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La grande guerra degli Italiani, Gibelli (riassunto di tutto il libro tranne capitolo 1), Sintesi del corso di Storia Contemporanea

riassunto di tutto il libro tranne che del capitolo 1

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La grande guerra degli Italiani, Gibelli (riassunto di tutto il libro tranne capitolo 1) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! LA GRANDE GUERRA DEGLI ITALIANI (1915-1918) ANTONIO GIBELLI _______________________________________________________________________ Introduzione Il conflitto fu vissuto ovunque come un trauma culturale indelebile, esso era stato in prima istanza un evento biologico di proporzioni inaudite, difficile da rielaborare: per circa 4 anni milioni di uomini si erano sistematicamente dedicati ad ammazzare altri uomini mediante l’impego di moderne tecnologie, milioni di corpi, per lo più giovani e in buona salute, erano stati trasformati in cadaveri in putrefazione. Il 24 maggio 1915 cominciava quella che può essere considerata a tutti gli effetti come la prima grande esperienza collettiva degli italiani: collettiva nel senso che tutti, ne furono in qualche modo coinvolti. Per questo si parla della prima guerra mondiale come di una “guerra totale”. Solo la seconda guerra mondiale fu totale in senso proprio, con la caduta della distinzione tra fronte e fronte interno a causa dei bombardamenti aerei, dello sconvolgimento dell’intero territorio, della deportazione di popolazioni, sicché davvero tutti, compresi i vecchi, i bambini e le donne, ne videro con i propri occhi gli effetti, ne subirono direttamente conseguenze e talvolta, vi presero parte attiva. Ciò non accadde nel caso della Grande Guerra che non investì il territorio della penisola, se non nel caso limitato dell’occupazione austro-tedesca del Veneto dopo l’autunno 1917; chi rimase a casa non poté rendersi conto appieno di come fosse la guerra, ma dovette limitarsi a immaginarla sulla base dei racconti altrui. Proprio su questo punto si creò una profonda frattura psicologica tra chi aveva fatto personalmente la guerra e chi non l’aveva fatta, frattura che generò un risentimento dei combattenti verso tutto il resto del paese e fu poi un ingrediente essenziale dello spirito reducistico. La prima guerra mondiale fu dunque una guerra totale solo nel senso che tutte le energie economiche, sociali e intellettuali furono mobilitate per sostenerne il peso e la vita di tutti ricevette dalla guerra in corso un’impronta molto forte. la vicenda della guerra comportò insomma esperienze nuove non solo per i combattenti, ma per l’intera popolazione. È opinione consolidata che gli italiani non esistessero prima della Grand Guerra, nel senso che mancava una forte identità collettiva in cui tutti si riconoscessero al di là delle differenze regionali e sociali. Il senso di appartenenza nazionale non fu dunque un presupposto dell’intervento né un fattore preventivo di coesione e di resistenza di fronte ai tremendi sacrifici che una parte delle classi dirigenti si attendeva da essa. Quando al termine del conflitto si contarono i morti, solo in questo senso si avvertì che l’Italia esisteva e che anzi doveva essere una cosa grande e terribile se era costata tanto sangue a ogni più piccola comunità, senza risparmiarne nessuna. La guerra fu imposta all’Italia da una minoranza: la Corona, il governo, gli intellettuali e gli studenti interventisti di orientamento nazionalista o neo risorgimentale, una parte del mondo industriale, 1 contro la volontà della maggioranza parlamentare, contro l’opinione delle maggiori correnti politiche e delle masse popolari. Fu condotta da prima con la feroce disciplina del generale Cadorna e solo più tardi con le tecniche persuasive della moderna propaganda. La Grande Guerra, a dispetto dell’esisto vittorioso, ebbe in Italia conseguenze tanto destabilizzanti da portare allo sfaldamento del sistema politico su cui il Paese si era retto nel precedente mezzo secolo, al crollo dello stato liberale e all’avvento del fascismo. La guerra non era stata sufficiente a rendere compiuta l’identità nazionale, anzi vi aveva impresso un tratto violento e traumatico più che una forma consensuale. Il fascismo contribuì a edificare con gran dispiego di mezzi il mito di una guerra patriottica e se ne appropriò, separando definitivamente l’idea di nazione da quella di libertà e inquinando l’idea di patria con la politica militarista di aggressioni coloniali e di guerre, fino all’alleanza con la Germania nazista. l’idea della patria, che era sembrata cementarsi sui campi di battaglia del primo conflitto mondiale, ne uscì totalmente screditata e sull’elaborazione di un’identità nazionale è calato da allora un silenzio pressoché totale. (solo da poco siamo tornati a domandarci se sia utile e soprattutto possibile restituire all’idea di patria un volto meno impresentabile) Capitolo II Da contadini a Italiani: 4/5 famiglie italiane furono direttamente coinvolte nella guerra con il reclutamento di uno dei membri, in un esercito che fu costituito in maggioranza da contadini. La prevalenza dei contadini era nettissima in particolare nella fanteria, corpo colpito dal maggior numero di perdite (ogni 1000 uomini mobilitati 105 non tornarono più); la popolazione rurale pagò in termini assoluti il prezzo più alto di vite umane. Contadini costituivano il grosso della truppa e gli ufficiali di complemento, per lo più appartenenti ai ceti medi, ne furono l’ossatura = il fattore essenziale di tenute. Tra ufficiali e soldati si stabilirono non di rado rapporti di fratellanza e in questo senso la vita di trincea rispetto alla compartimentazione di classe della società tradizionale giocava come fattore di rimescolamento, producendo forme di compenetrazione. *spesso però la spaventosa durezza del sacrificio e i compiti repressivi affidati agli ufficiali trasformarono la fratellanza in odio reciproco; “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu scopre i tremendi prezzi che la guerra fa pagare alle classi subalterne, in queste pagine gli ufficiali appaiono spesso in preda alla disperazione, consumati dall’alcol e ciecamente impegnati nell’opera di coercizione delle truppe, di conseguenza l’odio violento dei fanti che non esitano a puntargli le armi contro. 2 Quali erano i modi per sfuggire al meccanismo della guerra? -Renitenza: non presentarsi alla chiamata, reato punito molto severamente che rendeva impossibile praticarla senza nascondersi o fuggire all’estero. Allo scoppio delle prima guerra mondiale, gli apparati di controllo dell’identità dei cittadini e della loro mobilità erano divenuti assai più capillari e gli sbocchi migratori furono chiusi in tempo allo scopo di evitare che i cittadini eludessero gli obblighi militari incombenti. A fornire il maggior numero di renitenti furono le aree meridionali insulari. -Diserzione: rendersi irreperibili dopo essere stati arruolati e assegnati a un corpo; in realtà la diserzione in senso proprio comportava il “passaggio al nemico”, considerato il reato più grave e disonorevole. (condannati per questo reato specifico furono solo 2000 soldati). Spesso le fughe avvenivano in gruppo, i soldati approfittavano in genere di situazioni di confusione dopo gli assalti o di tregua e dei canali di comunicazione che di quando in quando si aprivano tra le trincee (tregue per la raccolta dei cadaveri, scambi di beni, festività). La scelta della diserzione non era in realtà affrontata a cuor leggero, dalla corrispondenza emerge il desiderio di giustificarsi e di convincere i parenti della bontà della decisione presa. Non mancano anche soldati che protestarono la loro innocenza, il sospetto di diserzione comportava per decisione del governo italiano, l’esclusione dall’invito di aiuti alimentari. Sui disertori pesava, secondo i codici ufficiali, una cesura morale e una fama di vigliaccheria. Solo nell’immediato dopoguerra, quando la protesta contro i tremendi sacrifici che il conflitto era costato poté manifestarsi liberamente, le correnti rivoluzionarie del movimento operaio difesero apertamente i disertori e giunsero a esaltare come eroi quelli che avevano fatto quella scelta, pagandola spesso con condanne pesantissime, e condussero campagne per la loro liberazione. Le testimonianze lasciano pensare che nella grande maggioranza dei casi a spingere il soldato non fosse una deliberata intenzione a disertare in maniera definitiva ma il desiderio di sottrarsi anche per poco agli obblighi della disciplina + non sempre si trattava di un desiderio cosciente. I medici e i tribunali militari dovettero fronteggiare un vasto fenomeno di autolesionismo che i soldati praticavano allo scopo di essere ricoverati in ospedale o inviati in licenza o definitivamente riformati. Spesso gli esisti di queste pratiche, esercitate senza alcuna perizia, erano gravissime se non mortali. I percorsi dell’autolesionismo seguivano la geografia della miseria e delle malattie sociali più diffuse. Medici e soldati facevano a gara a strapparsi i rispettivi segreti, conducendo a una specie di guerra nella guerra fatta di astuzia e violenza. Il compito più complesso era quello di scoprire la simulazione di malattie mentali. Insieme a tentativi di autolesionismo ci furono anche veri e propri casi di indisciplina collettiva, rivolta e ammutinamento che esplosero mano a mano che la cieca condotta offensiva dei comandi espose le truppe a sforzi sempre più intensi, continuativi e sanguinosi. 5 A questi si rispondeva con esecuzioni sommarie e decimazioni, queste ultime erano ancora più odiose e impressionanti perché non colpivano i soldati per responsabilità individuali, ma consistevano nell’estrarre a sorte e fucilare un certo numero di soldati tra gli indiziati o semplicemente appartenenti a un reparto dove si fossero verificati incidenti. Sia esecuzioni sommarie che decimazioni erano previste dal codice penale militare, che in caso di necessità autorizzavano i comandi a procedere senza intervento dei tribunali, per impedire il dilagare della rivolta o il compiersi di un reato. L’insieme dei dati raccolti su questi fenomeni mostra quanto duro e spesso indiscriminato fosse il regime disciplinare e penale nell’esercito italiano e lascia intendere che almeno fino a un certo punto gli alti comandi puntarono principalmente sul terrore. Convinzione diffusa delle autorità secondo le quali, solo i metodi repressivi potevano costringere le truppe a fare una guerra non capita e non voluta. Almeno fino all’autunno 1917 vennero quasi completamente ignorate quelle che erano le condizioni indispensabili per assicurare alla lunga la tenuta dell’esercito: rispettare la dignità dei soldati, migliorare le loro condizioni, esaudire il loro bisogno di licenze riposo. Prima guerra mondiale: conobbe anche i primi fenomeni di detenzione di massa, milioni i mobilitati, milioni i prigionieri deportati nei territori europei e sottoposti alla reclusione per mesi e anni. Anche sotto questo punto di vista la guerra si rivelava un prodotto della modernità  solo un moderno sistema ferroviario poteva assicurare un flusso di uomini di tale ampiezza. L’orrore del caso limite dello sterminio promosso dai nazisti ha messo generalmente in ombra le anticipazioni di tutto questo già presenti nei campi di prigionia della prima guerra mondiale. Comunque sia nel caso dei prigionieri della Grande Guerra, la violenza esercitata sui prigionieri era solo in parte il frutto dell’odio e della volontà punitiva, nella maggior parte era piuttosto la conseguenza dello spostamento coatto e della concentrazione improvvisa di grandi masse, spesso già provate, in condizioni di emergenza. In particolare le autorità tedesche, imposero rigide forme di regolamentazione della vita quotidiana, con misure che tendevano a trasformare gli uomini in numeri, facendo loro conoscere per la prima volta su scala così vasta, la spoliazione totale dell’identità personale. Ad aggravare la situazione in Germania e in Austria si aggiunsero le difficoltà alimentari dovute al blocco navale imposto dallo schieramento avversario, che colpirono la generalità della popolazione in maniera via via più pesante e a maggior ragione si riverberarono sui prigionieri. Sia nelle trincee che nei campi di prigionia fa la sua comparsa la morte di massa. Gli Italiani che finirono nei campi austro-tedeschi furono 600mila circa la metà dei quali catturati nel corso della rotta di Caporetto. Per sopravvivere in tali condizioni erano essenziali gli invii di aiuti da parte dei parenti “i pacchi” tanto attesi dai detenuti, che tuttavia spesso non giungevano a destinazione o arrivavano manomessi o depredati. L’affidamento esclusivo agli aiuti privati creava quindi condizioni di disparità e non assicurava la sopravvivenza dei prigionieri, per cui sarebbero occorsi aiuti direttamente promossi e organizzati dai governi dei rispettivi paesi  di ciò si resero conto le principali potenze dell’Intesa che 6 condussero accordi con gli Imperi centrali, interessati ad alleggerire la pressione delle esigenze alimentari interne. Il governo italiano non lo fece, convinto a lungo di non poter contare sulla fedeltà dei combattenti, ossessionato dalle diserzioni e convinto che le notizie sulla fame che si partiva nei campi di prigionia le avrebbero scoraggiate. Le autorità italiane, in primo luogo il ministro Orlando, proibirono e ostacolarono in ogni modo la pratica degli aiuti organizzati, solo sul finire del conflitto avviarono un esperimento in questo senso. Tale condotta ebbe degli esiti disastrosi. Prima di Caporetto = iniziative propagandistiche, ricreative e assistenziali nei confronti dei soldati erano state molto scarse. Scrittore Giuseppe Prezzolini “si chiamava propaganda ordinare dei soldati sull’attenti in un cortile, dopo otto ore di fatiche e lì, togliendo un’ora di libertà, obbligarli a sentire la chiacchierata di un avvocato inabile alle fatiche della guerra”. I soldati menzionano spesso queste pratiche nelle loro testimonianze, con l’espressione “ci fecero la morale”. Dopo Caporetto, anche negli ambienti ufficiali si avvertì l’esigenza di passare da una “disciplina di coercizione” a una “disciplina di persuasione”  istituito un apposito Ufficio Propaganda “Ufficio P.” con a capo Giuseppe Lombardo Radice (più tardi direttore generale delle scuole elementari del Regno, collaboratore di Gentile nella riforma della scuola del 1923). *giornali di trincea: formato maneggevole, pieni di illustrazioni e figure; nelle loro pagine la vita di trincea e la guerra non venivano negate nella loro durezza, ma se ne forniva una lettura in chiave scherzosa o banalizzante oppure rassicurante. Primo grande esperimento di pedagogia di massa, prima operazione su larga scala di condizionamento e formazione dell’opinione pubblica popolare in chiave nazional-patriottica. i soldati erano come bambini ai quali bisognava insegnare, divertendoli l’italiano e l’ideologia patriottica. I soldati rimanevano comunque diffidenti verso tutte le iniziative che venivano dall’alto e miravano a “tenerli buoni”, in più avevano notevoli difficoltà nella lettura nelle sue forme più semplici. Giulio Camber Barni, si espresse in maniera sarcastica e dissacrante “dentro la trincea arrivavano i giornali così detti di propaganda, e poiché non c’era carta i soldati li prendevano e si pulivano il culo”. Ma leggere i giornali divenne comunque assai utile per conoscere e controllare leggi e circolari che stabilivano le regole a proposito di licenze, esenzioni e agevolazioni. Studiosi di linguistica hanno indicato nella Grande Guerra un punto di svolta fondamentale nell’uso dell’italiano. I progressi dell’alfabetizzazione nell’intervallo censuario comprendente la guerra furono notevoli  1921 in solo 2 regioni l’analfabetismo rimaneva superiore al 50% (erano 7 nel 1911), mentre in 5 regioni era sceso al di sotto del 13% (1911 solo il Piemonte). I fanti impararono a scrivere nel corso della guerra, e molti sentirono il bisogno di farlo con una certa frequenza, scrivere lettere a casa significava riallacciare contatti interrotti e dare segni di vita (in un momento in cui questa era continuamente messa in pericolo)  era nuovo il ricorso 7 La morte aveva dunque in un certo senso avvicinato gli italiani alla nazione, aveva reso più viva l’idea di patria. Le parole usate dai fanti contadini, lasciano intendere quanto la lezione si fosse impressa nella loro mente nelle loro parole c’è l’accettazione di un codice imposto con la violenza, ma anche l’idea di un fatto compiuto irreversibile. Se l’idea di Italia era divenuta meno enigmatica del momento in cui si era entrati in guerra, l’idea di un “contratto sociale”, di un rapporto bilaterale tra cittadini e stato, che togliesse a quest’ultimo il tratto della pura coercizione e dell’arbitrio non aveva fatto alcun significativo passo avanti. Capitolo III Uomini, donne, bambini La distinzione tra il fronte dove avvenivano i combattimenti e i territori interni rimase ben salda al punto di creare una netta frattura psicologica tra i soldati e il resto della popolazione; quando tornavano in licenza i soldati si stupivano che la vita civile della popolazione proseguisse in modo apparentemente normale, ne rimanevano contrariati e avvertivano che nella propria terribile esperienza vi era un qualcosa di incomunicabile. quello della trincea, del contatto fisico quotidiano con la morte e con l’inferno dei bombardamenti, appariva come un mondo a sé, che legava tutti quelli che ne facevano parte e li separava nettamente dagli altri. I civili per quanto lavorassero d’immaginazione, non erano in grado di farsi un’idea adeguata dei campi di battaglia => la guerra era fuori dall’orizzonte percettivo, visivo e sonoro della popolazione civile. *Emilio Lussu racconta che i genitori si figuravano la guerra come una specie di continuo scontro, una battaglia ininterrotta senza pause Le stesse coordinate geografiche della guerra e del fronte, non erano facili da percepire anche perché la censura vietava aia combattenti di dare informazioni sui luoghi dove si trovavano. In che senso si parla quindi di fronte interno? L’espressione e il concetto di fronte interno furono un’invenzione della prima guerra mondiale (sia in Italia che negli altri paesi belligeranti); l’idea nasceva dalla natura stessa della guerra le cui sorti erano affidate alla capacità di mobilitare tutta la popolazione e l’insieme delle energie pratiche e morali dei singoli paesi. Quindi anche rimanendo lontano dai luoghi dei combattimenti, nessuno poteva considerarsi estraneo allo sforzo comune. *In Italia dove la guerra era stata imposta da una minoranza, l’idea di fronte interno richiamava a quella di “nemico interno” e implicava un programma di lotta a oltranza contro chi si manteneva tiepido di fronte ai richiami patriottici 10 Il fonte interno fu soprattutto fronte industriale e operaio: assicurare la crescita della produttività e della produzione, garantire con ogni mezzo la disciplina e a cooperazione degli operai divenne un problema di vitale importanza In Italia, tenuto conto dell’arruolamento di oltre 5 milioni di uomini, le donne erano la maggioranza dei civili, il fronte interno fu dunque per certi aspetti fronte femminile. Vennero emanati una serie di decreti che colpivano semplici manifestazioni di dissenso o di malcontento, “il disfattismo minuto”, la repressione non risparmiò neppure il clero = la Chiesa cattolica aveva inizialmente guardato alla prospettiva di una guerra con molta diffidenza e scarsa convinzione, specie contro l’Austria, considerata baluardo del tradizionalismo cattolico in Europa. Una parte cospicua del territorio, comprese molte regioni dell’interno, fu dichiarata “zona di guerra”, cosa che comportava la trasformazione di natura e gravità dei reati che lì fossero commessi. Dapprima queste zone erano le piazzeforti marittime, alcune zone costiere dell’Adriatico, e alcune zone considerate di importanza strategica, ma la definizione venne via via allargata alle aree industriali dove i trovavano grandi concentrazioni operaie e dove si erano verificate agitazioni sociali. Dopo la rotta di Caporetto, praticamente tutta l’Italia settentrionale fu dichiarata zona di guerra, con la conseguenza di sottoporla a una specie di dittatura militare. All’interno dell’economia di guerra, nel settore della produzione industriale, evento importante fu l’istituzione della Mobilitazione Industriale (M.I.): organismo che doveva presiedere alla regolazione di attività di interesse bellico in questo campo, dall’impiego delle materie prime al reclutamento della manodopera alla determinazione dei salari  novità di grande importanza, che rompeva con le tradizioni liberiste che assegnavano allo stato un ruolo marginale rispetto all’economia e ai meccanismi del mercato = con la mobilitazione industriale lo stato stesso era promosso a supremo regolatore della vita economica. Sua attività si esplicò prevalentemente nel coordinamento degli stabilimenti ausiliari: quegli stabilimenti che venivano posti sotto la sua tutela diretta per lo speciale interesse bellico che rivestivano. Anche il conflitto sociale fu sottratto alle dinamiche spontanee e regolato dall’alto attraverso meccanismi che, abolito il diritto di sciopero, prevedevano la presentazione delle richieste operaie attraverso memoriali. L’eccezionale aumento della produzione nei settori industriali interessati all’economia di guerra provocò una notevole espansione dell’occupazione operaia e l‘ingresso nelle fabbriche di una quota consistente di forza-lavoro prima non occupata, o proveniente da altri settori, soprattutto da quello agricolo. Era una classe operaia nuova, poco qualificata, comprendente in misura notevole donne e ragazzi che si affiancavano ai nuclei tradizionali di operai maschi, qualificati e specializzati, i quali spesso erano in fabbrica da lungo tempo e qui avevano formato la loro identità professionale, sociale e culturale => cambiamento profondo del panorama sociale nelle fabbriche. I nuovi assunti venivano percepiti come veri e propri “imboscati”, guardati dunque con diffidenza dalla classe operaia tradizionale. 11 Malgrado l’espansione dell’occupazione femminile fu notevole, non raggiunse le previsioni della Mobilitazione Industriale = questo perché molti industriali preferivano ricorrere alla manodopera maschile militarizzata, convinti che fosse più controllabile col ricatto dell’invio al fronte insieme a più qualificata e più facilmente smobilitabile alla fine della guerra. Mentre la memoria maschile sono in gran parte memoria e immagini dei campi di battaglia, quindi caratterizzati dal senso del lutto, della tragedia e della sofferenza, alcune testimonianze di donne lasciano intravedere rispetto al tempo della guerra, un senso di liberazione e di orgoglio retrospettivo, ma anche di accresciuta fiducia in se stesse; “fuori dalla gabbia” è l’espressione usata talvolta per esprimere questo stato d’animo. esiste anche una guerra diversa da quella maschile, non per tutte le donne, ma almeno per alcune, la memoria di quel tempo associata a un senso di liberazione da un mondo chiuso all’ambito privato e domestico, al ruolo di madri e spose, al quale erano generalmente confinate. Se l’effetto della guerra, specialmente all’inizio, sembrò esattamente l’opposto = tagliare le gambe al movimento di emancipazione femminile che era assai fiorente in molti paesi alla viglia della guerra, riportando uomini e donne al loro posto. Il prolungarsi della guerra ribaltò questi effetti: - gli uomini sentivano la permanenza al fronte come una sorta di segregazione, di emarginazione dal proprio mondo e in definitiva di riduzione del proprio ruolo: fare la guerra consisteva in una sostanziale passività - le donne a casa vedevano moltiplicarsi i loro compiti Vivere sole, uscire sole, assumersi da sole certe responsabilità erano cosa che un tempo apparivano impossibili o pericolose, e ora divenivano per molte possibili, anche se non sempre accettate dagli altri senza riserve. *a colpire maggiormente la fantasia fu la comparsa di donne in occupazioni davvero inconsuete, ricoprendo le quali, soprattutto per via delle divise esse sembravano “mascolinizzarsi” e rappresentare una specie di mondo alla rovescia. Nel dopoguerra, tutti sentirono il bisogno di pace e di sicurezza e il rientro nei ruoli tradizionali sembrava contribuire a questo senso di sicurezza.  la retorica dominante fu quella del rientro nei ranghi, soprattutto nel ruolo materno data la contrazione della natalità portata dal conflitto, si alimentarono ovunque politiche a sostegno della natalità, politiche che furono sviluppate con particolare forza successivamente anche dal fascismo. La guerra cominciava a incrinare modelli di comportamento, relazioni tra generi e classi sociali, mettendo in discussione autorità ritenute immutabili, malgrado l’effetto fosse al momento contenuto dalla legislazione repressiva. 12 Ma per un certo tempo, anche dopo l’intervento italiano, la guerra al cinema rimase soprattutto la guerra degli altri, quella che si combatteva sui campi di battaglia europei, rappresentata spesso con un taglio documentaristico. L’ondata di patriottismo cinematografico (iniziata nel 1915 con “Sempre nel cor la Patria!”) si esaurì dopo un certo periodo perché il pubblico dopo un un’indigestione di film che avevano per tema la guerra cominciò a dare segni di stanchezza; sul finire del 1916 era ormai chiaro che la guerra costava perdite e sacrifici gravissimi destinati a prolungarsi e così la produzione prese altre strade tornando per lo più al cinema di evasione. I bambini (persone al di sotto dei 14 anni) erano allora in Italia 12 milioni e in particolare all’inizio del 900 si era sviluppata un’attenzione nuova nei loro confronti ad esempio come potenziali lettori di giornaletti o potenziali acquirenti di giocattoli, che erano ora prodotti in serie su scala industriale. La lunga durata della guerra impose una restrizione dei consumi che toccò le famiglie di varie classi l’ideologia della parsimonia e dei sacrifici divenne un imperativo economico e morale non più solo legato “all’etica del risparmio” ma alla potenza e persino alla sopravvivenza nazionale. *più noto giornale per ragazzi “Il corriere dei piccoli”, nato nel 1908 L’intellettuale torinese di famiglia benestante Vittorio Foa, che era allora un bambino ricorda come “l’austerità veniva interiorizzata come patriottismo o almeno come solidarietà”. I giornali dedicati ai piccoli lettori erano un po’ come i giornali di trincea destinati ai fanti contadini scarsamente alfabetizzati. Con lo scoppio della guerra cominciò ad essere messa a frutto e piegata a obbiettivi più stringenti attuali un’operazione pedagogica almeno decennale di incremento dello spirito patriottico dispensato ai fanciulli  la guerra comportava un riflesso d’ordine e un richiamo all’obbedienza che confermava una virtù da sempre inculcata nell’infanzia. Il messaggio era: tanto ai bambini quanto ai soldati non si richiedeva altro che obbedienza, senza la pretesa di sapere i perché della guerra. Mentre più tardi si pensò di spiegare questi perché per allargare l’area del consenso: tentativo di familiarizzare i bambini con l’evento della guerra, di renderlo accettabile e persino attraente, in definitiva di inculcare l’idea che combattere e morire ma anche fare sacrifici per la nazione in armi era una cosa non solo necessaria ma naturale. azione propagandistica che non riguardava solo i bambini ma anche gli adulti consisteva in una banalizzazione e normalizzazione della guerra, presentata come avvenimento compatibile con il proseguire della vita quotidiana, destinato a permeare tutti gli aspetti ella vita stessa, al quale ci si poteva e doveva tranquillamente abituare. Il prolungarsi del conflitto impossibilitava la sua lettura in chiave romantica e eroica e la propaganda dovette abbandonare i toni aggressivi della prima ora per adottare altri registri linguistici: all’eroismo dell’azione viene contrapposto quello della sopportazione, promuovendo assuefazione e banalizzazione. 15 Lo storico inglese Eric Hobsbawn ha parlato in questo senso di democratizzazione delle guerre nel XX secolo, intendendo con ciò la fine della guerra come attività separata e specialistica e la tendenza al coinvolgimento delle masse nel suo esercizio, sia in forma diretta che indiretta. La familiarizzazione con a guerra significava anche una familiarizzazione con la violenza e con la morte  un immaginario truculento cominciò ad assediare le menti infantili, nobilitato e reso edificante dalla causa patriottica. L’incessante consumo di uomini falciò intere generazioni e rese quindi inevitabile il richiamo di classi di età sempre più giovani (fino a quella dei nati nel 1900)  una generazione che, colta dalla mobilitazione nel momento dell’adolescenza, non aveva imparato a fare altro che la guerra, a uccidere o morire. Nella stampa dell’epoca: la grande madre Italia nutriva i suoi figli per farli diventare soldati e mandarli a combattere  grande figura dell’Italia come una donna turrita, con enormi seni rigonfi ai cui capezzoli si attaccavano enormi schiere di poppanti, che via via crescevano fino a diventare schiere di piccoli combattenti Raggiungere l’età adulta significava né più né meno che diventare combattenti; non a caso l’iniziazione alla guerra era talvolta associata all’iniziazione sessuale degli adolescenti, così da conferirle un significato sottilmente attraente e ancora una volta non drammatico. Si può dunque parlare di un “arruolamento del bambino” i cui sviluppi e le cui conseguenze si sarebbero rivelati in tutta la loro ampiezza solo nei decenni a venire, anticipazione di quei processi che poi il fascismo avrebbe portato all’estremo, con la militarizzazione e l’inquadramento precoce dell’infanzia e della gioventù in funzione politica di guerra. La Grande Guerra è il primo evento pubblicitario internazionale dell’età contemporanea, le guerre moderne propongono immagini e associazioni di idee che possono avere un forte richiamo di pubblico e promuovere determinati consumi. Se nell’immediato la guerra spingeva verso un contenimento dei consumi e un codice di austerità, dall’altro lato tendeva ad affermare una società massificata in cui cominciavano ad affacciarsi consumi diversificati e voluttuari, proprio quelli che a differenza dei consumi di prima necessità, dipendevano dalla promozione pubblicitaria per la formazione del loro mercato. a profilarsi sono i primi sintomi del mutamento di una società che tende ad allontanarsi dal modello ottocentesco; manifesto murale è il primo mezzo di comunicazione di massa moderno *fante di Achille Mauzan Capitolo IV: Il “miracolo” di Caporetto Caporetto è una località a nord di Gorizia, situata sulla riva destra dell’Isonzo tra i due avamposti Tolmino e Plezzo, in un tratto del fronte conquistato dalle truppe italiane nella prima parte della guerra e a lungo conteso. Qui ebbe luogo in poche ore nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 191, 16 l’episodio più importante della guerra sul fronte italiano, ovvero lo sfondamento repentino del fronte e il conseguente dilagare in profondità delle truppe austro-tedesche sul territorio nazionale. Nella confusione e nello sconcerto generale che seguirono lo sfondamento, tutti pensarono a un tradimento o a un complotto, ma ciascuno lo attribuisce ad altri: alcuni generali (ma anche molti civili) lo attribuiscono ai soldati, i soldati lo attribuiscono ai generali. In tutto ciò c’era una cosa vera: gli indizi e le informazioni su una possibile offensiva austro-tedesca erano stati molti nell’ottobre 1917 ma erano stati ignorati o minimizzati dagli altri comandanti. Le false notizie circolarono sia tra i soldati coinvolti nella fuga, e più in generale tra i combattenti, sia nelle file dei civili. Nell’area toccata dalla rotta a farle nascere furono determinanti la confusione, l’interruzione delle comunicazioni, il presentarsi di una situazione completamente rovesciata rispetto a quella conosciuta nei mesi precedenti e alle abitudini mentali a cui aveva dato luogo. i più, per alcuni giorni, tanto al fronte quanto nel paese, non solo non furono in grado di darsi ragione di quanto era successo, ma neppure seppero esattamente cosa era successo. Il dominio di censura e propaganda, unito alla presenza di un controllo dall’alto di tutte le informazioni, finiscono per convincere la gente comune che tutto può essere vero, tranne quello che ufficialmente viene scritto e detto. Se la Grande Guerra è un crocevia nella storia dell’Italia contemporanea, Caporetto è, un crocevia nella storia della guerra: una summa di tutte le informazioni e trasformazioni che la guerra suscitò, un’improvvisa, quasi abbagliante rivelazione delle sue contraddizioni e quindi caposaldo della riflessione intorno al posto che essa occupa nella storia nazionale. L’ignoranza sostanziale dell’opinione pubblica italiana sulla natura effettiva della vicenda di Caporetto si mantenne a lungo, fin oltre la fine del conflitto, nel tentativo di evitare che venissero a galla le verità più scottanti, con la conseguenza di dare il via a un processo popolare contro la guerra che la classe dirigente voleva scongiurare. 1919: inchiesta parlamentare promossa per chiarire le dinamiche e le responsabilità della disfatta, Commissione d’Inchiesta = la gravità delle sue accuse agli alti comandi erano un indizio non solo dei segni che il trauma aveva lasciato ma anche della fluidità della situazione politica e delle divisioni interne alla classe dirigente nell’immediato dopoguerra, senza le quali simili accuse non avrebbero potuto venire alla luce o quantomeno non in maniera così esplicita. Materiale a disposizione per ricostruire la vicenda: -pagine dei maggiori protagonisti, scritte in più occasioni anche a scopo di autodifesa: generale Cadorna e generale Luigi Cappello (comandante della 2° armata che fu travolta per prima dall’offensiva) -colonnello Angelo Gatti, addetto al comando supremo con ufficio di storico degli avvenimenti in corso -dal punto di vista ufficiale c’è anche la ricostruzione dovuta all’Ufficio Storico dell’Esercito (pubblica tardivamente nel 1967) 17 quello dell’unione patriottica e nazionale era e restava un mito senza riscontri nella realtà e il tentativo successivo di minimizzare, nascondere e circoscrivere il significato di Caporetto nasceva precisamente dalla difficoltà di prendere atto di questa verità. Caporetto: si configura comunque come una sconfitta eminentemente militare, cui cause immediate canno ricercate nell’intelligenza tattica dell’operazione austro-tedesca e all’opposto nell’imprevidenza e negli errori dei comandi italiani. Gli austro-tedeschi: scelsero uno dei settori più deboli e delicati dello schieramento italiano, gettando nello sconforto reparti relativamente freschi e mettendo in pratica una tecnica di penetrazione in profondità lungo le vallate, che prescindeva dalla conquista preventiva delle cime montuose, rimasta fino a quel momento uno dei capisaldi della condotta della guerra. = in una guerra fatta fino a quel momento di scontri frontali su ampi tratti di fronte, adottò la tattica dell’infiltrazione di piccoli nuclei facendo affidamento sulla sorpresa e aggirandole truppe avversarie anziché tentare di farle arretrare su tutta la linea. l’arretramento doveva essere, come in effetti fu, conseguenza dello sbandamento e del disorientamento dovuti all’infiltrazione nemica sulle direttrici di fondo valle. Da parte italiana, mancò del tutto, sulla scia di una condotta tradizionalmente offensiva, di predisporre misure difensive adatte a evitare lo sfondamento e ancor più a tamponarlo e arginarlo una volt che si fosse verificato => imprevidenza e impreparazione furono alla base della disfatta. Ugualmente incerte e contraddittorie furono le prime decisioni degli alti comandi a sfondamento avvenuto  Cadorna esitò tra l’idea di contrastare l’avanzata austro-tedesca là dove si erano prodotte le falle e quella di un pronto arretramento per costruire una linea di contenimento più efficace, evitando che la ritirata avvenisse sotto la diretta pressione del nemico = così si perdette tempo prezioso. Solo il 27 ottobre fu dato l’ordine della ritirata generale sul Tagliamento e ci si illuse fino al 29 di poter tenere questa linea difensiva, ai primi di novembre soltanto si prese atto che bisognava arretrare ancora, spostamento che richiese un ulteriore settimana, sul fiume Piave.  Con l’insieme di queste cause, una sconfitta circoscritta si trasformò in falla spaventosa; la guerra di posizione si era trasformata per la prima volta sul fronte italiano, in guerra di movimento. La guerra di movimento: comporta l’azione di unità operative relativamente ridotte, molto mobili e capaci di prendere autonomamente le decisioni opportune al mutare della situazione: tutto il contrario della guerra di trincea, fatta di ranghi compatti che si muovono seguendo direttive decise dall’alto + truppe tedesche = appositamente preparate per questo scopo es. ogni squadra aveva in dotazione carte topografiche dettagliate. Particolarmente umiliante ed esasperante, anche per chi non nutriva sentimenti patriottici fu il dover ripercorrere a ritroso in fretta e furia vaste porzioni di territorio, la cui conquista era costata mesi di lente avanzate a prezzi indicibili di vite umane e fatica e in ciò emergeva ancor di più agli occhi dei soldati, l’inutilità della guerra e la sua insensatezza intrinseca. 20 OCCUPAZIONE: In seguito alla rotta, per le popolazioni friulane e venete si aprì un periodo di occupazione da parte delle truppe austro-tedesche che doveva durare ca. 1 anno  province: Udine, Belluno, Treviso, Venezia, Vicenza, e coinvolse quasi un milione di persone. Fonti: -documenti scritti e icnografici conservati negli archivi viennesi -documentazione fotografica, molto ricca ma generalmente viziata dal desiderio di mostrare gli aspetti rassicuranti della situazione, la tranquillità della popolazione e i suoi buoni rapporti con gli occupanti -memorialistica italiana, anche questa però generalmente influenzata dallo spirito patriottico, finisce con il dipingere a tinte assai fosche le conseguenze della presenza nemica A guerra finita, nel 1919 è condotta un’inchiesta ufficiale sulla atrocità e le vessazioni commesse dagli austro-tedeschi nel corso dell’occupazione, basata sulla raccolta di rapporti e testimonianze di parroci, amministratori e persone autorevoli che l’avevano vissuta. 1° aspetto: sfaldamento dell’apparato amministrativo italiano che seguì e accompagnò quello dell’apparato militare dopo la rotta, provocando una decapitazione della classe dirigente locale. *nella memoria popolare, questo abbandono dei posti di responsabilità da parte dei personaggi autorevoli e più in generale di questa “fuga di signori” fu causa di risentimento, ad accezione dei parroci che generalmente rimasero al loro posto  il ruolo della Chiesa era caratterizzato da una singolare duttilità e capacità di adattamento anche nelle situazioni eccezionali. Dopo i fenomeni saccheggio svoltisi durante la rotta, la popolazione fu sottoposta a una sort di razzia intensiva legalizzata dovuta alle direttive dei comandi austro-ungarici che prescrivevano di utilizzare a fondo le risorse del territorio per alimentare l’esercito occupante, l’esercito non avrebbe potuto contare in alcun modo su risorse provenienti dalla madrepatria => col protrarsi dell’occupazione, le risorse alimentari si mostrarono inferiori al previsto e insufficienti allo scopo, col risultato di aggravare la miseria dei civili e di appesantire le stesse condizioni degli occupanti. Con l’andare del tempo gli abitanti delle terre invase, dovettero rendersi conto di quanto duro e feroce fosse il nuovo regime e impararono anche a riconoscere le differenze tra i caratteri e comportamenti delle diverse etnie rappresentate tra gli occupanti. (soldati tedeschi = truppe più fresche e quindi più dure, mentre soldati imperiali = laceri e miserabili, si mostravano più simili alla popolazione sottomessa). Anche in questo, come in tutti gli altri casi di occupazione, i fenomeni di violenza sessuale verificatisi contro le donne raggiungono una certa ampiezza. l’aspetto degli abusi sessuali contro le donne è tutt’altro che nuovo nel quadro delle guerre, ma nel corso della prima guerra mondiale il tema assume particolare rilievo = società e cultura erano venute elaborando codici di censura e repulsione nei confronti di queste manifestazioni di aggressività più forti che per il passato. Gli stupri suscitavano un orrore e un senso di indignazione del tutto speciali anche per la loro apparente gratuità, che sembrava distinguerli dalle altre forme di violenza proprie della guerra. 21 Inoltre gli stupri colpivano profondamente l’immaginazione per il loro significato simbolico: il corpo della donna violata, si configurava come il corpo della nazione vinta e umiliata e ne costituiva la massima espressione. Stando alle denunce, inoltre gli stupri sono spesso accompagnati da forme di sadismo, di sfregio e di umiliazione che lasciano trasparire un vero e proprio sovrappiù di violenza e una debordante volontà di sopraffazione. Dalle violenze non vengono risparmiate né le bambine né le donne anziane, né le ammalate. Eufemismi e censure spesso circondano la narrazione nel punto culminante della violazione sessuale e in genere si preferisce dire che le donne non siano state coscienti al momento del suo effettivo verificarsi. Non manca anche una documentazione dei tentativi di ottenere a pagamento l’offerta sessuale prima di imporla con le minacce e con l’uso della forza. Citando un rapporto di testimoni “alle ragazze del paese fu posta l’alternativa tra la fame e il disonore”. Quando le violenze erano compiute su donne già sposate, si tendeva a minimizzare il fenomeno mito della verginità femminile Si sollevò anche una discussione sulla legittimità dell’aborto e della sua eventuale legalizzazione negli ambienti medici e soprattutto ginecologici, per le donne abusate.  Nel valutare le intenzioni dei tedeschi e le conseguenze degli stupri, affiorano i prodromi di un autentico razzismo a sfondo biologico di cui oggi siamo in grado di misurare tutte le conseguenze nel passaggio dal diritto (delle donne colpite) al dovere (per la collettività) dell’aborto, e nell’attribuzione allo stato dell’esercizio legittimo dell’infanticidio nei confronti di questi “figli del nemico” si rivelava il risvolto strumentale del rispetto e della compassione per la sofferenza delle donne e veniva in primo piano la rivendicazione del diritto dello stato stesso alla “difesa della razza”. La resistenza, seguita alla riorganizzazione e la successiva controffensiva, propiziata dal cedimento degli imperi centrali e culminata nell’avanzata di Vittorio Veneto, consentirono una rilettura a posteriori di tutta la vicenda in chiave positiva, al punto di leggere Caporetto come una “salutare sferzata” che avrebbe ridestato le energie del paese e dell’esercito. C’è anche chi ha parlato di un “duplice miracolo” per Caporetto: -miracolo militare, per la resistenza sul Piave -miracolo politico interno: la popolazione italiana, colta da un grande stupore e dolore sentì che la guerra diventava lotta per la libertà della Patria la guerra divenne veramente un fatto nazionale, di tutti, di chi l’aveva voluta e di chi non l’aveva voluta e persino di chi ancora non la voleva In realtà tutto ciò rischia di essere più un mito che una verità accertata. Caporetto sembrò allargare i confini di questa identificazione, ma non potè scalfire nella sostanza una estraneità che aveva radici profonde e lontane. 22 L’unica novità di rilievo nell’organizzazione bellica italiana fu lo sviluppo del corpo degli Arditi che ebbe però una rilevanza più politica che militare. Questa condotta accorta consentì agli Italiani di completare la riorganizzazione e di arrivare in condizioni passabili all’ultimo appuntamento della guerra, mentre all’opposto le forze nemiche andarono incontro a un crescente logoramento  l’esercito austro-ungarico, privato dell’appoggio dei tedeschi sul fronte italiano, vide fallire nel giugno 1918 gli ultimi sforzi offensivi sul Piave registrando vistosi segni di stanchezza e disgregazione interna. *lo spaventoso consumo di energie umane costrinse gli austro-ungarici all’arruolamento di giovani e giovanissimi nonché al reimpiego di uomini già vistosamente consumati e spesso invalidi. Questi sintomi di stanchezza e di rivolta che presto si estesero anche alla popolazione civile , spinsero i comandi italiani a tentare il ribaltamento della situazione con una ripresa dell’azione offensiva su larga scala  l’attacco si sviluppò da prima sul Monte Grappa e poi dal 26 ottobre 1918 oltre la linea del Piave nell’area di Vittorio Veneto. L’esercito imperiale, dopo aver inutilmente cercato di contenere l’avanzata italiana, percorso da ribellioni e ammutinamenti e orma in preda al caos, cedette di schianto. Ciò non significa che la vittoria italiana fosse priva di importanza: ma è certo che il suo significato simbolico e psicologico fu enormemente più vasto della sua portata militare  consentiva infatti al paese di uscire dal conflitto non sotto il peso di una sconfitta bruciante ma sull’onda di un’offensiva coronata da successo, che sembrava cancellare per un momento, persino il ricordo di Caporetto. Vittorio Veneto diede fiato all’orgoglio nazionale e nel contempo alimentò gravi illusioni sui risultati che dalla guerra ci si poteva aspettare in termini di politica e potenza, illusioni che tramontarono quasi subito nelle trattative iniziate a Versailles per la conclusione dei trattati di pace l’Italia si vide negati molti degli acquisti territoriali pattuiti col trattato di Londra. In particolare vennero disattese le aspettative per l’ampliamento dei confini orientali, le pretese sui territori dalmati e quelle relative alla città di Fiume, prevalentemente popolata da italiani ma non menzionata nel trattato di Londra. Intorno alla questione fiumana si coagulò l’iniziativa armata di volontari guidati da Gabriele D’Annunzio che nel settembre 1919 occuparono la città fornendo il primo esempio di avventura sovversiva alimentata dagli strascichi della guerra, tollerata dalle autorità e finanziata dagli ambienti imperialistici  anticipazione del ruolo che l’azione extraparlamentare era destinata a giocare nella soluzione della crisi apertasi nel paese. Gli Arditi, erano entrati in campo nell’ultima parte del conflitto  si trattava di truppe reclutate in base a una particolare selezione e sottoposte a un severissimo addestramento, dotate di equipaggiamento speciale e di un armamento adatto alle rapide incursioni e ai colpi di sorpresa, favorite da un migliore trattamento e da forme di impiego che non le inchiodavano al logorio della prolungata permanenza in trincea. Gli Arditi si guadagnarono fama di invincibilità ma anche di particolare ferocia, ad esempio avevano l’abitudine di sgozzare gli austriaci catturati, in spregio alle norme internazionali che proteggevano la vita dei prigionieri. 25 La novità e la diversità dell’arditismo consistevano nella forte motivazione al combattimento che distingueva gli appartenenti a questi reparti dalla stragrande maggioranza dei fanti. Essi erano reclutati e agivano sulla base di ferme convinzioni patriottiche ma ancor più sulla base di un’etica della spavalderia, di un culto del coraggio e di un disprezzo per il pericolo e la morte che erano agli antipodi del profilo morale della generalità delle truppe. Si assistette in generale a una sorta di “brutalizzazione” della politica che era il frutto anche della guerra, degli odi accumulati, dello spirito di “guerra civile” che essa contribuì a diffondere sia in paesi che avevano subito una cocente e imprevista sconfitta, sia in quelli che in conseguenza della guerra erano stati attraversati da fratture e contraddizioni di inedita asprezza la continuità con l’arditismo fu riconosciuta e rivendicata dai fascisti. Nell’arditismo era presente un’esaltazione della gioventù, della virilità, del vigore corporeo che derivava anch’essa dallo spirito della guerra e che fu ampiamente ripresa dal fascismo; la guerra aveva portato con sé un vero e proprio culto della giovinezza e un deprezzamento della vecchiaia. questa gerarchia di valori comportava un disprezzo, coltivato soprattutto tra i giovani delle classi medie, per tutto ciò che concerneva l’eredità del recente passato e il bisogno di liberarsene, aprendo la strada al nuovo. Terminata la guerra, iniziò la smobilitazione dell’esercito e il congedamento dei soldati novembre 1918 secondo le cifre ufficiali erano alle armi circa 3 milioni di uomini (+mezzo milione di prigionieri), nel luglio 1919 rimanevano ancora sotto le armi circa 1 milione e mezzo di uomini. Il ritorno dei superstiti rese più palpabile l’assenza dei morti; finché la guerra era in corso, se i caduti non tornavano, neppure i vivi potevano farlo, ma ora con il loro ritorno, l’idea delle perdite si fissò in un computo evidente e definitivo => divenne quindi inevitabile tracciare un bilancio. Col progressivo allentarsi del regime repressivo e censorio ebbero modo di manifestarsi gli stati d’animo a lungo controllati e repressi che serpeggiavano nella popolazione. venne così alla luce un profondo sentimento di rancore per un sacrificio che appariva spaventoso e forse inutile, in più non distribuito in maniera equa = venne alla luce una forte carica antibellicista che metteva sotto accusa la guerra e quanti l’avevano voluta e imposta al paese. I risultati della Commissione d’Inchiesta su Caporetto, presentati ufficialmente al capo del governo il 24 luglio 1919 e divenuti di pubblico dominio all’inizio d’agosto, alimentarono ulteriormente le polemiche offrendo argomenti al processo contro la guerra dei socialisti e giolittiani era addirittura un organismo ufficiale a mettere sotto accusa i comandi militari che avevano portato le truppe al collasso con una condotta insensata. = a venire in primo piano era dunque gli spaventosi eccidi e l’esasperante logoramento dei soldati, quindi ancora una volta il pesante bilancio dei sacrifici imposti a migliaia di uomini; che le cose stessero coì i soldati lo avevano sempre saputo, ma era come se per la prima volta la verità, fino a quel momento non detta e indicibile, venisse improvvisamente alla luce del sole, squarciando il velo della retorica e della propaganda. 26 La polarizzazione delle forze in campo produsse una nuova lacerazione e una semplificazione delle posizioni  nell’ondata di emozioni che percorse il paese, fu abbastanza facile dipingere i socialisti come una forza vecchia, meschina, corrotta o quanto meno logorata dai giochi parlamentari e anche per questo destinata a essere spazzata via se si voleva spianare la strada alla grandezza dell’Italia. In realtà quella delle polemiche seguite alla pubblicazione dell’inchiesta fu una breve stagione  la classe dirigente si avvide ben presto che esse rischiavano di andare troppo oltre, minacciandola nel suo complesso e cercò di chiuderle => il vento di destra cominciò a prendere forza nel paese. Prese il via un’intensa campagna di celebrazioni volte ad assorbire il trauma dei lutti e a tramutarlo in contemplazione rispettosa della grandezza nazionale che tanto era costata e a cui tutti dovevano essere orgogliosi di aver dato il proprio contributo; nel giro di 3 anni il fascismo fece il resto = da quel momento, del fatto che migliaia di uomini erano stati portati al massacro contro la loro volontà non si poté più parlare e non si parlò più. La battaglia contro la guerra fu perduta due volte dai neutralisti: -quando si era trattato di decidere l’intervento -ora che bisognava dar forma alla sua memoria A decretare questa sconfitta, l’avvento del fascismo fu decisivo, ma in parte essa era già avvenuta prima e i suoi effetti si mantennero ben oltre la fine del regime, prolungandosi fino agli anni 60. In tutta Europa, la guerra era stata prima di tutto evento biologico di  aveva prodotto decine di milioni di morti, falciato intere generazioni, aveva determinato nelle comunità locali vuoti di dimensioni imponenti, sconvolto gli assetti demografici.  Il pensiero di quei morti, il senso di quei vuoti, continuò a lungo a circolare nell’immaginario collettivo, suscitando dolore, stupore e sgomento. Allo stesso tempo, l’Europa intera, avviata ormai sui binari ella società di massa dovette affrontare il problema di elaborare in forme adeguate il senso della morte che gravava sulla sua esperienza recente che sembrava contraddire tutta la sua esperienza precedente basata sulla fiducia nel progresso. = fronteggiare queste emozioni ed evitare che diventassero il sentimento pacifista di condanna del massacro in quanto tale, senza distinzione tra i morti di una e dell’altra parte, spontaneamente manifestatosi all’indomani del conflitto. L’avocazione dei morti all’identità separata delle nazioni fu un obbiettivo centrale degli stati, particolarmente quelli che basavano i loro traguardi di ripresa e di rivincita proprio sull’esasperazione del nazionalismo. L’elaborazione politica del lutto fu un lavoro imponente che richiese molti anni, ingenti investimenti materiali, definizione di nuovi codici simbolici, uso intensivo di forme di comunicazione capaci di coniugare sentimenti privati di pietà e richiami spettacolari. 27 memoria ancor fresca dell’evento mentre il suo assetto attuale è il frutto di un intervento messo in atto molto più tardi, a regime fascista pienamente consolidato. La scuola divenne luogo privilegiato di costruzione del mito e della memoria della guerra fu usata come sede di trasmissione di parole d’ordine e stereotipi che celebravano la vittoria e il sacrificio dei caduti. In ogni aula viene inserita una rappresentazione simbolica del milite ignoto consistente in un bassorilievo in bronzo raffigurante la dea Roma che vigilava la salma del milite stesso. Benché si tratti per lo più di composizioni convenzionali, sollecitate dall’alto e rispondenti a codici largamente prefissati, queste espressioni mostrano la forza, la disseminazione e la durata dei sentimenti di lutto collegati all’esperienza della guerra e contribuiscono a spiegare la forte presa dell’operazione propagandistica e pedagogica costruita su quella base. Per quanto iscritta in una cornice accentuatamente patriottica, la corrispondenza privata recava tracce anche dolenti dell’esperienza compiuta dai combattenti, ne ricordava in ogni caso la vicenda singolare, si prestava meno all’appiattimento proprio delle sepolture collettive. Mentre queste parlavano soprattutto della morte dei soldati, e per lo più della morte anonima, quella parlava della vita: delle sofferenze, dei timori, delle speranze; nei sacrari i caduti erano immortalati come altrettanti automi pronti a scattare sull’attenti al comando dei superiori ma nelle lettere riprendevano i loro tratti umani. La guerra nel linguaggio cinematografico: la guerra era un’esperienza da poco conclusa, compiuta da uomini che ora potevano essere altrettanti spettatori; da questo punto di vista la presunzione di realismo e immediatezza insite nel cinema, nella sua capacità di attingere alla realtà in modo apparentemente integrale, contrastava con la sua vocazione narrativa e risultava assai più facile costruire simili racconti a proposito di epoche e mondi remoti. L’esperienza bellica come esperienza limite, apparve addirittura ad alcuni osservatori inattingibile al linguaggio cinematografico, in particolare alla sua variante documentaristica. Il critico Antonio Gariazzo scriveva nel 1919 che la riproduzione cinematografica serve a poco a riprodurre la guerra: vedremo degli elementi e delle scene tipiche di guerra ma “non sentiremo palpitare nel nostro cuore le lunghe attese nei posti di osservazione, i lunghi silenzi angosciosi […] non vivremo le ore tragiche della trincea di linea, in quello speciale stato d’animo che non ha memoria, che è solo ansietà, solo incubo, non sentiremo quell’olezzo di cadaveri diffuso, costante e penetrante che aleggia ovunque mischiato a quell’odore nauseoso del rancio” era questa un’intuizione profonda che richiamava l’innegabile difficoltà di rappresentare attraverso le immagini sullo schermo gli aspetti più spaventosi del vissuto di guerra, gli elementi osceni, i fenomeni olfattivi, le emozioni violente, la violazione dei tabù, il carattere estremo dell’esperienza compiuta. Nel caso degli Alpini, la distanza tra la realtà della guerra e il suo mito era men forte che per la maggior parte dei fanti; gli Alpini erano l’unico corpo a reclutamento territoriale, l’unico che non comportasse lo smembramento dei legami comunitari avevano tra loro un patrimonio culturale comune e in più per loro l’idea della “difesa della patria” non era astratta e remota ma più facilmente identificabile con la difesa della propria comunità e del proprio territorio. 30 Il modello epico e monumentale fu semplicemente il modello imposto sul piano dell’immaginario collettivo e vincente sul terreno politico; altre modalità della memoria erano possibili, ma furono interdette o cancellate  com’era possibile raccontare no la guerra sacra ma quella infernale e maledetta, non la guerra pura ma quella infetta? Anche quando lo si voleva fare, le parole spesso non erano all’altezza. Le lettere dei soldati semplici in genere le tacevano, perché il loro pensiero tendeva ad allontanarsene tanto era insopportabile e riferirla ai congiunti sarebbe stato insensato; semmai sono le loro memorie a parlarne, ma sempre con il pudore che si prova di fronte alle cose inconfessabili. Pittore francese Fernand Leger affermò che non si era mai visto nulla di più cubista della guerra, ma tuttavia, posti di fronte al terribile carnaio dei campi di battaglia, anche i pittori sembrarono arretrare, come se i mezzi a loro disposizione fossero insufficienti a rappresentare le dimensioni smisurate e sconvolgenti della tragedia che parecchi di loro avevano conosciuto, l’oscenità indicibile degli spettacoli di morte cui avevano assistito.  Alla prova dei fatti era come se la guerra avesse superato la soglia del rappresentabile anche agli occhi di coloro che erano meglio attrezzati per affrontare le sfide del nuovo mondo. La macchina esaltata dall’estetica futurista, nel corso della guerra si era completamente rivoltata contro l’uomo, convertendo il senso di conquista del futuro in senso di impotenza e rendendo in qualche modo improprio l’entusiasmo manifestato dai futuristi quando la guerra era solo annunciata. A favorire l’affermazione del fascismo fu la convinzione che la guerra avesse introdotto un fattore di discontinuità nella storia nazionale, in Italia più che altrove. E il terminare della guerra non poteva semplicemente riportare le cose alla normalità precedente ma dava forza all’idea di una svolta, all’imperativo di cambiare radicalmente strada. La lunga esperienza della guerra aveva logorato le vecchie forme di identità e di organizzazione politica anche più di quanto non apparisse immediatamente evidente e tendeva a premiare le forze e gli uomini capaci di presentarsi come portatori di novità. Nel momento del suo sviluppo eversivo, ma soprattutto durante gli anni del trionfo e dell’autocelebrazione, il fascismo elaborò la sua storia in modo da collegarla strettamente alla guerra e alla frattura che aveva segnato la storia del paese, liquidando il vecchio mondo e dischiudendo quello nuovo. Discontinuità voleva dire che nella storia d’Italia c’era stata una morte e doveva esserci una risurrezione e il fascismo si propose come autore e garante di questa resurrezione, che era insieme offerta come una redenzione. All’uscita del sacrario di Redipuglia si leggeva “O viventi che uscite, se per voi non duri e non cresca la gloria della patria noi saremo morti invano” era questo un dilemma e un ricatto emotivo che gli interventisti più accesi avevano già delineato nei momenti più drammatici del conflitto. E la vittoria del fascismo fu intesa dai nazionalisti e dagli interventisti come garanzia in questo senso. 31 Sul piano politico, la resurrezione era la condizione perché quelle morti non fossero state inutili; la vittoria simbolica del fascismo sul terreno del culto patriottico dei caduti e la sua vittoria politica furono due fenomeni che procedettero e si rinforzarono reciprocamente. Il fascismo giocò insomma molte delle sue fortune intorno al mito della Grande Guerra, prese in mano la bandiera del reducismo e del trincerismo, quando essa appariva denigrata dai detrattori della guerra e della messa in stato d’accusa della casse dirigente che l’aveva voluta e imposta al paese. Il fascismo era convinto di aver inaugurato una nuova era, e che questa avrebbe avuto i caratteri dell’eternità. La guerra aveva inoltre portato all’estremo la contrapposizione tra amico e nemico e le sue proiezioni interne, con il seguito di paure irrazionali, di odi feroci ì, di sospetti indiscriminati, di pulsioni etnocentriche con componenti razziste: umori che covavano sotto la cenere della società italiana e europea, ma che fu il conflitto a portare in piena luce e a esasperare. Nelle condizioni appropriate, come quelle che si determinarono nella Germania vinta e nell’Italia vincitrice ma in un certo senso sconfitta (soprattutto dai trattati di pace), questo impasto di orgoglio e frustrazione fu tra i motivi che consentirono l’affermazione dei regimi reazionari. 32
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