Street si dimostrò quanto fosse debole tale impostazione. La teoria di Keynes al contrario mostrò che in caso di crisi i governi dovessero intervenire in economia. La teoria keynesiana fu applicata anche nel secondo dopoguerra e anche dai paesi emergenti, fino agli anni 70 quando a seguito degli shock petroliferi crollarono gli accordi di bretton-‐ woods. Negli anni 70 ci fu un periodo di stagnazione in quanto l’inflazione era accompagnata da un periodo di stagnazione dell’economia in cui andava sempre più aumentando la disoccupazione. La crisi degli anni ’70 fu superata non attraverso le teorie keynesiane, ma con una politica di neoconservatorismo che si basava sul neoliberismo e sulla riproposizione di un sistema concorrenziale in cui le regole (o meglio la loro assenza) erano giustificate dall’assenza dei nuovi paradigmi dell’economia che progressivamente facevano sopravanzare lo stato dal mercato e la sua sovranità dalla transnazionalità del potere economico e finanziario. Un esemplificazione della globalizzazione complessa sono l’unione monetaria europea e l’atto unico europeo. 5) L’Europa subordinata L’UE è espressione del processo di relativizzazione della sovranità degli stati rispetto a istanze transnazionali verso l’alto e locali verso il basso. Il risultato di questo processo è stato l’intensificarsi della politica e del dominio internazionale. Questa interdipendenza inoltre ha imposto agli stati di cedere una parte della loro sovranità “nel processo di una progressiva emergenza di regole comunitarie”. Alla base del processo di unificazione europea nato già negli anni 70 del 1900 non vi è alcuna teoria economica specifica ma si basa esclusivamente sul neomonetarismo. Molti studiosi fin dagli anni 70 scrissero per evidenziare i rischi che avrebbero portato ad una politica di integrazione europea. Per alcuni infatti si sarebbe soltanto accresciuta la cooperazione necessaria a fondare un monopolio nel mercato europeo. Anche il premio nobel Mundell sosteneva che l’europa non era un’”area monetaria ottimale”. Lo stesso atto unico europeo del 1986 provocò la diffusione dell’ “outsourcing” da parte dei paesi più ricchi d’europa e il progressivo assorbimento dei paesi della vecchia URSS. Tale processo si intensificò inoltre con il crollo del muro di berlino. L’atto unico europeo segnava l’inizio di una limitazione della sovranità degli stati. Con questo atto si cancellava il confine degli stati, il potere di fissare il tasso di sconto e di regolamentare i flussi di merci e capitali (attraverso le banche centrali). L’abolizione del confine degli stati è il “trait d’union” tra la formazione dell’ Ue e la formazione del processo di Globalizzazione.. “La logica del capitalismo non tollera frontiere” Uno dei motivi per cui questa politica di internazionalizzazione non ha funzionato è che ogni stato ha determinate caratteristiche ed è diverso dagli altri. La globalizzazione ha portato a modifiche irreversibili nell’organizzazione spaziale della produzione. Oggi i grandi gruppi industriali operano secondo il concetto “Local but global”. Il patto di stabilità si ispirava alla critica keynesiana di aver distrutto l’ “old time fiscal religion”, ossia il pareggio di bilancio. Oggi le continue critiche al patto di stabilità hanno rievocato però il “keesian consensus”. Tale operazione di pareggio di bilancio era però necessaria secondo alcuni per consentire alle grandi imprese multinazionali di poter ottenere capitali più vantaggiosi nei mercati senza che i governi dovessero coprire i loro disavanzi. L’introduzione della moneta unica al contrario di quanto si potesse pensare non ha permesso un riequilibrio tipico del sistema libero concorrenziale, nonostante solo nel breve periodo era prevista una crescita della ricchezza del 4,5 % a cui andava aggiunto un abbassamento dei prezzi, un aumento dell’occupazione e un risparmio attraverso l’abolizione dei tassi di cambio. 7) la globalizzazione impossibile. Sovranità, partecipazione, cittadinanza Malgrado la corte di giustizia europea ha sancito il principio di “sovranità condivisa” degli Stati, tale principio si è realizzato in una “sovranità subalterna” nella quale la Germania ha di fatto un monopolio sull’euro. I paesi che non fanno parte della zona euro hanno ancora una sovranità monetaria e malgrado il processo di globalizzazione è stato compiuto non esiste un’unità economica mondiale. È opportuno ritenere invece che esistono sistemi di movimento di capitale . In tale contesto, accanto alla triade impossibile di Daniel rodrik (secondo la quale una nazione può possedere contemporaneamente soltanto due elementi tra politica monetaria autonoma, tassi di cambio fissi e libero movimento di capitali), esiste un trilemma della politica economica mondiale (secondo il quale non possono coesistere democrazia partecipativa, stato-nazione e integrazione economica internazionale). Poiché la scelta di stato democratico e partecipativo è inderogabile, è necessario scegliere tra stato-‐nazione e integrazione economica internazionale. Se si vuole raggiungere un integrazione economica internazionale (simile al sogno liberista) per rodrik era necessario attraverso un “federalismo globale”. Se si preferisce invece mantere uno “stato-‐nazione” significa che le decisioni di politica economica saranno assunte all’interno del proprio paese; in questo modo, però, ogni paese vivrebbe una “democrazia limitata” nella quale la società non potrebbe influenzare la grande economia nazionale. Si avrebbe dunque la cosiddetta “camicia di forza d’orata”. Dunque la soluzione a questo problema sarebbe una struttura di governo sovrannazionale ma eletta. Dunque è corretto chiedersi e interrogarsi se la globalizzazione è stata davvero raggiunta e ,in caso contrario, è un obiettivo desiderabile a ogni costo. Tra le molte contraddizioni di questo processo ecco quelle principali: 1) Cina, India e Vietnam definite “star globalizers” già nel 2001 hanno una politica basata sulle esportazioni mentre la politica interna è piuttosto protezionistica. Ciò si sposa poco con il dogma del libero mercato. 2) I principali “followers” dei paesi più avanzati (leaders) sono stati continuamente sottoposti ad attacchi speculativi e a crisi finanziarie. 3) I paesi promotori del processo di globalizzazione hanno cercato di mantenere una protezione dei mercati più rilevanti e su quello del lavoro. Pur continuando a sostenere la globalizzazione, questi aspetti hanno fatto si che il suo approccio fosse meno dogmatico. Infatti si è iniziato ad ammettere che la globalizzazione ha portato nel complesso ad una crescita del pianeta ma anche a numerose crisi finanziarie e gravi tensioni sociali. Per il teorema di Rodrik si dovrebbe giungere ad un eclissi dello stato-‐nazione anche se sembra quasi impossibile tale soluzione. Dunque sarebbe meglio abbandonare nel breve periodo l’integrazione economica globale e dedicarsi ad una democrazia effettiva. Si dovrebbe creare uno “spazio politico” per affrontare i problemi e le esigenze della società. Insistendo sulla volontà di una integrazione economica internazionale e dell’impossibilità di creare una nazione-‐mondo abolendo lo stato-‐nazione si rischierebbe di cancellare il
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