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La luna e i Falò - Cesare Pavese ANALISI E RIASSUNTO, Appunti di Letteratura Italiana

Spiegazione, analisi e riassunto della Luna e i Falò di Cesare Pavese. Contesto storico nel quale scrive, Vita Autore, intento dell'opera e paragone con altre sue opere. Appunti per Letteratura Italiana

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 13/09/2021

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91 documenti

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Scarica La luna e i Falò - Cesare Pavese ANALISI E RIASSUNTO e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! La luna e i falò — Cesare Pavese (1908-1950): Critica Bazzocchi La luna e i falò è l’ultimo romanzo scritto da Cesare Pavese pochi mesi prima del suicidio, nell’estate del 1950. Sul frontespizio dell’opera c'è una dedica “For C.”, ovvero l'acronimo di una donna di cui Cesare Pavese si innamora. Constance Dowling, attrice americana. Un amore destinato però a fallire, una delle ragioni per le quali Pavese si suicida. Tra i temi fondamentali di questo romanzo, come dimostra la citazione di Shakespeare posta all’epigrafe, “Ripeness is all” (La maturità è tutto), abbiamo proprio la maturità. Tram La luna e i falò contiene il racconto in prima persona di un personaggio che torna dopo tanti anni dall’America al paese d'origine, le Langhe (una zona collinare del Piemonte), e cerca di capire cosa sia successo mentre lui è stato lontano. Il motivo per il quale vi fa ritorno è che, essendo stato orfano, vuol trovare in quella terra le radici da cui proviene, vuole risolvere alcune questioni fondamentali sulla sua identii Il luogo di nascita del personaggio non è meglio specificato, potrebbe essere Alba, fatto sta che venne deposto in un orfanotrofio per essere poi adottato da una famiglia di contadini in cambio di un piccolo compenso mensile da parte del comune, con la speranza che crescendo si sarebbe dimostrato una buona fonte di manodopera. Il bambino cresce in quello che chiama “casotto di Gaminella”, non ha nome, ma viene soprannominato Anguilla. Il Paese al quale torna anch'esso non ha nome ma glielo possiamo dare facilmente noi dato che sono stati nominati quelli circostanti: esso corrisponde al paese natale di Pavese, cioè Santo Stefano Bello. Viene ripreso quindi il topos del ritorno, il quale è sempre una ricerca identitaria contro il tempo antagonista, che scorrendo allontana sempre di più il passato. Anguilla riconosce uno dopo l’altro i segni del passato e li racconta proiettandoli sul presente. Per questo l’intero romanzo è bilanciato tra il presente e il passato. Per Anguilla, la terra costruisce un legame fortissimo come se essa stessa sia la sua carne e il suo sangue. Lui stesso dice di essere fatto della terra che nella sua vita ha lavorato, dato è orfano e quindi privato della vera carne cioè i genitori. Ogni orfano, non a caso chiamato “bastardo” è uno a cui è negata l’identità del sangue. La carne ed il sangue al quale aspira di tornare Anguilla è fondamentale. Quello che il personaggio cerca è l’appartenenza ad una terra, un luogo. Anguilla è un bambino che è stato rifiutato dalla propria madre, non ha propriamente una casa né conosce il paese specifico nel quale è nato, quindi non ha nemmeno un luogo certo nel quale fare ritorno per ritrovarsi. Egli è condannato allo spaesamento, è uno che non riesce a radicarsi. Il radicamento sarebbe una delle tappe della maturità, la quale non è altro che l'integrazione del “bambino” nell'adulto. È questo che fondamentalmente il protagonista vuole fare. In questo romanzo diventa quindi fondamentale il suolo che per Pavese equivale al selvaggio. Proprio una riflessione sul selvaggio è contenuta in un diario filosofico e intimo scritto a partire dal 1936, pubblicato dopo la sua morte da parte di Italo Calvino con il titolo di “il mestiere di vivere”. Nella cultura di Pavese ha una grande importanza il tema del mito, della campagna (contrapposta alla città), del “selvaggio”, dell'America come luogo del primitivo. Per l’intellettuale che vive in città il mondo della campagna e dei miti si pone come luogo di verità profonda che rivela la scissione dell’uomo moderno dalle proprie radici antropologiche, ma anche come scoperta terribile di un destino a cui è impossibile sottrarsi. Anguilla torna verso il suolo che contiene il selvaggio, cercando una spiegazione al suo destino riflettendo su ciò che è diventato, ma soprattutto su ciò che poteva diventare se non se ne fosse andato. In questa ricerca un ruolo fondamentale è assunto da Nuto, l’amico rimasto nelle Langhe e portatore di una sapienza antica, appunto del mito, che il protagonista ha invece perduto. Qual è quindi l’obiettivo di Anguilla? > Egli torna nel paese nel tentativo di recuperare la propria parte irrazionale, con riferimento all’inconscio, la parte infantile, in maniera tale da integrarla nella sua maturità. Solo con il ritorno nei luoghi del passato è possibile acquistare la pienezza del proprio io, diventare adulti (non a caso Pavese dichiara nell'epigrafe del romanzo che «la maturità è tutto», prendendo la frase da Shakespeare). Ma alla fine sarà sempre condannato allo spaesamento, è uno che non riesce a radicarsi Appena tornato a Gaminella, però, Anguilla nota che c'è un cambiamento per cui il casotto di Padrino, dove lui è cresciuto, non è più lo stesso. Ci sono tutti gli elementi del paesaggio che Anguilla ricorda: la collina, il fiume, il casotto. Ma ciò che più lo sconcerta, è la mancanza dei noccioli, i quali sono stati tagliati dal nuovo proprietario perché non utili economicamente. Questa mancanza gli fa dire ora “ch'era tutto finito”. Diventano il simbolo della sua infanzia ormai trascorsa. È una situazione tipica del pellegrinaggio sentimentale: quando torno in un luogo anche solo per una breve visita e mi accorgo che esso è cambiato, significa che sono cambiato anch'io. Poco dopo conosce il vecchio Valino, colui che ora abita il casotto di Gaminella, e torna quindi a rivedere quel luogo. Molto importanti, legate al tema della memoria, sono le percezioni elementari, in particolari olfattive, che hanno una funzione fondamentale e ricorrente in tutto il romanzo. Tramite il suono tipico del carro nella strada che in America aveva dimenticato, o il sapore dei cibi contadini, Anguilla inizia a recuperare pezzi del suo passato. Il tatto assume un valore importante quando, parlando delle vaste montagne Americane, Anguilla afferma che “nessuno le aveva toccate con le mani”, a differenza delle colline del suo paese che sono lavorate dai contadini. Attraverso il tatto, quindi, stabilisce un senso di appartenenza con la terra. Dato che non ha mai “toccato” quelle Americane, si sente straniero e per questo ha necessita di tornare in questi luoghi. Tuttavia, Pavese sa bene che nel luogo in cui si è stati felici non si può sostare: per il fatto stesso che un tempo si è stati felici, adesso esso è inabitabile perché non è possibile riottenere la felicità di un tempo. Questo è confermato dallo stesso Anguilla nella frase “Nulla è più inabitabile di un luogo in cui si è stati felici”. Romanzo dei luoghi In questo romanzo i luoghi sono molto importanti, infatti si apre con un elenco di luoghi. Qualcuno ha detto addirittura che /a luna e i falò è il romanzo dei nomi. Pare che circa un centinaio di nomi di luoghi appaiano in questo romanzo. Tra i più importanti abbiamo Canelli, citato per ben 115 volte. Vediamo i più importanti: > Canelli, dal punto di vista industriale, è la città più importante dell'economia rurale presentata nel romanzo: vi si trasporta l’uva, la si trasforma in vino e lo si commercializza. Si tratta quindi di un paese ricco, con commercianti, definito da Anguilla come “la porta del mondo”, la soglia dell’altrove, dove si entra in contatto col mondo vero e proprio e si esce da un'ottica rurale. In esso finisce il tempo ciclico della natura, e inizia quello lineare degli affari e del progresso. > La mora: Al casotto di Gaminella non c'è più posto per Anguilla e sarà il parroco di paese a trovargli questa nuova sistemazione. La Mora è il mondo dell'adolescenza di Anguilla e dell'inizio dell'età adulta, del lavoro e dei primi desideri erotici. Non c'è più povertà ma benessere, compare il tema erotico connesso alle presenze femminili le quali sono paragonate ai fiori. La correlazione tra i fiori e le tre ragazze della Mora (Irene, Silvia e Santa) costituisce uno dei riferimenti simbolici più frequenti di questa parte del romanzo. La correlazione tra i fiori e le ragazze ha un significato specifico: i fiori rimandano alla bellezza ma anche alla precarietà dato che la bellezza dei fiori prima o poi scomparirà perché appassiranno. Infatti, le tre sorelle avranno una morte precoce, > Genova: Potremmo definirla una Canelli ancor più sviluppata > l'America: > la collina del salto, dove abitava l’amico Nuto, che rappresenta la parte razionale del personaggio, una sorta di contadino “saggio”, che nella giovinezza era un musicista ed è quindi legato ai temi del divertimento. Nonostante questi nomi vengano ripetutamente nominati, l’unico nome veramente importante, ovvero il paese di nascita di Anguilla, non viene mai nominato. È come se fosse un paese innominabile. Secondo i critici, il fatto che un personaggio sia innominato, equivale alla sua morte. In questo caso l’omissione del paese indica il fatto che esso è introvabile. Il paesaggio in questo romanzo è organizzato per cerchi concentri paesaggio. Quindi al centro troveremo il casotto, simbolo massimo della familiarità, in quello successivo un po' più ampio troveremo la fattoria della mora e in quello dopo ancora troveremo Canelli. Da Canelli partono le strade che giungono a Genova, ulteriore centro concentrico più ampio per sfociare poi all’America, il cerchio finale. più piccolo è il cerchio, più familiare è il Ovviamente le colline sono fondamentali in questo romanzo, rappresentandosi come scenari di violenza e di sangue. Anche se la guerra è finita, vengono ancora trovati cadaveri di fascisti sepolti. Anche la scansione degli ultimi capitoli del romanzo non rispetta l’ordine cronologico ma sembra accentuare l'andamento irregolare della memoria del personaggio. | capitoli 28 e 29 seguono le avventure di Silvia e Irene, destinate a destini infelici (Silvia muore di aborto e Irene sposa un pretendente che la maltratta). Il capitolo 30 torna indietro nel tempo, quando le ragazze sono ancora giovani, e rievoca la festa. gli ultimi capitoli ritornano al presente, quando Anguilla sta ormai per partire, Cinto viene accolto in casa da Nuto, e Nuto decide di portare Anguilla in cima alla collina. Scena finale: La scena finale del romanzo vede Il dialogo tra i due amici che si svolge durante la lunga salita alla collina dove si trova il falò di Santa, che ha un valore simbolico: Pavese pensava al viaggio di Dante sul monte del Purgatoi accompagnato da Virgilio che in questo caso è Nuto. Nuto racconta che Santa ha prima avuto rapporti con i fascisti, poi è passata a fra la spia peri partigiani, e si è stretta ad uno dei capi, Baracca. Ma poi si è scoperto che continuava a fare il doppio gioco, e lo stesso Baracca l’ha fatta processare e fucilare. Il luogo della fucilazione è proprio in cima alla collina. Il corpo di Santa verrà fatto bruciare per evitare che la sua bellezza possa eccitare qualcuno. Ma Pavese non aggiunge altro, nessun commento da parte del suo personaggio, quindi dobbiamo chiederci se il finale del romanzo chiude realmente il processo di maturazione intrapreso dal personaggio. Sembrerebbe che, alla fine, anche con la rivelazione di Nuto, la maturazione di Anguilla sia ancora lontana. Il falò di Santa rivela l'aspetto violento connesso ai miti di purificazione del fuoco, esso potrebbe alludere ad una rigenerazione storica che deve passare attraverso un sacrificio umano. Esattamente come la liberazione di Cinto da un destino di sofferenza doveva passare attraverso l’atto distruttivo del Valino. Il capro espiatori Analizzando il finale del romanzo e il falò di Santina, non possiamo non parlare del capro espiatorio e quindi del mito di Edipo. Ci accorgiamo che Edipo è soprattutto una vittima sacrificale. Una volta che ha capito che lui è la causa dell’ira degli dèi, si punisce non solo rinunciando alla corona e allontanandosi dalla città, ma accecandosi con le forcine con la quale la madre (che si è suicidata) si legava i capelli. Quello che vediamo non è altro che il rito del capro espiatorio: Se ne parla nella stessa Bibbia dove era uso comune tra i pastori ebrei quello di allontanare nel deserto o sacrificare un agnello, il quale portava via con sé tutti i mali del mondo. È questa la ragione per cui Gesù viene nel mondo a portare via i peccati: è la variante evangelica del capro espiatorio. Erano dei capri espiatori anche le streghe che venivano bruciate, proprio come avviene a Santina nel romanzo. È proprio lei che deve portarsi via i mali del mondo con la sua morte, che in questo caso fanno riferimento al male della guerra. Secondo lo studioso, René Girard, il capro non viene scelto a caso, ma secondo una precisa coincidenza di cose. Esso è vittima di una violenza collettiva: Nel caso di Cristo è la violenza degli ebrei; Nel caso di Edipo è l’ira degli di Nel nostro caso è la guerra. La morte di Santa è quella che René chiama “la crisi sacrificale”: ci deve essere una crisi in corso in cui il popolo decide di trovare una vittima che porti con sé i mali del mondo. Inoltre colui il quale deve essere sacrificato, è scelto perché ha dei “segni vittimali”, come dei marchi. Nel caso di Santa i segni sono sicuramente la sua bellezza, il fatto che amava vestirsi da uomo, ulteriore tratto della sua diversità, e la sua sessualità libera. Tutti tratti che di solito vengono prestati alle streghe. Per questa ragione Santina, tra tutti è la strega più vittimizzabile. A cosa si riferiscono i falò nel titolo: “I falò” fanno riferimento ai roghi che si fanno periodicamente durante l’anno, che indicano una specie di rigenerazione del tempo. Nella cultura siciliana, ad esempio, la rigenerazione del tempo è legata a Capodanno dove un tempo si faceva un falò bruciando le cose vecchie. | falò di cui si parla in questo romanzo sono i falò di San Giovanni, che si svolgono all’inizio dell'estate tra il 23 e il 24 giugno. Pavese recupera questa immagine del falò usato per rigenerare il tempo da un libro di Frazer intitolato “il ramo d’oro”, dove lo scrittore rintraccia l'origine di questi miti intutta Europa, dove si riteneva che la terra possa dare i suoi frutti solo se viene rigenerata. Il falò avrebbe dunque una funzione fecondatrice. Nuto stesso, quando parla dei falò, parla di una presunta virtù fecondatrice di quest'ultimi. Dato che il Sole è colui che feconda la terra, per associazione, accendendo un falò si sta simulando la sua funzione. Per questo motivo dice che il falò feconda la terra. Anguilla lo prende in giro dicendogli che è solo una credenza paesana, ma Nuto risponde che invece, nonostante non sappia come, ma la luna e i falò contano. Alla fine del romanzo abbiamo due roghi fondamentali con funzioni diverse: 1- Il rogo al casotto di Gaminella: Il Valino finisce per impazzire perché la padrona del suo fondo è venuta a contestargli alcune cose, come la richiesta di una maggiore produzione di prodotto. Quando lei se ne va, stremato dalla troppa miseria, per sfogare la sua rabbia perde la ragione e inizia a picchiare la moglie. Accorgendosi che l’ha uccisa, dà fuoco alla casa con la donna anziana ancora dentro. Andrà nei campi a cercare Cinto per ucciderlo a sua volta, ma Cinto riesce a fuggire e nascondersi. Alla fine il Valino finirà per impiccarsi in un albero. Questo primo rogo assume dunque una funzione sia fecondatrice sia espiatoria. 2- Il rogo di Santina: Come dicevamo, questo rogo è purificatore, per purificare dal male della guerra. Subito dopo il ritorno di Anguilla, su di una collina vengono ritrovati i cadaveri di due soldati fascisti. Il prete, che è rimasto fascista, inscena una propaganda. C'è quindi una crisi collettiva in cui ritornano i morti e in questo caso torna anche il fascismo. Quello della luna e i falò, è un mondo nel quale i morti restano sempre e non danno pace ai vivi. La collina finale verso la quale si fa il pellegrinaggio, Pavese stesso dice assomigliare ad una divina commedia, il viaggio di Dante, in particolare nel purgatorio, il quale si conclude con l’arrivo all’Eden. Riguardo l’Eden, gli studiosi, in particolare James Hillman, sostengono che esso sia l’immagine archetipica della fiducia originale. L’Eden è il luogo in cui l’uomo ha fiducia, e si trova in una condizione di sicurezza. Questa sicurezza è la sicurezza materna, dell’utero, ma Hillman, afferma che l’Eden è anche il luogo della sicurezza paterna, maschile. Infatti Adamo, prima ancora di avere una compagna, parla con Dio, instaurando una fiducia fondata sulla parola. Con la cacciata e la perdita dell'Eden, Adamo ed Eva vengono privati della sicurezza, abbandonati a sé stessi. Il loro primo figlio, infatti, sarà Caino, che ucciderà il fratello Abele. Si perde pertanto la sicurezza, anche tra stessi fratelli, un po' come in guerra, dove sostanzialmente quelli che uccido sono miei stetti fratelli. Si inizia a provare insicurezza nei confronti del prossimo, il che equivale al tradimento. La colpa di Santina, infatti, è iltradimento: sarà una spia. Non è la stessa cosa per Anguilla: Lui è uno che durante la guerra è stato assente. Questa assenza non è altro che il trasferimento romanzesco dell’assenza dell'autore alla seconda guerra mondiale, ma non per distanza, bensì per codardia. Cesare Pavese non partecipa alla resistenza partigiana all'occupazione tedesca come molti suoi amici, ma fugge a Torino, rifugiandosi in un convento nelle colline. Questo tema è trattato in un suo romanzo precedente “la casa in collina”. Quindi fondamentalmente abbiamo due vittime: Santina fucilata e poi al rogo e Anguilla perché non viene reintegrato nel paese, che alla fine dovrà lasciare. Se volessimo ragionare sul fine del romanzo, si tratta di un tentativo del personaggio di tornare nel luogo in cui c'erano le sue radici, di regredire al mondo primitivo, ma appunto in questo tentativo di regressione scopre quanto “regresso” a tutti gli effetti sia il mondo primitivo, e quanto da questa regressione nasca anche la guerra. Ecco perché rinuncia, perché la società contadina gli fa paura (il falò è un rito primitivo) e quindi decide di tornare “alla storia”. L'importanza dell’Ameria per Pavese e nella /una e i falò: Nel suo percorso letterario, Pavese aveva già incontrato l'America. Era artefice, insieme a Vittorini, del cosiddetto mito americano. Ovvero la diffusione in Italia della letteratura americana e dei suoi miti. Ispirato dai romanzieri americani, Pavese scrive un’opera intitolata mari del sud. Essa presenta il caso di un esule, il quale ha lasciato il proprio paese con la famiglia, dove però vi torna e insieme al nipote sale in cima ad una collina. Stessa cosa di Anguilla. Lo zio parla al nipote della sua esperienza americana, raccontando più miti che esperienze reali: dice ad esempio di aver incontrato il cetaceo (mobydick), intendendo che il suo viaggio è stato un viaggio nel mondo mitologico prima ancora di un viaggio reale in America. A differenza di questa poesia però, l'America che appare nella /una e i falò è molto diversa: il protagonista si sporca dei lavori più umili, come ad esempio nei campi. Questo lavoro nei campi è importante, perché da subito Anguilla si accorge che fare il contadino in America ha un altro significato, perché le vigne gli sembrano giardini, perdendo la connotazione umile e legata alla terra che hanno in Piemonte. Tra le scene più importanti di Anguilla in America, vi è quella dove lui si trova in mezzo al nulla (ghost town) col suo camioncino, dove appare una luna grande e rossa tipica dei deserti della quale ha tremenda paura. È evidente il recupero del valore mitico della Luna, valore ambivalente, dato che la luna nella mitologia greca assume vari nomi di diverse divinità legate sia al mondo celeste che al mondo dei morti. In America torna il tema della nostalgia: incontra un Piemontese che, a sorpresa di Anguilla, conosce Nuto. Se da un lato l'America rappresenta lo spaesamento, questa nostalgia del paese è un vero medicamento. Sotto questo punto di vista, sono importanti due parole tedesche per indicare la nostalgia: -Heimweh, la nostalgia della casa; -Fernweh, la nostalgia dell’altrove. Sentimenti rispecchiati nella figura di Anguilla.
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