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La letteratura spagnola dalle origini al XIV secolo, Appunti di Letteratura Spagnola

Riassunti del manuale per l'esame di letteratura spagnola I con la Sarmati

Tipologia: Appunti

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glau986 🇮🇹

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Scarica La letteratura spagnola dalle origini al XIV secolo e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! La letteratura spagnola dalle origini al XIV secolo LE JARCHAS Nel 1948 l’ebraista Samuel Stern scopre, celate da caratteri ebraici, venti brevissime canzoncine in mozarabe, la lingua romanza parlata dagli ispano-cristiani di al-Andalus. Nel 1952 l’arabista Emilio Garcia Gomez aggiunge altre 24 jarchas, anch’esse in mozarabe ma rese in caratteri arabi.; si tratta di 76 testi, 50 arabo-romanzo e 26 ebraico romanzi le jarchas in tutto oggi. Il rinvenimento di queste strofe confermò le intuizioni di uno dei più famosi filologi spagnoli: Ramon Menendez Pidal che in una famosa conferenza del 1919 ipotizzava la preesistenza di una lirica romanza ispanica da cui fossero derivate le diverse manifestazioni poetiche insulari degli zèjeles, delle cantigas de amigo, dei villancicos. Datate infatti dal secolo XI alla fine del XII le jarchas costituiscono la più antica testimonianza di poesia lirica in lingua romanza, cosa che permette di pensare all’esistenza di un sostrato melico antichissimo, di cui tali canzoncine costituirebbero la testimonianza più vicina. Gli arabi che invasero la Penisola Iberica a partire dal secolo X coltivarono un genere poetico, la la muwaschaha diversa dalla poesia araba d’Oriente. La quasida classica era quantitativa, non strofica, di versi lunghi monorimi (dalle 24 alle 28 sillabe). La muwaschaha invece è un componimento strofico breve( non più di 5 o 6 strofe) con varietà di rime e con una chiusa in lingua romanza: denominata markaz (staffa) o khargia (uscita) in spagnolo jarcha. Si ritiene che fossero i poeti di Al Andalus gli inventori di questo nuovo genere poetico e che fu proprio l’ambiente bilingue, multirazziale e con fenomeni di nuove conversioni all’islamismo da parte dei cristiani che vivevano nella Spagna Mussulmana (i muladìes) a determinare la nascita di un nuovo genere poetico in lingua araba. La muwaschaha scritta in lingua araba letteraria o in ebraico, è di 5 o 6 strofe di versi brevi, secondo la metrica sillabica e non quantitativa. I primi quattro o cinque versi di ogni strofa rimano fra loro mentre l’ultimo o gli ultimi due denominati qufl, rimano con la jarcha: si determina in tal modo la varietà formale all’interno di una sostanziale unità compositiva. Il nome muwaschaha sta a significare metaforicamente proprio la struttura poetica appena enunciata, vuol dire infatti “abbellita da un doppio giro di perle o da una cintola di pietre e lustrini”. La denominazione in senso metaforico di un termine che designa un oggetto così elegante possono dare l’idea delle connotazioni di lusso e ricercatezza che caratterizzano la forma poetica denominata muwaschaha, frutto possibile solo in una società raffinata e molto vicina al “manierismo letterario”. Secondo l’egiziano Ibn Sana al-Mulk, autore di un’antologia di muwaschaha, la muwaschaha può presentare uno qualsiasi degli argomenti dello shi’r (poesia classica), può trattare d’amore, può essere panegirico, un’elegia, o una satira; il tema dell’ultimo dei qufls, la jarcha, dipende dal tema generale della poesia. Qualora si tratti di panegirico, la jarcha loderà la persona cantata; se si tratta di un testo d’amore, la jarcha sintetizzerà in modo incisivo il sentimento amoroso. I versi della jarcha sono generalmente posti in bocca a un personaggio diverso dal poeta e debbono essere in dialetto vernacolo o in spagnolo colloquiale, per rappresentare realisticamente la voce del personaggio che li pronuncia. Lo schemi rimico dell’interno componimento è: AA (prelusio-cabeza) bbb (bayt) AA (qufl) ccc (bayt) AA ecc.. l’ultimo qufl in lingua romanza è la jarcha. La jarcha dunque chiude l’intero componimento cui, come si è detto, fornisce le rime che si ripetono di strofa in strofa. Sull’origine della jarcha le opinioni divergono. Tuttavia l’ipotesi più plausibile la identifica come una citazione di poesia romanza pre-tobadorica, giacchè spesso non vi è coerenza tematica tra muwaschaha e jarcha. La jarcha infatti è un canto d’amore, più esattamente è un lamento di una fanciulla innamorata. La giovanetta soffre di solitudine amorosa: l’uomo amato è sempre assente, o perché lontano o perché ha abbandonato la sua amata. La fanciulla piange in prima persona e spesso di rivolge a un “tu” con il quale a volte intende l’innamorato evocato a distanza altre volte identifica delle confidenti d’amore, la madre o le sorelle; a loro chiede consiglio o conforto. Nessuno degli interlocutori interpellati risponde mai alle sue domande che dunque risuonano come grida di intenso dolore, di acuta pena inascoltata. Spesso comunque la medesima jarcha compare in più di una muwaschaha e ciò non solo rende evidente come l’autore della muwaschaha non fosse lo stesso della jarcha, ma è probabilmente testimonianza della preesistenza della canzoncina arabo-andalusa e della popolarità di cui godette, che invogliò i poeti colti a inserirla come fanalino di coda nei loro testi. Probabilmente poi, con la diffusione e il successo di questi canti in Oriente, si dovettero scrivere le jarchas direttamente in arabo, sullo stile tradizionale, quindi, ma d’autore. La presenza della lingua araba e del mozarabe all’interno delle jarchas è in percentuale variabile, si va da testi quasi completamente in arabo con qualche inserzione romanza a testi infarciti di pochi termini arabi. Le jarchas presentano non pochi problemi filologici: scritte in caratteri arabi o ebraici mancano delle vocali e dunque la loro traslitterazione in lingua romanza è inevitabilmente soggetta all’interpretazione del critico. La jarcha più antica risale al 1042, è quindi di un secolo anteriore al Poema del Cid ed è in assoluto la prima poesia europea in lingua volgare, cosa che testimonia come durante i primi due secoli la cultura dei dominatori e dominati vissero separate. I canti di donna sono comuni alle letterature medievali della Romania , basti pensare alle chanson de femme francesi ad esempio. E’ chiaro dunque che lo “stato latente” di questi testi, di cui le jarchas non rappresentano, come affermò Menendez Pidal, che un “anello della catena” si perde in tempi remotissimi. I TESTI 1.1 La muwaschaha (5 strofe con preludio, versi in successione anonimi, e struttura strofica tradizionale) [Preludio.] Chi mi darà la gazzella schiava / Che i leoni dei canneti cacciano/ delinquente nei miei debiti, quando / mi aspettavo da lei il pagamento di ciò che mi deve? [1]: CONDIZIONE DELL’AMANTE. Ho messo la mia fortuna quanto a lei / tra la mia speranza e desiderio. / No. Non ho detto che mi dispero / quando ha prolungato l’ingiustizia / mi sono La lirica romanza in area castigliana si espresse nella coinè linguistica galego-portoghese almeno fino al XIV secolo. La produzione iberica dei trovadori galego-portoghesi si articolò in 3 generi: 1- Le cantigas de amor: strettamente legate alla lezione provenzale della lirica trobadorico cortese, seppure non manchino tratti innovativi: assenza dell’incipit primaverile, della descrizione dell’amata, di quel joi (gioia) che nella poesia occitanica compensa a volte le pene amorose. Il poeta canta la pena di un amore anelato ma irraggiungibile (coita d’amor) un amore destinato all’infelicità, all’insoddisfazione e a volte alla morte. 2- Le cantigas de escarnho e maldizer: canti di scherno, che con linguaggio volutamente popolaresco e scurrile uniscono alla satira politica quella personale 3- Le cantigas de amigo, considerate il vero luogo privilegiato dell’espressione lirica galego-portoghese, anch’esse, come le jarchas, canti di fanciulla innamorata. La cantiga de amigo è stata chiamata in causa alla discussione, sempre aperta, relativa alle origini della poesia romanza che, grosso odo, si sviluppa intorno a 4 tesi fondamentali: l’origine liturgica, mediolatina, popolare e araba. Oggi prevale una tendenza poligenetica rispetto a quella monogenetica che si affermò nelle prima manifestazioni del dibattito e dunque piuttosto che propendere per una ramificazione successiva a partire da un primo nucleo propulsore. , si ritiene possibile una derivazione da più nuclei lirici originali. Il corpus “cantigas de amico” è composto da liriche colte di stile popolareggiante , liriche cioè che imitano dei tipici tratti folklorici come: l’espressione sintetica, il frequente ricorso alle figure di ripetizioni, il tono evocativo ecc.. ma che sono innegabilmente testi di autore. La cantiga de amigo possiede caratteri molto specifici : sono costruite su una struttura parallelistica o incrociata, che riduce il lessico all’essenziale e che grazie a una variazione estremamente contenuta delle strofe ripetitive, punta a un’altissima sonorità. Si tratta dunque di una poesia in cui le invarianti dominano sulla varietà linguistica e strutturale e che affida la sostanzialità del messaggio a quelle variazioni infinitesimali. Osservando da vicino la struttura, in genere la cantiga è composta da 4 o 5 strofe di due versi, spesso seguite da un verso di ritornello, tra la prima e la seconda strofa il tessuto lessicale è uguale, si può assistere all’inversione dei due ultimi termini o alla sostituzione dell’ultimo termine. I secondi versi delle prime due strofe diventano poi i primi delle strofe tre e 4 e così via, secondo il meccanismo :leixa-pren. Tra i protagonisti principali ci sono: la fanciulla, la madre, le sorelle e l’amico amato; a volte vi è anche la presenza di animali dai risvolti metaforici. Non è rara una struttura dialogica. A differenza delle jarchas e villancico, nelle cantigas è presente il paesaggio (spesso marino) e a volte la descrizione della donna, anche se in termini molto essenziali; se ne evocano ad esempio capelli e corpo. I più famosi trovatori galego- portoghesi sono Martin Codax e Pero Meogo. Le cantigas ci sono state trasmesse da codici antichi: Cancionero da Ajuda, Cancioneiro da Biblioteca Nacional, Cancioneiro da Vaticana…) b. I villancicos Il villancico di base è costituito da una strofetta (cabeza, texto..) che rappresenta la manifestazione più semplice della lirica tradizionale castigliana, quando si intenda con il termine di poesia tradizionale una lirica che in principio ammette sempre un unico autore, ma che nella modalità di trasmissione orale è assimilata dalla tradizione popolare e trasformata con l’introduzione di varianti che esercitano una funziona ricreatrice del testo. Il termine villancicos sembra essere determinato da una prima caratterizzazione sociale, sono canti contadini, che riguardano momenti di riposo dal duro lavoro dei campi, feste di comunità paesana soprattutto quelle legate al ciclo liturgico, o del patrono, madonna del luogo; ma sono anche canti di nozze e canzoni che accompagnano l’attività lavorative durante la semina, la mietitura, il raccolto. In qualunque modo i villancicos siano giunti alla testimonianza scritta, in ogni caso è necessario tenere conto di questa condizione iniziale in cui il cantante è integrato in una comunità che ha sentito la canzone parte della sua eredità collettiva. Tuttavia, questa stessa canzone, già incorporata nel sottofondo tradizionale, è scatenata da queste condizioni primarie ed è valida per qualsiasi altra occasione in cui può apparire, purché rimanga nello stile che le è proprio e per il quale è riconosciuta come canzone popolare. Un tema domina sugli altri ed è quello dell’amore. Le situazioni cantate sono come per le jarchas, di tipo elementare e ammettono come testimoni del caso d’amore cantato alla fanciulla: madre, sorelle, amante. Tra i temi vi sono quelli della malmaritata, della fanciulla che non vuole farsi suora, delle feste d’’amore. Il villancico di base si può presentare con una veste formale molto diversa, e tuttavia probabilmente nel momento in cui venne trascritto in quelle grandi antologie della lirica castigliana 4-cinquecentesca che sono i Cancioneros, subì una sorta di regolarizzazione dovuta alla mano colta del copista per cui grosso modo possiamo trovare queste tre tendenze: -I villancico di due versi, che normalmente si presenta nella forma del “pareado” (due versi che rimano tra loro) -I villancico di tre versi, che compare spesso con schema rimico xyy -La quartina di versi brevi che appare con lo schema della “redondilla” ( 4 versi che rimano in consonate, abba o xyyx) Il villancico strofico aggiunge all’estribillo iniziale alcune strofe che lo glossano (amplificano) dette pies, di 6 o 7 versi composti da due mudanzas (abba) e da uno o due versi di allacciamento (enlace) con l’ultimo verso delle mudanzas (a), e con uno o due versi che riprendono la rima del secondo verso dell’estribillo o lo ripetono interamente a mo’ di ritornello (vuelta). Cancioneros principali: Cancionero de Baena, Cancionero de Hernando del Castillo, il Cancionero musical de Palacio.. 1.I Cantigas de amigo ANALISI DEI TESTI: Il canzoniere di Martin Codax del XIII secolo è stato trasmesso dal Cancioniero da Biblioteca Nacional e dal Cancioniero da Vaticana, e nella Pergamena Vindel viene conservato. Le sue cantigas presentano una veste normale accurata nel rispetto delle simmetrie strutturali. La cantiga “Ay Deus, se sab’ora meu amigo” è un esempio, e il cosueto tema dell’attesa della fanciulla innamorata si articola qui in sei strofe organizzate a loro volta a coppie. In I e II si annuncia in galiziano (non sono a Vigo) e poi si ribadisce ( io non ero a Vigo stamattina) la sua solitudine d’amore ( sono innamorata) con il medesimo artifizio dell’introduzione del tema e della sua reiterazione: in III e IV al tema della solitudine si aggiunge dello dell’assenza della sorveglianza, nessuno vigila su di lei e quindi se sola la fanciulla fa intendere che quello sarebbe il momento perfetto per l’incontro d’amore. Si noterà che nel testo il 90% è affidato alla ripetizione e il 10% alla variazione del tema e della struttura. Ciò è senza dubbio indice del fatto che l’autore privilegia il motivo del pianto d’amore sulla narrazione. Le variazioni invece hanno il compito della vitalità del canto, determinando il movimento dinamico della stasi. La seconda cantiga presenta le varianti amigo e amado con relativa modificazione della rima vigo/levado e ricorso alla lixa-pren. Con parole definitive Varvaro ha ben dimostrato che il luogo “Vigo” sia convenzionale: il richiamo a luoghi precisi ha la funziona di una precisazione realistica. “Enas verdes ervas” (pag. 34) E’ costruita fino a metà da un rigido parallelismo sintattico che ammette come uniche varianti lessicali le parole in rima dei primi versi delle strofe (ervas/prados; elas/elos) e i complementi diretti dei secondi versi (las cervas/os cervos bravos; myas garcetas/meos cabelos) ove le coppie sono sinonimiche e si alternano strofe costruite intorno al genere femminile (1 e 3) e strofe tutte al maschile (2 e 4) cosa che carica di ambiguo mistero il delicato erotismo che pervade il canto. La strofa III si lega alla I per il richiamo sintattico ervas-elas e la strofa IV alla II per prados-elos. Dalla quinta strofa entrano in funzione due nuovi artifizi basati sulla ripetizione: il poliptoto che ripete tre verbi cambiandone il modo, dall’indicativo al congiuntivo (lavey/lavara; liey/liara; asperey/asperara) e il consueto leixa-pren vv 14-19; 17-22. Alla partizione in due sezioni: I-IV e V-VIII che si manifesta sul piano formale, corrisponde il livello rappresentativo dell’esperienza narrata una diversa divisione, che ved ealternarsi fasi di stasi a fasi di movimento: la fanciulla contempla gioiosa (stasi) lava i suoi capelli (azione) poi li lega (azione) e aspetta il suo amico (stasi). I-II: STASI III.IV: AZIONE Il Cantar del mio Cid è il poema nazionale di Castiglia , l’unico dell’epica primitiva spagnola che ci sia pervenuto sostanzialmente completo. Anche sulla datazione del Mio Cid prevalgono due orientamenti: quello di Menendez Pidal che tende a spostare la scrittura del manoscritto quanto più possibile vicino ai fatti narrati e quindi a indicare come possibile data quella del 1140, solo mezzo secolo la morte del Cid ( 1099) e quella di Colin Smith che ritenendo i tratti arcaici della lingua del Cid un fenomeno di convenzione stilistica e non un segno dell’antichità del testo, propone di accettare la data presente nell’explicit quindi il 1207. Il poema del mio Cid fu composto nella provincia di Burgos e narra le imprese di Rodrigo (Ruy) Diaz de Vivar, noto come Cid con una mescolanza di fatti veri e inventati . Riguardo alle costanti della narrazione epica sopra elencate il Cid si caratterizza per alcuni tratti peculiari tra cui una marcata tendenza realistica che ha fatto parlare più di una biografia eroica o cronaca rimata . E’ assente quel tono elevato che qualifica lo stile dell’epopea a favore di una narrazione più prosaica tanto nei fatti come nel linguaggio. Inoltre le qualità di Rodrigo Diaz sono più umane che sovrannaturali : il suo amore maritale, l’attaccamento alle figlie.. Il Cid mangia, dorme e muore nel suo letto invece che nel campo di battaglia. Numerosi sono poi i particolari che riguardano le descrizioni , particolari che Pidal giustificò con la maggiore vicinanza alla narrazione delle gesta del Cid agli eventi storici di quanto non avviene nell’epica francese. Se la datazione del poema fosse effettivamente 1140 potremmo anche supporre che il primo aedo avesse potuto assistere o aver sentito le imprese del Cid, mentre tra la battaglia di Roncisvalle del 778 narrata dalla Chanson de Roland e la redazione del poema francese del 1100 passano tre secoli. Oltre al Cid non rimane molto dell’epica spagnola, a tutt’oggi possiamo contare solo 4 poemi. I giullari diffusero i poemi epici per via orale interpretandoli davanti a un pubblico che si riuniva intorno a loro e che ne riconosceva subito il genere. La creazione dunque non è popolare nel senso ottocentesco di una vaga attribuzione collettiva perché vi sarà sempre al vertice un autore, ma lo è per modalità di trasmissione e ricreazioni di tali testi, che sopravvivendo nella memoria popolare sono soggette continue trasformazioni, si tratta dunque di poesia collettiva creata da collaborazione nel tempo, di poeti anonimi. Cid: nel disegnare il suo profilo ci affidiamo a Menèndez Pidal. Il Cid nasce intorno al 1040 da una famiglia di infazones, la categoria più bassa della nobiltà. Alla morte di Ferdinando I, re di Castiglia il Cid fu nominato generale capo dell’esercito di Sancho IV re di Castiglia ed ebbe un ruolo non secondario che questo mosse nella guerra contro i fratelli. Comunque il Cid non migliorò mai il proprio stato, rimanendo comunque un infanzòn. L leggenda narra inoltre che nel 1079 il Cid fu inviato a riscuotere las parias , un tributo che il re moro di Siviglia, Motamid, doveva pagare annualmente al re di Siviglia per pagare la sua protezione. Attaccato dai mori di Granada aiutati dal conte Garcìa Ordònez, il Cid li vinse nella battaglia di Cabra e tenne prigionieri per tre giorni il conte e i cavalieri cristiani . Al suo ritorno Giarcìa accusò il Cid si malversazione. Nessuno merito fu riconosciuto al Cida neanche quando entrando nel regno moro di Toledo fece 7000 prigionieri accumulando un bel bottino , anche questa volta riuscirono a metterlo in cattiva luce e il re decise per l’esilio. Da qui inizia il poema, su dati storici infarciti però da digressioni narrative. Riguardo invece alla genesi del poema gli indizi interni non aiutano a fissare una data precisa della nascita del poema , anche se l’allusione nei vv 3722-3725 al matrimonio tra Bianca di Navarra , pronipote del Cid, e Sancho figlio di Alfonso VII confermerebbe l’ipotesi di Pidal su una redazione del 1140. E’ poi piuttosto palese che il Cid non può porsi come capostipite di un genere in quanto vi appare a uno stadio troppo avanzato. Inutile anche ogni tentativo di dare fisionomia certa al suo autore, Pidal ad esempio lo volle legato al monastero benedettino di Cardena e ipotizzò che fosse un chierico giullare e non analfabeta, Smith propende per la tesi di un autore colto , probabilmente un giurista , data l’indubbia competenza che dimostra sulla legislazione relativa agli editti reali ad esempio.. Successivamente Pidal elaborò la tesi del doppio autore : primo operante intorno al 1100 e responsabile dei primi 500 versi e il secondo che completò l’opera. La lingua del Cid è senza dubbio arcaica come si può notare dai patronimici in –oz ed –ez, dalla dittongazione o:uò che si alterna a uè . La forma metrica costituita da lasse assonanzate è anch’essa tratto arcaico, infatti l’epica francese dopo un primo stadio in assonanza si dirige verso la rima consonante e lasse di versi isosillabici con tendenza stabile al 5 più 7 e al 7 più 7 . Le lasse del poema variano moltissimo : la più breve conto 3 versi , la più lunga 185. L’estensione della tirada dipende dal tema trattato. Per i versi si va dalle 10 alle 20 sillabe con emistichi dalle combinazioni molto differenti: 7 più 7, 7 più8, 6 più 7, 7 più 9, 8 più 8; in genere è il secondo emistichio, quello che contiene l’assonanza, ad essere più lungo. Si è notata una certa varietà formale nei 3 cantari del poema: la tendenza a diversificare le rime, presente nel cantare I che va riducendosi nel cantare II e III ; a livello stilistico vi è grande libertà nell’uso dei tempi verbali, con il predominio del presente storico, per attualizzare la narrazione. Il linguaggio tende alla concretezza , a rendere visibile ciò che è astratto . Numerose sono le caratteristiche dello stile del Cantar del mio Cid : uso dell’amplificatio verborum nel raddoppiamento , si tratta di espressioni che si rafforzano e completano a vicenda: amplificano un’emozione nel ribadirla intensificandola e forse hanno anch’esse funzione riempitiva come meccanismo di completamento di fine verso. IL MESTER DE CLERECìA La prima scuola poetica cosciente in lingua castigliana è del XIII secolo, si tratta di un certo numero di opere che si presentano tutte nella veste formale della cuaderna via : ossia della quartina monorimata di alessandrini , versi di 14 sillabe con forte cesura dopo la settima. Alla serie aperta dell’epica si oppone la quartina, all’assonanza la consonanza , all’anisosillabismo l’isosillabismo . Gli autori che fanno parte del mester de clerecìa condividono una sorta di consapevolezza del proprio prestigio letterario . “Il libro di Alexandre” è la prima opera forse composta in tale metro e forse anche quella che servì da modello alle altre: <<Signori, se volete il mio mestiere imparate, di buon grado voglio servirvi; l’uomo deve essere generoso con ciò che sa, altrimenti può commettere colpa o cadere in errore. Io mi porto un’arte bella perché non è quella giullaresca, è un’arte senza peccato perché è l’arte dei clerici. Parlerò in rima attraverso la quaterna cantando le sillabe, che è grande abilità.>> ARTE GIULLARESCA: popolare, orale, irregolare (anisosillabismo e assonanza delle rime), anonimo ARTE CLERICA: prevede dichiarazione dell’autore, codici scritti e metrica regolare. “Mester” , “mestiere”, dal latino ministerium è il compito che tutti gli uomini hanno di mettere la propria scienza al servizio degli altri. Infatti al v2 al termine mester è associato il senso di un obbligo morale . Nel primo verso a “fermoso” si contrappone “joglaria” e quindi vi è una esplicita definizione della propria arte avendo come punto di riferimento quella dei giullari. L’essere un “mester sin pecado” (mestiere senza peccato” : non va in teso nel senso di testi di materia esclusivamente religiosa, intende testi che vanno da carattere religioso delle opere di Gonzalo de Berceo alla materia antica del libro di Alexandre al romanzo bizantino di avventure con il “Libro de Apolonio” alla materia epica castigliana con il “Poema de Feràn Gonzàlez”. Mester sin pecado si riferisce piuttosto alla forte tensione didattica, educativa e moralizzante, alla volontà di narrare storie esemplari che anima gli autori della cuaderna vìa. Anche il contenuto del termine clerecìa è complesso, rimanda alla figura del chierico , come uomo di fede ma soprattutto di studi, cui è spesso opposta quella del cavaliere , uomo di azione. Il chierico unisce aspetto religioso e intellettuale, dal momento che la cultura aveva come centro chiese e monasteri: Per ragioni soprattutto di efficacia nella comunicazione con i parrocchiani, l'uomo di chiesa usava anche le lingue vernacolari. E facendone un uso pubblico, doveva conferire loro una dignità adeguata al loro compito; Per questo motivo il sacerdote, conservatore di un patrimonio attraverso il latino e creatore in questa lingua, è finito per diventare un autore che usa il volgare. Sui meccanismi della cuaderna via ancora si discute. I 4 versi a rima consonante comune di 14 sillabe si dividono in due emistichi con accento obbligatorio in sesta sillaba. Il nome di “alessandrino” deriva da un poema francese sulla figura di Alessandro Magno, in cui tale verso era impiegato. Nella cuaderna via inoltre, oltre alle regole su menzionate vi è l’obbligatorietà della dialefe e assenza di encabalgamiento (enjambement). Inoltre il sistema di pause ( fine strofa, fine verso) e semipause (emistichi) si associa a una conseguente distribuzione del contenuto. Ogni emistichio contiene un senso sintattico compiuto e i versi iniziali e finali veicolano la sostanza principale del messaggio. GONZALO DE BERCEO E I MILAGROS DE NUESTRE SENORA (: Vergine Maria)
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