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la locandiera di carlo goldoni, Appunti di Italiano

testo dettagliato della locandiera

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Caricato il 17/03/2017

annina_07
annina_07 🇮🇹

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17 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica la locandiera di carlo goldoni e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Carlo Goldoni LA LOCANDIERA PERSONAGGI Il Cavaliere di Ripafratta ha la presunzione di essere inattaccabile al fascino femminile, oppone alle arti delle donne il proprio disprezzo, ma è facilmente vinto da Mirandolina. Si vergogna dei suoi sentimenti di fronte ai conoscenti. Alla fine ammette che per vincere le donne non basta disprezzarle, ma fuggirle. Il Marchese di Forlipopoli rappresenta il nobile decaduto, fuori dal suo tempo, che continua a fare affidamento sul suo titolo nobiliare, mentre quello che conta e’ il denaro. e’ avaro, ma vanitoso e presuntuoso. Il Conte d'Albafiorita e’ un membro della nobiltà’ ricca, che ammette di dovere la sua influenza al denaro e lo considera molto più’ importante della presunta influenza del marchese e della protezione che egli può’ offrire alla locandiera. Mirandolina è la maliziosa locandiera che accetta la corte dei suoi clienti, riuscendo contemporaneamente a tenere legato a se il cameriere promesso sposo Fabrizio. Rappresenta le donne che si dilettano a tenere in proprio potere gli uomini, strapazzandoli e usandoli in qualsiasi modo desiderano. Il trionfo di Mirandolina su coloro che disprezzano le donne è solo apparente: in questa commedia riceve la sua punizione: il cavaliere che a tutti costi vuole umiliare, a causa delle sue scenate violente, la costringe a correre ai ripari e a sposare Fabrizio. Ortensia comica commediante che finge di essere una dama, la Baronessa Ortensia del Poggio, palermitana Dejanira comica commediante che finge di essere una dama, la Contessina Dejanira del Sole, romana. Fabrizio, è il cameriere di Mirandolina e suo futuro marito, di cui la locandiera fa quello che vuole. Nonostante la sua perplessità di fronte al comportamento di Mirandolina, che accetta la corte degli avventori e si diletta ad innamorare gli uomini, si fa presto convincere a sposarla, con solo poche parole e qualche moina. Servitore, del Cavaliere Servitore, del Conte LA TRAMA La locandiera (1751) è ambientata in una locanda di Firenze gestita da Mirandolina, che ne è la proprietaria. Fabrizio è il servitore fedele, che nutre speranze di matrimonio nei suoi confronti. Solitamente gli ospiti della locanda si innamorano della bella Mirandolina. Così avviene per il Marchese di Forlipopoli e per il Conte d’Albafiorita, che la corteggiano ciascuno a suo modo. Il Cavaliere di Ripafratta invece non dimostra alcun interesse verso di lei. Egli afferma di detestare le donne, le loro moine ed i loro vezzi. In realtà egli ha soltanto paura delle donne, anche se maschera tale paura dietro un atteggiamento di disprezzo. Mirandolina si sente provocata dalla misoginia del Cavaliere, perciò decide di farlo innamorare. Usa una strategia molto efficace: non ricorre alle solite civetterie femminili, che non avrebbero ottenuto alcun risultato, ma mette in atto una tecnica più abile e sottile, quella di dargli sempre ragione e di riconoscere che le sue accuse, e quindi la sua antipatia per le donne, sono giustificate. In tal modo riesce a farlo innamorare. Però, quando il Cavaliere si accorge di essere stato ingannato e reagisce con una certa irruenza, Mirandolina teme di essersi spinta troppo oltre e di non avere più il controllo della situazione. Non esita però a portare a termine il suo piano: respinge con sarcasmo la sua proposta di matrimonio e, contemporaneamente, annuncia il suo matrimonio con il fedele Fabrizio, che il padre le aveva indicato prima di morire. Subito dopo i tre nobili, ognuno per motivi diversi, lasciano la locanda. LA COMMEDIA COME RAPPRESENTAZIONE DELLA SOCIETÀ La commedia costituisce anche un preciso spaccato della società veneziana in cui lo scrittore vive ed opera: a) la classe borghese (o meglio piccolo-medio borghese), che gode di un certo benessere economico, frutto del proprio lavoro, impersonata da Mirandolina, verso la quale vanno le simpatie dell’autore; b) la classe nobile (ma si tratta della bassa nobiltà), piuttosto variegata (il Marchese è di antica nobiltà e spiantato; il Conte è di recente nobiltà e ricco; il Cavaliere è di antica nobiltà, ricco ma misogino), verso la quale vanno le garbate critiche dell’autore; c) la classe intellettuale, che sconfina con il popolo, alla quale appartengono le due commedianti, che vivono di espedienti, verso le quali va la critica artistica dell’autore; infine d) il popolo, al quale appartiene il servitore Fabrizio, il servitore del Cavaliere e il servitore del Conte (il Marchese, che riesce appena a mangiare, non ce l’ha), che lavorano alle dipendenze della nobiltà o della borghesia. Essi hanno la simpatia dell’autore nella misura in cui condividono i valori della borghesia (Fabrizio addirittura cerca di abbandonare la sua classe di origine mediante il matrimonio con la padrona della locanda). Insomma è rappresentata in modo puntuale e realistico tutta la società veneziana. Ma è rappresentato anche il tempo storico: la vita a Venezia a metà Settecento. E Venezia era la capitale di una piccola oligarchia, ai margini del potere politico, culturale ed economico, che dettava legge in Europa Mirandolina, la locandiera Mirandolina è il personaggio centrale della commedia. Intorno ad essa ruotano i tre nobili e il servitore Fabrizio. Essa è una donna intelligente, garbata, perspicace e capace. Usa la sua intelligenza per ottenere ciò che vuole: la capitolazione del Cavaliere. Per raggiungere questo risultato, inizia con la strategia femminile tradizionale, quella delle moine, che cambia subito, non appena si accorge che non avrebbe dato alcun risultato. La sostituisce con la strategia del dargli ragione e di assecondarlo, con cui ottiene il risultato voluto. È sempre garbata ed attenta, e non appare mai avida (non ha bisogno di denaro, perché la locanda le garantisce un certo benessere). Accetta i regali soltanto dopo averli respinti, per non dimostrarsi troppo attaccata alle cose e per non dare dispiacere a chi si è dimostrato generoso. La sua perspicacia appare quando alla locanda giungono le due commedianti: si accorge subito che non sono dame, ma che sono comiche, a causa della loro recitazione approssimativa ed incerta. La differenza fra le tre donne emerge anche da un altro fatto: Mirandolina sfida se stessa a far innamorare il cavaliere, e vi riesce, anzi stravince, poiché riesce anche ad umiliarlo in pubblico. Le due damine cercano di scroccare aiuto al Cavaliere, ma riescono soltanto a farlo arrabbiare, a tal punto che diventa offensivo nei loro confronti. La cosa curiosa è che la locandiera lo piega con la strategia di dire la verità (che non è la verità...), le due commedianti riescono ad ottenere l’effetto di farlo arrabbiare proprio quando confessano la verità, che sono appunto commedianti. Il Cavaliere capisce soltanto che sono continuamente dedite all’inganno. È anche molto capace: sa fare i lavori casalinghi tradizionali (sa cucinare, lavare, stirare, pulire, ricamare), ma sa anche fare lavori “maschili”, come mandare avanti la locanda, tenere la contabilità ed intrattenere gli ospiti. Sa osservare con attenzione (di nascosto guarda le Ortensia e Dejanira, si chiede chi sono, e subito dopo controlla), sa elaborare i dati (le due dame ridono, non sono accompagnate, dunque...), sa cambiare strategia (con il Cavaliere passa dalla strategia delle moine e dei complimenti a quella di condividere la sua misoginia). È anche accomodante o generosa (anche se non sono nobili, offre alle due commedianti una buona stanza). O... apparentemente tale (se le due commedianti si fingono nobili, allora Marchese e Conte si buttano su di esse e lei ha maggior libertà con il Cavaliere). Il fatto è che ha un cervello complesso e capace di compiere un’azione per più scopi diversi. Mette spesso in atto una strategia particolare, quella di interrompere il discorso. È come se facesse un test a risposta aperta, a cui l’interlocutore deve rispondere. E l’interlocutore, senza accorgersene, riempie spontaneamente gli spazi dei puntini di sospensione, e risponde. Così si mette nelle mani della donna, che viene a conoscerne i pensieri e i desideri e che poi reagisce di conseguenza. E lo manipola. Un caso particolare di questa strategia è il suo comportamento con Fabrizio: lo vuol far sperare, gli lascia intendere che o prima o poi ascolterà il consiglio del proprio padre di sposarlo. Così le resta fedele e... lavora di più. Come donna ama essere corteggiata e desiderata, e normalmente lo è da tutti gli ospiti della locanda. Il Cavaliere è il primo ospite che non si innamora di lei. Perciò vuole farlo innamorare e poi beffeggiarlo: vuole mostrare che cosa è capace di fare una donna con la propria intelligenza, con le proprie capacità e con un po’ di tempo a disposizione. Nel primo monologo, a cui il pubblico assiste, essa fa la sua professione di fede e di vita: “Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m’innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura”. Essa è attenta e scherza con tutti gli ospiti, perché le piace essere al centro dell’attenzione, ma anche perché così fa meglio gli affari della locanda. Si preoccupa dei suoi interessi economici, ma senza esagerare. Il denaro è importante, ma sono importanti anche altre cose: la libertà, la dimostrazione a se stessa e agli altri delle sue capacità di gestire gli ospiti e, ugualmente, di gestire la locanda. È moralmente seria e piena di buon senso. Facendo innamorare il Cavaliere, si prende l’ultima soddisfazione prima di sposarsi. Poi dovrà mettere la testa a posto, e non avrà più il tempo né la possibilità per divertirsi. Sposa il servitore Fabrizio, che le era stato indicato dal padre, che quanto a coraggio doveva avere paura della propria ombra. Essa quindi fa pratica di obbedienza e di rispetto verso la volontà dei genitori. Gli orizzonti in cui intende muoversi o in cui è costretta a muoversi non sono particolarmente vasti. Lei però non ne soffre. A che serve soffrire quando le regole sociali non potevano essere infrante (i matrimoni tra nobili e plebei erano vietati) e quando la società veneziana viveva nell’immobilismo più assoluto? D’altra parte nessuno dei tre nobili suscita i suoi interessi. La nobiltà in sé non la interessa, e neanche la ricchezza, anche se non la disprezza: non vuole il fumo (il Marchese spiantato), preferisce l’arrosto (la ricchezza del Conte). La locanda le permette di essere libera ed indipendente e di non doversi cercare ad ogni costo un marito. Ed è consapevole che Fabrizio non è affatto il bene maggiore, è almeno il male minore: è di casa, fedele e lavoratore e quasi appartiene alla sua classe sociale. Ed è facile da controllare. La scelta di Fabrizio, che certamente non è il migliore marito possibile, indica sia che essa si “accontenta” di quel che ha già a portata di mano, sia che rifiuta di entrare a far parte di un’altra classe sociale, di una classe sociale più alta, quella nobile. Insomma dimostra che essa sceglie ed affronta la vita con il buon senso e senza pretendere cose lontane dal suo mondo o cose impossibili. Oltre tutto non ha bisogno di niente che questa classe sociale le possa dare: né il tipo di vita - la vita di rendita -, né la ricchezza, né il benessere. Inoltre sarebbe psicologicamente succube, mentre può gestirsi come vuole un marito ex popolano come Fabrizio, che condivide e pratica i suoi valori ma anche accomodante, perché spera che alla fine la donna tocchi a lui. Non è capace di amare: vede in Mirandolina soltanto la possibilità di sistemarsi. Ad essa aggiunge la possibilità di dedicarsi alle gozzoviglie della carne: la donna toccherà a lui, gli altri pretendenti possono “leccarsi le dita” (III, 15). Le sue modeste capacità si vedono costantemente. Non riesce a capire che le due dame sono commedianti ed egli pensa precipitosamente che ci possono saltare fuori laute mance. Imita il linguaggio ampolloso delle due commedianti e ruba anche frasi al Marchese, il peggiore dei tre nobili. Vuole fare il padrone di casa, ma i tre nobili lo cacciano via senza ritegno. Dice proprio al Cavaliere che Mirandolina deve esser sua moglie, pensando che questi sia (ancora) misogino... Egli rappresenta il popolo, che ha poca intelligenza, poca cultura, che per vivere dipende dalle altre classi sociali e che spera in una sistemazione dignitosa e in un colpo di fortuna. Ortensia e Dejanira, le commedianti Ortensia e Dejanira sono due commedianti, che non sanno recitare né sulla scena del teatro, né sulla scena della vita. Sono incerte ed approssimative: non conoscono né, tanto meno, sanno immedesimarsi nel personaggio che devono recitare. Non sanno neanche improvvisare, anche se la commedia dell’arte si basava sull’improvvisazione. Che non era tale: le battute e i lazzi erano sempre gli stessi e venivano trasferiti senza nessuna modifica da una commedia all’altra. Mirandolina si accorge subito che non sono dame e che sono comiche di modestissimo livello. Sono molto sensibili ai regali e al denaro, cercano sempre di avere un tornaconto personale, e chiedono esplicitamente regali agli uomini che incontrano. Sono disponibili a qualsiasi avventura che le metta a contatto con quella ricchezza che tanto desiderano; e che per un momento le faccia vivere nel mondo del benessere, che sognano continuamente. Le due dame si confrontano con Mirandolina e si chiedono che cosa essa abbia più di loro. Il confronto è talmente sgangherato, che irrita il Conte. Esse poi lanciano a se stesse la sfida di conquistare il Cavaliere, che è la stessa sfida che Mirandolina ha lanciato a se stessa. I risultati sono catastrofici. Esse sanno che il Cavaliere è misogino, ma non elaborano l’informazione. Lo abbordano su istigazione del Conte, che vuole mettere il Cavaliere in difficoltà. Il loro approccio è confuso ed incerto. Iniziano subito commettendo un errore capitale: dicono al Cavaliere che sono state abbandonate dai loro mariti. Vedono che il Cavaliere non vuole impegni, ed esse insistono in modo maldestro: non lo mangiano mica! Non ottenendo niente, giocano l’ultima carta, dire la verità: non sono nobili, sono commedianti. Un altro errore! Il Cavaliere si scatena e le aggredisce in modo violento con le parole. Non avevano capito che considerava tutte le donne bugiarde e che di conseguenza esse sarebbero state considerate doppiamente ed ex professo ingannatrici. Con la loro strategia glielo confermavano ulteriormente. Non avevano capito che la strategia corretta era quella della sincerità e della franchezza, ma espressa nel modo intelligente e non invadente di Mirandolina, che per aggirare le difese del Cavaliere aveva fatto anche propria la misoginia del Cavaliere: lei è sincera, il Cavaliere ha ragione, le donne sono false, lei lo sa, ma non può dirne male... La loro vita quotidiana è misera sia sul piano intellettuale, artistico e culturale, sia sul piano economico. Ed è fatta di continui espedienti e di piccolissime soddisfazioni: riescono a venire in carrozza (e più rapidamente) a Firenze, mentre i loro compagni sono costretti ad usare il battello che naviga sull’Arno. E poi passano a scroccare favori e protezione a destra e a manca. Ci provano con il Marchese, e non si accorgono che è uno spiantato; ci provano con il Conte, che è generoso, ma ha il denaro a palate; infine ci provano - sono sistematiche! - anche con il Cavaliere, e riescono a farlo irritare a più non posso. Il fatto è che la loro professionalità teatrale, la loro esperienza di vita, la loro intelligenza sono estremamente contenute. Esse si sopravvalutano, non riescono a rettificare la loro strategia, quando non ha successo, e alla prova dei fatti sono massacrate. In esse l’autore critica la tradizionale commedia dell’arte, i cui attori recitavano male, improvvisavano su un canovaccio che non cambiava mai, e non avevano cultura né preparazione professionale. Nella società esse sono inserite peggio dei servi, che almeno hanno un minimo di sicurezza economica: la dimora del padrone e il lavoro sicuro. I personaggi e le classi sociali I personaggi si distinguono immediatamente tra loro sia come individui sia come appartenenti ad una specifica classe sociale. Essi hanno uno specifico carattere e usano uno specifico linguaggio personale, che li rende facilmente riconoscibili fin dalla prima battuta con cui appaiono in scena. Nel corso della commedia essi mantengono le loro caratteristiche e restano fedeli a se stessi. Il loro carattere però non è meccanico e fissato una volta per tutte: si evolve se la trama lo richiede; e conosce dei mutamenti se la situazione lo richiede. I cambiamenti sono però sempre giustificati e verosimili sul piano psicologico. Essi peraltro sono circoscritti e momentanei, non sono mai profondi. Riguardano soltanto il continuo cambio di alleanze dei personaggi, che passano da un rapporto di contrapposizione (il Marchese e il Conte litigano sul tema della ricchezza) ad uno di alleanza (il Marchese e il Conte si trovano d’accordo sul fatto di apprezzare Mirandolina, contro il Cavaliere che è misogino). Nella società del tempo i cambiamenti profondi, radicali, erano semplicemente impensabili. Chi li pensava era fatto subito oggetto di repressione... Mirandolina è sicura di sé, ma teme di perdere il controllo della situazione, quando il Cavaliere si arrabbia. Il Cavaliere è in genere tranquillo, ma si inalbera, quando si accorge della crudele beffa che la locandiera gli ha giocato. Il Conte è generoso, ma non vuole sentire criticare Mirandolina dalle commedianti. Il Marchese, che è il meno dotato intellettualmente, è anche il personaggio più ripetitivo e meno capace di provare nuovi sentimenti. Ogni personaggio poi recita costantemente il suo ruolo sociale: Mirandolina è sempre la donna che ama farsi corteggiare e la capace amministratrice del suo patrimonio (economico ed affettivo) dagli inizi alla fine della storia. Fabrizio resta al suo posto sociale, ed ha un comportamento da servitore fedele (e innamorato) dall’inizio alla fine. Lo stesso vale per gli altri personaggi. IL CONTENUTO MORALE DELLA COMMEDIA In modo garbato e senza essere didatticamente pesante ed irritante, Goldoni delinea la sua visione della società ed i suoi valori, che egli intende trasmettere al pubblico piccolo o medio borghese. La società è divisa in classi, ogni classe ha le sue caratteristiche ed i suoi valori. Esiste però un valore supremo, ed è la ricchezza, o meglio un minimo di benessere, valido per tutte le classi sociali. La ricchezza però non deve diventare un’ossessione: essa va ricercata con misura e con buon senso. E ugualmente con misura e con buon senso si affrontano i problemi della vita: si evitano i desideri irrealizzabili, gli arricchimenti facili, i passaggi da una classe a una classe superiore; ci si accontenta di cambiare con misura il proprio tenore di vita e si resta legati il più possibile alla propria classe sociale. Egli sceglie la classe borghese - o meglio piccolo- borghese - e i suoi ideali: l’onestà, il lavoro, l’obbedienza ed il rispetto dei genitori, un minimo di benessere economico, il matrimonio, la famiglia, l’affetto, il buon senso. E rispetta ad oltranza l’ordine e le regole sociali, scritte e non scritte (le leggi della Repubblica Veneta non permettevano che una popolana sposasse un nobile, e Mirandolina non prende nemmeno in considerazione la possibilità di sposare un nobile; in tal modo lo scandalo è evitato e l’ordine sociale è salvo). I grandi argomenti sociali sono accuratamente evitati. Non si parla né di politica, né di religione, né di economia, né di scienza, né di riforme. Il futuro non esisteva: bastava non pensarci per farlo scomparire. Si può parlare e si parla soltanto della realtà quotidiana quale si presenta e si realizza nella vita privata. In questa realtà il poeta vuole operare e lo fa con abilità e con responsabilità, salvando il salvabile, cioè proponendo piccoli valori, ma positivi, capaci di rendere meno abietta e infame la vita della popolazione veneziana. I miasmi che uscivano dai canali di Venezia avevano da secoli intorpidito e bloccato qualsiasi capacità di pensare e di sentire. La città era una necropoli di morti, e lo sarebbe stata anche dopo la caduta nelle mani dell’impero asburgico. La moralità della commedia si vede anche nel linguaggio, che non ricorre mai ad espressioni forti, oscene o triviali, che pure erano presenti nella commedia tradizionale e che avevano raggiunto l’acme nella commedia dell’arte. Le parolacce più forti sono cospetto di Bacco, darò dei pugni al cielo e nasceranno cose grandi. Le grandi invettive di Dante contro tutto e contro tutti, la lingua tagliente di Machiavelli o il disincanto di Ariosto non hanno lasciato nemmeno una vaga eco. L’autore quindi propone una visione fortemente moderata e blandamente riformista della società in cui vive: egli non propone che la borghesia diventi la nuova classe centrale della società, non propone né riforme radicali né, tanto meno, la rivoluzione. L’assoluta assenza di prospettive e di speranze per il futuro è nascosta sotto dialoghi effervescenti e coinvolgenti. Il progresso, tanto decantato dall’Illuminismo (che raggiunge il culmine a metà Settecento, proprio quando l’autore scrive le sue maggiori commedie), non lo interessa; il rifiuto del passato, in cui i nobili fondavano i loro privilegi, non lo interessa nemmeno. Questa pratica ad oltranza della misura e del buon senso - che in sé potrebbe essere più che apprezzabile - rivela invece i modestissimi orizzonti culturali, economici e politici in cui ormai si era richiusa l’aristocrazia e la borghesia veneziane, che davanti a sé non avevano realistiche prospettive politiche ed economiche da percorrere. La prima viveva pericolosamente di rendita, consumando il patrimonio accumulato nel corso dei secoli; la seconda viveva con la misurata ricchezza che produceva. Così la Repubblica di Venezia alla fine del secolo si sarebbe lasciata consegnare da Napoleone Bonaparte all’Impero asburgico (1797) senza il minimo tentativo di resistenza. E, se non ci sono grandi speranze nell’avvenire, resta soltanto il rifugio nella famiglia, negli affetti, nel buon senso, in un minimo di benessere economico. L’atmosfera soffocante e senza prospettive della Repubblica di San Marco si rivela anche nei contrasti tra lo scrittore e i seguaci della commedia dell’arte, contrasti inutili e provinciali, che lo spingono ad espatriare. Eppure, che egli non fosse un rivoluzionario che volesse rovesciare il passato, la società e la cultura, risulta chiaramente dal fatto che la Rivoluzione francese gli toglie la modesta pensione di cui godeva. Ma proprio grazie a questa mancanza di prospettive politiche, sociali ed economiche Goldoni diventa - per il suo come pre il nostro tempo - lo straordinario cantore del mondo in cui vive, della vita quotidiana, dei suoi valori e dei piccoli e grandi fatti che in essa succedono.
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