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Legge Quadro Assistenza N. 328/2000: Obiettivi, Sistema Integrato e Ruoli Terzo Settore, Dispense di Docimologia - metodi e tecniche di valutazione

Legislation SocialeSistemi integrati di interventi socialiPolitiche socialiAssistenza Sociale

La legge quadro sull'assistenza n. 328/2000, che ha come scopo la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali attraverso politiche sociali universalistiche. Il sistema si basa sulla cooperazione tra soggetti pubblici e privati e ha obiettivi come garantire la qualità della vita, assicurare pari opportunità, rimuovere le discriminazioni e prevenire condizioni di bisogno e disagio. Il documento illustra i ruoli specifici del terzo settore, compresi gli enti locali, le regioni e lo stato, e la partecipazione attiva dei cittadini.

Cosa imparerai

  • Come sono regolamentati i rapporti tra enti locali e il Terzo settore?
  • Come viene gestita la partecipazione attiva dei cittadini?
  • Che obiettivi pursua la Legge Quadro Sull'assistenza n. 328/2000?
  • Quali sono i ruoli specifici del Terzo settore nella realizzazione del sistema integrato?
  • Come sono coinvolti i soggetti pubblici e privati nel sistema integrato di interventi e servizi sociali?

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 06/06/2019

giovanna-fornelli
giovanna-fornelli 🇮🇹

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Scarica Legge Quadro Assistenza N. 328/2000: Obiettivi, Sistema Integrato e Ruoli Terzo Settore e più Dispense in PDF di Docimologia - metodi e tecniche di valutazione solo su Docsity! Scopo della legge quadro sull'assistenza n. 328/2000 è quello di realizzare un sistema integrato di interventi e servizi sociali che, attraverso politiche sociali universalistiche, persegua i seguenti obiettivi: garantire la qualità della vita assicurare pari opportunità rimuovere le discriminazioni prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di bisogno e di disagio degli individui e delle famiglie derivanti da: disabilità inadeguatezza del reddito difficoltà sociali condizioni di non autonomia Il sistema si dice integrato perché nella realizzazione delle reti di servizi coinvolge sia soggetti del pubblico che del privato. Altre sue caratteristiche fondamentali sono il coordinamento degli interventi assistenziali con quelli sanitari e l’importanza data al livello territoriale di zona. Il sistema si fonda infatti sul coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali (Stato, Regioni, Province e Comuni) in una logica di decentramento rispettoso delle autonomie e delle specificità locali (il Comune diventa così il nodo cardine per la realizzazione di reti di servizi che, per progettazione e caratteristiche, rispondano ai bisogni cittadini), ma al contempo attento a salvaguardare e promuovere obiettivi, standard e diritti comuni a livello nazionale. Anche a questo scopo la legge introduce il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali (da qui in poi Piano nazionale), elaborato ogni tre anni dal Governo, che indica gli obiettivi di priorità sociale e le linee di indirizzo per l’attuazione degli interventi, le modalità di realizzazione del sistema integrato dei servizi, i criteri generali per i parametri di valutazione dei livelli di integrazione sociale e di verifica del rapporto costi/ benefici, e altri punti fondamentali per garantire un’omogeneità di base, su tutto il territorio nazionale, degli interventi e dei servizi essenziali e dei diritti fondamentali. La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato degli interventi sociali, compete agli enti locali, alle Regioni e allo Stato e deve realizzarsi secondo i principi di sussidarietà, cooperazione, efficacia ed economicità, omogeneità, autonomia organizzativa e regolamentaziaone degli enti locali. Un’importante innovazione della legge quadro sull’assistenza è l’aver introdotto, fin dl suo primo articolo, gli organismi del Terzo settore accanto ai soggetti istituzionali, chiedendo a questi ultimi di riconoscere e agevolare il ruolo del non profit in quanto soggetto attivo nella progettazione e nella realizzazione del sistema integrato dei servizi. Ciò non solo perché si riconosce al Terzo settore il ruolo, in quanto fornitore dei servizi sociali, di promotore del benessere sociale, ma anche perché tra gli scopi del sistema integrato c’è quello della promozione della solidarietà sociale e la valorizzazione delle iniziative che partono dalla società civile. Allo scopo di rispondere proprio ai principi di sussidiarietà e di cooperazione a vari livelli, su cui si deve reggere l’organizzazione del nuovo welfare, il Piano nazionale 2001-2003 introduce il metodo della programmazione partecipata. Per il Terzo settore ciò significa che se fino ad oggi è stato prevalentemente coinvolto nella realizzazione del welfare in quanto "soggetto fornitore", con questa nuova impostazione le organizzazioni non profit hanno la possibilità diventare "progettiste" dei servizi che andranno a erogare; infatti, potranno partecipare al momento della programmazione dei Piani di zona (declinazione territoriale dei Piani regionali che a loro volta seguono, nel rispetto delle specificità locali, le linee di indirizzo del Piano nazionale), secondo i principi di concertazione e cooperazione. Un altro criterio cardine della rete dei servizi che la legge quadro vuole avviare è la qualità. Essa è definita nei suoi parametri generali dal Piano nazionale e riguarda sia i servizi pubblici che quelli privati. Anche per rispondere a procedure di autorizzazione e di accreditamento i cui criteri sono definiti dalle Regioni e applicati dai Comuni. Per stimolare il raggiungimento di alti livelli di qualità nei servizi sociali, la legge introduce due strumenti in cui i cittadini-utenti hanno un ruolo determinante: la carta dei servizi, di cui si devono dotare sia gli enti pubblici che il non profit, e ti titoli per l’acquisto di servizi sociali. In questo modo si riconosce il diritto dei cittadini a rivolgersi ai servizi che reputano essere i migliori per la risposta che danno alle loro specifiche e soggettive esigenze. Inoltre, si ritiene che l’introduzione dei "titoli" possa essere di stimolo a una positiva competitività tra i soggetti erogatori (pubblici e privati). Infine, poiché la ricerca della qualità passa anche attraverso il sostegno all’innovazione, la legge ricorda in più punti l’importanza di dare spazio alla sperimentazione di servizi innovativi di cui possono farsi ideatori e gestori anche gli organismi del Terzo settore. IL TERZO SETTORE PROTAGONISTA La legge quadro sull’assistenza introduce nel suo impianto, fin dal primo articolo, i soggetti del Terzo settore. Art. 1 comma 4 Gli enti locali, le Regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. l’art. 4 comma 3 contiene l’esplicito diniego di forme di aggiudicazione al massimo ribasso nell’affidamento dei servizi, decisione di rilevanza epocale per ciò che implica nella qualità dei servizi, decisione di rilevanza epocale per ciò che implica nella qualità dei servizi sociali e attesa da molto tempo; l’art. 6 comma 2 indica la preferenza di forme di aggiudicazione ristrette e negoziate; ciò significa che gli enti locali posso restringere il numero dei candidati, sulla base di criteri di affidabilità, garantendo la possibilità di definire in maniera concordata il contenuto della convenzione. Sembra utile ora rileggere attentamente il comma 3 dell’art. 5 per segnalare che le "Regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e Terzo settore" sulla base dell’Atto di indirizzo, attuando comunque le modalità previste dall’art. 8 comma 2, ossia collaborazione, concertazione, cooperazione, e provvedendo alla consultazione dei soggetti del Terzo settore. IL VOLONTARIATO Concludo questo capitolo sul ruolo del Terzo settore parlando del riconoscimento dell’apporto del volontariato. La legge affida alle Regioni la competenza di decidere i modi per valorizzare il contributo del volontariato nell’erogazione dei servizi (art. 5 comma 4). Sui rapporti con il volontariato, il Piano nazionale 2001-2003 esprime così il suo indirizzo: Rispetto al tema della valorizzazione dell’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi, la legge di riforma non innova rispetto a quanto previsto dalla legge n. 266/91, che non prevede che le organizzazioni di volontariato vendano servizi in un regime di convenzionamento che leghi la quantità di prestazioni a un corrispettivo. Nell’affidamento al volontariato di interventi o servizi, l’ente locale dovrà dunque prevedere nella convenzione una modalità di rimborso spese coerente con le caratteristiche di gratuità e solidarietà che caratterizzano le organizzazioni di volontariato. L’ente locale potrà evidentemente anche erogare contributi alle organizzazioni di volontariato. LE IPAB – ISTITUZIONI PUBBLICHE DI ASSISTENZA E BENEFICENZA È questo un passaggio strategico per la piena realizzazione della rete di servizi alla persona disegnata dalla legge sull’assistenza e rappresenta una grande opportunità per il Terzo settore: è il decreto legislativo di riordino delle Ipab, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Le Ipab sono 4.226, distribuite su tutto il territorio nazionale e rappresentano la parte più imponente dell’assistenza in Italia, in particolare per il settore socio-assistenziale e il settore scolastico. La loro disciplina risaliva a oltre un secolo fa (legge Crispi del 1890), e il recente decreto di riordino, emanato sulla base dell’articolo 10 della legge n.328/00, le obbliga ad assumere un nuovo profilo giuridico, pubblico o privato. Il provvedimento assegna la competenza delle Ipab alle Regioni e per questo indica gli indirizzi e i criteri sulla base dei quali le Regioni dovranno disciplinare le modalità di concorso di queste strutture alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, il loro apporto alla realizzazione della rete di servizi e il loro riordino. Secondo quanto dispone la legge, in particolare, le Ipab dovranno scegliere, entro il 31 dicembre 2003, se restare soggetti pubblici (come aziende di servizi) o persone giuridiche di diritto privato (onlus e/o fonazioni). Nell’ambito di questa trasformazione esse godranno di esenzioni fiscali dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali, sull’incremento degli immobili e dalla relativa imposta sostitutiva. Il provvedimento ha inoltre previsto pari opportunità fiscali tra le diverse tipologie di Ipab: la disciplina delle erogazioni liberali relativa alle onlus verrà estesa alle strutture riordinate in aziende pubbliche di servizi. Con un patrimonio immobiliare e finanziario stimato intorno ai 37 mila miliardi e 51.571 dipendenti, le Ipab potrebbero rappresentare un importante terreno di cimento per il Terzo settore. Tra gli obiettivi da raggiungere nel corso dei prossimi due anni, ci sono la maggiore redditività dei cespiti immobiliari e fondiari accumulati nel tempo, e un uso più coerente della struttura organizzativa in rapporto alle necessità dell’utenza. La natura giuridica privata darà alle Ipab nuove possibilità di gestione, come la partecipazione significativa dei soci ai consigli di amministrazione, il ricorso integrativo a prestazioni volontarie, la costituzione di un patrimonio attraverso donazioni e contribuzioni dei soci (su cui prevarrà la disciplina di favore prevista per le onlus). Un nodo importante sarà inoltre costituito dalla definizione dei rapporti con i dipendenti, con i quali si dovrà aprire una vertenza contrattuale. Dal momento che la maggiore risorsa critica dei servizi sono proprio le persone, le Ipab dovranno puntare a una particolare tutela dei loro dipendenti, che porterà a una più estesa e competitiva qualificazione dei servizi. IL METODO E IL PERCORSO DELLA RIFORMA LA PROGRAMMAZIONE PARTECIPATA La legge vuole che per realizzare i servizi sociali in modo unitario e integrato gli enti locali, le Regioni e lo Stato, ognuno nell’ambito delle proprie competenze, provvedano alla programmazione degli interventi e delle risorse. Nel farlo è importante che vengano seguiti i principi di coordinamento e di integrazione tra gli interventi sanitari e dell’istruzione e le politiche attive del lavoro (art. 3 comma 2 a)), ma la legge aggiunge che tale programmazione deve essere fatta coinvolgendo anche il Terzo settore, vale a dire seguendo i principi di: Art. 3 comma 2, b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le aziende unità sanitarie locali per le presentazioni socio-sanitarie a elevata integrazione nazionale LA PROGRAMMAZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO La programmazione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali prevede un percorso articolo negli strumenti, nei tempi e nelle modalità. Le tappe principali sono individuate nell’elaborazione del Piano nazionale (competenza dello Stato), del Piano regionale (competenza delle singole Regioni), del Piano di zona (competenza dei singoli Comuni). Piano nazionale (art. 18) È adottato dal consiglio dei ministri su proposta del ministero della Solidarietà sociale e ha scadenza triennale. Definisce gli obiettivi strategici e gli indirizzi generali, indispensabili alla programmazione degli interventi; indica le modalità di attuazione del sistema integrato, gli indirizzi per la promozione dell’informazione ai cittadini e l’avvivo di esperienze innovative, indica i parametri generali per valutare la qualità e li concorso al costo dei servizi da parte degli utenti, gli indirizzi e i criteri per la concessione del prestito d’onore e degli aiuti alle persone anziane e non autosufficienti, le regole per la formazione professionale e l’aggiornamento degli operatori del sociale. Piano regionale (art. 18) Le Regioni sono chiamate a esercitare un ruolo incisivo nella programmazione dei servizi alla persona, attraverso la predisposizione di piani regionali volti a selezionare le priorità, a definire le risorse, a precisare le modalità di funzionamento e a verificare i risultati raggiunti. Il Piano regionale è predisposto seguendo le indicazioni del Piano nazionale e collaborando con i Comuni interessati. In esso si provvede in modo particolare all’integrazione socio-sanitaria coerentemente con quanto deciso nel Piano sanitario regionale. Piano di zona (art. 19) È lo strumento fondamentale attraverso il quale i Comuni, con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione, possono disegnare il sistema integrato di servizi interventi sociali con riferimento alla selezione degli obiettivi strategici, messa a punto degli strumenti realizzativi e ripartizione delle risorse da attivare. Il Piano di zona è predisposto dai Comuni associati in ambiti territoriali, d’intesa con le Aziende sanitarie locali. Favorisce la formazione di sistemi locali fondati sui servizi e su prestazioni complementari e flessibili. Definisce i criteri per la ripartizione delle spese a carico di ciascun Comune, Prevede iniziative di formazione per gli operatori sociali. Come interviene il Terzo settore in questo percorso di pianificazione e programmazione? Innanzitutto diciamo che il Piano di Zona, secondo l’art. 19 comma 1 alle lettere f) e g), deve individuare: ********************************************** le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità; le forme di concertazione con l’azienda unità sanitaria locale e con i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4. Ci sembra importante qui aggiungere un particolare che riguarda le strutture residenziali per i minori. Con questa legge, al fine di favorire la deistituzionalizzazione, si stabilisce che solo "le strutture comunitarie di tipo familiare" possono essere considerate adeguate all’accoglienza dei minori (art. 22 comma 3). Per concludere il paragrafo sulle autorizzazioni e l’accreditamento, aggiungiamo che le Regioni sono chiamate a istituire dei Registri dei soggetti autorizzati sulla base di indicatori oggettivi di qualità (art. 8 comma 3 lettera g)). LA QUALITA’ La valutazione della qualità dell’offerta e la verifica della qualità dei servizi, inclusa la qualità dei servizi pubblici, da parte degli enti locali sono strettamente correlate alle procedure di autorizzazione e di accreditamento. Le Regioni devono definire i requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni (art. 8 comma 3, h)), mentre ai Comuni spetta la verifica. Ai Comuni è chiesto anche di effettuare forme di consultazione con il Terzo settore proprio per valutare, ai fini della programmazione, la qualità e l’efficacia dei servizi. Art. 6 comma 3 d) …effettuare forme di consultazione dei soggetti di cui all’articolo 1, commi 5 e 6, per valutare la qualità e l’efficacia dei servizi e formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi. Vogliamo qui aggiungere che la valutazione della qualità dei servizi non è un compito che gli enti pubblici debbano svolgere da soli o per consultazione con il non profit, ma che anche gli utenti hanno il diritto ad esprimere il loro giudizio: la legge, pertanto, raccoglie quanto da anni sperimentato a questo proposito da numerose amministrazioni. Art. 6 comma 3 e) I Comuni provvedono a garantire ai cittadini il diritto di partecipare al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità previste dagli statuti comunali. Questa ci sembra un’introduzione perfetta a quanto stiamo per dire. Per meglio perseguire l’obiettivo di un sistema integrato di interventi e di servizi sociali, la legge quadro n. 328/00 si avvale di due ulteriori strumenti in cui gli utenti costituiscono l’ago della bilancia: la carta dei servizi sociali e i titoli per l’acquisto di servizi sociali. La Carta dei servizi sociali (art. 13) I soggetti erogatori di servizi debbono adottare una "Carta dei servizi". Art. 13 comma 2 Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l’accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la Carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi. Tale documento deve seguire uno schema generale di riferimento, così come definito da un decreto del presidente del Consiglio dei ministri su suggerimento del ministro per la Solidarietà sociale, decreto che deve essere emesso entro sei mesi dall’emanazione della legge n. 328/00, avvenuta l’8 novembre 2000. Ciascun ente erogatore ha a disposizione, dal giorni della pubblicazione del suddetto decreto nella Gazzetta ufficiale, altri sei mesi per adottare la propria "Carta dei servizi" dandone adeguata pubblicità all’utenza (art. 13 comma 1). E’ importante sottolineare che tale "carta dei servizi sociali" costituisce requisito necessario ai fini dell’accreditamento di soggetti privati come erogatori dei servizi (art. 13, comma 3). Il Piano nazionale 2001-2003 definisce questo strumento come una "Carta per la cittadinanza sociale" che non deve riprodurre la logica dei soggetti erogatori, ma deve invece mettersi dalla parte delle persone che hanno bisogno di accedere ai servizi. E con riferimento ai contenuti, il Piano dà i seguenti indirizzi su cosa la carta dovrà prevedere: le condizioni per un patto di cittadinanza a livello locale i percorsi e le opportunità sociali disponibili la mappa delle risorse istituzionali e sociali i livelli essenziali di assistenza previsti gli standard di qualità da rispettare le modalità di partecipazione dei cittadini le forme di tutela dei diritti, in particolare dei soggetti deboli gli impegni e i programmi di miglioramento le regole da applicare in caso di mancato rispetto degli standard. Anche i Comuni, si legge ancora nel Piano nazionale, in quanto responsabili dell’offerta dei servizi sociali, devono adottare una propria "Carta" nella quale dovranno riflettere i propri orientamenti e le proprie possibilità. Titoli per l’acquisito di servizi sociali (art. 17) Questo strumento è uno degli elementi di novità più interessanti tra quelli introdotti dalla legge di riforma e si può interpretare come uno stimolo all’apertura di un "mercato" dei servizi sociali positivamente competitivo. Al cittadino è data la libertà di scegliere a quale fornitore di servizi, tra quelli accreditati nel sistema integrato, rivolgersi e i fornitori sono tenuti ad accettare il "titolo" come forma di pagamento. I criteri per concedere i "titoli per l’acquisto di servizi sociali" sono definiti dalle Regioni, mentre sono i Comuni ad emettere tali titoli e a rilasciarli direttamente agli utenti. Il sistema dei titoli può essere utilizzato anche in alternativa all’erogazione di contributi economici, ad esclusione delle pensioni sociali e dei contributi di integrazione alla pensione minima. E’ qui importante sottolineare come il meccanismo dei buoni-servizio sia fondato sulla piena volontà degli utenti: infatti, la concessione dei titoli può avvenire solo su richiesta dell’interessato. Ancora una volta, esprimendo le sue preferenze l’utenza potrà premiare la qualità e l’efficacia dell’erogatore del servizio che ha meglio saputo rispondere ai suoi bisogni, innescando un virtuoso meccanismo di competitività. L’INNOVAZIONE Non c’è ricerca della qualità senza il coraggio dell’innovazione. Basandosi su questo assunto, la legge quadro sull’assistenza pone grande attenzione alla promozione di servizi e interventi innovativi, in cui il Terzo settore può apportare tutta la sua esperienza e creatività. Alcuni esempi: Ai Comuni è richiesto di: Art. 6 comma 2, lettera a) promuovere, nell’ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse delle collettività locali tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell’ambito della vita comunitaria. A ciò si aggiunge che tra le funzioni che le Regioni cono chiamate a esercitare c’è anche la: Art. 8 comma 3, lettera d) Promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo. Ma cosa un’idea diventa un’innovazione secondo le finalità dei servizi sociali? Il Piano nazionale 2001-2003 delinea le direttrici dell’innovazione che possono essere prese anche dal Terzo settore come coordinate per la progettazione e la proposta di nuovi servizi. Queste le direttrici: partecipazione attiva delle persone nella definizione delle politiche che le riguardano integrazione degli interventi nell’insieme delle politiche sociali, mobilitando a tal fine tutti gli attori interessati e prevedendo una strategia unitaria per l’integrazione socio-sanitaria
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