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La Letteratura per l'Infanzia nell'Italia pre-unitaria, Sintesi del corso di Letteratura

La nascita della Letteratura per l'Infanzia in Italia pre-unitaria, partendo dal Decreto del 1860 che ne ha regolamentato l'insegnamento. Vengono descritti i precursori nazionali e stranieri di tale letteratura, con particolare attenzione ai loro contributi pedagogici. Viene inoltre analizzata la situazione linguistica dell'Italia pre-unitaria, in cui il dialetto era l'unico idioma della comunicazione quotidiana. informazioni utili per comprendere l'evoluzione della Letteratura per l'Infanzia in Italia e il contesto storico in cui essa è nata.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 10/10/2023

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Scarica La Letteratura per l'Infanzia nell'Italia pre-unitaria e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! I - L’ITALIA PRE-UNITARIA – LA GENERAZIONE DEL RISORGIMENTO Quando si parla di una Letteratura per l’Infanzia non si può che partire dal Decreto 15 settembre 1860 contenente i Programmi per la scuola elementare e le relative Istruzioni ai Maestri delle Scuole primarie sul modo di svolgerli. I precursori nazionali di tale letteratura si ebbero in quelle aree regionali in cui meglio si organizzò l’istruzione. Con i programmi del 1860 cercò di rendere meno pesanti le carenze del sistema scolastico e di sopperire ad un’istruzione familiare inesistente fra i ceti subalterni, da qui il fatto che la quasi totalità dei testi nacque in funzione educativa,: classico e famosissimo diventa in questo senso il Giannetto di Luigi Alessandro Parravicini, ma ricordiamo anche gli autori padre Francesco Soave, la cui produzione narrativa sarà particolarmente cara a Manzoni, Raffaello Lambruschini e Pietro Thouar e anche l’importante contributo degli autori stranieri ed in particolare di due linee di tendenza: 1. Una riguardante le traduzioni di opere straniere tipicamente educative, cui maggiore esponente fu il maestro e scrittore francese Arnaud Berquin, che nel gennaio 1782 inizia a pubblicare il periodico “L’Ami des Enfans”, seguito poi da ”L’Ami des Adolescents”. La vera novità dei suoi testi riguarda i bambini che sono assoluti padroni della scena narrativa. Mary Edgeworth, inglese, pubblica la raccolta “L'assistente del genitore o Storie per bambini”; Johann Christoph Von Shmid, tedesco, che valorizza l’uso della novella a fini scolastico-pedagogici. 2. L’altra linea di tendenza comprende testi aperti alla cosiddetta “letteratura amena” anche se nati con finalità pedagogiche. Ricordiamo il romanzo “La vita e le strane e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe” (1719) di Daniel Defoe. Con Robinson Crusoe si offre al lettore una chiave per muovere la scoperta di sé e il protagonista del suo racconto diventa simbolo della libera impresa, dell’intraprendenza e della forza di volontà e conosce anche in Italia una straordinaria fortuna. Jonathan Swift, il cui testo “I viaggi di Gulliver” diventato un classico per l’infanzia. Dall’Inghilterra arriva poi in Italia nel Risorgimento l’intera opera di Walter Scott*, con Ivanhoe, che mescola mondo leggendario e valori come la dignità e l’amore. *Vamba grazie a lui utilizzerà lo pseudonimo. Interessanti sono anche le opere di un altro scrittore inglese, Charles Dickens, che hanno molta fortuna, i cui romanzi vengono letti come testimonianza della necessità di una letteratura della sofferenza da offrire all’infanzia in nome di un’educazione seria, severa e completa (in particolare il libro Oliver Twist). Dall’America arriva invece gran parte dell’opera di Fenimore Cooper, il cui romanzo più celebre è “L’ultimo dei Mohicani” che contribuisce al prototipo del romanzo avventuroso, giocato sul contrasto tra la natura selvaggia e il progresso. Tra gli autori italiani ricordiamo: - l’educatore Francesco Soave (1743-1806) padre somasco (i padri somaschi erano molto attenti all’istruzione) alla cui morte lascia oltre a numerosi testi di carattere scolastico, critico e manualistico, le Novelle Morali. Rispetto ai suoi seguaci Soave non eccede mai nei toni lacrimevoli. Nelle 52 novelle (nell’edizione definitiva) il suo impegno consiste nel riflettere sull’adattabilità dei testi narrativi alla capacità dei piccoli e nel far sì che proprio loro riconoscano nel racconto una moralità che non è palesata, che i ragazzi potranno ricavarsi da soli. Tra i temi che si ritrovano nelle sue novelle: la punizione del rimorso e il coraggio inconsiderato che conduce a pericoli. - Gian Pietro Viesseux (1779-1863) nel 1812 fonda a Firenze un Gabinetto scientifico e letterario destinato a lasciare segno nella storia del nostro Risorgimento e della cultura italiana. Pubblica nel 1812 “Antologia, Giornale Di Scienze, Lettere e Arti” che viene censurata nel 1833. Il suo programma è sostanzialmente riformista. Insieme con i suoi amici e collaboratori Gino Capponi e Ra aello Lambruschini si pone il problema della miseria ff e dell’ignoranza dei ceti subalterni e ribadisce l’importanza di un’istruzione morale, religiosa, popolare e universale, delegata alla classe colta e benestante, che faccia crescere il popolo senza scossoni (sociali), senza impennate rivoluzionarie, mantenendone di fatto un controllo morale. - Raffaello Lambruschini (1788-1873) fonda la Guida dell’Educatore con un’appendice di Letture per i fanciulli. Il merito principale di Lambruschini sta nell’aver scoperto Pietro Thouar (1809-1861) che rappresenta il tipico autore organico per l’infanzia poiché concentra su di essa tutto il suo impegno. Fra i suoi tanti testi ne dobbiamo ricordare due in particolare: - “Libro di lettura giornaliera. Repertorio di nozioni utili adattate all’intelligenza di fanciulli” con l’impegno di insegnare ai bambini una quantità di cose utili divertendoli e di educare all’onestà e al sapere. Fa da sfondo un’etica del lavoro ottocentesca con riferimenti al risparmio, alla fiducia verso l’industria e l’inserimento della dimensione tecnica, scientifica e agraria che indica l’osservazione come maestra di molte cose. - “Racconti pei giovanetti” e “La casa sul mare”: dai quali è possibile risalire agli elementi della sua formazione pedagogico-letteraria e della sua ideologia.  Lingua e dialetti L’inchiesta Matteucci condotta nel 1865 fornisce informazioni dirette sulla di usione e l’uso dell’italiano e dei ff dialetti nell’Italia degli anni dell’unificazione. L’inchiesta evidenzia come la lingua nazionale è praticamente del tutto sconosciuta, e che il dialetto è l’unico idioma della comunicazione quotidiana. L’inchiesta confermava quanto già si sapeva qualche anno prima, nel 1861 i dati del primo censimento della popolazione italiana avevano rilevato presenza di analfabeti per più del 78%, ponendo l’attenzione delle classi dirigenti, quindi, su una situazione preoccupante. Basti pensare che solo il 20% sapeva firmare. Al sistema scolastico nazionale, istituito con decreto legge di Gabrio Casati del 1859, viene a dato il compito di ffi porre rimedio e di vincere le resistenze, soprattutto cattoliche, che vengono interposte all’istruzione popolare. I primi programmi della scuola italiana sono emanati dal ministro Terenzio Mamiani nel 1860, e pongono a fondamento dell’insegnamento elementare prima che l’istruzione, l’educazione. L’obiettivo è quello di educare le nuove generazioni ai valori della classe dominante in merito ad una convivenza civile. I pilastri dell’insegnamento sono costituiti dalla religione, dalla lingua italiana e dall’aritmetica. Grande importanza è data alla grammatica che, attraverso l’alfabetizzazione delle masse, doveva contribuire all’unificazione linguistica e culturale dell’Italia. Per le ragioni messe in luce dall’inchiesta Matteucci (specie sull’insufficiente preparazione die maestri) ma anche a causa degli scarsi mezzi finanziari a disposizione i programmi Mamiani hanno e etti insoddisfacenti nella lotta ff all’analfabetismo, tanto che nel 1867 vengono questi ritoccati (i cosiddetti ritocchi Coppino) nei quali si evince che la lingua patria dovrà essere utilizzata esclusivamente come chiarificazione delle parole italiane non ancora note agli alunni (per giusta pronuncia o correttezza ortografica). L’uso del dialetto si tollera solo per un uso strumentale.  I Libri scolastici L’inchiesta Matteucci del ‘65 prende in esame anche la situazione dei libri di testo per valutarne l’e cacia. Si ffi chiede agli ispettori scolastici di indicare quale profitto si ricavi dai libri di lettura e quali di questi siano più generalmente usati ma al riguardo le risposte non sono univoche. Si ritiene che, in relazione agli obiettivi che l’uso del libro deve raggiungere, da libri di lettura ben fatti, si potrebbe ricavare molto profitto se i maestri li commentino a viva voce e sapessero usarli per arricchire la mente dei ragazzi.  Gli autori e le opere Nella scuola dei primi anni di Unità nazionale, il libro di testo ha un ruolo totalizzante e assume un carattere enciclopedico. Svolge contemporaneamente diverse funzioni: poiché è strumento di alfabetizzazione delle nuove generazioni, organizza l’insieme delle nozioni considerate adatte ad avviare un’unità intellettuale e morale, rappresenta poi anche una guida didattica per gli insegnanti, i quali non ricevono alcuna formazione professionale. Prototipo del perfetto libro di testo è - Il Giannetto di Luigi Alessandro Parravicini pubblicato nel 1837 con l'editore Ostinelli il cui motto “pane e onore. Migliaia di persone non leggeranno forse altro libro” suona come una predizione. Il libro si suddivide in sei sezioni: - La 1^ riguarda l'uomo sia da un punto di vista anatomico che da un punto di vista comportamentale (i suoi bisogni, i suoi desideri) - La 2^ parte tratta dei mestieri, delle arti e delle scienze. - La 3^ riguarda la terra da un punto di vista geografico e naturalistico. - La 4^ le scienze naturali - La 5^ tratta dei racconti sui doveri dei fanciulli (riporta esempi quotidiani di virtù ed istruzione dei fanciulli). - La 6^ e ultima parte, divisa a sua volta in ventisette giornate, narra episodi patriottici e morali tratti dalla storia d’Italia (dai re di Roma a Napoleone Bonaparte). Un libro scolastico che alternava parti narrative a sfondo morale e nozioni di varie discipline, intrecciava due percorsi: - uno nozionistico-enciclopedico (attinente al mondo dell’istruzione, alla trasmissione di nozioni di varie antipatico come un minuscolo precettore. Con i suoi difetti e i suoi limiti (spontaneità, mancanza di volontà e pazienza) di fronte ai doveri (obbedienza, sincerità, senso del dovere, impegni scolastici e divieti) non può essere per questo catalogato nelle schiere dei ‘buoni’ o dei ‘cattivi’. I continui scontri/incontri tra chi insegna e chi dovrebbe imparare, tra doveri e piaceri non si estremizzano nella fuga da ogni costrizione ma sono calati nel quotidiano dove il dottor Boccadoro riesce a gestire i vizi comportamentali di Giannettino alternando interventi restrittivo-punitivi a slanci di paterno incitamento. Giannettino inizia un percorso di maturazione simile a quello che avrebbe poi compiuto Pinocchio. Dal Giannettino Collodi deriva una sorta di serial di libri didattici: nel 1878 esce il Minuzzolo, l'anno dopo La geografia di Giannettino, poi La grammatica di Giannettino (1879), che disegna percorsi di educazione linguistica secondo i canoni della tradizione lasciando però spazio a una gran quantità di elementi dell’uso vivo. Pubblica Il viaggio di Giannettino in Italia suddiviso in tre volumi (L'Italia Superiore, L'Italia Centrale e L'Italia Meridionale) editi tra il 1880 e il 1886, La lanterna magica di Giannettino (1890), tutti pubblicati dall'editore Paggi. Franco Frabboni, analizzando il Giannettino riconosce al libro una serie di apprezzabili distintivi pedagogici: l'aderenza all'universo infantile, l'organicità delle conoscenze «secondo una mappa organica dei contenuti, l’attenzione delle motivazioni spontanee del ragazzo, la presenza di più linguaggi d’uso per trasmettere i contenuti, la fruibilità, la dinamicità come partecipazione attiva del discente al proprio processo di apprendimento e l’integrabilità con altre fonti-strumenti di informazione.  Carlo Collodi, prima di Pinocchio Carlo Lorenzini (1826-90), alias Carlo Collodi, iniziò sin da subito a muoversi tra i libri, anche se come praticante. Collodi era una frazione di Pescia (borgo medievale documentato fin dal VII secolo). Egli (autore fiorentino) trascorse la sua infanzia qui dove la madre era originaria, assumendone il nome e firmandosi Carlo Collodi. Studia per 5 anni (1834-1842) nel seminario di Colle Val d’Elsa (non diventa prete ma riceve una buona istruzione) e presso gli Scolopi del Liceo Ginnasio Fiorentino, poi lavora presso la libreria Piatti di Firenze. Partecipa alla prima guerra di indipendenza e contemporaneamente inizia un’intensa attività giornalistica nel ’48, collaborando a Il Lampione, la Nazione, Il Fanfulla. Dopo l’Unità d’Italia deluso dalla politica si dedicò alla Letteratura per l’Infanzia. I testi collodiani che costituiscono le fondamenta di Pinocchio nascono quasi tutti su commissione, come Un romanzo in vapore da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica dove Collodi critica lo sviluppo tecnologico nel mondo capitalistico mentre ne I misteri di Firenze fa una parodia dei luoghi comuni dei misteri, configurando Firenze come città “al contrario” che ne è totalmente priva, realizzando una ripresa caricaturale del romanzo d’appendice di Eugene Sue I misteri di Parigi. Collodi nel ’57 anticipa lo spirito pinocchiesco: non prende troppo seriamente la forma di romanzo con cui si sta cimentando, gioca con un teatrino di figure, capovolge i luoghi comuni e forse solo così impedisce al suo romanzo di diventare l’ennesima brutta copia di quello di Sue e a se stesso di trasformarsi in quel fortunato scrittore di cassetta che non avrebbe avuto bisogno nel 1881 di scrivere al direttore del Giornale per i Bambini: “ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma se la stampi, pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla. Nel 1861 esordisce come autore di teatro con la commedia Gli amici di casa e inizia a collaborare con gli editori Paggi per i quali traduce i testi di Perrault, di Madame d’Aulnoy e di Madame Leprince de Beaumont: escono i Racconti delle fate che Collodi arricchirà con il suo toscano acuto, pessimista e ironico dai toni quotidiani da cui non sfuggiranno neppure le morali conclusive. Dopo i racconti delle fate Collodi scrive Giannettino (1876) e Minuzzolo (1878) che vedeva come protagonista un bambino di nove anni diviso fra gli impegni scolastici e il piacere del gioco e delle attrazioni tipico del mondo infantile. Negli anni ‘80 Collodi scrive Occhi e nasi, volume antologico di figure, personaggi e ritratti accennati, incompleti della Firenze contemporanea e di quella antica, di una volta in cui si ritrovano temi come quello della fame e una costante ironia di fondo. A questo punto, Carlo disponeva delle risorse linguistiche, didattiche e strutturali necessarie per iniziare una nuova avventura, quella di Pinocchio. La dimensione teatrale ha un peso sia come richiamo per i bambini che come impostazione dell’intero impianto narrativo che viene affidato al dialogo, alla battuta, alla trovata teatrale.  Ida Baccini e le “Memorie di un pulcino” Figlia del direttore di una tipografia fiorentina, Ida Baccini (1850- 1911) insegna nelle scuole elementari del capoluogo toscano fino al 1878. A causa del lavoro del padre si sposta tra Genova e Livorno. Nel 1968 si sposa con lo cultore livornese Vincenzo Cerri, da cui si separa dopo 3 anni. Per non chiedere aiuto economico al marito decide di dedicarsi interamente al giornalismo e all’attività di scrittrice. Nel 1881 inizia a collaborare al neonato «Giornale per i Bambini» di Ferdinando Martini; tre anni dopo assume la direzione di «Cordelia», rivista per giovinette fondata da Angelo De Gubernatis. Nel ‘95 apre il Giornale dei bambini che si fonderà poi nel 1906 con il Giornalino della domenica. Nel 1900 ottiene ad honorem il diploma di abilitazione all'insegnamento della pedagogia. Attratta da ogni forma di letteratura educativa scrive e la fama raggiunta con le Memorie di un pulcino, racconto autobiografico di un pulcino di campagna che cambia padroncino e diventa grande in città, risulta, comprensibile perché si fonda una proposta pedagogica basata su un desiderio di porsi dalla parte di animali e di bambini che non sono mai riusciti a esprimersi autonomamente, utilizzando media adatti al pubblico infantile, come modi di dire e proverbi popolari. Da un punto di vista contenutistico e di struttura, comunque, le Memorie di un pulcino appartengono alla letteratura dell'infanzia postunitaria, per le divagazioni sulla morte, gli inviti ad esercitare la carità, ad essere cauti nello «stringere le amicizie», a badare ai fatti propri. Ciò si riscontra anche nei libri successivi, scriverà Come andò a finire il pulcino (1898), e altri testi, dedicati a un pubblico adolescente o adulto. Nel complesso, dunque, la Baccini costruisce tutta la sua produzione all'interno di un sistema di poche idee: la necessità di esorcizzare la morte e le deformità infantili, l’impegno ad esercitare la carità in modo che i poveri conservino la fede consolatrice dei loro dolori, l’importanza dell’ubbidienza (elemento necessario al progresso e al benessere), l’essere cauti nello stringere le amicizie, la valorizzazione delle teorie del socialismo cristiano. Solo su un punto la Baccini cambia opinione nel corso degli anni: nelle Memorie di un pulcino la campagna è vista come oasi serena, trent’anni dopo nella commediola Se Dio vuole siamo in villa (1905) valorizza la città con i suoi agi e le sue comodità a risultare valorizzata, segno significativo che il processo di industrializzazione era andato avanti e che aveva sottratto agli occhi di molti intellettuali il carattere negativo e violento della città.  Michele Lessona: l’ottimismo dei proverbi Poiché siamo abituati a leggere i prodotti per l'infanzia con un occhio rivolto alla dimensione e alla storia del bambino, potremmo stupirci davanti al fatto che d'ora in poi si parli di testi non esplicitamente rivolti all'infanzia, ma anzi vincolati alla formazione di un pubblico adulto. D'altra parte, l'equazione bambino-popolo deve essere letta e sviluppata nei testi, utilizzando magari come campione Volere è potere di Michele Lessona (Torino 1823-’94). Medico, naturalista, docente universitario di mineralogia e zoologia era abile divulgatore e per questo fu chiamato dall'editore fiorentino Barbèra a compilare con esempi italiani un libro simile a quello dell'inglese Samuel Smiles, Self-help, che tradotto nel 1865 col titolo molto nostrano di Chi s'aiuta il ciel l’aiuta. Smiles valorizza l'intraprendenza individuale soprattutto di chi partendo da modeste condizioni ha saputo a ermarsi nel campo ff della politica, dell'industria, della scienza e Lessona prosegue su questa strada partendo dalla Sicilia e risalendo l'Italia alla ricerca di esempi simili a quelli utilizzati dall'inglese; il suo tono non è propriamente quello narrativo e crea un singolare contrasto con l'impostazione generale dello stesso, che risulta più vicina a quella del manuale di divulgazione scientifica. Al di là della struttura, dello stile e del successo, gli elementi più interessanti dell'opera di Lessona, riguardano la committenza, gli intendimenti dell'autore quali emergono dal primo capitolo e la stessa «confezione» del libro. Il governo italiano manderà i suoi consoli alla ricerca di esempi di italica operosità, convinto che un tale libro avrebbe spinto le masse a seguire gli esempi proposti. Per quanto concerne l'impegno di Lessona stesso, poi, nessun dubbio sulla portata ideologica del suo lavoro. Volere è potere vedrà anche quattro proverbi per pagina da trasferire a chi per ragioni di scarsa alfabetizzazione non poteva aspirare ad altro. Lessona non trascura la necessità dell’istruzione femminile finalizzata però all’inserimento delle ragazze dei ceti subalterni come maestre o istitutrici. La posizione di Lessona non resterà isolata, infatti, la letteratura per l’infanzia in Italia continuerà a muoversi e a crescere all'insegna dei divieti, della di denza, del terrore di non riuscire a controllare alfabetizzazione e letture ffi del popolo e dell’infanzia.  La fiaba. A raccogliere le parole Nel 1812 i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, studiosi di folklore, filologi e linguisti pubblicano Fiabe del focolare che segnerà sul piano culturale e politico tedesco i punti fermi di un comune sentire caratterizzando al tempo stesso a livello europeo il modo di intendere la fiaba. Infatti se da un lato molti pedagoghi dell’epoca, come Richter, sconsigliavano di raccontare favole ai bambini perché farebbero nascere nel loro cuore desideri e bramosie che la vita reale non può soddisfare, dall’altro come enunciava il poeta Novalis la fiaba è quasi il canone della poesia, ogni cosa poetica deve essere fiabesca; in una buona fiaba tutto deve essere meraviglioso, misterioso, incoerente, animato. Non deve stupire che le fiabe dei Grimm, e più in generale la fiaba come genere letterario, sono state oggetto di attenzioni pedagogiche di molti fino al nostro secolo, perché la storia della letteratura per l'infanzia in Italia ha spesso costruito i suoi percorsi su precauzioni, assennatezza e quant'altro serva a fare dei distinguo. Un’altra critica mossa da parte di Giuseppe Fanciulli, rileva nelle fiabe un abuso della crudeltà e della balordaggine con particolari tragici e ripugnanti dalle quali bisogna tenere lontano le giovani menti. Se a ciò si aggiunge la vocazione della nostra cultura letteraria a essere sempre alta, ricca di enfasi, sostanzialmente astratta, si capisce che nell'Italia dell'Ottocento si comincino a raccogliere fiabe della tradizione popolare solo alla fine degli anni ’60 (con 50’anni di ritardo rispetto al resto d’Europa). In Italia, solo dal 1875 abbiamo le raccolte di Pitrè, Imbriani (si interesserà a Lo Cunto de li cunti di Basile e precederà Benedetto Croce), Nerucci, D’ancona, Nigra, Thompson (con il suo fondamentale lavoro La fiaba nella tradizione popolare che uscito nel ’46 da noi vedrà la luce 20’anni dopo). Solo dalla metà degli anni ‘60 si comincia a discutere di fiaba in modo più articolato: in Russia Propp (1895- 1970) docente di lingua e letteratura russa, tedesca e di folklore scrive Le radici storiche dei racconti di fate e Morfologia della fiaba. Un ritardo e disinteresse figlio della vocazione didattica e moralistica della nostra prima letteratura per l’infanzia ma anche della preoccupazione della nuova classe borghese di legare i materiali popolari alla necessità del consenso e alle esigenze di uno sviluppo sociale senza trasgressioni. D’altronde le raccolte dei vari Imbriani, Pitré, Nerucci, non hanno come destinatario il giovane lettore; si collocano nel campo della ricerca folclorica e della sistemazione letteraria del prodotto. Perché allora parlarne? Sostanzialmente per un motivo di carattere generale: se è vero che la fiaba ha in sé, semplicità, seduzione, profondità, piacere di narrare, vivace finezza dell'ingegno, è anche vero che, rivolta all'infanzia, ne mette in gioco quell'ambiguo candore, quella dichiarata innocenza che ha costituito una robusta cortina ideologica per molte generazioni di educatori. Le più rassicuranti fiabe d’autore e la leggenda, il racconto istruttivo-utile dei fatti di un passato identificabile anche geograficamente avranno più fortuna delle fiabe frutto del lavoro dei folcloristi e degli studiosi. Ancora oggi si parla di schema protettivo contro certe fiabe quindi non dobbiamo stupirci se in epoca postunitaria i testi non siano finiti in massa tra le pagine dei libri di lettura.  Altri autori, altre opere - Altro importante autore per l’infanzia è Luigi Sailer ne L’arpa della fanciullezza scriverà componimenti poetici per bambini da 5 a 10 anni, una raccolta che sarà il serbatoio di versi per la scuola per anni. Egli lavorò per conto della tipografia di Giacomo Agnelli di Milano. Notizie di Sailer arrivano dal figlio Antonio, che nella prefazione alla sesta edizione (1888) del libro parla dell'origine remota della famiglia, degli studi letterari all'università di Torino, dell'insegnamento in vari licei del Piemonte, dove era stato costretto a emigrare per ragioni politiche, poi a Milano e a Modena. Il volume di Sailer costituisce una mappa preziosa per entrare nell' idea di libro scolastico: - con temi ripartiti quali: il cielo, l’aria, le piante, la terra, gli animali, il lavoro, gli studi, ricreamenti, patria, armi e leggi, Dio e orazioni cristiane. - occasioni di festa e saluto (persone care, genitori, madre, onomastici) - Utilizzo di versi degli autori scolasticamente più noti (Cantù, Metastasio) - utilizzo di testi letterari di autori di rilievo (ad es. la quiete dopo la tempesta) per “esercitare il bambino nell’osservare le somiglianze, le analogie e le relazioni tra le cose, dalle più prossime alle più remote”. - Altro personaggio importante per la letteratura per l’infanzia è il reverendo Charles Lutwidge Dodgson (1832- 1898), docente di matematica a Oxford, che conduce un'esistenza monotona, fu scrittore prolifico e ha pubblicato opere di vario genere. Celandosi dietro lo pseudonimo di Lewis Carroll, dà vita al personaggio di Alice, destinato a lasciare una traccia profonda nella storia della letteratura per l'infanzia. Dogson-Carroll coltiva molti interessi: crea giochi, indovinelli, enigmi, oggetti strani (biliardo circolare, penna copiativa); fotografia; è un appassionato corrispondente epistolare (100.000 lettere). Il suo pseudonimo sembra indicare la propensione a tenere celata e distinta dalla reale attività la propria identità di autore per bambini. Sulla figura di Alice lavora molto revisionando il testo in funzione di un vasto pubblico infantile (non dimenticando che il suo primo libro era nato come fiaba durante una gita in barca), dei suoi gusti, delle sue Le ragioni della nascita del Giornale per i bambini sono dichiarate da Ferdinando Martini. Esso nasce come investimento del finanziere Ernesto Oblieght, proprietario del “Fanfulla” e del “Fanfulla della Domenica”, ed era finalizzato a irrobustire quel ceto medio borghese, escluso dall’elaborazione culturale del Risorgimento, che doveva contribuire al consolidamento delle istituzioni intellettuali, politiche ed ideologiche del nuovo Stato unitario. Questo, chiarisce l’assenza nel Giornale di quella vena anti-industriale di nostalgia precapitalistica, e chiarisce una valorizzazione dell’industria e dell’officina non connessa al problema dei rapporti di produzione. Il periodico diventa lo specchio di un mondo in rapida evoluzione e, significativo è il fatto che manchino ad esempio due elementi frequentati dalla pubblicistica postunitaria, e cioè la nostalgia dell'età eroica e la deprecazione dell'età presente. Nel Giornale per i Bambini prevalgono i seguenti valori positivi della quotidianità: - La casa come nido, che rappresenta una costante per la letteratura ottocentesca, da Manzoni a Pascoli. Per Pascoli rappresenta “la salvezza dell’inquietudine, dal mistero, dall’inconoscibilità della natura, dall’ombra della morte che tutto avvolge”. Noi uomini abbiamo bisogno del di fuori: andiamo a cercar nel mondo le nostre soddisfazioni ma non abbiamo meno bisogno per questo della nostra casa. Nel Giornale dei Bambini si aggiunge la figura di una donnina gentile e affettuosa (sia essa madre, sorella o figliuola), necessaria affinché la casa sia un luogo di riposo, conforto e di gioia; gli scrittori avvertivano il crollo dei grandi valori risorgimentali e perciò valorizzavano l’unica istituzione che poteva sopravvivere a una catastrofe sociale. - Il lavoro come fatto etico e spirituale, accompagnato dall’idea mazziniana del dovere, dall’efficientismo capitalistico, qualche spunto deamicisiano come quello che vuole riconosciuta al popolo la priorità nel sacrificio del lavoro e gli vuole attribuita una natura generosa e nobile. - Il discorso sulla morte: nelle pagine del Giornale a morire sono sempre i poveri, i diversi mentre alla classe dei lettori normali è riservato il compito gioioso e gratificante di raccogliere le ultime benedizioni dei poveri moribondi beneficiati. - Il terrore di eventuali spinte eversive dei ceti subalterni da cui la legittimazione delle differenziazioni di classe, da rendere meno rigide grazie al rapporto di carità instaurato fra ricco e povero. - La difesa dell’alleanza tra piccola borghesia e forze dominanti. Carlo Collodi e le avventure di un burattino In relazione all’indagine sui valori pedagogici e letterari della prima annata della rivista è importante considerare la fondamentale presenza della Storia di un burattino. Giorgio Bàrberi Squarotti ha sottolineato la presenza, nella Storia di un burattino, di un mondo rovesciato (la casa compare 99 volte, l’andare 167), in cui la normalità viene sospesa, dove la novità (andare controcorrente, evidenziato nella scena tra Geppetto e Maestro Ciliegia) e l’imprevedibilità (errare, viaggiare e avventurarsi) sono la peculiarità del burattino. Un mondo vicino alla realtà, al contrario del mondo favolistico. Esaminando bene il testo di Collodi ci si accorge che la dissacrazione colpisce soprattutto il prossimo microcosmo piccolo-borghese tramite un radicale rovesciamento dei valori pedantemente trasmessi dagli altri collaboratori del Giornale per i bambini tra cui: - La figura dell’adulto come re da guardare con devoto rispetto e ammirazione. Collodi esordisce con due adulti che litigano in modo violento e cattivo (Geppetto e Maestro Ciliegia). Il mondo alla rovescia propone gli uomini come burattini e il burattino come fanciullo divino irresponsabile fino al limite della malignità e della cattiveria, al di fuori di ogni legge e coscienza morale, calato in un inadeguato e scompaginato mondo adulto che non offre nessun carattere di praticabilità, di bontà, di idillio. - L’universo letterario costruito sulla miseria. Collodi ne suggerisce un’immagine letteraria, falsa, fittizia, teatrale come la pentola dipinta su una parete di fondo della casa di Geppetto. - La rappresentazione della famiglia. Collodi rovescia i ruoli sociali e costruisce una condizione privilegiata nel chiedere l’elemosina, che viene a sua volta esaltata ironicamente (un enorme catinella d’acqua in testa a Pinocchio). - La casa come nido. Si presenta a Pinocchio come un luogo assolutamente inospitale, ostile, freddo, privo di ogni conforto, solitario. - Lacrime di commozione. Diventano gli starnuti di Mangiafoco. - l’uccisione del grillo. Si considera come atto estremo di ribellione alla petulanza pedagogica della letteratura educativa del secondo ottocento. L’ombra del grillo rappresenta la consapevolezza di Collodi che questa petulanza resta ben presente in ogni atto educativo nonostante la sua dissacrazione letteraria. - La morte della bambina con i capelli turchini. È un luogo comune sulla retorica della morte dei bambini poveri, vecchi indigenti e diversi, quella in cui chi muore deve servire a qualcosa lasciando un ricordo, una benedizione a chi gli ha fatto l’elemosina. A Pinocchio viene lasciata un’affermazione obiettiva e grottesca (Aspetto la bara che venga a portarmi via). La stessa fine del protagonista, assai vicina al modello evangelico, contribuisce alla carnevalizzazione della letteratura educativa tradizionale. - Etica del lavoro. Collodi non rinuncia al luogo comune del lavoro come necessità-sofferenza e all’ideologia del piccolo risparmio ma lo fa attraverso la dissacrazione dell’etica del lavoro, agendo sulla dilatazione del realismo, sull’amplificazione dei particolari e sull’esagerazione degli effetti perché quando la realtà supera l’immaginazione, l’alienazione del lavoro non ha bisogno di alchimie fantastiche dato che contiene in sé i germi dell’assurdità e del deliri. Nel contesto ideologico del «Giornale per i Bambini», la Storia di un burattino risulta veramente scritta con la mano sinistra, con l'arto sbagliato e perciò più idoneo a profanare l'ordine e l'oppressiva normalità dei valori borghesi.  Pinocchio Quanto detto sulla collocazione della Storia di un burattino all' interno del «Giornale per i Bambini» ci fa constatare il valore dell’opera, che è stata tradotta in tutte le lingue (compreso il latino) e considerata un capolavoro della letteratura per l'infanzia. Benedetto Croce notò come il legno in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità. Qui Collodi mette in gioco sé stesso, i suoi umori, le sue ossessioni, i nodi della sua formazione. Pinocchio è un diverso, un burattino senza ascendenti e questo determina uno status di privilegio, che gli consente di sopravvivere alle occasioni di morte che incontra sul suo cammino. Vi è un accostamento di verbi espressivi con verbi di movimento: quando Pinocchio piange compie azione da palcoscenico. Il viaggio che Pinocchio affronta è solitario: nessuno dei personaggi che incontra è solidale con lui, tutti vogliono insegnargli qualcosa, gli propongono di crescere, di perdere la sua irresponsabilità, la sua libertà, il suo antagonismo. È un mondo non invitante, un universo capovolto in cui è un giudice scimmione ad esercitare la giustizia. Ancora peggio è un mondo accetta come modello lo stacanovismo del padronato ottocentesco impersonato dall’ortolano Giangio. La pluralità di significati ha reso Pinocchio un testo capace di affascinare non solo i giovani lettori, e ha permesso a molti illustratori di muoversi con estrema libertà e ottimi risultati. Pinocchio esiste prima di essere modellato: sa già esprimersi, lamentarsi e protestare; questo suo essere senza ascendenti gli consente di sopravvivere alle numerose occasioni di morte che incontra durante il suo viaggio.  Edmondo De Amicis – storia di un Cuore Edmondo De Amicis (1846-1908), dopo essere diventato sottotenente alla Scuola militare di Modena partecipa alla terza guerra d'indipendenza e assiste alla presa di Roma. Dopo il 1870 abbandona il servizio e si dedica completamente all'attività di giornalista e scrittore. Fra il 1872 e il 1879 visita, come inviato di giornali e riviste, Spagna, Olanda, Marocco, Parigi, Londra, Costantinopoli e scrive evidenziando gli aspetti straordinari e indulgendo su particolari scabrosi per andare incontro al gusto medio, al provincialismo della maggioranza dei lettori, ottenendo successi di pubblico e critica. Si dedica alla scuola a partire dagli anni ‘80 e pubblica Cuore nel 1886 e la sua fama, dopo il successo di Cuore non viene annebbiata neppure dall'adesione al socialismo e dal successivo impegno di scrittore civile. Alcune tragedie in famiglia (morte della madre, suicidio del figlio, separazione dalla moglie) lo allontanano alla fine del secolo dall'impegno politico e lo fanno tornare alla narrativa. Nel 1908 la sua morte improvvisa in un albergo di Bordighera lascia sgomento l’intero paese. Le tappe dello scrittore: - Bozzetti della Vita militare: scritti per la rivista “L’Italia militare”, propagandistici, scopo di riunire l’esercito alla nazione; - Corrispondenze dalla Spagna uscite per “la Nazione” e poi raccolte nel volume Spagna; - Spesso è accompagnato nei suoi viaggi da due pittori Ussi e Biseo, che dovrebbero illustrare quanto vedono e soprattutto quanto racconta, ma nonostante gli ottimi risultati delle prove grafiche, lo scrittore è autosufficiente: capisce i gusti del pubblico che vuole evadere dal perbenismo, perciò si concentra su dettagli scabrosi. L’esperienza del viaggiatore gli permette di entrare nelle famiglie, nel salotto buono della casa borghese; - Anni ’80: scuola socializzazione e sentimenti privati delle famiglie; - Fine anni ’80: viaggio in America Latina a bordo del piroscafo Galileo carico di emigrati racconto della miseria e della disperazione di che lascia l’Italia maggior attenzione alla “questione sociale”; - 1891 – 1892: adesione di De Amicis al Socialismo e inizio stesura del libro Primo Maggio che avrebbe dovuto avvicinare le masse alle nuove idee e persuadere i ricchi alla necessità di promuovere una maggiore giustizia sociale (sarà pubblicato post morte nel 1980) - De Amicis si limita a collaborare a periodici socialisti con racconti e riflessioni destinati poi a confluire in opuscoli di propaganda o in un volume dal titolo significativo di Lotte civili. Dagli anni ‘90 e fino alla sua morte, non si occupa solo di politica, fra il 1892 e il 1908 escono, ad esempio, Fra scuola e casa, Carrozza di tutti, i Ricordi d'Infanzia e di Scuola, Nel Regno dell’Amore, in cui si mostra un De Amicis liberato dalla prigione del conformismo.  Cuore Nella seconda metà degli anni ‘80 mostra il suo impegno nella dimensione educativa, che assume i contorni di spazio letterario, soprattutto attraverso l'elaborazione di due opere destinate a lasciar segno diverso nella pubblicistica pedagogica italiana: Cuore e Il romanzo d'un maestro. Quest'ultima iniziata nell'estate 1885, viene interrotta dall'elaborazione della prima, cui De Amicis si dedica con straordinaria intensità. L'impegno messo in Cuore emerge anche da a ermazioni contenute nella lettera alla nobildonna fiorentina ff Emilia Peruzzi, sua confidente e cara mammina. La lettera, conservata nel Fondo Peruzzi della Biblioteca Nazionale di Firenze, costituisce davvero la testimonianza di come De Amicis si impegni a creare un’opera buona, educativa, ricca sentimenti e soprattutto giustifica la geometria del suo testo, solidamente impiantato su tre blocchi distinti, ma complementari: - quello del diario dell'anno scolastico tenuto da Enrico, - quello degli interventi epistolari dei genitori e della sorella, - quello dei racconti mensili. Tutto concorre, a costruire Cuore sull'urgenza dei buoni sentimenti necessari all'integrazione fra borghesia e ceti subalterni, ma anche sulla loro evidente superficialità. Nel testo tutto è predisposto per convincere il protagonista Enrico, bambino di terza elementare, della necessità di smettere di essere bambino, di farsi uomo, degno delle affettuose aspettative dei genitori, delle nobili attese della patria e dello stesso consorzio umano. L'autentica abilità di De Amicis sta nel confezionare e trasmettere un messaggio. L’interclassismo si ferma in superficie e utilizza i figli dei ceti subalterni solo come esempio di produttività, quasi i compagni di classe più abbienti abbiano da competere con loro in sforzi e impegno per essere degni dei privilegi di nascita. Le visite sono sempre indirizzate a compagni poveri e ammalati. La disposizione di classe è inflessibile fin dal primo giorno di scuola e De Amicis è sicuro della necessaria eliminazione di Franti, un diverso, irriverente, irridente e pinocchiesco burattino in un contesto “per bene”. Il cibo, elemento sostanziale della vita quotidiana viene scaramanticamente esorcizzato, mentre in Pinocchio diventa ossessione. Non manca una metafora bellica che lo paragona a un piccolo soldato. Un altro aspetto che colpisce in Cuore è quello della tristezza, della so erenza, delle disgrazie e delle morti seminate a piene mani: in ff questo caso De Amicis non si distacca dall'idea, che per diventare adulti occorra dolorosamente “purgarsi”, bere filtri amari per dimenticare l'infanzia. Altro libri sulla scuola è Amore e ginnastica.  «L'idioma gentile» De Amicis pubblica L'idioma gentile nello stesso anno, 1905, in cui vengono emanati nuovi programmi per la scuola elementare. C’è un collegamento tra l'uno e gli altri, poiché sono animati da una identica concezione di educazione linguistica: - netta avversione al dialetto e volontà di estirparne ogni manifestazione; - ansia di una lingua unitaria che porti a compimento il processo di unificazione politica e sociale; - la diffusione del modello fiorentino di italiano. Addirittura, il libro assume la natura di documento ufficiale della politica ministeriale in materia di educazione linguistica e il ministro Orlando ne raccomanda la lettura a tutte le scuole del Regno. L'idioma gentile è la conclusione e la messa a punto del suo lungo processo di riflessioni sulla lingua e al contempo interpreta l’aspetto linguistico del progetto educativo concepito con la stesura e la pubblicazione di Cuore. De Amicis era un seguace delle idee linguistiche di Manzoni e convinto fautore dell’uso vivo di Firenze come norma ideale del parlare e scrivere, per cui diede vita a un prontuario delle buone maniere linguistiche per tutti gli italiani. La sua lezione è destinata esclusivamente ai giovani rappresentanti della buona borghesia, alla quale sono affidati gli interessi e le sorti del paese (il libro si rivolge ad un giovinetto invitandolo allo studio della lingua) e non si pone il problema di portare la lingua italiana verso le classi sociali meno colte. L’architettura del libro è organizzata per buona parte intorno a ritratti di simbolici personaggi della gran famiglia dei “poveri della parola”, per il resto, è tutto un disapprovare e censurare usi errati/impropri e denunciare le offese arrecate all’italiano al Propone per la prima volta in Italia la novità di pagine con illustrazioni a colori (di Raimondi e successivamente Yambo) nelle brevi e semplici storie vignettate con versi e caratterizzate da un umorismo molto semplice. Accanto al Novellino appare poi Il Novellino rosa, stampato su carta rosata, che l’editore volle diretto da Yambo. Dopo qualche anno il Novellino si presenterà semplicemente come foglio di fiabe novelle senza mettere più l’accento sulle illustrazioni a colori e resterà in vita fino al 1922. Capitolo IV - Gli esordi del Novecento (1901-1914) Andrea Zanzotto rileva come a partire dagli inizi del 900 la produzione letteraria per l’infanzia è caratterizzata da un intreccio di 3 tendenze: 1. Creazione di una letteratura incentrata sull'infanzia e più adatta al fanciullo. Comprende gli scritti di autori che solo occasionalmente producono per i bambini: Pascoli, i crepuscolari Moretti e Gozzano, Palazzeschi. 2. Si verificano rinnovamenti rispetto alla letteratura giovanile didascalica dell'800: non solo nei contenuti, anche sul piano formale con l’abbandono degli schemi metrici e stilistici di tipo tardoromantico per adottare moduli metrici più liberamente costruiti. 3. L’incidenza dello stile liberty riconoscerà dignità d’arte all’illustrazione per l’infanzia (come enuncia Vittorio Pica nel gennaio 1898), consentendo di valorizzare la dimensione fiabesca trascurando in parte i racconti morali. Gli editori colgono l’aspetto commerciale di un possibile rinnovamento nell’illustrazione e nell’impostazione grafica del libro d’infanzia.  Lingua e dialetti Nei primi anni del ‘900 l’ostilità ai dialetti raggiunge le punte più alte e sprezzanti in coincidenza con l'emanazione, nel 1905 dei programmi per la scuola. La guerra contro i dialetti si gioca soprattutto nelle scuole. I programmi del 1905 della scuola primaria impongono massima attenzione alle correzioni degli errori dialettali: - Classe prima: esercizi di pronuncia, correzione della fonetica dialettale; - Classe seconda: conversazioni su fatti osservati, espressione di pensieri; - Classe terza: correzione ragionata di errori e forme dialettali.  I libri scolastici I libri di lettura della scuola elementare per i primi anni del ‘900 saranno finalizzati ad ammaestramenti morali e ispirati alla retorica del patetico di Cuore deamicisiano che si era imposto nella mentalità dei maestri di scuola. Ricorrono frequentissime le immagini di orfani, mendicanti, storpi. I valori che i libri di lettura impongono in positivo sono gli stessi della tradizione ottocentesca risorgimentale, Dio Patria Famiglia e le parole “l’istruzione necessaria, ma più che necessaria è una buona educazione”. L’influsso esercitato da Pascoli sui poeti del ‘900 è tale che si può parlare di “fattore fanciullino”. Il fanciullino ha un ruolo costitutivo nella letteratura per l’infanzia e fa sentire la sua presenza.  Luigi Bertelli – Vamba (1860-1920) Significativo è senz’altro il fatto che il tirocinio letterario di Luigi Bertelli, meglio conosciuto come Vamba sia avvenuto all'insegna di quel giornalismo polemico, battagliero, brillante della Roma bizantina. Non v'è dubbio, infatti, che il fiorentino, a Foggia fin dalla giovinezza come funzionario dell'amministrazione ferroviaria, abbia sentito il richiamo prepotente della capitale umbertina fino a trasferirvisi, ma soprattutto l'attrazione di quella società intellettuale e mondana che dagli anni ’80 gravita intorno all’avventura editoriale di angelo Sommaruga. Vamba per circa 20 anni è presente sulle pagine del Fanfulla giornale di destra moderata ma anche su Capitan Fracassa, orientato a sinistra. Frequenta Yorick e Gandolin, protagonisti del giornalismo scritto e disegnato. Inizia a dedicarsi al mondo dell’infanzia dal scrivendo La storia di un naso (1906), Cinematografo poetico. Le scene comiche (1913) e prima di tutti il romanzo Ciondolino (1895) che narra di un ragazzino negligente che si trasforma in una formica per ritornare poi più maturo e consapevole alla primitiva condizione. Il romanzo offre diverse chiavi di lettura: mette in gioco i riferimenti al momento storico (imperialismo, emigrazione) e i temi comuni alla letteratura popolare di fine ‘800 (il lavoro e il dovere) attraverso descrizioni dal tono scanzonato, elementi desunti dalla realtà e riferimenti ai proverbi popolari (ritorsione e rassegnazione). Emerge anche un atteggiamento dell’autore piuttosto critico sulla guerra. Vamba ironizza sulla carità della letteratura educativa ottocentesca, sulla presunzione degli uomini e sulla loro mancanza di solidarietà. Non mancano un segno di razzismo e un po’ di moralismo e di vocazione didattica nei riferimenti alla pulizia, all’ambizione e alla giusta punizione della colpa. Vamba scrive anche I bimbi d’Italia si chiaman Balilla. Ragazzi italiani nel Risorgimento (1915) che vede punte di anticlericalismo e di polemica antipacifista, un deciso nazionalismo e un invito dei bambini alla guerra.  Il giornalino di Gian Burrasca (1907-08) Esce tra il febbraio 1907 e il maggio 1908 in 55 puntate sul Giornalino della Domenica. Attraverso la programmatica scomposizione dei luoghi comuni del mondo adulto che il piccolo protagonista mette in opera lo scrittore deride i vizi, le ipocrisie e i tic degli adulti. Vamba opera il rovesciamento della sedimentata e deamicisiana idea scolastica che il diario infantile sia una cosa seria su cui scrivere fatti importanti e su cui far intervenire i parenti con ammaestramenti o frasi di circostanza; il contrasto fra le diaboliche macchinazioni del protagonista e la sua disponibilità a seguire interpretare alla lettera di ammonimenti degli adulti servono per mettere in evidenza che il linguaggio degli adulti e il linguaggio dell’infanzia appartengono a sfere diverse e fra i due quello meno sincero, costruito su convenzioni e convenienze, appartiene agli adulti. Da questo punto di vista è un libro umoristico per l’educazione dei grandi. La lingua Le puntate del giornalino di Gian burrasca furono cariche di intenzionalità pedagogica verso i giovanissimi figli della borghesia italiana cui era doveroso trasmettere i valori di un’Italia nazionalista, irredentista e interventista, cosa che costituiva obiettivo primario del Giornalino. A suscitare una coscienza patria ci penseranno soprattutto le famose Pìstole d’Omero. Vamba adotta una lingua colloquiale e la colora di toscanismi: l’esito è un italiano elegante, familiare, brillante dai toni umoristici e ironici così come in Ciondolino. La forte omogeneità sociale dei figli dei ceti medio-alto borghesi induce lo scrittore a scegliere un italiano mediamente colto, cui resteranno estranei modi espressivi aulici e pedanterie scolastiche. I caratteri più evidenti della lingua del Gian Burrasca sono: - la mimesi dell’oralità - il discorso libero indiretto - il che polivalente - l’iterazione rafforzativa (procedimento specifico della narrazione popolare che serve a dare più forza a un’idea) - toscanismi tra cui forme monottongate, forme verbali toscane e toscanismi lessicali.  I Giornali per l’infanzia 1. Il corriere dei piccoli A Natale del 1908 entra nelle famiglie della buona borghesia italiana il primo numero del settimanale Corriere dei Piccoli per volere direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini. Geniale appare da subito l'impostazione grafica: la prima pagina è divisa in riquadri a vignette colorate e ai piedi parisillabi a rima baciata con i personaggi importati dai fumetti degli Stati Uniti: Happy Hooligan, Maud. Mentre Il Giornalino della Domenica era toscano, nazionalista e idoneo a cullare terrori e illusioni della piccola borghesia il Corriere dei Piccoli è italiano, aperto all’estero e pensato per una borghesia medio-alta capace di controllare razionalmente i processi di sviluppo. Fin dall'inizio il Corrierino è un concentrato di novità perché se l'aspetto certo più appariscente è la pagina di apertura, non vanno trascurati i contenuti interni, le scelte dei collaboratori, l'attenzione alla produzione straniera. Sulle sue pagine si parla di scienza e narrativa, attualità e poesia in una sapiente combinazione. 2. La Domenica dei Fanciulli (<<Giornale settimanale illustrato>>), diretto da Luisa Sclaverano, nasce a Torino all'inizio del ‘900, ci troviamo davanti a una rivista sostanzialmente povera anche dal punto di vista grafico-editoriale e, se si prescinde dalla copertina a colori con illustrazione centrale ogni volta affidata a disegnatori diversi, non si ritrova all'interno delle pagine di ogni fascicolo che una scansione piuttosto precisa degli argomenti: novellina morale, racconto a puntate, versi, pagina di vignetta, corrispondenza con i lettori, pubblicità. A differenza di quanto succede per Il Giornalino della Domenica e per il Corriere dei Piccoli, interlocutori privilegiati del periodico sono le famiglie, le scuole, gl'istituti per l'educazione giovanile. Il fatto di rivolgersi all'infanzia con l'occhio attento agli adulti è una delle costanti di tanta produzione per bambini, ma quando viene legata a un periodico inevitabilmente finisce per condizione tutta la storia. 3. Il Giornalino della Domenica Nasce nel 1906 come incarico da parte dell’editore fiorentino Bemporad a Luigi Bertelli (Vamba) di progettare un nuovo periodico per ragazzi ed è da lui diretto fino al 1911. Nel 1926 verrà acquistato da Mondadori che ne farà un settimanale illustrato di viaggi, avventure, scienza, attualità, sport ma cesserà le pubblicazioni appena un anno dopo. Le copertine costituiscono un punto di forza del successo del Giornalino e saranno disegnate da illustratori di grande prestigio come Antonio Rubino, Plinio Nomellini, Ugo Finozzi, Filiberto Scarpelli, Ezio Anichini mentre le illustrazioni nelle pagine interne sono ridotte all’indispensabile, limitate a fotografie o disegni a supporto visivo degli articoli. Il linguaggio è semplice e diretto tranne in alcuni casi (nelle collaborazioni di Pascoli, Deledda o Capuana). Altri collaboratori saranno: Emilio Salgari, Ida Baccini, Giuseppe Ernesto Nuccio, Renato Fucini, Marino Moretti, Edmondo De Amicis. Il Giornalino rompe con la tradizione dei periodici dell’800 (configurati come sussidi didattici), presentandosi come soggetto educativo alternativo e parallelo all’istituzione scolastica, strumento di formazione calibrato sulle esigenze culturali e sociali della nascente borghesia. L’unico che parlerà espressamente di scuola resterà Omero Redi. L’interlocutore è il ragazzo da 5 a 15 anni, considerato persona dotata di gusti, desideri e fantasie. Ogni fascicolo è aperto da pagine di color rosa dedicate alla corrispondenza con i lettori di ogni parte d’Italia, grazie alla quale i lettori si sentiranno protagonisti e verranno coinvolti in un progetto di aggregazione pensato da Vamba. Il progetto prende corpo nel 1908 con la proclamazione di una confederazione tra tutti gli abbonati che formano un popolo sparso in tutta l’Italia. La confederazione è uno Stato “balocco” che gioca a fare la politica fondato su due sentimenti: schiettezza e fratellanza. Fra le iniziative che vedono riunito il popolo del giornalino la più importante è La festa del grillo alle Cascine che, secondo un'antica tradizione toscana, ogni anno si svolge il giovedì dell'Ascensione. La genialità di Vamba sta nell'aver colto il naturale bisogno che ragazze e ragazzi avvertono di sentirsi parte di un qualche organismo collettivo caratterizzato da una forte identità, e di aver fatto del «Giornalino» una sorta di organo ufficiale della Confederazione. Antonio Gramsci apprezzerà le iniziative e le organizzazioni del periodico mentre Fanciulli valuta il suo irredentismo e nazionalismo come anticipazione del fascismo. Occorre distinguere la prima serie del Giornalino da quelle successive, pubblicate a conclusione della guerra: - fin dai primi numeri il Giornalino segue una linea generale di sincero patriottismo del tutto accettabile per chi non intende misconoscere la storia; - le pagine del Giornalino pubblicate nel dopoguerra, hanno un carattere più ideologico e il nazionalismo, in sintonia con ciò che accade nel Paese, diventa irrazionale e violento.
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