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La letteratura degli italiani, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

La letteratura degli italiani- Esame di letteratura italiana 6, Brevini

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 23/06/2018

fspinoni
fspinoni 🇮🇹

4.1

(11)

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Scarica La letteratura degli italiani e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LA LETTERATURA DEGLI ITALIANI ____________________________________________________________________ CAPITOLO 1 – UNA NAZIONE SENZA STATO ____________________________________________________________________ Il tedesco della Bibbia, quello della famosa traduzione di Lutero (tra il 1522 e il 1534) venne ritenuto decisivo per lo sviluppo della moderna lingua tedesca. Nulla di paragonabile gli corrisponde nella tradizione italiana (che analogamente soffriva di una frammentazione politica) → ll'unica realtà condivisa è stata la lingua della letteratura – il toscano del Trecento – quello impiegato da Dante, Petrarca e Boccaccio e codificato da Bembo nel Cinquecento come prezioso codice antiquario. → due ordini di problemi: era una lingua contrapposta al parlato; era una lingua d'elite, della ristrettissima comunità dei dotti. I dialetti erano lingue vive, il toscano una lingua morta (che non poteva contare su ricambio tra oralità e scrittura → che arrichisce ogni letteratura), che non serviva a niente se non a scrivere libri → si chiuse in sé stesso. Alcuni tratti del toscano letterario: • a livello di circolazione sociale → impopolarità; • sul piano funzionale, il carattere di lingua letteraria; • per la sua natura linguistica, il suo essere una lingua morta; • dal pdv letterario, la mancanza di ricambio con le lingue d'uso; • per quanto riguarda la trasmissione, il carattere meramente scolastico; • nel rapporto con l'utente, l'innaturalezza e l'artificio. Anche prima dell'unità l'italiano parlato avrebbe goduto di un certo corso...per i viaggiatori, per gli stranieri, per l’ambiente scolastico → ma caratterizzato da artificialità e povertà di colloquialità (Manzoni in della lingua itlaiana incontro tra milanesi e piemontesi → dite voi se il discorso cammina come prima, dite se ci troviamo in bocca quell'abbondanza e sicurezza di termine che ci trovavamo prima). Il senso di appartenenza rimaneva sempre verso i dialetti, il praticare l'italiano lo sviluppava ulteriormente. La lingua letteraria è tale e quale da 600 anni, essendo estranea alla lingua nazionale → ogni scrittore ha dovuto acquisire artificialmente (o inventarsi) il proprio codice (Ariosto, Manzoni, Goldoni, Verga) → per secoli un paese vivo ha espresso se stesso attraverso una lingua morta → per essere scrittori italiani bisognava imparare una lingua sostanzialmente straniera, che risaliva ad alcuni secoli prima e che nessuno parlava più. Da Dante in poi: la ricerca della lingua...tutti la cercno, ma nessuno sa dove si trovi. Dante in De vulgari eloquentia si mette sulle tracce di quale lingua però? → di una lingua letteraria che deve essere illustre → la questione riguarda gli scrittori e gli uomini di cultura → pone un problema retorico e non comunicativo. • lingua italiana solo un codice letterario e risulta sganciata dall'uso vivo; • lingua della letteratura si è trovata a vivere com straniera nella patria reale; • salvo per i toscani, è sentita dagli autori come estranea, non naturale, non materna; • si manifesta il conflitto in ogni scrittore tra orgoglio dialettale e l'intellettuale cosmopolita. A peggiorare il quadro già critico di per sé arriverà la codificazione cinquecentesca del toscano letterario compiuta da Pietro Bembo → studiò di riportare il volgare alla grammatica, tenta di normalizzare ad una lingua morta una lingua ancora viva → proposta che ha fortuna in quanto eleva un codice al di sopra di tutti, anche degli stessi toscani: nessuno sarà più privilegiato. Il Cinquecento segnato dal bisogno di una norma che nasce dalla consapevolezza che Firenze non è più il centro propulsivo, gli scrittori maggiori sorgono nelle provincie italiane → con Bembo si apre un abisso tra quel codice vertiginosamente strapiombante e il coloratissimo variare delle mille favelle del paese reale. La nostra letteratura è segnata da una clamorosa anomalia: si comincia a parlare di letteratura italiana almeno cinque secoli prima che esista l'Italia come nazione con uno stato → proprio la frammentazione politica ne costituisce la peculiarità più saliente ed è la chiave con cui interpretare la tradizione italiana. Anche in Germania l'unità arrivò tardi, ma da loro ci fu Lutero, da noi – diversamente dal protestantesimo – il catttolicesimo preferì far riferimento al latino → non abbiamo potuto contare sul polo unificatore. L'idea di un'Italia unita si fa strada nel corso degli anni, ma è un'idea tutta culturale e appannaggio degli intellettuali. Un'idea tutta retorica di unità che si basa su due miti: la grandezza di Roma da una parte, l'unità e la continuità della lingua letteraria dall'altra. Inoltre la situazione reale era: 17 milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi (Arcadia, regione della grecia, in riferimento alla cultura portata all'estremo, era anche un nome di un'accademia letteraria di Roma → poesia limpida ed elegante) → da qui il carattere meramente ideologico del mito unitario: come avrebbe potuto una nazione, che non sa né leggere né scrivere, accedere ad un'idea di unità depositata esclusivamente nelle scritture? Un ottimismo dei padri della patria che si scontrava con una sostanziale estraneità dei popoli dei diversi stati della penisola (Gioberti → “il popolo italiano è un desiderio e non un fatto, un nobiltà, la poesia dialettale presentata sempre come ribaltamento della poesia illustre, come antimodello di un modello che la precedeva e che le attribuiva senso. Registro illustre che portava alla propensione per i personaggi eroici, per l'amore celeste e per l'idealizzazione; • la selettività tematica → pochi colori, tantissime sfumature: la lingua risultava carente misurandosi con i mondi dell'esperienza quotidiana o della civiltà materiale (tradizionalmente appannaggio dei dialetti). Pirandello sosteneva che la nostra lett amava più lo stile delle parole più che lo stile delle cose, per la semplice ragione che queste ultime non sapeva nominarle; • generità linguistica → quando un argomento non era eludibile → scelta di genericità, lessico sommario ed evasivo, impreciso; • convenzionalità → gli autori hanno pensato in dialetto e scritto in toscano con conseguenti metafore, allusioni, giochi di specchi ipertestuali; • ripetizione manieristica → propensione verso schemi e situazioni già attestati → cannibalismo fisiologico: libri che si nutrono di altri libri; • lettura ipercolta → il lettore deve essere sempre complice, il testo è ricco se ha un alto gioco ipertestuale...presuppone un superlettore. Brevini porta in esempio un verso di Ariosto che aveva ripreso dal Petrarca che a sua volta aveva ripreso da Lucano (anche Tasso aveva ripreso dal Petrarca); • Culto della forma → a forza di perseguire la purezza linguistica, di tirare a lucido, di imitare i sommi autori...i nostri scrittori hanno finito per avvitarsi in un'operazione totalmente autoreferenziale, perdendo ogni contatto con l'esperienza viva; • alterazione dei valori → sistema articolato su due livelli: produzione in toscano (definita letteratura in lingua con un registro aulico e sublime) e produzione nei diversi dialetti (registro comico e realistico, secondo una rigorosa separazione degli stili) → la diglossia lingua-dialetto ha condizionato la valutazione delle due letterature al punto che il valore estetico ha finito per dipendere dalla discriminante linguistica più che dalla qualità letteraria. ____________________________________________________________________ CAP.3 – CASTELLI DI CARTA ________________________________________________________________ La letteratura italiana ha sempre prediletto quei generi che proiettano le vicende rappresentate al di fuori della realtà concreta → gravemente penalizzato da ciò il teatro, che necessita di una lingua viva e credibile. Il divorzio tra toscano letterario e lingua orale si è consumato anche tra la drammaturgia e il palcoscenico: la nostra produzione era da leggere, non da recitare...perchè troppo distante da una messa in scena. → Goldoni voleva farsi capire dal proprio pubblico come voleva utilizzare una lingua congruente, “a imitazione delle persone, che parlano, più di quelle, che scrivono” → scarta il toscano letterario come anche la lingua del dramma in musica...restano i dialetti municipali che sono comunque penalizzati dal limite gravissimo della comprensibilità al di fuori dell'area in cui sono abitualmente parlati → escogita la seguente soluzione: parte dai nuclei koinè (dialetto greco??) di lingua media e veicolare che si sono affermati faticosamente in Italia in ambito extraletterario, importandovi la freschezza di quanto spicca dalla bocca del parlante, variando di volta in volta il mix a seconda delle aree in cui rappresenta le sue commedie...opera non per contrasto bensì per interazione, per fusione. Per quanto concerne il romanzo: anch'esso conosce una presenza assai limitata all'interno della produzione letteraria del nostro paese → anche ciò è una delle tante conseguenze della situazione sociolinguistica del paese: il paese reale parlava dialetto...si scontrarono in maniera particolare gli scrittori neorealisti e veristi, nella loro ricerca di una presa diretta sulla realtà...dovranno infatti fare i conti con i dialetti e le varietà regionali di italiano. I narratori dell'800 da una parte valorizzano il plurilinguismo dialettale, soprattuto nei dialoghi, dall'altra (tipo Verga) sviluppano un monolinguismo di livello basso in cui il narratore incontra i propri personaggi, dando vita ad una lingua inventata basata però sull'oralità.D'annunzio invece accoglie tutto: i materiali libreschi e dotti della tradizione, i fondi aulici e arcaici, le voci desuete e peregrine. Dopo D'Annunzio l'opzione per la lingua media si farà sempre più urgente in concomitanza con la prima diffusione dell'italiano veicolare → Pirandello, rinunciando al regionalismo, da' voce alla lingua della piccola borghesia impiegatizia. A partire dal romanticismo le cose si complicano anche per la poesia (che fino ad allora aveva attraversato i secoli, diventando la struttura portante della stessa letteratura italiana) → quel patrimonio linguistico tanto clamorosamente anacronistico divenne ormai incompatibile con le nuove condizioni ambientali → Manzoni e Pascoli furono gli innovatori della lingua letteraria italiana...l'uno per la prosa, l'altro per la poesia → ma lo scarto di un secolo con cui portarono le proprie innovazioni mostra il carattere ben più conservativo della lingua della poesia rispetto a quello della prosa. Anche la poesia deve fare i conti con la temporalità, con il mondo storico...la modernità travolge quel mondo stabile e fisso, fondato sulla tradizione e sull'imitazione → il poeta non scrive più presente assoluto e idiomatico del Petrarca: si pensi al Leopardi in sera del dì di festa: scrive in un presente di chi sta seguendo in presa diretta ciò che accade, di chi registra ciò che si svolge sotto i suoi occhi. Nonostante ciò la tradizione continua ad imporre i propri pedaggi: Leopardi costruisce le proprie poesie senza mai uscire dalle forme più rigide della convenzione classicista. Similmente a Leopardi, anche i poeti romantici modificano da una parte i protocolli espressivi, dall'altra faticano ad uscire dai canoni classici entro i quali la lingua si muove...il tutto con esiti a volte grotteschi. Berchet nei profughi di Praga scrive di argomenti di attualità servendosi di un linguaggio assurdamente antirealistico. La tradizione poetica opporrà ancora per anni una strenua resistenza, sopravvivendo anche all'unificazione linguistica del paese → anche gli scapigliati (in maniera simile ai romantici) fanno convivere in nuovi confusi fermenti realistici e colloquiali con un canone sempre più anacronistico. Con la poesia borghese del secondo ottocento si fa più deciso l'accostamento al parlato, con una virata in direzione delle piccole cose, del quotidiano, dei buoni sentimenti e dei valori domestici. Il conflitto tra ricerca di popolarità e nuovi contenuti vs tradizionalismo dei corredi linguistici investe anche il melodramma → per es. Traviata di Verdi che parla di temi popolari ma con un linguaggio ancora aulico e arcaico. Con Carducci assistiamo ad una risposta restaurativa ai problemi posti dalle generazioni romantiche (ecco perchè non piaceva agli scapigliati, sismografi più sensibili al nuovo) → anche Carducci vive il bisogno di una lingua poetica nuova, ma la via prescelta è di tipo restaurativo e passa attraverso le citazioni incastonate...si cerca il nuovo attraverso l'antico. → carducci come sintomo drammatico della fatica con cui la nostra tradizione vive il proprio processo di svecchiamento. Forse nessuno come Pascoli ha colto e sofferto in prima persona i limiti della tradizione letteraria italiana. In un discorso di una conferenza sulla giovinezza di Leopardi sottolinea il duplice errore della nostra tradizione (VEDI CONTINI), che affligerebbe anche Leopardi: indeterminatezza e falso, cioè genericità e convenzionalità. Riconosce a Leopardi l'aspetto innovativo del rappresentare la realtà nel suo farsi, ma critica il fatto che Leopardi resti impigliato nel vischio della tradizione (per es. quando sostituisce i fiori recati quella sera dalla contadina marchigiana con lo stereotipo del mazzolino di rose e viole...dice Pascoli che non possono essere rose e viole perchè hanno tempi di fioritura diversi, quindi non avrebbe potuto metterli nello stesso mazzo...--> afferma “sono i fiori della tradizione letteraria italiana”). La poetica secoli come modello...la sua poesia d'amore ha imposto uno standard di riferimento a diffusione europea. La tensione verso la rarefazione e l'idealizzazione si spiega col rapporto dell'autore con il fiorentino (che egli considerava lingua non di uso comune, bensì una lingua della poesia) → il toscano di Petrarca si specializza al servizio di quella operazione di selezione operata sul reale, funzionale alla retorica dell'indeterminatezza e dell'evasività che durerà fino a Leopardi: petrarca sganciato dall'esperienza vissuta, proietta la sua autobiografia in una purificata fenomenologia dell'amore, rivolta verso la trasfigurazione morale. Bembo rilancerà il paradigma petrarchesco e lo salderà con la canonizzazione del toscano letterario: registro sublime, referenti idealizzati e lingua morta costituiranno un tutt'uno → ferreo monolinguismo, ricorso esclusivo al sonetto e alla canzone, misurato dosaggio delle immagini. Duplicità dell'operazione del Bembo: da una parte grammaticalizza e sancisce un canone; dall'altra si stacca dalla ripetizione, ponendo le basi per una ricerca combinatoria interna al canone → è qui che avverrà il punto d'innesto con il manierismo: il quale mette in tensione le strutture, incrementa il tasso di artificio → manierismo letto come versione estremizzata del petrarchismo. Fino a Bembo - che costituisce una linea di demarcazione - c'era stata una produzione amorosa realistica e burlesca con spunti, sperimentazioni fortemente legate al territorio in cui erano sorte...incentrata sulla quotidianeità, sul locale, sul popolare. Ricca produzione sarcastica dell'antipetrarchismo in lingua e soprattuto in dialetto...produzione assai vasta che spazia da Ruzzante (con il suo violento sarcasmo fondato sul corporeo) a Sgruttendio, senza escludere chi applicava strategie diverse dalla contrapposizione frontale (irrisione, dissacrazione e rovesciamento). La soluzione della contrapposizione frontale si fa inevitabile con l'affermarsi del modello brembesco (con il quale vengono delegittimate le esperienze che avevano tentato una strada diversa dal verticalismo del canzoniere) → Ruzzante l'emblema: l'amore viene brutalmente riportato sulla terra...voleva dire semplicemente sicurezza, protezione, cibo e “dinari”. Riguardo all'evoluzione interna alla poesia → l'esperienza di Tasso: il petrarchismo trova una suprema sintesi e vive il suo superamento...attraverso 1.l'allargamento dei temi dei motivi oltre la sfera amorosa e 2.incremento delle componenti tecniche e dell'artificio. Con la poesia barocca i poeti tornano a posare lo sguardo sulla realtà. In parallelo a ciò riscoperta della realtà attraverso la nuova scienza galileiana → si assiste in questa fase al manifestarsi di una nuova curiosità enciclopedica verso il mondo e i suoi mutevoli aspetti (Campanella coniuga poesia con filosofia). La consacrazione del sublime non è avvenuta attraverso l'esclusione del comico, quanto piuttosto stabilendo un'irriducibile polarizzazione tra i due estremi, senza alcuna possibilità di incontro. La nostra è una letteratuura degli opposti estremismi, è mancato il mondo intermedio erch non c'era la lingua per dirlo. Ciò che è mancato inoltre nella nostra letteratura è l'amore nella sua normalità, umanissimo intreccio di terreno e celeste. Un altro aspetto del processo di idealizzazione della letteraura in lingua toscana è l'averci sempre presentato nobili passioni vissute da coppie eccezionali, anche quando si tratta di amori infelici...--> rappresentare le miserie della vita richiedeva una lingua ricca di tutte le tastiere del quotidiano come era appunto il dialetto, ma il toscano letterario non le possedeva. AGRICOLTURA E PASTORIZIA → produzione ancor più elusiva. Assistiamo a due filoni: da una parte la satira antivillanesca e la farsa rusticale (deformazione comica), dall'altra la produzione georgica e bucolica (deformazione sublime). Di origine medioevale, la satira contro il villano (contadino) ha innestato lo stereotipo del contadino deforme e barricato entro il suo ghetto culturale e linguistico → il tutto con procedure rigide e codificate che neutralizzano la durezza del lavoro dei campi nel clichè comico. Quanto alla poesia pastorale è un fenomeno che si sviluppa soprattutto a partire dalla Toscana...dopo Boccaccio (che cerca una chiave mitologica e rustica), la produzione avrà uno sviluppo divergente: filone rusticale → teatro (umori parodici, realistici e popolareschi) e filone allegorizzante → poesia bucolica (si serve della convenzione bucolica come di una maschera per alludere meteforicamente a vicende delle classi egemoni). → il dramma pastorale poco ha a che fare con il mondo rurale, è più espresisone della cultura cortigiana → gioco allusivo che contrappone la città o il palazzo (mondo classico) con la selva (mondo odierno)...il tutto in un genere misto di commedia e tragedia. Nel settecento il genere bucolico riacquista forte attualità sullo sfondo di un rinnovato clima culturale che a livello europeo riscopre i valori di naturalezza e semplicità. Antifrasi più impietosa alla convenzione bucolica → spetta a Folengo (gioca sull'attrito tra corredi aulici e materiali popolari, criticando così sia la produzione bucolica, sia i contenuti petrarcheschi) e Ruzzante (gioca sull'estraneità fra la campagna tramandata dalla convenzione pastorale e quella del contado), entrambi reagiscono all'irrigidirsi delle poetiche classicistiche della separazione degli stili e della distinzione dei livelli in atto nel primo cinquecento → rimescolando così illustro e popolare, alto e basso → tutte le travolgenti esperienze plurilinguistiche del secolo vanno lette come rezioni uguali e contrarie al fissarsi sempre più rigido della norma toscana. Lo sfondo storico e sociale in cui nasce la POESIA CAVALLERESCA è costituito dal diffondersi fra le classi borghesi di modelli culturali sempre più sganciati dalle tradizioni di parsimonia e razionalità di un tempo → in questo quadro il romanzo cavalleresco, con i suoi ideali di romanticismo eroico; la stessa proposta del Bembo, una norma aulica, alta, elitaria, a beneficio di una classe socialmente media in cerca di prestigio sociale e di status; orlando innamorato di boiardo porta il repertorio cavalleresco da mera letteratura di intrattenimento ai livelli superiori del sistema letterario. La poesia cavalleresca – come quella bucolica – tratteggia dei mondi ideali, su cui la nuova società va rimodellandosi. Nei nostri poemi non c'è traccia della realtà, tutto risplende di eroismi e bellezze...nessuna traccia di saccheggi, stupri, angherie...ordinarie vicende di ogni guerra di invasione → ancora una volta solo nella produzione dialettale assistiamo al mancante prima citato: la guerra della miseria, delle vittime, dei profughi → i testi di Ruzzante ci fanno incontrare contadini affamati che tornano laceri dal campo che si scoprono per quello che sono: degli sconfitti, impigliati negli ingranaggi della storia. ____________________________________________________________________ CAP.5 – LA SIEPE E LA CITTA' ____________________________________________________________________ Molto raramente vengono affrontati temi quali la modernità, la città, il lavoro industriale → l'osservatorio privilegiato dei nostri autori continuano ad essere le campagne. Nonostante il letterato italiano, se non di estrazione, è di solito di mentalità cittadina → le sue pagine sono elusive rispetto alla realà urbana e preferiscono parlarci di mondi più rarefatti e arcaici. Riguardo a Pascoli: da notare quanto abbia elaborato la propria epica contadina proprio nel periodo in cui prendeva il via il più grande processo di urbanesimo della storia italiana, destinato ad alterare I ritmi millenari della civiltà rurale. La “vera città” di Pascoli è quella solitaria, rustica e vegetale del mondo agreste, che sul piano biografico era per Pascoli la Garfagnana. Questo movimento centrifugo dalla città alla campagna, dal centro alla periferia, dalla storia alla natura → rappresente un tratto caratteristico della letteratura italiana. Analizziamo brevemente I tre maggiori poeti italiani nella cruciale fine del XIX secolo: Carducci descrive la Maremma e i cipressetti, il Monte Spluga o la Valle d'Aosa delle villeggiature. Se parla di città, è per evocare i comuni delle libertà medioevali. Ne alla stazione descrive la
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