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La lingua italiana nel Quattrocento e Cinquecento, Schemi e mappe concettuali di Storia della lingua italiana

Appunti sui fenomeni linguistici e sociali di '400 e '500: Umanesimo, dibattiti, Leon Battista Alberti, Questione della lingua, Pietro Bembo

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 17/12/2022

Lud_v1ca
Lud_v1ca 🇮🇹

4.6

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Scarica La lingua italiana nel Quattrocento e Cinquecento e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Tappe della questione della lingua lungo la storia = la questione della lingua è la riflessione, avvenuta lungo i secoli, che concerne alcuni aspetti della lingua italiana, a partire dalla discussione sulla varietà adatta alla letteratura, fino ad arrivare alla lingua dell’uso vivo. Da notare sicuramente è che si tratta sempre di discussioni di intellettuali. L’inizio della questione della lingua è convenzionalmente fissata al ‘500, ma in realtà se ne possono scorgere della spie anche nei secoli precedenti: [in un momento in cui il volgare è giudicato decisamente subordinato al latino] 1. Il Convivio è un prosimetro in volgare in cui Dante, sentendo il bisogno di giustificare la scelta della lingua, tocca già argomenti rilevanti: il volgare può essere compreso da tutti e, pur essendo subordinato al latino, può veicolare questioni dottrinali. 2. Il De vulgari Eloquentia è un trattato in latino in cui Dante riprende la discussione sul volgare. A differenza del Cv però, qui afferma la superiorità del volgare in quanto lingua naturale. Si impegna poi a cercare, analizzando le 14 varietà di volgari parlate in Italia, quel “volgare illustre” adatto alla letteratura. Giunto alla conclusione che la cosa migliore da fare sia allontanarsi dai tratti municipali più marcati, si dedicata ad aspetti più tecnici: la metrica, la retorica, la stilistica del volgare illustre. 3. Il contesto dell’Umanesimo volgare fiorentino che nasce in un contesto, il ‘400, in cui in Toscana non si può evitare di fare i conti con il lascito della Tre corone = orgoglio nazionale = maggiore considerazione del volgare = maggiori discussioni (es. Dialogi ad Petrum Paulum Histrum o la discussione tra Biondo Flavio e Leonardo Bruni). 4. L’azione di promozione in senso politico dell’Umanesimo laurenziano in cui all’espansione della potenza di Firenze doveva corrispondere la diffusione del fiorentino (es. traduzione del Landino della Naturalis Historia, Silloge aragonese con lettera di Poliziano) 5. L’attività di un intellettuale come l’Alberti che si dedicò alla promozione (es: Certame coronario del 1441) e alla prima sistemazione del volgare fiorentino con la Grammatichetta. PREMESSE [in un contesto in cui il volgare guadagnava sempre più terreno e non esisteva più il pregiudizio della sua inferiorità rispetto al latino] 1. L’Arcadia di Sannazzaro, 1504, prosimetro che si ispira nelle parti liriche a Petrarca e nelle parti prosaiche a Boccaccio 2. Le Egloghe di Sannazzaro che si ispirano a Petrarca 3. Gli Asolani di Bembo, prosimetro che, come l’Arcadia, si ispira a Boccaccio e Petrarca 4. Le Rime di Bembo che si ispirano a Petrarca 5. Bembo per il latino aveva già indicato come modelli Cicerone per la prosa e Virgilio per la lirica nel contesto dello scambio epistolare con Giovanni Francesco Pico 6. Le aldine che usano dei modelli certi = si può verificare la lingua La vera questione della lingua: Trovato sottolinea come sia nata in un contesto in cui la moda toscaneggiante si diffonde sempre di più = si sente le necessità di reagire e discuterne. 1. La prima reazione rispetto alla moda toscaneggiante fu di che, non conoscendola, rivendicala la lingua sovramunicipale (koinè) che usava per comunicare: era questo il caso della cancellerie che, per comunicare con altre corti, si servivano del modello latino ed epuravano il proprio volgare dei tratti più marcati (senza dimenticare l’utilizzo del modello toscano  Landino scrive pure un trattato su come si scrivono le lettere per i non toscani!). Roma è una delle corti più vivaci motivo per cui si registrano i casi di Vincenzo Colli, il Calmeta con Esposizioni del pater noster (a noi arrivata grazie alle Giunta al terzo libro delle Prose del Castelvetro) e di Mario Equicola con il Libro de natura de amore. 2. Oltre al caso di Roma e su un fronte più moderato si può collocare la posizione di Baldassar Castiglione che nel suo Cortigiano non si esprime tanto contro il toscano, quanto piuttosto contro l’affettazione (= uso eccessivo di arcaismi sia latini che toscani trecenteschi) che rende la lingua artificiale e un po’ ridicola. 3. La posizione che più ha successo è quella classicista di Bembo che pubblica Prose della volgar lingua nel 1525 in cui indica come modelli letterari Petrarca per la lirica e il Boccaccio delle cornici del Decameron per la prosa. Svaluta la teoria cortigiana che non utilizza nessun modello letteraria (cosa non vera perché i modelli c’erano: Castiglione e Boiardo per esempio) e il plurilinguismo di Dante che talvolta dice “vilissime cose”. Quello a cui bisogna tendere invece è l’armonia metrica, stilistica, tematica  da qui: petrarchismo 4. Curioso il caso di Trissino, che è stato collocato entro la “teoria italianista”. Il suo è un caso di appropriazione del lascito culturale delle Tre corone dovuta ad una cattiva interpretazione del DVE che lui traduce e diffonde in Italia. 5. Le posizioni di Trissino accendono il dibattito perché suscita non poche reazioni da parte dei toscani (già avevamo visto la forza con cui Landino rivendicava Dante, dopo che fu pubblicata un’edizione milanese con commento bolognese della Commedia). Tra questi si cita Machiavelli e il Discorso/Dialogo intorno alla nostra lingua che si occupa di “sgannare” Dante che confessa di aver scritto sempre in fiorentino. Bembo ha la meglio perché offriva un modello sicuro, affermato e verificabile. A Firenze si stenta però ad accettare che un veneziano detti le regole del toscano: la soluzione arriverà con l’Hercolano di Varchi (che parla di un “classicismo intermedio” in cui è considerato anche il fiorentino dell’uso colto) e con Regole della toscana favella e Avvertimenti sopra la lingua del Decamerone di Salviati (che propone di guardare anche ad autori minori del ‘300). ‘600 Lirica = al petrarchismo più pedantesco si affianca il barocco (es: Marini) che, pur avendo qualche base della lingua letteraria petrarchesca, attinge dai contesti più vari con l’obiettivo di suscitare meraviglia nei lettori. Prosa = primo scossone grazie alla prosa scientifica di Galilei. Dal punto di vista della questione della lingua va ovviamente segnalata la nascita nel 1612 dell’Accademia della Crusca che si ispira alle idee di Salviati: la lingua guardata è il toscano del ‘300 sia delle 3 Corone che di quegli autori minori che, pur non avendo scritto opere tematicamente importanti, si sono espressi in un ottimo fiorentino. ‘700 Il contatto con il francese (stile coupé) rende alcuni intellettuali consapevoli delle mancanze della lingua. 1764, Alessandro Verri, Rinunzia avanti notaio della Crusca 1760, Giuseppe Baretti, Lettere familiari, “Della corrotta lingua che si parla nei vari stati d’Italia che con uno stile ironico racconta come parlavano gli italiano al suo tempo: ognuno nel suo dialetto oppure, se ci si voleva allontanare da esso, toscaneggiano “alla grossa”, senza aver un prototipo preciso (la gente infatti non legge e non conosce i modelli!). Riprende un po’ il DVE perché percorre tutta l’Italia, il risultato è che nessuno sa parlare una lingua comune, nessuno sa toscaneggiare a dovere e quando lo fa ottiene dei risultati a dir poco cacofonici (“scannati gergacci mal toscaneggiati”). Baretti critica anche i ceti più altolocati che avrebbero la possibilità di imparare ad esprimersi bene e non lo fanno, anzi aggiungono “qualche cucchiaiata” di francese “rivomitano” assieme al “mal digerito toscano”. Neanche il toscano dell’uso vivo è risparmiato.  Eliminazione della /d/ eufonica tranne che davanti a vocale corrispondente: a aiutare > ad aiutare  Scrizione analitica delle preposizioni articolare: pel > per il, collo > con lo, col > con il  Mantenute elisioni ed apocopi per riprodurre più fedelmente la catena fonica parlata: si ha > s’ha, facciamo prima > facciam prima (apocope postconsonantica), dei > de’ (a. postvocalica).  Locativo vi > ci  La costruzione della completiva oggettiva con infinito (lat: inf + acc) è sostituita con la forma esplicita: la badessa rispose dolerle assai > la badessa rispose che le dispiaceva molto.  Incremento delle strutture sintattiche di enfasi e messa in rilievo tipiche dell’oralità: inversioni, dislocazioni e frasi scisse.  Uso del “nominativus pendens” o frase sospesa che si ha quando il soggetto logico e quello sintattico non coincidono. Altro elemento tipico del parlato. Nel 1968 il ministro della pubblica istruzione Emilio Broglio nominò una commissione presieduta da Manzoni per “ricercare e proporre tutti i modi coi quali si possa aiutare a rendere più universale in tutti gli ordini del popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia”. Relazione “Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla”, 1868 Appendice, 1869  Adottare il fiorentino come modello  Compilazione di un vocabolario rigorosamente basato sull’uso vivo del fiorentino ( Giorgini- Broglio)  Che le classi siano dotate di tale vocabolario  Dare preferenza a maestri toscani (esclusivamente toscani per le magistrali) o “educati in Toscana”  Sussidi statali ai comuni che si procuravano maestri toscani  Conferenze di maestri toscani nelle scuole delle varie province  Borse di studio per gli allievi delle magistrali per passare un anno a Firenze Opposizioni:  Per Lambruschini il fiorentino medio colto coevo non sfuggiva ad una certa corruttela ed era scettico in merito alla redazione di un vocabolario ex novo (lui era nella commissione > si scioglie > Broglio istituisce una Giunta per la compilazione del dizionario: Giorgini-Broglio)  Fanfani, La lingua italiana c’è stata, c’è e si muove = un italiano comune è sempre esistito  Carducci, Mosche cocchiere = contraddice che in Italia sia assente una lingua letteraria universalmente conosciuta  Giuliani, Sul vivente linguaggio della Toscana = per lui “l’idioma di Dante è vivo tuttora”  Settembrini, lettera a Broglio = la lingua è anche pensiero oltre che parole e a Firenze non ha più i titoli per essere in centro del pensiero in Italia  Gelmetti, lettera a Giorgini = critica che la capitale politica e quella linguistica siano diverse  Capponi = rivendica il primato originario del parlato sullo scritto  Graziadio Isaia Ascoli, Proemio al primo volume della sua rivista, Archivio glottologico italiano, 1873. L’occasione di partenza è il titolo del dizionario Giorgini-Broglio che reca la dicitura “novo” in disaccordo con la tradizione letteraria italiana, ma in accordo all’uso vivo fiorentino. Che titola ha Firenze per ergersi a legislatore della lingua? Perché si pensa che svolga la stessa funzione che ha Parigi? Più che alla Francia, l’Italia potrebbe essere comparata alla Germania in cui l’unificazione linguistica è arrivata anche senza uno stato unitario “in seguito ad un naturale processo di consenso creativo” dovuto alla diffusa istruzione, alla circolazione delle idee, alla circolazione del volgare grazie alla Riforma protestante (NON per imposizione dall’alto6). L’unità linguistica degli italiani deve realizzarsi “per selezione naturale” come in Germania attraverso la maggior circolazione di uomini e ad una più fervida operosità intellettuale della società civile. Nel contrasto Manzoni-Ascoli si fronteggiano due visioni diverse della realtà: alla formazione settecentesca ed illuminista di Manzoni, si contrappone il positivismo tedesco dell’Ascoli che è fedele all’immagine dello scienziato che studia la realtà senza illudersi di poterne cambiare le leggi, ma individua tendenze ed esprime esigenze reali. La lingua non si evolve copiando un modello, questo non succede mai in natura, la si evolve essendo utilizzata e circolando per il paese. NB anche Ascoli attenuerà le sue idee e nel 1890, in qualità di presidente di un concorso ministeriale per i vocaboli dialettali, si allineò all’indirizzo filotoscano imperante. La lezione di Ascoli viene ripresa da D’Ovidio con Lingua e dialetto, 1873. Sottolinea che sia importante sottolineare la questione storica (= è indubbia l’origine fiorentina dell’italiano, lo dice pure Ascoli, e il fiorentino si è ormai affermato come lingua di cultura  non ha dunque senza spezzare tale unità imponendo l’uso moderno del fiorentino) e la questione pratica. Secondo lui i manzoniani dovrebbero ridimensionare il problema: quello che davvero manca è il lessico materiale e sicuramente chiunque sarebbe restio ad accogliere i tratti più vernacoli del fiorentino dell’uso, esso va usato come consigliere, ma non come autorità assoluta. I punti di contatto tra Manzoni e Ascoli che D’Ovidio individua sono:  Affermazione che lingua = dialetti  Riconosciuta base fiorentina dell’italiano  Importanza data alla promozione culturale Con d’Ovidio la questione della lingua tradizione può dirsi conclusa. Ciò non vuol dire che non si continui a parlare di lingua:  Edmondo De Amicis – Benedetto Croce: De Amicis, ne L’idioma gentile, rivolgendosi al suo giovane pubblico riconosce la ricchezza del fiorentino, ma invita tuttavia a non imitarlo pedissequamente come il tale soprannominato l’amio Enrio. Croce, in Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, descrive la lingua non come istituto sociale ma come “perpetua creazione”, il cui insegnamento è tanto risibile quanto paradossale, perché sarebbe come “cercare l’immobilità del moto”. Quello tra i due sembrò un dialogo tra sordi, poiché De Amicis affermò di non aver mai detto di voler insegnare lo stile; mentre invece Croce disse che il suo non era un articolo per giovinetti e che non avrebbe mai voluto abolire la grammatica dalle scuole.  Pasquale Villari – Cesare De Lollis: nel 1909, il Villari esortò la Crusca alla produzione di dizionari dialetto-italiano per aiutare i dialettofoni al possesso della lingua nazionale. Dura fu la risposta del De Lollis che l’assurdità di interventi normativi in materia di lingue e lo scarso significato della nomenclatura domestica della compagine linguistica. ‘900 = italiano in movimento La questione della lingua, da strumento di orientamento di un italiano scritto, diventa luogo di analisi delle tendenze del parlato.  Paolo d’Achille e l’italiano contemporaneo 6 “Si viene a dire agli intellettuali di imitare una conversazione municipale, qual sarà loro offerta da un vocabolario, da una balia, oppure da un maestro elementare, che si manderà (da una terra così fertile di analfabeti) a incivilir la loro provincia”
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