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la letteratura degli italiani, Dispense di Letteratura Italiana

riassunto del libro di Franco Brevini

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 15/04/2019

michelaunibg
michelaunibg 🇮🇹

4.5

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Scarica la letteratura degli italiani e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! La letteratura degli italiani [Franco Brevini] CAPITOLO 1 – UNA NAZIONE SENZA STATO Il _tedesco della Bibbia_, quello della famosa traduzione di Lutero (tra il 1522 e il 1534) è ritenuto decisivo per lo sviluppo della moderna lingua tedesca. Non c’è nulla di paragonabile nella tradizione italiana (che analogamente soffriva di una frammentazione politica). L'unica realtà condivisa è stata la lingua della letteratura, la lingua dei dotti – il toscano del Trecento – quello impiegato da Dante, Petrarca e Boccaccio e codificato da Bembo nel Cinquecento come prezioso codice antiquario. Due ordini di problemi: rapporto tra lingua parlata e lingua d uso. era una lingua contrapposta al parlato; era una lingua d'elite, della ristrettissima comunità dei dotti. Mentre negli altri paesi tra lingua degli scrittori e lingua della gente correva solo una differenza di livelli, in Italia c’ era un salto da una lingua all’altra. Mentre i dialetti erano lingue vive, il toscano una lingua morta (che non poteva contare su ricambio tra oralità e scrittura che è ciò che arricchisce ogni letteratura) che non serviva a niente se non a scrivere libri perciò si chiuse in sé stesso. Anche perché ancora molti decenni dopo l unita d Italia l unico modo per entrare in contatto con la presunta lingua nazionale era la scuola. Alcuni tratti del toscano letterario: a livello di circolazione sociale → impopolarità; sul piano funzionale, il carattere di lingua letteraria; per la sua natura linguistica, il suo essere una lingua morta; dal pdv letterario, la mancanza di ricambio con le lingue d'uso; per quanto riguarda la trasmissione, il carattere meramente scolastico; nel rapporto con l'utente, l'innaturalezza e l'artificio. Parla come mangi Anche prima dell'unità l'italiano parlato avrebbe goduto di un certo corso...per i viaggiatori, per gli stranieri, per l ambiente scolastico. Foscolo dice ‘’Le persone di altri paesi si vantavano della propria lingua nazionale e lasciavano il dialetto alla plebe. In Italia succede questo solo a chi viaggia nelle province vicine e deve farsi capire’ ’Manzoni in della lingua italiana incontro tra milanesi e piemontesi → dite voi se il discorso cammina come prima, dite se ci troviamo in bocca quell'abbondanza e sicurezza di termine che ci trovavamo prima. Il senso di appartenenza rimaneva sempre verso i dialetti, il praticare l'italiano faceva rendere sempre più conto che si apparteneva a una comunità distinta. L italiano corrispondeva all atteggiamento di oggi con l inglese. Gli autori italiani hanno certamente parlato come hanno mangiato, ma quando sii sedevano a scrivere stavano ben lontani da questo parlare. Non essendoci una lingua comune ogni scrittore ha dovuto acquisire artificialmente (o inventarsi) il proprio codice (Ariosto, Manzoni, Goldoni, Verga) ne consegue che per secoli un paese vivo ha espresso se stesso attraverso una lingua morta. per essere scrittori italiani bisognava imparare una lingua sostanzialmente straniera, che risaliva ad alcuni secoli prima e che nessuno parlava più. Dante inaugura un esercizio al quale gli scrittori dopo di lui non potranno sottrarsi: la ricerca della lingua...tutti la cercano, ma nessuno sa dove si trovi. Dante in De vulgari eloquentia si mette sulle tracce di quale lingua però? → di una lingua letteraria che deve essere illustre. la questione riguarda gli scrittori e gli uomini di cultura. Pone un problema retorico e non comunicativo. Risultato negativo: nessun dialetto può ambire a imporsi come codice universale. Quindi: ^lingua italiana solo un codice letterario e risulta sganciata dall'uso vivo; ^lingua della letteratura si è trovata a vivere come straniera nella patria reale; ^salvo per i toscani, è sentita dagli autori come estranea, non naturale, non materna; ^si manifesta il conflitto in ogni scrittore tra orgoglio dialettale e l'intellettuale cosmopolita. Codificazione del bembo e liquidazione dell oralità A peggiorare il quadro già critico di per sé arriverà la codificazione cinquecentesca del toscano letterario compiuta da Pietro Bembo: studiò di riportare il volgare alla grammatica, cioè alla norma di una lingua morta come il latino. tenta di normalizzare ad una lingua morta una lingua ancora viva → proposta che ha fortuna in quanto eleva un codice al di sopra di tutti, anche degli stessi toscani: nessuno sarà più privilegiato. Il Cinquecento segnato dal bisogno di una norma che nasce dalla consapevolezza che Firenze non è più il centro propulsivo, gli scrittori maggiori sorgono nelle provincie italiane → con Bembo si apre un abisso tra quel codice vertiginosamente strapiombante e il coloratissimo variare delle mille favelle del paese reale. Le numerose poesie che nascono nel 600 sono la conseguenza del consolidamento del modello toscano. L’Italia divisa La nostra letteratura è segnata da una clamorosa anomalia: si comincia a parlare di letteratura italiana almeno cinque secoli prima che esista l'Italia come nazione con uno stato. proprio la frammentazione politica ne costituisce la peculiarità più saliente ed è la chiave con cui interpretare la tradizione italiana. Anche in Germania l'unità arrivò tardi, ma da loro ci fu Lutero, da noi – diversamente dal protestantesimo – il cattolicesimo preferì far riferimento al latino → non abbiamo potuto contare sul polo unificatore. 17milioni analfabeti e 5 milioni di arcadi L'idea di un'Italia unita si fa strada nel corso degli anni, ma è un'idea tutta culturale e appannaggio degli intellettuali. Un'idea tutta retorica di unità che si basa su due miti: la grandezza di Roma da una parte, l'unità e la continuità della lingua letteraria dall'altra. Inoltre la situazione reale era: 17 milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi (Arcadia, regione della Grecia, in riferimento alla cultura portata all'estremo, era anche un nome di un'accademia letteraria di Roma → poesia limpida ed elegante) → da qui il carattere meramente ideologico del mito unitario: come avrebbe potuto una nazione, che non sa né leggere né scrivere, accedere ad un'idea di unità depositata esclusivamente nelle scritture? Il mito dell unita dalla letteratura alla politica A Un ottimismo dei padri della patria si scontrava con una sostanziale estraneità dei popoli dei diversi stati della penisola a un identità comune. Fino all 800 i apporti con chi veniva da un’ area diversa dalla propria era no caratterizzati da xenofobia. (Gioberti → “il popolo italiano è un desiderio e non un fatto, un presupposto e non una realtà, un nome e non una cosa”). Hobsbawm e Ranger definiscono invenzione della tradizione → pratiche di ingegneria sociale e culturale intese a procurare una legittimazione alla storia più recente, andando a rintracciarne le presunte radici nel passato più remoto → l'obiettivo è trasmettere e rinsaldare una tradizione, ponendo una continuità a ciò che era stato discontinuo. L'inventore della nostra tradizione si può dire che sia stato De Sanctis con la sua Storia della letteratura italiana → un'Italia di carta era alla fine meglio di niente, sono stati i versi a fare la nazione e non viceversa. Italia donna del mondo Un alto mito che ha alimentato l idea di una presunta identità italiana, accanto a quello della lingua, è il mito della superiorità morale non che culturale del nostro popolo (All’italia di Leopardi e poi Petrarca e Boccaccio) → gli intellettuali del Rinascimento avevano provveduto a lanciare il mito di un'Italia uscita dall'oscurantismo medioevale e offriva al mondo la luce della sua ineguagliabile civiltà → Petrarca formula ________________________________________________________________ Una drammaturgia senza palcoscenico La letteratura italiana ha sempre prediletto quei generi che proiettano le vicende rappresentate al di fuori della realtà concreta → gravemente penalizzato da ciò il teatro, che necessita di una lingua viva e credibile. Il divorzio tra toscano letterario e lingua orale si è consumato anche tra la drammaturgia e il palcoscenico: la nostra produzione era da leggere, non da recitare...perché troppo distante da una messa in scena. → Goldoni voleva farsi capire dal proprio pubblico come voleva utilizzare una lingua congruente, “a imitazione delle persone, che parlano, più di quelle, che scrivono” → scarta il toscano letterario come anche la lingua del dramma in musica...restano i dialetti municipali che sono comunque penalizzati dal limite gravissimo della comprensibilità al di fuori dell'area in cui sono abitualmente parlati → escogita la seguente soluzione: parte dai nuclei koinè (dialetto greco??) di lingua media e veicolare che si sono affermati faticosamente in Italia in ambito extra letterario, importandovi la freschezza di quanto spicca dalla bocca del parlante, variando di volta in volta il mix a seconda delle aree in cui rappresenta le sue commedie...opera non per contrasto bensì per interazione, per fusione. La lingua della prosa Per quanto concerne il romanzo: anch'esso conosce una presenza assai limitata all'interno della produzione letteraria del nostro paese → anche ciò è una delle tante conseguenze della situazione sociolinguistica del paese: il paese reale parlava dialetto...si scontrarono in maniera particolare gli scrittori neorealisti e veristi, nella loro ricerca di una presa diretta sulla realtà...dovranno infatti fare i conti con i dialetti e le varietà regionali di italiano. I narratori dell'800 da una parte valorizzano il plurilinguismo dialettale, soprattutto nei dialoghi, dall'altra (tipo Verga) sviluppano un monolinguismo di livello basso in cui il narratore incontra i propri personaggi, dando vita ad una lingua inventata basata però sull'oralità. D'annunzio invece accoglie tutto: i materiali libreschi e dotti della tradizione, i fondi aulici e arcaici, le voci desuete e peregrine. Dopo D'Annunzio l'opzione per la lingua media si farà sempre più urgente in concomitanza con la prima diffusione dell'italiano veicolare. Pirandello, rinunciando al regionalismo, da' voce alla lingua della piccola borghesia impiegatizia. Tanto migliore è, quanto più dei parlari del profano vulgo si sprolunga A partire dal romanticismo le cose si complicano anche per la poesia (che fino ad allora aveva attraversato i secoli, diventando la struttura portante della stessa letteratura italiana). quel patrimonio linguistico tanto clamorosamente anacronistico divenne ormai incompatibile con le nuove condizioni ambientali . Manzoni e Pascoli furono gli innovatori della lingua letteraria italiana...l'uno per la prosa, l'altro per la poesia ma lo scarto di un secolo con cui portarono le proprie innovazioni mostra il carattere ben più conservativo della lingua della poesia rispetto a quello della prosa. Con la modernità anche la poesia deve fare i conti con la temporalità, con il mondo storico...la modernità travolge quel mondo stabile e fisso, fondato sulla tradizione e sull'imitazione. il poeta non scrive più nel presente assoluto e idiomatico del Petrarca: si pensi al Leopardi in sera del dì di festa:’’ la donzelletta vien dalla campagna’’ scrive in un presente di chi sta seguendo in presa diretta ciò che accade, di chi registra ciò che si svolge sotto i suoi occhi. A differenza di Petrarca che aveva scritto’’ movesi il vecchierel canuto e bianco ’’. come l’’ ei fu’’ di Manzoni che scrive descrivendo i fatti accaduti, perciò dai primi dell’800 tra la scrittura poetica e la storia si stabilisce un rapporto completamente diverso dal passato. Nonostante ciò la tradizione continua ad imporre i propri pedaggi: Leopardi costruisce le proprie poesie senza mai uscire dalle forme più rigide della convenzione classicista. Similmente a Leopardi, anche i poeti romantici modificano da una parte i protocolli espressivi, dall'altra faticano ad uscire dai canoni classici entro i quali la lingua si muove...il tutto con esiti a volte grotteschi. Berchet nei profughi di Praga scrive di argomenti di attualità servendosi di un linguaggio assurdamente anti realistico. La tradizione poetica opporrà ancora per anni una strenua resistenza, sopravvivendo anche all'unificazione linguistica del paese → anche gli scapigliati (in maniera simile ai romantici) fanno convivere in nuovi confusi fermenti realistici e colloquiali con un canone sempre più anacronistico. Con la poesia borghese del secondo ottocento si fa più deciso l'accostamento al parlato, con una virata in direzione delle piccole cose, del quotidiano, dei buoni sentimenti e dei valori domestici. Il conflitto tra ricerca di popolarità e nuovi contenuti vs tradizionalismo dei corredi linguistici investe anche il melodramma → per es. Traviata di Verdi che parla di temi popolari ma con un linguaggio ancora aulico e arcaico. La tenacia del classicismo e Carducci Con Carducci assistiamo ad una risposta restaurativa ai problemi posti dalle generazioni romantiche (ecco perché non piaceva agli scapigliati, che erano sismografi più sensibili al nuovo) → anche Carducci vive il bisogno di una lingua poetica nuova, ma la via prescelta è di tipo restaurativo e passa attraverso le citazioni incastonate...si cerca il nuovo attraverso l'antico. Mira a un più profondo contatto con le fonti dell antico perche convinto che il rinnovamento si possa ottenere ritornando a una classicità più vera. Carducci può essere visto come sintomo drammatico della fatica con cui la nostra tradizione vive il proprio processo di svecchiamento. Pascoli a Recanati Forse nessuno come Pascoli ha colto e sofferto in prima persona i limiti della tradizione letteraria italiana. In un discorso di una conferenza sulla giovinezza di Leopardi sottolinea il duplice errore della nostra tradizione (VEDI CONTINI), che affliggerebbe anche Leopardi: indeterminatezza e falso, cioè genericità e convenzionalità. Riconosce a Leopardi l'aspetto innovativo del rappresentare la realtà nel suo farsi, ma critica il fatto che Leopardi resti impigliato nel vischio della tradizione (per es. quando sostituisce i fiori recati quella sera dalla contadina marchigiana con lo stereotipo del mazzolino di rose e viole...dice Pascoli che non possono essere rose e viole perché hanno tempi di fioritura diversi, quindi non avrebbe potuto metterli nello stesso mazzo...--> afferma “sono i fiori della tradizione letteraria italiana”). La poetica pascoliana muove esattamente in direzione opposta, come spiega nel Fanciullino: la poesia consiste nella visione di un particolare inavvertito, di uno specifico, inedito dato di realtà...sempre fondato sull'osservazione diretta. Sulla letteratura italiana poi afferma: “noi italiani imitiamo troppo...lo studio dovrebbe togliere la ruggine depositata dal tempo sulla nostra anima, non aggiungerne...ma in Italia siamo vittime della storia letteraria”. Continua: “ma poi per la poesia vera e propria a noi manca la lingua” → tutta la sua opera si concentrerà nella ricerca di una diversa strumentazione linguistica. E' questo anche l'obiettivo di D'Annunzio che però opera in maniera differente: se Pascoli distrugge la lingua della tradizione, rivendicando una lingua concreta e precisa, all'occorrenza regionale e dialettale. Quanto richiedeva il suo scrupolo di verità; D'annunzio invece la smonta dall'interno utilizzando materiali comunque alti e con la convinzione che la poesia richieda comunque una lingua diversa da quella comune. Pascoli è comunque più radicale. la questione non è solo linguistica: per uscire dalla genericità della tradizione, occorre sostituirvi anche contenuti diversi → duplice operazione: 1 accorda piena cittadinanza all'universo contadino, sottraendolo ad ogni prospettiva comica e con tre novità: 1 il contadino viene rappresentato nella sua quotidianità e nella sua miseria, 2 viene dato spazio alla visione contadina della realtà, 3 la sua concezione della ruralità non è solo poetica, bensì nasce da una conoscenza diretta di quel mondo; 2 sconvolge la vecchia architettura retorica eliminando ogni distinzione di livelli (descrive l'eroe greco con la precisione linguistica utilizzata per il contadino della Garfagnana). Il rilancio dell’ aura L'approdo ultimo della crisi tardo-ottocentesca sarà costituito dalle industrie crepuscolari che sanciscono definitivamente l'impossibilità di concepire per la poesia una lingua diversa da quella di ogni giorno (anche se va detto che in Gozzano – definito come l'ultimo dei classici – c'è il fascino della grande tradizione poetica). Con Ungaretti assistiamo al poeta come portatore di un messaggio. Ecco che questa forte discontinuità nella tradizione offrono una straordinaria opportunità per rimescolare le carte e rimettere tutto in gioco, ma la poesia prende un'altra strada: torna a puntare su una lingua divergente dall'italiano veicolare...l'ermetismo tenterà di riordinare le tendenze rivoluzionarie dei primi anni. Successivamente solo Montale riuscirà a far insediare nella poesia “le discariche linguistiche di ogni giorno, il parlato e la lingua veicolare”. ____________________________________________________________________ CAP.4 - AMORE, GUERRA E MONDO AGRARIO ____________________________________________________________________ La frattura fra scritto e parlato La letteratura popolare da noi è mancata a causa della frattura tra parlato e scritto. Per Manzoni c'è un legame tra la non-popolarità della lingua e la non-popolarità della letteratura, egli si riconosceva sull'idea romantica di letteratura come espressione di un intero popolo...la letteratura doveva servire a consolidare le masse attorno ad un pensiero ideologico della classe dirigente. Mentre egli si poneva costantemente la questione della lingua della nostra letteratura che doveva esser rinnovata affinché svolgesse la sua missione pedagogico educativo, Bonghi pubblicava “perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia” . Mentre Manzoni fa critiche in maniera costruttiva e propositiva e denuncia le cause dell impopolarità, Bonghi si concentra sulle conseguenze negative di quell'impopolarità: l'autoreferenzialità e la scarsa leggibilità dei libri italiani, continua a mancare una riflessione intorno ai modi in cui la sua impopolarità si è manifestata. (VEDI CAPITOLO 2) si sono mostrate le conseguenze dell adozione del codice toscano, ora si va oltre per mostrare gli effetti che ha avuto sugli argomenti della pagina. T re principali esperienze nelle quali ogni scrittore italiano si è trovato ad affrontare: 1 amore, 2 civiltà agro-pastorale, 3 la guerra portata dagli eserciti stranieri. La lirica amorosa Cominciamo con l'AMORE→ tra 400 e 500 avviene la svolta, ovvero quando il monopolio linguistico toscano si impone all'Italia scrivente (del tutto sganciato dal monopolio politico che invano Lorenzo de medici aveva tentato di affermare → se fosse riuscito a realizzare unificazione politica → diversa sarebbe stata la storia sociolinguistica dell'Italia). Amore proiettato verso l'idealizzazione e la rarefazione → processo che avviene sulla base di spinte culturali (soprattutto nella prima fase) che successivamente però (dopo la svolta sopra citata) dato l'impiego di una lingua morta e non nativa, di conseguenza accentuato formulismo. Dove c'è spinta culturale → l'opzione comica può alludersi di varianti più basse che possono sia vivere autonomamente, sia muoversi in antitesi. Una volta divenuto solo formalismo l antitesi e comico in termini parodici. Assistiamo all'antitesi tra due modelli: da una parte (il punto di partenza per l'antimodello: il basso è la parodia dell'alto) la trasfigurazione e idealizzazione della lingua amorosa, con la donna dall'angel sembianza; dall'altra l'antimodello della poesia comico-realistica, con la donna porta diaboli In ogni caso sarà la ricerca mono linguistica di Petrarca a vincere: commedia, poesia didattica e religiosa, poesia popolaresca...rimarranno generi minoritari. Il loro plurilinguismo cederà a chi, come Petrarca, innalzerà l'eredità del linguaggio lirico due-trecentesco normalizzandone le spinte sperimentali. Verso il Petrarchismo Petrarca ha rappresentato il centro di tutta la lirica italiana offrendosi per secoli come modello, repertorio, paradigma e grammatica. La sua poesia d'amore ha imposto uno standard di riferimento a diffusione europea. La tensione verso la rarefazione e l'idealizzazione si spiega col rapporto dell'autore con il fiorentino (che egli considerava lingua non di uso comune, bensì una lingua della poesia). Il toscano di Petrarca si specializza al servizio di quella operazione di selezione operata sul reale, funzionale alla retorica dell'indeterminatezza e dell'evasività che durerà fino a Leopardi: Petrarca sganciato dall'esperienza vissuta, proietta la sua autobiografia in una purificata fenomenologia dell'amore, rivolta verso la trasfigurazione morale. Bembo rilancerà il paradigma petrarchesco e lo salderà con la canonizzazione del toscano letterario: registro sublime, referenti idealizzati e lingua morta costituiranno un tutt'uno → ferreo monolinguismo, ricorso esclusivo al sonetto e alla canzone, misurato dosaggio delle immagini. Duplicità dell'operazione del Bembo: da una parte grammaticalizza e sancisce un canone; dall'altra si stacca dalla ripetizione, ponendo le basi per sbarra, ma la donna amata pur calata in questo scenario squallido dell stazione resta in un decor petrarchesco. Pascoli sceglie anche sul piano della vita privata di allontanarsi dalla città, per rifugiarsi tra i monti della Garfagnana. La sua poesia edifica uno dei più importanti miti della nuova Italia: mito agreste caro ai ceti medi, sgomenti di fronte alla complessità della moderna società urbana. D'Annunzio → nella sue opere ci sono le città, ma sono le città del silenzio, egli fu un collezionista delle città avviate al tramonto: la Roma barocca, Firenze vista dai colli...Il superuomo dannunziano non è comunque un animale metropolitano, propugna una vita legata all'istinto e in comunione con la natura. L'unica cosa che lo distingue dai precedenti è il fatto che la poesia contiene un apologia del capitale, delle macchine, della finanza → come suscitatori di possibili energie, ovviamente rivolte ai prevedibili fini imperiali → accetta di parlarne solo attraverso mitologie tradizionali. Verso le periferie Svevo è forse l'unico scrittore che presenti – per quanto piccola – una città emporio, in cui sentiamo agitarsi il fervore dell'economia borghese. Ma la sua Trieste non ha esercitato grande seduzione sui lettori. Mentre la Trieste di Saba ha commosso ed emozionato, In ‘’Trieste e una donna’’ è contenuto uno degli schemi prediletti dai nostri scrittori: la passeggiata che conduce il poeta fuori dal contesto urbano, in una posizione elevata, da cui contemplare il brusio della città sottostante. Ciò c'è anche in ‘’alla periferia’’ di Carlo Cassola il quale pero preferisce il pathos della distanza. La gita fuori porta permette l'elusione della città borghese che sta cambiando rapidamente. A invertire questo schema sarà Pasolini nel 900 , ma è un Modello centrifugo che si presenta anche in Cesare Pavese → ci parla dei paesi suoi o della casa in collina, delle Langhe o del Po, ma non ci racconta mai cosa succedeva in via Lamarmora dove abitava. La citta premoderna Il fenomeno del rimpianto della città preunitaria si ritrova soprattutto nei poeti in dialetto: i dialetti, tradizionalmente nella letteratura italiana veicoli verso la realtà, proprio in quanto lingue del particolare e dell'idiomatico vivevano con disagio i processi di omologazione della modernità. Milano si offriva allora come osservatorio privilegiato delle nuove dinamiche innescate dalla modernità capitalistica, polo trainante della giovane nazione e capitale morale. Qui, dove decollano l'industria e la finanza, anche la cultura vi sperimenta le prime forme di organizzazione industriale. Se c'è una letteratura in cui la città moderna faccia la sua comparsa, questa è indubbiamente la letteratura milanese. Tuttavia non troviamo la rappresentazione dei nuovi fermenti economici e sociali, bensì una serie di rivendicazioni più o meno nostalgiche del decoro della Milano portiana → lo choc della vita cittadina continua a non attrarre i nostri autori e , per quanto lo si ricerchi, neppure nell'avanzatissima Milano è dato trovare un equivalente urbano dei romanzi veristi di invariabile ambientazione rurale. → non incontriamo alcun esito romanzesco capace di restituire “la grande città del fracasso” come De Marchi definiva Milano...viene rimpianta la Milano del primo ottocento, dove ancora resisteva una cultura poi soppiantata dall'idolatria del denaro → la campagna resta lo sfondo rassicurante in cui si rifugiava l'uomo disingannato. L'unica vera eccezione è costituita da Emilio De Marchi e il suo Demetrio → il romanzo è a tutti gli effetti profondamente urbano, nel senso che la città e le sue dinamiche ne costituiscono l'irrevocabile sfondo; il suo mondo è quello della piccola borghesia che arranca nella metropoli investita dall'impetuosa modernizzazione che ne sta modificando l'aspetto → a lui interessa la psicologia, non la fisiologia: interessano più gli uomini che gli spazi metropolitani entro cui vivono. Anche Tessa, nella poesia a Carlo porta tornerà con nostalgia a milanin → tanto Milano si fa metropoli e tanto diventa orribile: ne è simbolo la metamorfosi della prostituta: alla Ninetta che riceveva nella propria casa clienti con cui stabiliva un rapporto di cordiale simpatia umana, succede la grigia schiera delle donne de mestée con i loro anonimi clienti a ore. Il novecento Nel novecento la modernità fa il suo fragoroso ingresso nella scena letteraria con i futuristi nei quali ci sono più estetismo e retorica vitalistica che autentico confronto con la realtà industriale. Sono aristocratici e di destra e la loro macchina è solo il prodotto dell'estetica del futuro...l'economia, la fabbrica e i lavoratori non esistono. Gozzano → proprio lavoro su un piccolo mondo provinciale; Ungaretti → vissuto in mezzo mondo, ma non te ne accorgi; Montale → celebre per i paesaggi delle cinque terre. → da notare come in tutti gli autori italiani la città è comunque presente, perché è il luogo in cui essi vivono, ma i loro sogni non sono mai urbani tipico di Pasolini. ??Ma dove nasce questa perdurante indifferenza della nostra letteratura – anche novecentesca – verso il mondo di Metropolis?? Le ragioni sono molteplici e per cominciare dobbiamo segnalare i limiti dell’industrialismo italiano, tutt'altro che uniforme in un paese come il nostro. Questi limiti connessi alla mancanza di città moderne. La città è stata soprattutto un centro mercantile e commerciale...il mercante ‘’inteso alla moneta’’ abbia rappresentato il modello sociale più negativo: angustia e avidità -->il modello positivo era invece “il zappatore”, con la sua vita semplice ma autentica. Com’è grande la città A fronte dell'incapacità della tradizione di rendere conto del mondo che cambia con un'acellerazione senza precedenti, la letteratura va a cercare i propri materiali fuori dai recinti che le appartengono (cinema, fumetti, videogame..) e per una volta ciò non riguarda solo l Italia. I protagonisti dei libri di oggi non pensano, ma guardano; sono figli delle tecniche del visuale, educati all'ipertestualità. Narratavi pulp e cannibale → città come labirinto violento ____________________________________________________________________ CAP.6 – UN POLVEROSO AMMASSO DI MACERIE ____________________________________________________________________ L'immagine della letteratura italiana che si è ricostruito in questo libro si conserva sostanzialmente immutata per alcuni secoli. Intorno alla metà del novecento il quadro muta rapidamente.(già allarmanti crepe avevano iniziato a serpeggiare nelle nobili muraglie che avevano sfidato i secoli: il pressing della lingua della prosa su quella della poesia, il parlato che aveva cercato di invadere lo scritto, ma la vera novità del Novecento è stato il coincidere della lingua letteraria con la lingua d'uso, grazie al fatto che l'italiano è divenuto lingua parlata ccio fa crollare in un polveroso ammasso di macerie i problemi che per secoli erano sembrati senza soluzione. Cosi finisce la letteratura italiana così come l'avevamo conosciuta per secoli: non si smette di pubblicare ma ciò che non ha più corso è quell’idea di letteratura che per secoli aveva caratterizzato la nostra tradizione con tratti inconfondibili: culto della forma, predilezioni squisite, evasività, carattere libresco, selettività tematica... i media riescono in ciò che gli scrittori più autorevoli avevano fallito: Mike Bongiorno e Pippo Baudo realizzano i sogni di Manzoni e dante. Ora lo scrittore può muoversi all'interno di un unico codice, la lingua comune. Per secoli, avvalendosi di una lingua codificata fino all'esasperazione, la letteratura italiana ha saputo produrre capolavori...ma a quali prezzi e imponendo quante censure agli scrittori? Oggi ci appare come le qualità della letteratura italiana siano inseparabili dai suoi limiti
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