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La grande divergenza, Sintesi del corso di Storia Economica

I paesi asiatici, e in particolare la Cina, agli inizi degli XVIII secolo si presentavano quasi più avanzati dell’Europa occidentale. Infatti, né una maggiore quantità di bestiame, né migliori trasporti costituirono la differenza tra i due mondi; in Europa gli animali erano impiegati soprattutto nei lavori agricoli e anche come mezzi di trasporto.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La grande divergenza e più Sintesi del corso in PDF di Storia Economica solo su Docsity! STORIA ECONOMICA LA GRANDE DIVERGENZA, LA CINA, L’EUROPA E LA NASCITA DELL’ECONOMIA MONDIALE MODERNA. CAPITOLO I L’Europa prima dell’Asia? Le interpretazioni dello sviluppo europeo: popolazione, accumulazione di capitale e tecnologia. I paesi asiatici, e in particolare la Cina, agli inizi degli XVIII secolo si presentavano quasi più avanzati dell’Europa occidentale. Infatti, né una maggiore quantità di bestiame, né migliori trasporti costituirono la differenza tra i due mondi; in Europa gli animali erano impiegati soprattutto nei lavori agricoli e anche come mezzi di trasporto. Tuttavia, le immense regioni risicole dell’Asia non necessitavano di un tale aiuto, poiché il riso si deteriora molto rapidamente una volta brillato, mentre il notevole sviluppo delle vie d’acqua in Cina e in Giappone ha compensato la mancanza dei trasporti terrestri. Molte città dell’Asia, poi, erano più grandi di qualsiasi città europea. Si ritiene che, nel XVIII secolo, il 22% della popolazione nipponica vivesse in città, contro il 10-15% dell’Europa occidentale. Queste città, inoltre, dipendevano largamente dal commercio a lunga distanza di genere alimentari. Persino le aspettative di vita non evidenziavano grossi squilibri tra Asia e Europa: tra il XVIII e il XIX secolo in quasi tutti i paesi europei, la vita media era compresa tra i 29-34 anni con un’alta mortalità infantile. Nei villaggi giapponesi, invece, la speranza di vita era di 34,9-41,1 per i maschi e 51,8 per le femmine. In Cina, la speranza di vita alla nascita sembra piuttosto bassa, in parte a causa dei tassi molto alti di infanticidio, in particolare delle bambine, ma per coloro che raggiungevano un anno si fissava intorno ai quarant’anni, registrando una parità con i ceti più benestanti delle popolazioni europee. Solo per l’India si stimava una speranza di vita intorno a un massimo di 20-25 anni. In Europa si registrarono anche tassi natalità decisamente bassi, grazie a un alto tassi di celibato definitivo e un matrimonio tardivo. Ma anche in varie popolazioni asiatiche erano presenti metodi di controllo sulle nascite, per conservare o migliorare le loro condizioni di vita; il Giappone si usava inviare le giovani donne a lavorare lontano dai loro villaggi per diversi anni, ma c’erano anche mezzi diretti quali l’aborto, l’infanticidio e l’astinenza. Non ci sono, dunque, molte ragioni per ritenere che la maggior parte degli europei godessero verso il 1750 di un tenore di vita particolarmente elevato rispetto ad altre popolazioni e sembra quindi improbabile che lo stock di capitale fosse più consistente. Forse gli edifici europei si sono dimostrati più resistenti alle intemperie di quelli della Cina o del Giappone, paesi che usavano meno mattoni e pietra. E i disastri più ricorrenti nel Vecchio Continente erano epidemie, guerre e cattivi raccolti, che distruggevano lavoro piuttosto che capitale, mentre terremoti e inondazioni, più frequenti nella maggior parte dell’Asia che in Europa, danneggiavano soprattutto i beni capitali. Aspetto, questo, del tutto discutibile, dal momento che sostituire ingombrante capitale fisico distrutto non risulta tanto più difficile di rimpiazzare il capitale umano. Verso il 1850, almeno l’Europa nordoccidentale aveva un vantaggio tecnologico sul resto del mondo. Fattori culturali e istituzionali hanno certamente favorito la diffusione in Europa di una “cultura scientifica”. Le sue componenti fondamentali furono l’aumento dell’alfabetizzazione e la diffusione della stampa, la moltiplicazione delle società scientifiche, le lezioni pubbliche relativamente accessibili e così via. Dietro questi fenomeni stava la forte convinzione che si dovesse incoraggiare l’indagine sul mondo fisico, perché questa poteva portare a vantaggi materiali agli individui. L’interesse dei cinesi per le scienze fisiche e matematiche aumentò considerevolmente nel corso del XVIII secolo, in particolare, dopo il 1644 (conquista del Manchu), dopo che gli editori scoprirono che stampare libri di medicina poteva essere molto remunerativo, oltre che meritorio dal punto di vista etico. Altre regioni avevano una posizione di avanguardia o comunque paragonabile a quella europea in vari settori tecnologici, quali tecnologie agricole in Cina, Giappone, India e Asia sudorientale. Altri settori nei quali l’Europa della fine del XVIII secolo doveva ancora recuperare terreno furono quella di tessitura e tintura, dei quali cercavano di imitare i procedimenti cinesi e indiani, ma anche il ferro grezzo, risultava migliore quello indiano rispetto a quello inglese. La scienza medica era probabilmente poco efficace ovunque nel mondo premoderno, ma le città dell’Asia orientale erano molto più avanzate in settori cruciali della salute pubblica, come la depurazione e la distribuzione dell’acqua. Persino nel consumo di energia si pone parità tra Europa e Cina nel 1700. Ma il passaggio della prima, nel corso del XIX secolo, ai combustibili fossili, disponibili in abbondanza, permise progressi europei che avevano potenziale vantaggio rivoluzionario rispetto alla Cina. Inoltre, la Cina non disponeva di società scientifiche organizzate, per cui mancavano strumenti adeguati per diffondere utili nuove conoscenze. La Cina settentrionale e nordoccidentale ha enormi giacimenti di carbone, e quando il nord comprendeva il centro di gravità politico, economico e demografico della Cina, essa fu in grado di sviluppare una formidabile industria siderurgica. La produzione cinese in ferro intorno al 1080 era superiore a quella europea nel 1700. I fabbri cinesi, tra l’altro, erano già a conoscenza dell’impiego del coke. Nel periodo tra il 1100 e il 1400, tuttavia, la Cina settentrionale e nordoccidentale, fu colpita da un’impressionante serie di catastrofi: invasioni e occupazioni, guerre civili, enormi inondazioni e la peste. Dopo il 1420, il baricentro economico e demografico della Cina era definitivamente scivolato verso le regioni meridionali, ecologicamente più ospitali. Le conoscenze dell’uso e dell’estrazione del carbone venne spazzato via. Alcune miniere erano effettivamente attive in varie parti della Cina meridionale e nel nord entro il raggio di azione dei mercanti di Pechino, ma erano per lo più piccole e in posizione sfavorevole per approfittare dei mercati più ricchi e più affamati di combustibile della Cina. Al contrario, in Gran Bretagna, una grande penuria di legna da ardere, incentivò la ricerca del carbone. Anche se si potevano importare via mare legna e prodotti a base di legname, questa era un’opzione decisamente costosa. Gran parte del sapere sull’estrazione e l’uso del carbon fossile era tramandato oralmente dagli artigiani e non venne messo per iscritto fino al XIX secolo. Per questo imitazioni da parte dei francesi furono del tutto vane. Il sapere tecnologico fu dunque essenziale per l’affermazione del carbone in Europa. L’accumulo di queste esperienze fu possibile perché le abilità artigianali, la domanda da parte dei consumatori e il carbone stesso si trovavano concentrati nelle stesse aree. Senza questa fortunata coincidenza geografica, era possibile che alcune conoscenze si accumulassero in zone senza futuro. Per la Gran Bretagna fu una fortuna dover risolvere il problema del drenaggio delle miniere, anziché quello delle esplosioni, come accadde in Cina, perché la necessità di risolverlo portò al perfezionamento della macchina a vapore. CAPITOLO II Economie di mercato in Europa e in Asia Tra il XVI e il XVIII secolo sia la Cina che l’Europa occidentale si mossero verso quello che viene definito “individualismo agrario”. Nel complesso, tuttavia, la Cina era più prossima a un’agricoltura regolata dalle forze di mercato di quanto non lo fosse la maggior parte dell’Europa. Vi erano comunque delle restrizioni consuetudinarie, specialmente nell’area del delta dello Yangzi: coloro che avevano intenzione di vendere, dare in pegno o affittare la terra dovevano in genere offrirla prima ai loro parenti/vicini. Questi mercati erano dunque lontani dall’essere perfettamente competitivi. Ma la stragrande maggioranza della terra in ogni regione della Cina era più o meno liberamente alienabile. Solo alcune terre, soprattutto al nord, nel XVI, secolo appartenevano ancora allo stato ed erano concesse in usufrutto a gruppi di soldati del Canale Imperiale e comprendevano circa il 3% delle terra arabile. Inoltre, gran parte di essa finì per essere di fatto parificata alla proprietà privata e i concessionari ereditari la vendevano e impegnavano senza restrizioni, protestando quando lo stato si dichiarò infine disposto a rinunciare formalmente alla proprietà in cambio di una somma di denaro. Superfici più estese venivano rese inalienabili assegnandole a istituzioni di beneficienza, destinate a provvedere al sostentamento delle vedove e degli orfani e alle spese cerimoniali dei lignaggi o al finanziamento di templi e scuole. Indipendentemente da chi fossero i proprietari, parte della terra era coltivata da affittuari e anche subaffittuari. Nel sud-est, dove i lignaggi erano particolarmente forti, il consistente numero di parenti, non impediva che varie persone entrassero in concorrenza per l’accesso alla terra, che nonostante ciò non rappresentava un limite insormontabile. A partire dal XVIII secolo, troviamo numerosi casi in cui i membri meno importanti del lignaggio hanno dato in affitto terre del clan ad estranei senza tener conto delle limitazioni consuetudinarie. Ciò era illegale, ma spesso il fatto compiuto veniva riconosciuto. Una serie di problemi molto più complessi riguarda l’estensione dei diritti dei conduttori e la loro relazione con gli investimenti sulla terra. Laddove i proprietari non erano coltivatori diretti, la conduzione in affitto, nella quale era l’affittuario a prendere decisioni fondamentali sulla coltivazione, era molto più diffusa della conduzione in economia, nella quale il proprietario assumeva queste decisioni e ingaggiava la manodopera. Riguardo al grado di sicurezza di cui godevano i conduttori rispetto alla terra che coltivavano, la maggior parte dei contratti suggerisce che i diritti dei coltivatori fossero sufficientemente garantiti, ma i materiali d’archivio relativi alle controversie fra proprietari e coltivatori indicano che forse, per questi ultimi, non era sempre facile ottenere il rispetto dei patti. La rapida commercializzazione che si verificò nel XVIII secolo accelerò l’evoluzione verso una relazione fra proprietario e conduttore puramente contrattuale. È certo, comunque, che i coltivatori investirono in migliorie, anche in assenza di assolute garanzie. Nella maggior parte dell’Europa occidentale le compravendite di terra incontravano ostacoli maggiori che in Cina. Ancora nel XIX secolo, circa il 50% della superficie coltivabile era interessata da vincoli familiari che ne rendevano quasi impossibile la vendita. Già nel XVII, però, si svilupparono mercati della terra virtualmente liberi in Olanda, Lombardia e Svezia. Un vivace mercato delle affittanze poteva compensare le limitazioni poste alla vendita di terra, facendo sì che anche le terre di un proprietario inetto fossero coltivate da chi sapeva ricavarne il massimo. Nel XVII secolo l’Olanda e l’Inghilterra vantavano l’agricoltura più produttiva d’Europa e i redditi pro-capite più elevati. Ma i livelli ereditari già dominanti, ottennero tra il XVI e XVII secolo una protezione legale ancora maggiore. Poiché gli investimenti nell’agricoltura richiedeva la cooperazione di tutta la comunità e/o l’intervento di una grande proprietario terriero, gli affittuari garantiti nei loro diritti divennero un ostacolo ai miglioramenti. Infatti, l’esistenza di livelli ereditari rendeva impossibile la pratica della recinzione. E quest’ultime erano la condizione necessaria per l’innovazione più importante a disposizione dei coltivatori europei prima della fine del XIX secolo, ovvero la destinazione alle foraggiere di un terzo o metà della terra lasciata ogni anno a maggese. Entro il XVI secolo, molti coltivatori italiani, olandesi e britannici avevano scoperto che era possibile salvaguardare la fertilità della terra seminandola con varie piante foraggiere, se si fosse potuto tenerne fuori gli animali del villaggio recintandola. Ma l’adozione della “nuova agricoltura” richiedeva il ricorso ad almeno uno dei due tipi di recinzione, entrambi in contrasto con i diritti consuetudinari. Uno consisteva nel ripartire in appezzamenti privati i terreni comuni che la comunità di villaggio utilizzava come fonte comune di combustibili e foraggio. L’altro era l’accorpamento e la recinzione di terre che erano già state privatamente possedute ma che erano state soggette all’obbligo di rimanere incolte ogni due o tre anni perché gli animali del villaggio vi potessero pascolare. Le restrizioni all’uso della terra in gran parte dell’Europa occidentale, rallentò la diffusione della nuova agricoltura , ossia tecniche che si sapeva consentivano un rendimento per ettaro circa del 60% superiore a quello ottenuto con le tecniche tradizionali. Tuttavia, entro il 1850 il maggese era stato virtualmente eliminato, grandi estensioni di terre comuni prima lasciate a pascolo vennero messe a coltura, la superficie coltivata annualmente crebbe a 25 milioni di ettari. I maggiori guadagni di produttività, però, sono spesso da attribuirsi al maggior impiego di lavoro e capitali dopo le recinzioni, non alla recinzione in se stessa. Un aumento del tempo dedicato al lavoro con guadagni modesti accomuna, così, l’Europa e la Cina. Un altro aspetto che, però, differisce la prima dalla seconda, è che poiché gli europei lavoravano un maggior numero di ore per produrre beni destinati al mercato, essi usarono parte del denaro guadagnato per acquistare prodotti finiti che prima producevano da sé: pane, candele etc. Ciò non accadde nel paese asiatico. Nonostante questo, la Cina assomiglia all’Europa nel fatto che scelse di procurarsi una maggiore quantità di beni non alimentari, al contrario del Vecchio Continente però, non si ebbe una contrazione dei consumi alimentari. Mentre i contadini cinesi continuarono ad accedere direttamente al mercato con i loro prodotti, il sistema europeo dell’industria a domicilio implicava che gli imprenditori riuscissero spesso ad evitare un mercato competitivo. Infatti, i mercanti talvolta si suddividevano il territorio per non entrare in concorrenza gli uni con gli altri. Questo significava che un lavoratore era vincolato a un singolo mercante da una relazione semiservile. Ma l’autosfruttamento delle donne cinesi nella campagne ha reso la creazione di fabbriche meccanizzate meno attraente di quanto sarebbe stata senza la loro concorrenza. La differenza è che in Europa le donne potevano lavorare lontano da casa. Così le fabbriche nascenti potevano ingaggiare anche questa manodopera a basso costo, contro la quale avrebbero altrimenti dovuto competere. CAPITOLO III Il consumo di beni di lusso e l’ascesa del capitalismo Le tesi relative all’ascesa di una “società di lusso” o di “consumo”, nel periodo successivo al 1400, rientrano in due gruppi. Il primo sottolinea la crescita del consumo di beni di lusso nelle élite molto ricche, caratterizzato da una nuova preferenza per oggetti di lusso, spesso durevoli, come sete, specchi e mobili di pregio, che avrebbe sostituito le precedenti modalità di ostentare lo status sociale. L’altro, invece, evidenzia l’aumento del consumo di beni di lusso, specialmente esotici, quali il caffè, il tè, il cacao, lo zucchero e il tabacco, che nel XIX secolo divennero beni di consumo di massa. La domanda di questo tipo di prodotti, ottenibili solo attraverso il mercato, ha incentivato la gente comune ad aumentare il proprio reddito monetario. Soprattutto zucchero, tabacco etc venivano coltivati al di fuori dell’Europa, spesso da schiavi, e grazie ad essi aumentò la disponibilità, e diminuì il prezzo. Ma l’espansione dei consumi di beni di lusso quotidiani avvenne piuttosto lentamente. Nel Vecchio Continente, poi, il mutamento nei modelli di consumo era più un fatto inglese che europeo. In Cina, invece, nel XVI e XVII secolo il consumo di zucchero era più diffuso presso le élite, mente la gente comune lo utilizzava solo in occasioni speciali come i matrimoni. Inoltre, in Cina, vi erano enormi differenze regionali di consumo, come ad esempio a Taiwan, dove lo zucchero era a più buon mercato, o nel sud sud-est dove prevaleva una cucina con molte salse dolci. Ma a un certo momento il consumo pro-capite cinese diminuì, mentre, dopo il 1840 quello dell’Europa crebbe esponenzialmente. Questa divaricazione è stata fortemente accentuata dalle tendenze demografiche. La crescita della popolazione cinese successiva al 1750 si era fortemente concentrata in regioni relativamente povere. Così, anche se il consumo in ciascuna regione si mantenne sui livelli del 1750, la media nazionale probabilmente diminuì. Al contrario di quanto accadde in Europa, dove la popolazione, tra il 1750 e il 1850, crebbe più rapidamente nella parti relativamente prospere del continente. La struttura del mercato di questi “beni voluttuari” era comunque diversa fra Europa e Cina. In quest’ultima lo zucchero, il tabacco e il tè erano nella grande maggioranza dei casi produzioni nazionali; il mercato era altamente competitivo, coinvolgeva molti operatori e aveva margini di profitto modesti. In più non produceva entrate significative allo stato, tanto che alcuni funzionari ne scoraggiavano il consumo. In Europa, invece, vi erano funzionari avidi di imposte e mercanti e piantatori coloniali che avevano fatto grandi investimenti per accrescere la capacità produttiva e per ottenere privilegi monopolistici, che ne stimolarono il consumo. Tra il 1400 e il 1800 in Europa, Cina, India e Giappone si nota un marcato aumento nella quantità e variabilità dei mobili, nei vestiti di lusso, nelle posate e in quei beni definiti “da collezione”. Questo fenomeno si deve a uno stile di vita radicalmente nuovo e “materialista”, dove la domanda di prodotti, che cresce indefinitamente, diviene un fatto artificiale; sono i “beni” e i “mercati” a determinare le relazioni sociali. Si differenziano così “fashion system” dove una enorme quantità di beni con un significato di status è a disposizione di chiunque abbia abbastanza denaro, vi è quindi il declino dell’importanza dei seguiti personali, dominato però da una continua mutevolezza delle regole che fanno sì che un certo comportamento o consumo sia considerato “volgare” e altri “raffinati”. Dall’altro, invece, un sistema “suntuario regolamentato”, in cui oggetti particolari, ai quali viene attribuito un significato sacro, possono essere legittimamente posseduti e scambiati solo da coloro che sono legittimati a farlo. Uno spostamento in una direzione o nell’altra può avere ripercussioni di vasta portata sullo sviluppo economico. In questo periodo si diffusero anche pubblicazioni a stampa che impartivano consigli su come valutare e mettere appropriatamente in mostra simili oggetti. Altre erano rivolte ai nuovi ricchi, per aiutarli ad acquistare gli oggetti giusti in modo adeguato. Fecero la loro comparsa in Cina un po’ prima che in Europa. La moda divenne così uno strumento di competizione sociale. Anche se l’accumulazione di beni materiali da parte degli europei occidentali, dei cinesi e dei giapponesi presentava tratti comuni, vi erano interessanti differenze. La crescita e la trasformazione dei consumi degli europei sembrano essere proseguite nonostante gli alti e bassi dei redditi reali e aver subito a partire dalla metà del Settecento un’accelerazione che non è riscontrabile in Cina e Giappone, dove lo sviluppo di una “società dei consumi” si arrestò. In Europa il ritmo del cambiamento della moda continuò ad accelerare, specialmente per quanto riguarda il vestiario, infatti, i tessuti divennero (relativamente) meno costosi, e quindi di più agevole sostituzione. Altri beni, invece, furono costruiti con materiali non durevoli (bicchieri di vetro e le porcellane). In Cina un effetto “frenante” si è avviato dopo il 1644, quando i Qing ristabilirono l’ordine e venne restituito prestigio al servizio dello stato. La stretta regolamentazione cui fu sottoposto il vestiario dei funzionari rappresentò l’unico tipo di legislazione suntuaria e la concessione del diritto di utilizzare capi di vestiario altrimenti riservati ai funzionari (bottoni, cappelli…) solo a chi avesse reso particolari servigi, come assistenza nei periodi carestia, o per la costruzione delle strade. Mentre gli stati europei tra il Cinque e Settecento accrebbero il loro potere anche riducendo il ruolo della parentela. Durante questo processo essi certamente minarono l’importanza dei raggruppamenti dei parenti nella definizione delle identità personali e così favorirono la tendenza degli individui a definirsi anche attraverso il consumo di beni acquisiti individualmente e non ereditati. Per ottenere certi beni gli europei estesero i loro commerci; tuttavia, mentre i beni esotici riscuotevano un enorme successo in patria, non si può dire lo La spinta alla colonizzazione del Nuovo Mondo provenne da una combinazione di decisioni di politica economica europee di domanda sia asiatica che europea. Nonostante alcuni colonizzatori fossero spinti da motivazioni politiche o religiose, è difficile credere che le colonie europee del Nuovo Mondo si sarebbero sviluppate se i coloni non avessero trovato prodotti da esportare in Europa o in Asia. Il commercio d’argento rappresentò qualcosa di veramente nuovo, un traffico globale, incentivato dalla crescente domanda della Cina. Mentre la domanda europea di beni “di lusso”, quali zucchero, tabacco e oro, faceva sì che fosse conveniente aumentare la produzione del Nuovo Mondo, la produzione in aumento e il volume delle spedizioni contribuirono ad abbassare i costi di transazione e resero così proficuo per i privati finanziare la colonizzazione anche al di là delle zone costiere originarie, e quindi importare più gente (schiavi o coloni liberi), espandere le installazioni portuali e così via. Il tutto mise in moto un meccanismo che avrebbe alla fine generato quel flusso di risorse indispensabile a sostenere il boom demografico e industriale dell’Europa del XIX secolo. Le esplorazioni oltremare, la colonizzazione e il commercio erano le attività che richiedevano la maggior quantità di capitale in questo periodo. E le nuove istituzioni finanziarie dell’Europa si dimostrarono molto adatte a organizzare la colonizzazione e il commercio armato oltremare. Promuovendo il gusto per i nuovi prodotti che rimanevano comunque costosi, le Compagnie delle Indie incoraggiarono allo stesso tempo, in modo non intenzionale, lo sviluppo di nuove industrie che miravano a sostituire le importazioni, come la porcellana o le imitazioni delle cotonate indiane. Queste industrie da sole non avrebbero potuto alimentare una crescita autosostenuta. Per la rimozione di questi limiti era necessario che l’Europa occidentale potesse attingere ai giacimenti di carbone e alle risorse delle colonie. Queste industrie di sostituzione delle importazioni contribuirono ad alimentare la crescita dei consumi, la specializzazione e la “rivoluzione industriosa” in Europa. La competizione interna all’Europa, si rivelò piuttosto proficua, se proiettata verso l’esterno, ossia nella conquista di nuovi territori nel mondo. Questa competizione condusse a significativi progressi nella tecnologia militare e nelle tattiche di combattimento. Tuttavia, soprattutto nel Nuovo Mondo, i successi degli europei furono dovuti più alle epidemie che alla superiore tecnologia e organizzazione militare. La colonizzazione europea nel Nuovo Mondo necessitava dunque di finanziamenti nel settore militare, e questi costi erano più facilmente sopportabili da parte di un solo soggetto se questo riusciva a controllare e a evitare l’intrusione di operatori indipendenti. In questo modo le concessioni dei monopoli rendevano più remunerativo per individui che risiedevano in Europa finanziare ulteriori insediamenti di quanto non sarebbe stato conveniente ai produttori del Nuovo Mondo essere parte di un mercato più competitivo. Le compagnie coloniali, che sopportavano i costi d’avvio delle colonie, facevano quindi quanto in loro potere per promuovere in patria la domanda dei loro prodotti. E lo stesso facevano, in qualche caso, i funzionari governativi. Infatti, tali compagnie nazionali consentivano al governo di partecipare agli utili attraverso il prelievo dei diritti doganali e ai prestiti che le compagnie privilegiate concedevano in tempo di guerra. Ciò non accadde in Cina, dove lo stato non aveva alcun interesse a sostenere politicamente o militarmente le spedizioni oltremare dei suoi sudditi. Anzi questo veniva spesso disincentivato poiché l’impero non assicurava protezione ai cinesi che risiedevano al di fuori dei confini imperiali. CAPITOLO V Problemi comuni. Ecologie e risorse in Europa occidentale e in Asia orientale. Alla vigilia della rivoluzione industriale, l’Europa occidentale godeva di alcuni vantaggi che, sebbene non erano tali da condurre necessariamente a queste trasformazioni, ne aumentarono le probabilità, in modo, oltretutto, ecologicamente sostenibile. In Cina, durante tutto il XIX secolo, le rese per superficie continuarono ad aumentare anche senza il ricorso a fertilizzanti importati o sintetici, non vi sono ragioni per credere che, a parte alcune zone, la situazione del suolo fosse particolarmente critica. Al contrario, molti agricoltori inglesi e continentali sarebbero stati difficilmente in grado di mantenere per lungo tempo le rese del 1800 senza il ricorso al guano o a fertilizzanti estratti dal sottosuolo. Tuttavia, non vi è dubbio che nel XVIII secolo, in Cina, vaste distese di foreste siano state trasformate in terreni coltivati, soprattutto dopo che l’introduzione del mais, delle patate dolci e di altre piante importate ebbe permesso di coltivare terreni in precedenza improduttivi, e a lungo andare il disboscamento delle colline avrebbe avuto conseguenze ecologiche disastrose. Nel contempo, gli sforzi per sottrarre terra coltivabile ai laghi e ai letti dei fiumi portò a un rallentamento del corso dei fiumi, a fenomeni di ostruzione e a più frequenti inondazioni. Ci sono alcuni fattori che però andarono a favore della Cina rispetto alla medesima situazione critica ambientale in Europa, e cioè: innanzitutto, il clima della Cina meridionale era più caldo e quindi il consumo per il riscaldamento Un nuovo tipo di periferia: le Americhe Solo l’Europa occidentale riuscì a sfuggire all’impasse protoindustriale e a trasformare gli artigiani in operai industriali quando divenne disponibile la tecnologia adeguata. Il successo di questa impresa lo si deve in larga misura allo sfruttamento del Nuovo Mondo: i prodotti agricoli esportati erano coltivati per lo più da schiavi e le piantagioni erano quasi tutte situate o sulle isole o in prossimità della costa. Di conseguenza, il flusso di esportazioni dalla regioni circumcaraibica non correva il rischio di inaridirsi come sarebbe potuto accadere se lavoratori liberi, in presenza di profitti decrescenti, avessero deciso di dedicarsi ad attività artigianali anziché agricole, come accadde in Cina. Queste esportazioni non erano neppure colpite dall’aumento dei costi di trasporto che gli esportatori di legname del Vecchio Mondo dovettero affrontare man mano che si allontanavano dalle rive dei fiumi. Molte ragioni spiegano perché gli schiavi africani sono diventati la principale componente della forza lavoro in così tante colonie del Nuovo Mondo. La prima è l’elevata mortalità che ha colpito i nativi americani dopo essere venuti a contatto con gli europei. Inoltre, prima del 1800, erano pochi i poveri europei in grado di pagarsi il trasferimento. Nonostante la loro miseria, il soddisfacimento delle necessità quotidiane degli schiavi creava un mercato significativo di beni importati, a differenza di quanto accadeva coi lavoratori non liberi delle periferie del Vecchio Mondo. Parte di questi beni erano prodotti in Europa. Il grano e il legname provenienti dal Nordamerica, invece, costituivano una via indiretta attraverso la quale la Gran Bretagna convertiva una quota ulteriore di capitale e lavoro, relativamente abbondanti, con beni d’importazione land- intensive. La tratta degli schiavi impresse, dunque, agli scambi euro-americani una fisionomia molto diversa da quelli tradizionalmente esistenti fra i centri e le periferie del Vecchio Mondo. Una periferia dove il lavoro era libero, come la Cina del sud-est, non sarebbe stata in grado di venire in contro alle esigenze dell’Europa altrettanto bene. E neppure lo avrebbe fatto una periferia come l’Europa orientale, nella quale la popolazione era orientata ancora verso un’economia di sussistenza. Ma a rendere possibile il flusso di zucchero, tabacco e più tardi cotone dalla regione circumcaraibica verso l’Europa, non era solo la situazione ecologica. Tale regione, infatti, era stata plasmata dal punto di vista sociale e politico per dipendere dall’esterno per ogni tipo di necessità. Così, fattori politici e sociologici ostacolavano la sostituzione delle importazioni e, nel contempo, l’affermazione di monocolture d’esportazione abbassava i costi di trasporto e di transazione. Tutto ciò a sua volta consentì agli americani di sopportare maggiori costi di trasporti locali – ovvero espandere la produzione in regioni interne. Allo stesso tempo, Messico, Perù e Brasile inondarono l’Europa di metalli preziosi. In parte questo fu il risultato diretto del dominio coloniale, come nel caso delle quote prelevate dai sovrani di Spagna e Portogallo su tutti i metalli preziosi estratti entro i loro domini. Altre quote destinate agli imprenditori minerari residenti nel Nuovo Mondo derivanti dai lavoratori forzati che le comunità indigene fornivano, abbassando in questo modo il costo dell’attività estrattiva. La legislazione coloniale, inoltre, riduceva notevolmente la competizione fra coloro che portavano beni europei e asiatici da scambiare con i metalli preziosi e fece anche il tentativo di limitare la produzione locale di beni in sostituzione di queste importazioni. Questi metalli servirono soprattutto a finanziare guerre, mentre un’altra gran parte proseguì il suo viaggio verso est, e fu utilizzata per finanziare le importazioni asiatiche. In questa parte si possono distinguere tre componenti. Una parte importante dell’oro e dell’argento del Nuovo Mondo finì in piccole aree del Vecchio Mondo, consentendo agli europei occidentali di aumentare le loro importazioni da queste aree periferiche (sud-est asiatico, parti del Medio Oriente e Europa orientale). Una seconda componente, aiutò l’Europa a ottenere beni land-intensive, parte dei metalli preziosi vennero, infatti, scambiati con vari manufatti asiatici, con i quali vennero acquistati gran parte degli schiavi deportati nelle Americhe. Una terza corrente dei metalli, infine, defluì nelle regioni densamente popolate dell’Asia, dove venne impiegata come strumento di pagamento in transazioni e in cambio l’Europa e le Americhe ne ottenevano beni di consumo. Per l’Europa, destinare una quantità aggiuntiva di forza lavoro alla produzione agricola, avrebbe sicuramente creato ulteriori problemi per il futuro. Riuscì, quindi, a superare questi limiti affidando ad altre aree la coltivazione dei prodotti di cui aveva bisogno, mentre una porzione sempre maggiore dei suoi lavoratori diventavano soldati, marinai, commercianti e produttori di manufatti. Le crescenti necessità di forza lavoro delle fabbriche venivano soddisfatte attirando lavoratori protodindustriali. In Cina e in Giappone, invece, lo sviluppo protoindustriale sembrava accusare un rallentamento, e i costi ecologici erano crescenti. Mentre il Giappone smise di crescere nel 1750, la Cina continuò ad aumentare per un altro secolo, specialmente nelle province agricole.
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