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La mentalizzazione e il ruolo dell'attaccamento nello sviluppo, Dispense di Psicologia Clinica

Il concetto di mentalizzazione e il suo ruolo nello sviluppo umano, con particolare attenzione all'importanza dell'attaccamento nelle prime relazioni di cura. Si analizzano le origini del concetto di mentalizzazione e la sua relazione con l'attaccamento, evidenziando come la capacità di mentalizzare dipenda dall'interazione con menti mature e sensibili. Inoltre, si esplorano le correlazioni tra mentalizzazione e genitorialità, evidenziando come la capacità della madre di pensare alla mente del proprio figlio sia associata sia all'attaccamento sicuro che alla mentalizzazione.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 13/09/2023

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giorgia-valentini-7 🇮🇹

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Scarica La mentalizzazione e il ruolo dell'attaccamento nello sviluppo e più Dispense in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! Parte prima IL CONCETTO DI “METALIZZAZIONE” (TEORIA E RICERCA) 1. MENTALIZZAZIONE? (IL CONCETTO E LE SUE BASI NELLA RICERCA SULLO SVILUPPO) INTRODUZIONE: CHE COS’È LA MENTALIZZAZIONE? Quando mentalizziamo svolgiamo un’attività mentale immaginativa che consente di cogliere e interpretare il comportamento umano in termini di stati mentali (bisogni, desideri, emozioni, credenze, obiettivi, intenzioni e motivazioni). Inoltre, è necessaria per capire le nostre stesse esperienze mentali: è di vitale importanza per l’auto-organizzazione e per la regolazione affettiva. La capacità di infierire e rappresentarsi gli stati mentali altrui potrebbe essere unicamente umana; tuttavia, la misura in cui ognuno di noi è in grado di padroneggiare tale abilità è influenzata dalle nostre prime esperienze e dalla nostra ereditarietà genetica. ORIGINI DEL CONCETTO DI MENTALIZZAZIONE Il concetto si è sviluppato all’interno di studi empirici, in cui la sicurezza dell’attaccamento infantile risultava predetta da:  Sicurezza dell’attaccamento dei genitori  Dalla capacità dei genitori di pensare e capire in termini di stati mentali la loro relazione infantile con i propri genitori Originata anche dal lavoro psicoanalitico con i pz. borderline: la loro caratteristica fondamentale è infatti quella del rifiuto ad interessarsi agli stati mentali.  L’idea di base è stata rivisitare l’ipotesi che considera la capacità di rappresentare sé stessi e gli altri nei termini di stati mentali come inevitabile conseguenza della maturazione (che si presenta a 4 anni), ma piuttosto di ritenerlo come esito di uno sviluppo radicato nella qualità delle prime relazioni (nei borderline manca per via delle relazioni disfunzionali coi genitori). Si è osservato che le tipologie di pensiero dei borderline non fossero dissimili dai modi in cui i bambini considerano la loro esperienza interiore. Si sostiene perciò che lo sviluppo ottimale della capacità di mentalizzare dipenda dall’interazione con menti mature e sensibili e, di conseguenza, sia indispensabile considerare il ruolo dell’attaccamento: la mentalizzazione va considerato come costrutto multidimensionale che coinvolge sia una componente autoriflessiva, si interpersonale (basata sulla riflessione degli altri e sui loro stati mentali) ATTACCAMENTO E MENTALIZZAZIONE Le prime relazioni di cura costituiscono la chiave del normale sviluppo in tutti i mammiferi: i comportamenti di attaccamento dei bambini vengono attivati quando si sente insicuro, e l’obiettivo è sperimentare un senso di sicurezza: l’attaccamento costituisce così un primo e principale regolatore di esperienze emotive. Verso la fine del primo anno, infatti, il bambino sembra comportarsi sulla base di specifiche aspettative, derivate dell’aggregazione di esperienze passate in sistemi rappresentazionali chiamati MOI (Modelli Operativi Interni), i quali forniscono dei prototipi per tutte le relazioni successive, stando al di fuori della consapevolezza. Le relazioni d’attaccamento svolgono un ruolo principale anche per la trasmissione della sicurezza: l’attaccamento insicuro e quello disorganizzato sono fattori di rischio per lo sviluppo emotivo e sociale non ottimale; tuttavia, il percorso che porterebbe poi al successivo disturbo psicologico è complesso (non diretto), coinvolge infatti fattori di rischio e di resilienza, che interagiscono con le fasi passate e future dello sviluppo. (resta comunque un fattore di vulnerabilità). Il maggior vantaggio evolutivo che dell’attaccamento, è l’opportunità che dà al bambino di sviluppare l’intelligenza sociale: garantisce che i processi cerebrali della cognizione sociale siano organizzati preparati per consentire di vivere e lavorare con le altre persone. La formazione delle relazioni di attaccamento è supportata da almeno 2 sistemi neurobiologici: 1. Connessione tra esperienze di attaccamento ai circuiti della ricompensa e del piacere 2. E collegamento tra l’aumentata comprensione sociale al contesto di attaccamento COMPRENDERE LA RELAZIONE DI ATTACCAMENTO E LA MENTALIZZAZIONE se l’attaccamento è alla base dell’emergere della mentalizzazione ci si dovrebbe aspettare che i bambini sicuri abbiano prestazioni migliori in questo ambito  generalmente questi 2 (attaccamento sicuro e mentalizzazione) sembrano soggetti a influenze sociali simili, che sono: 1. MENTALIZZAZIONE E GENITORIALITÀ La capacità della madre di pensare alla mente (mind-mindedness) del proprio figlio sembra essere associato sia all’attaccamento sicuro che alla mentalizzazione: sembra infatti la mentalizzazione della madre, e non la sua sensibilità, a costituire il predittore + significativo della sicurezza dell’attaccamento.  Legame tra capacità genitoriale di mentalizzare il bambino (da un lato) e sviluppo della mentalizzazione e attaccamento sicuro nel bambino (dall’altro): dove quindi la genitorialità mindful sviluppa sia l’attaccamento sicuro che la mentalizzazione. Bisogna però tenere a mente che queste correlazioni potrebbero essere spiegate sia come effetti del genitore sul bambino, sia come effetti del bambino sul genitore (direzione della correlazione non chiara). Però l’acquisizione della mentalizzazione è un processo comune, che pare + opportuno considerare l’attaccamento sicuro come una condizione che permetta il suo svilupparsi senza ostacoli, non come un fattore che fornisca una facilitazione attiva della sua insorgenza: allora per comprendere meglio l’interazione tra questi 2 elementi bisognerebbe guardare alle situazioni in cui gli elementi per lo sviluppo della mentalizzazione sono assenti. 1. Durante la seconda metà del primo anno (6-12 mesi): il bambino inizia a diventare capace di cogliere le relazioni causali tra le azioni e comprendono sé stessi come agenti teleologici che possono scegliere il modo più efficiente di raggiungere un obiettivo. Tuttavia, la fase di agentività è intesa esclusivamente nei termini di azioni: non ha ancora un’idea dello stato mentale 2. Durante il secondo anno: Il bambino comincia a capire che sé stesso e gli altri sono agenti intenzionali, le cui azioni sono causate da stati mentali sottostanti (cominciano ad acquisire un linguaggio sugli stati interni). Tuttavia, egli non è ancora in grado di rappresentarseli in modo indipendente dalla realtà fisica e non ha ancora pienamente raggiunto la distinzione tra interno ed esterno, e apparenza e realtà (ossia la realtà talvolta è vissuta come molto convincente, e altre volte come irrilevante: “equivalenza psichica” e “modalità del far finta”). 3. Intorno ai 3-4 anni: comincia a cogliere che le azioni delle persone sono causate delle loro credenze: durante i 4 anni le abilità di mentalizzazione fanno un salto di qualità, egli trasforma le sue interazioni sociali. La comprensione che il comportamento umano può essere influenzato da stati mentali transitori, così come da caratteristiche stabili (personalità, capacità), crea la base per una struttura che sostiene l’emergente concetto di sé. Così porta a termine il periodo in cui la mentalizzazione è stata acquisita attraverso la mediazione di una mente adulta, per arrivare ad una fase di ricerca di migliorare la sua capacità di comprendere sé stessi e gli altri in termini di stati mentali, attraverso legami con le persone che condividono i propri interessi. 4. Durante il 6 anno: egli mette in relazione i suoi ricordi all’interno di un’organizzazione causale-temporale che conduce alla costruzione del sé stesso nel tempo. In + ulteriori competenze della ToM entrano a far parte del repertorio del bambino: emozioni miste, il modo in cui i pregiudizi/aspettative possono influenzare l’interpretazione di eventi... LA SOGGETTIVITÀ PRIMA DELLA MENTALIZZAZIONE In un primo momento il bambino presuppone che quello che lui conosce sia conosciuto anche dagli altri e viceversa: il senso di unicità della propria prospettiva si sviluppa lentamente (non in termini di integrità fisica che possiedono già dai 3 mesi, ma si intende senso di unicità riguardo la conoscenza, che i bambini ritengono sia comune e condivisa, che tutti possiedano le stesse conoscenze che loro hanno) (una spiegazione al perché i bambini abbiano esplosioni di rabbia potrebbe essere che si aspettano che gli altri sappiano cosa pensano). Nello sviluppo della mentalizzazione da 2 a 5 anni avviene una transizione: da una modalità scissa dell’esperienza  alla mentalizzazione:  in alcuni casi il bambino equipari il mondo interno a quello esterno: l’equivalenza psichica può causare disagio intenso poiché se l’esperienza di una fantasia viene considerata come reale, può essere terrificante.  In altri casi invece il bambino separa nettamente il mondo il mondo esterno da quello interno: è nella modalità del far finta che il bambino non pare in grado di poter utilizzare il concetto di stati mentali, se non quando possono separarlo nettamente dalla realtà fisica (mondo interno ritenuto estremamente reale e senza  Infine, nella modalità teleologica il bambino attribuisce l’intenzione soltanto a partire da qualcosa che appare fisicamente  Però a 4 anni il bambino, integrando queste modalità, giunge alla mentalizzazione: la realtà interna e quella esterna possono esser ora viste come collegate, pur differenziandosi tra loro, e l’una non deve esser equivalente o dissociata dall’altra. Tuttavia, in determinate circostanze le forme prementalistiche della soggettività possono ancora riemergere. LA MENTALIZZAZIONE NELLE FAMIGLIE È nella famiglia che i rapporti tendono ad essere + carichi e intensi a lvl. emotivo: è infatti un contesto che ha la potenzialità quotidiana di stimolare una perdita di mentalizzazione. I problemi di mentalizzazione si presentano lungo uno spettro che va da problematiche lievi e specifiche fino ad atteggiamenti non mentalizzanti, profondamente distruttivi:  Possono verificarsi problemi specifici nella mentalizzazione: che riguardano soltanto stati mentali appartenenti ad una particolare situa).  Potrebbero essere legati allo stress: se esposti a forti pressioni si può perdere la capacità di pensare a pensieri/sentimenti altrui, drammatici fallimenti temporanei col rischio di attribuire sentimenti imprecisi o malevoli, con la conseguenza di far crescere emozioni di risentimento e sfiducia (la rappresentazione mentale degli altri può essere cancellata o sostituita da un’immagine vuota/ostile attraverso l’attribuzione di sentimenti gravemente imprecisi o malevoli).  Oppure potrebbero presentarsi quando il bambino rende inaccessibili i suoi stati mentali: lasciandogli la sensazione che lui e il suo genitore non si comprendono vicendevolmente, limitando la motivazione di entrambi a rendersi disponibili per farsi capire.  Problemi di salute mental e possono compromettere la mentalizzazione nelle famiglie in vari modi: un bambino in queste famiglie può rispondere ipermentalizzando per prendersi cura del suo genitore, o al contrario disimpegnarsi dallo stato mentale degli adulti: in entrambi i casi, l’interesse del bambino per i propri stati mentale diminuisce, come conseguenza della compromissione dell’abilità di mentalizzare dei genitori.  I genitori con alti livelli di attivazione (es: stati di ansia cronica) tendono a essere troppo occupati con il mondo interno del bambino, caricando il figlio delle proprie preoccupazioni: quando sia bambino che genitore mentalizzano eccessivamente nei loro confronti, fallisce la comunicazione diretta fra di loro. Questi processi diadici, quando si svolgono in un contesto familiare, tendono ad influenzarne tutti i membri che si sforzeranno a loro volta di mentalizzare la relazione in questione.  Come la mentalizzazione all’interno di un contesto familiare può favorire ulteriore mentalizzazione, la non mentalizzazione può portare ad altra non mentalizzazione: - Nelle famiglie che hanno confini labili (invischiate), possono manifestarsi forme di mentalizzazione intrusiva: la separazione tra le menti non viene rispettata e ciascun membro è fermamente convinto di sapere ciò che l’altro pensa e prova. Se queste famiglie può sembrare che abbiano una buona mentalizzazione, paradossalmente, loro non vivono la sensazione di esser capiti  sono forme pseudomentalizzanti: la mentalizzazione viene così vissuta come ostruttiva e disorientante, portando alcuni membri a evitare del tutto ulteriori sforzi di mentalizzazione. (in questi casi, nelle affermazioni non mentalizzanti, non risulta utile tentare di comprenderne il significato, che quasi certamente p un tentativo destinato a fallire, che in un circolo vizioso porta ad ulteriore non mentalizzazione) - All’estremo dello spettro della non mentalizzazione si trova il suo uso abusante: la comprensione degli stati mentali non è direttamente compromessa ma è utilizzata in maniera scorretta: es. usare lo stato mentale del bambino per colpevolizzare/”risolvere” dei problemi coniugali (in questi casi i sentimenti dei figli vengono in genere esagerati o distorti a favore delle intenzioni inespresse dei genitori, oppure usato come coercizione dei pensieri del bambino, umiliandolo deliberatamente dei suoi pensieri/sentimenti, infine la mentalizzazione usata contraddicendo completamente la realtà del bambino). CONCLUSIONE Il legame tra lo sviluppo atipico della cognizione sociale durante l’infanzia  e la psicopatologia in età adulta può esser parzialmente mediato dalla mentalizzazione: implica che un’attenzione al processo di mentalizzazione potrebbe migliorare la pratica clinica. Inoltre, se il terapeuta pone il focus sulla mentalizzazione, si concentra sui processi mentali e non si impegna nella ristrutturazione cognitiva, non lavora per fornire insight e non tenta di modificare direttamente il comportamento. I cambiamenti (intesi come miglioramenti: modifica comportamento, più insight, ecc...) si verificano invece più come una conseguenza del cambiamento nella mentalizzazione. La mentalizzazione potrebbe essere vista come uno dei diversi fattori che accomunano le psicoterapie, esse infatti, a prescindere da quale sia il loro focus, condividono il potenziale di ricreare una matrice relazionale di attaccamento all’interno della quale è possibile far sviluppare la mentalizzazione. Inoltre, avere in mente la mente del paziente renderà più efficaci gli sforzi terapeutici. La mentalizzazione è un costrutto evolutivo, e siccome la mentalizzazione è un processo psicologico fondamentale e ha a che fare con tutti i principali disturbi Il “paradosso” del BPD riguarda la presenza in contemporanea di un apparente scarso funzionamento interpersonale e di un’elevata sensibilità emotiva. Infatti i problemi di mentalizzazione negli adolescenti con tratti borderline si associano all’ipermentalizzazione: ossia presentano la tendenza a fare inferenze, basate su indizi sociali, eccessivamente complesse, che risultano erronee, essi iperinterpretavano i segnali sociali. In uno studio è stata osservata la presenza di un effetto di mediazione: la difficoltà nella regolazione emotiva media il rapporto tra ipermentalizzazione e tratti borderline. Al contrario degli schizofrenici l’ipermentalizzazione non deriva da un’incapacità di riconoscere gli stati mentali in sé e negli altri (la maggior parte degli studi mostra che i DPB siano capaci di riconoscere gli stati mentali), ma piuttosto potrebbe essere una conseguenza dovuta alle loro storie traumatiche passate  l’ipermentalizzazione non è risultato della “cecità mentale” ma riguarda invece la tendenza a scontrarsi con l’integrazione e la differenziazione degli stati mentali. Infatti, i BPD presentano una responsività elevata allo stress, e tale aumento della risposta allo stress, influenza a sua volta la capacità di mentalizzare: l’ipermentalizzazione può svilupparsi non solo in seguito ad abusi, ma anche in assenza dei fattori protettivi che smorzano l’influenza dello stress (così l’esposizione a stress cronici ed episodici e un contesto di attaccamento insicuro sono cause ambientali che contribuiscono allo sviluppo dell’ipermentalizzazione).  Dal momento che usando i farmaci nel trattamento dei borderline si possono soltanto ridurre i sintomi di impulsività e instabilità affettiva, ma manca invece un “farmaco relazionale”, si evidenzia l’importanza di approcci che consentano di migliorare l’endofenotipo relazionale determinato dall’ambiente. UNA TEORIA DELLA MENTE “CATTIVA”: LA MENTALIZZAZIONE DISTORTA NEI DISTURBI ESTERNALIZZANTI Tali problemi esternalizzanti si riferiscono a comportamenti antisociali dirompenti (dist. della condotta e oppositivo provocatorio). Una delle caratteristiche distintive dei problemi esternalizzanti sono le difficoltà interpersonali: tendono ad avere scarsi rapporti con i coetanei e coi genitori. Queste difficoltà sono probabilmente dovute alla loro tendenza di attribuire agli altri intenzioni ostili nelle situa ambigue, rispondendo di conseguenza in maniera aggressiva agli altri perché si aspettano, anche in assenza di evidenze, di essere aggrediti  è una forma di mentalizzazione distorta. (sono caratterizzati da una mentalizzazione eccessivamente positiva quando riguarda le interpretazioni dei pensieri che gli altri fanno in relazione a loro, e compensano i deficit nella comprensione delle emozioni attraverso il fornire risposte socialmente desiderabili). LA PSEUDOMENTALIZZAZIONE Per i bambini con un più grave disturbo esternalizzante (tipo gli psicopatici), vi sono altri disturbi di mentalizzazione. Ad esempio, i bulli possiedono in realtà una capacità di mentalizzazione avanzata (diventano probabilmente abili lettori della mente in risposta ad ambienti ostili). Questo impegno nella lettura della mente assomiglia alla mentalizzazione, ma è in realtà una pseudomentalizzazione poiché manca di alcune sue caratteristiche essenziali: infatti essa implica l’utilizzo della mentalizzazione per manipolare o controllare il comportamento altrui, invece di usarla per una genuina curiosità con rispetto per le menti altrui (non è definita come abilità, perché non viene usata per scopi che migliorano la capacità di un buon funzionamento interpersonale). Uno dei migliori esempi riguarda la psicopatia: dove la lettura della mente è a carico delle regioni cerebrali prefrontali (del pensiero), piuttosto che di quelle delle “emozioni”. Distinguono tra l’assunzione di prospettiva e l’empatia: dal momento che l’empatia comporta una risposta emotiva allo stato altrui, essa può essere vista come una conseguenza dell’assunzione di prospettiva altrui  richiede la rappresentazione dello stato interno di un’altra persona e quindi la mentalizzazione. Inoltre, negli psicopatici vi è un’alterazione nel funzionamento dell’amigdala: essa gioca un ruolo fondamentale nell’apprendimento basato sul rinforzo e nel fornire informazioni sull’aspettativa di rinforzo, favorendo così l’attuarsi di un buon processo decisionale  l’alterazione di questi processi ostacola infatti la socializzazione, la quale avviene attraverso il rinforzo LA MENTALIZZAZIONE E I PROBLEMI INTERNALIZZANTI la cognizione sociale nei bambini con disturbi d’ansia è caratterizzata da ipervigilanza, ed essa sarebbe una conseguenza di un deficit della ToM: bambini ansiosi mostrano difficoltà della comprensione e gestione delle situazioni sociali in cui sono presenti più stati mentali, e ciò conduce a: a) Deficit di abilità sociale b) ipervigilanza che manifestano quando non possiedono una conoscenza delle menti altrui anche in questo caso si connette il deficit nella cognizione sociale ad un uso distorto della mentalizzazione (esattamente come è stato ipotizzato avvenga anche per la schizofrenia) Per la depressione vi sono meno conferme, ma il fatto che il trattamento basato sulla mindfulness (che è fondamentalmente l’applicazione clinica della mentalizzazione) funzioni anche nel trattamento della depressione, lascia intendere che quest’ultima sia legata a qualche deficit della mentalizzazione. CONCLUSIONE Queste ricerche mostrano come la mentalizzazione sia un importane endofenotipo su cui centrare i trattamenti, fornendo così un fondamento scientifico. Inoltre, mettono in luce come nei diversi disturbi infantili si riflettano vari aspetti della mentalizzazione: essa non è infatti un blocco unico, ma si distribuisce in maniera non uniforme  la mentalizzazione, proprio per il fatto che si distribuisca in modo non uniforme all’interno dei disturbi e trasversalmente ad essi, se assente risulta come un problema riguardante sempre le stesse funzioni, ma che assume forme diverse. Parte seconda INTERVENTI CLINICI 4. IL TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE PER GENITORI (MBT-P) CON DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ E I LORO BAMBINI L’unità per il trattamento basato sulla mentalizzazione all’interno del centro di psicoterapia del Viersprong è dedicata al trattamento di pz. Con gravi disturbi di personalità, in particolare di quelli col disturbo borderline, dove vengono proposte varie versioni di MBT. STRUTTURA DEL TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE PER GENITORI Gli ingredienti Il MBT-P combina:  MBT ambulatoriale intensivo (MBT-IOP): costituito da sedute di psicoterapia di gruppo e individuale (integrato se necessario con farmacoterapia). Entrambe le sedute si focalizzano sull’incremento della mentalizzazione del pz.  con un modulo genitore-bambino: si focalizza sulla funzione riflessiva genitoriale, usando video-feedback e altre tecniche, e consiste in psicoterapia genitore-bambino e in un training di gruppo. L’équipe MBT-P è coinvolge diversi terapeuti (che sono diversi tra l’MBT-IOP (2) e il modulo genitore-bambino (1), in modo che venga rispettata la differenziazione della focalizzazione rispettivamente sui temi individuali e sulla relazione), un operatore psicosociale e uno psichiatra ed è importante che collaborino strettamente in modo da garantire la congruenza e coerenza del trattamento la pianificazione del trattamento all’inizio lo psicoterapeuta individuale e il pz. Formulano un programma del trattamento che comprende 5 obiettivi riguardanti i seguenti temi: a) coinvolgimento nella terapia b) disturbi psichiatrici c) difficoltà relazionali d) comportamento autodistruttivo e) frequenti ospedalizzazioni Ogni 3 mesi hanno luogo le valutazioni del piano di trattamento con équipe e pz.: che costituiscono “momenti di sintonizzazione” tra pz. ed equipe allo scopo di valutare gli obiettivi del trattamento e, se necessario, riformularli. + si accorda anche un “piano per le crisi”, nel quale il bambino assume una posizione centrale La psicoterapia individuale genitore-bambino Il modulo genitore-bambino può esser suddiviso in 3 fasi di trattamento: 1. fase iniziale: l’obiettivo è la valutazione della funzione riflessiva genitoriale e il coinvolgimento del pz. nel trattamento. Comprende la costruzione di un’alleanza di lavoro e il proporre un intervento psicoeducativo 2. fase centrale: volta a migliorare la funzione riflessiva con interventi focalizzati sulla relazione genitore-bambino, basati su video-feedback che consistono nel consegnare una videocamera al genitore per riprendere i momenti “difficili” che affronta a casa, e i momenti di “forza” genitoriali. Successivamente terapeuta e pz. guardano le registrazioni riflettendo sulle fragilità e sulle risorse. L’attenzione rimane sempre sullo stato mentale del genitore e del bambino, che attraverso il videofeedback è accentuata in quanto esso obbliga il genitore ad assumere una prospettiva in terza persona. 3. Fase finale: sviluppano un programma per il follow-up con l’obiettivo di consolidare e migliorare la funz. Riflessiva e di stimolare la responsabilità e indipendenza genitoriali (focalizzarsi sia sui risultati positivi, sia sugli aspetti da migliorare). Training di gruppo sulla mentalizzazione esplicita Gli obiettivi riguardano:  Il disturbo borderline di personalità (definirlo, che cos’è la mentalizzazione e come si presenta in relazione al BPD, e come DBP e il fallimento della mentalizzazione influiscono sulla relazione col bambino)  La genitorialità (cosa si prova ad essere genitore, difficoltà e pt. di forza, come trattare un bambino)  Interazione tra pensieri, sentimenti e intenzioni (riconoscere che anche bambini hanno propri pensieri, e genitore e bambino hanno menti separate)  Attaccamento e trasmissione intergenerazionale (come la propria infanzia può influenzare la genitorialità)  Separazione-individuazione (come gestire ed interpretare questi momenti)  Sviluppo emotivo e regolazione emotiva (genitorialità può suscitare intense emozioni, come riconoscerle e affrontarle) Ogni incontro si apre con l’introduzione dei temi, e la discussione va a stimolare in modo strutturato la mentalizzazione dei partecipanti su tali argomenti, trattando anche di esperienze personali. Attraverso il lavoro di gruppo è possibile imparare a dare risalto anche alle prospettive alternative. ATTEGGIAMENTO TERAPEUTICO E PRINCIPI DI INTERVENTO NEL MBT-P I principi di intervento utilizzati per promuovere la mentalizzazione genitoriale: l’atteggiamento terapeutico - questo atteggiamento consiste nell’adozione da parte del terapeuta di una posizione di “non conoscenza”: ossia il terapeuta deve riconoscere, accettare e legittimare col pz. i pt. di vista differenti e chiedere descrizioni dettagliate delle esperienze piuttosto che chiedere spiegazioni (riconoscendo la conoscenza opaca della mente del paziente stesso). Il terapeuta tenta di aiutare il pz. a capire che gli stati mentali sono opachi, tollerando l’incertezza e stimolando la curiosità a individuare gli stati mentali, riconoscendo che quelli del bambino/altri sono diversi dai propri (focalizzandosi sulle 3 relazioni in gioco: terapeuta-genitore, terapeuta-bambino, genitore- bambino). - Altro atteggiamento terapeutico è quello pedagogico: consiste nei segnali ostensivi, che sono il contatto oculare e il rispecchiamento affettivo marcato, i quali favoriscono in maniera diretta l’apprendimento e le rappresentazioni dei propri stati mentali. L’abilità della comunicazione ostensiva richiede nel genitore la funzione riflessiva. Il terapeuta per primo dovrebbe adottare l’atteggiamento pedagogico, e utilizzare quindi la comunicazione ostensiva, fungendo da modello per il genitore. Focus sugli stati mentali attuali Gli interventi dovrebbero essere di facile comprensione coinvolgendo attivamente il pz., infatti si focalizzano sugli stati mentali nel qui ed ora (piuttosto che sul comportamento), riguardano ciò che sta accadendo: l’obiettivo è aiutare il genitore ad attribuire significato al comportamento del bambino nel senso di cosa sta provando/pensando (non di cosa stia facendo). Questo implica che durante la seduta terapeuta e pz, si muovano continuamente tra la mentalizzazione su sé stessi e sull’altro, e sull’interazione genitore-bambino. Focus sull’affetto Significa tentare di cogliere l’affetto nell’immediatezza del momento, non in relazione al contenuto della storia, ma a ciò che sta accadendo nel qui ed ora della seduta, tra genitore e figlio: sperimentare queste emozioni, dare loro un nome, differenziarle... sono chiavi importanti di cambiamento. Durante ciò il terapeuta deve però rimanere flessibile: deve calibrare l’intensità emotiva, poiché un’attivazione eccessiva rende il genitore vulnerabile alla deattivazione della mentalizzazione controllata (e in questi casi allora risulterà più utile esplorare una situazione accaduta nel passato) Modelling della riflessività genitoriale È importante che il terapeuta funga da modello per il funzionamento riflessivo, mostrando una rappresentazione degli stati mentali del bambino, ottenuto focalizzandosi sugli stati interiori del piccolo. Focus sulle risorse genitoriali Il MBT-P si focalizza quanto + possibile sui pt. di forza presenti, in modo da costituire un intervento rassicurante e supportivo (che aiuta a ridurre i lvl. di attivazione): il genitore imparerà + facilmente da quegli interventi in cui i suoi sentimenti vengono rinforzati piuttosto che criticati (e allo stesso momento permette anche di focalizzarsi sulle sue vulnerabilità) Discutere ed elogiare Quando il terapeuta osserva nel genitore la pseudomentalizzazione è importante che lo riconosca e che lo faccia notare al pz., coì da ripristinare la mentalizzazione, mentre nei momenti di mentalizzazione positiva, può essere utile e motivante rinforzarla, aiutandolo a cogliere i suoi benefici sul genitore, sul bambino e sulla relazione. nella terapia è compito del terapeuta aiutare la famiglia a: - dare un senso al modo in cui i sentimenti vengono esperiti da ciascun membro - come quella di evidenziare le modalità disfunzionali attraverso cui tali sentimenti portano a interazioni che mantengono i problemi familiari per farlo è appunto necessario trovare l’equilibrio tra osservazione e intervento nei momenti critici, e vi sono alcuni fattori che contribuiscono nel suo mantenimento, tra i quali va considerato l’atteggiamento del terapeuta (inteso come caratteristiche personali: tende a stare un passo indietro/è interventista), i suoi script familiari, la sua formazione, ma può essere dovuto anche al tipo di famiglia stesso che gli sta di fronte in quel momento  L’equilibrio può riguardare anche il tentativo attivo di sostenere un bilanciamento tra diversi tipi di polarità: - pensare e provare - azione e riflessione - mentalizzazione implicita e mentalizzazione esplicita: questo principio di equilibrio sottolinea come la mentalizzazione non sia una capacità che una persona cerca continuamente di mantenere (sarebbe insostenibile e non sarebbe nemmeno proficuo: estinguerebbe la spontaneità e comporterebbe dei rischi), ma il suo uso equilibrato prevede che essa venga usata in momenti in cui è necessario impiegarla  Inoltre, accorgersi che i membri di una famiglia incontrano difficoltà nell’attribuire senso a se stessi e agli altri è tanto importante quanto evidenziare e rinforzare la mentalizzazione positiva (equilibrio tra rinforzo/interruzione) Mantenere l’equilibrio è quindi un processo importante di sintonizzazione con i bisogni familiari, che devono essere visti all’interno del contesto di una relazione terapeutica sintonizzata, considerando per ogni singola famiglia, in che maniera sia + utile mantenere l’equilibrio. IL CICLO MBT-F È una cornice che consente ai terapeuti di strutturare le sedute per meglio supportare sia la sua mentalizzazione che quella della famiglia, e non costituisce un semplice ciclo ma va concepita come una spirale: un ritorno a un passaggio precedente che non è mai identico (questo perché il tutto avviene in un contesto di apprendimento, dove nuove info potevano non essere presenti nel passaggio precedente). Il terapeuta attua questo ciclo quando impiega il suo processo di osservazione/mentalizzazione delle relazioni intrafamiliari, e poi restituisce il tutto alla famiglia, nel tentativo di attivare il processo riflessivo in ogni membro. Come parte del processo di attribuzione di senso ai sentimenti di ciascuno, la “verifica” ne è una parte importante che consiste nell’atteggiamento (messo in atto dal terapeuta) che conferma i limiti della nostra lettura della mente: è un tipo di curiosità che investiga osservando o riportando le interazioni in un modo ingenuo, che riconosce l’opacità della mente “magari ho colto questo dato che è sbagliato, ma le dispiace se io...?”  se il terapeuta ha davvero interpretato scorrettamente, allora può avere luogo una discussione di quanto avvenuto. Questo lavoro di verifica della propria comprensione è una dimostrazione attiva di interesse per la prospettiva altrui PRIME VALUTAZIONI DELL’MBT-F Il monitoraggio del servizio è una componente importante del modello stesso della mentalizzazione: sono infatti essenziali il feedback e la capacità di vedere le cose dalla prospettiva altrui. È stato osservato che il trattamento porta a:  Riduzione sistematicamente significativa delle difficoltà comportamentali ed emotive nei bambini e nei ragazzi, come riferito dai genitori  Riduzione globale dell’impatto che tali difficoltà hanno sia per l’individuo sia per il funzionamento familiare Sono miglioramenti nel funzionamento sociale ed emotivo (riduzione del disagio emotivo e dell’impatto che esso ha sulle famiglie) assai significativi, che è impossibile che siano soltanto dovuto al caso 6. LE TERAPIE BASATE SULLA MENTALIZZAZIONE CON I BAMBINI ADOTTATI E LE LORO FAMIGLIE INTRODUZIONE Il lavoro con i bambini adottati fa riferimento:  al trattamento MBT-F  abbinato alla terapia di gioco MBT per i bambini piccoli o alla terapia di gruppo MBT per gli adolescenti adottati L’IMPATTO DELL’ESPERIENZA PRECOCE SUI BAMBINI ADOTTATI Come i bambini riescono ad affrontare traumi fisici dipende in buona parte della qualità delle relazioni di attaccamento nella loro vita: i traumi irrisolti possono avere un impatto sul comportamento di attaccamento dei bambini adottati verso i loro caregiver, e ciò può sfociare in differenti conseguenze nel modo in cui i vari bambini sono in grado di relazionarsi con sé e gli altri (differenze che dipendono (1) dalla natura delle condizioni vissute precedentemente al collocamento in famiglia, (2) dai punti di forza e vulnerabilità del bambino e (3) dalle condizioni della famiglia adottiva). I bambini adottati tra gli 11 e 16 mesi subiscono, nel primo semestre dopo l’adozione, un grande salto evolutivo in aree specifiche, quali lo sviluppo mentale e la crescita fisica  si ipotizza che l’insicurezza dell’attaccamento e le difficoltà emotive e comportamentali aumentino come risultato di un’adozione avvenuta dopo i 6 mesi d’età o in seguito ad abusi (istituzionalizzazione prolungata presenta dei rischi, in particolare nello sviluppo del funzionamento socioemotivo). SFIDE PER I GENITORI ADOTTIVI In una composta da madre e bambino con attaccamento sicuro le esperienze del piccolo sono ripetutamente mentalizzate dal genitore e il bambino può trarne profitto da ciò, sentendosi compreso e riconosciuto  I bambini adottati spesso mancano di queste esperienze nei loro primi anni di vita e ciò può inibire la loro capacità di sentirsi compresi, ritardando questo specifico aspetto del loro sviluppo emotivo. Infatti, genitore e bambino non conoscono ancora la loro storia reciproca o non parlano la lingua l’uno dell’altro: per questo genitori e bambini adottivi spesso faticano a comprendersi, la relazione spontanea può non verificarsi, e inoltre a complicare il tutto, spesso il bambino non riesce nemmeno a denominare i sentimenti che prova: senza un supporto da parte del genitore nella mentalizzazione il bambino non sa connettere/trasferire le memorie codificate all’interno della memoria implicita non verbale, alle memorie esplicite verbali e consce, e i genitori hanno spesso difficoltà complementari nel decodificare/riflettere sui comportamenti del bambino. IL MBT-F CON I BAMBINI ADOTTATI E LE LORO FAMIGLIE Gli obiettivi riguardano:  sostenere gli sforzi dei genitori e degli insegnanti per comprendere il comportamento del bambino adottato (e per farlo vengono condivise molte delle conoscenze riguardo attaccamento, i traumi e la mentalizzazione).  Aumentare la comprensione reciproca e la sintonia all’interno della famiglia: provando a stimolare la curiosità dei sentimenti di ogni membro, e la comprensione delle modalità con cui vengono espressi e compresi. Nell’MBT-F: È importante supportare i genitori poiché i comportamenti emotivamente intensi del bambino possono lasciare dubbi sulla loro competenza genitoriale, sbilanciando così le relazioni: è importante considerare le loro aspettative di genitorialità precedenti perché, se idealizzate, si sono andate a scontrare con una realtà differente, e ciò può essere doloroso (farlo attraverso il racconto di storie personali per fare i conti coi loro conflitti interiori).  e quindi all’interno della terapia si procede nella direzione di rendere i genitori consapevoli di queste loro aspettative. Inoltre, figli e genitori adottivi possono coltivare diverse storie fantasiose sul loro rapporto che talvolta sono incompatibili: la sfida è la costruzione di una narrazione coerente sull’adottato e sulla sua famiglia  vanno esplorate così queste aspettative e le loro esperienze riguardo la situa attuale per aumentare la loro capacità di mentalizzare esplicitamente, inoltre, i genitori faticano a stabilire dei limiti chiari per i loro figli, d’altra parte questi bambini manifestano problemi comportamentali e possono essere molto violenti: i genitori devono essere incoraggiati a pensare il figlio in termini dei sui sentimenti piuttosto che dei suoi comportamenti (come previsto dall’MBT-F), infatti il loro comportamento aggressivo può essere derivato dalla paura di un nuovo abbandono, e usato quindi come fattore di protezione e di controllo, per non esperire il dolore della separazione dal momento che non lascia la possibilità di formare un legame  essere in grado di mentalizzare come la propria aggressività addolori una persona amata può aiutare i bambini a controllare le loro esplosioni (e possono diventare + consapevoli dell’effetto che il loro comportamento provoca sugli altri). I bambini adottati hanno a loro volta bisogno di avere attorno persone amorevoli, accudenti e curiose che sappiano facilitare al bambino il pensare al proprio mondo  contenere le emozioni stravolgenti , e di rispecchiarle in modo + comprensibile  ricercare segnali emotivi cosicché il bambino possa accedervi in modo sicuri e condividerla (può essere molto difficile per i genitori riporre fiducia nella relazione col bambino, come può esserlo per il terapeuta che inizia a dubitare del suo operato). CONCLUSIONE I clinici devono aiutare gli adottati e le loro famiglie a imparare a tollerare le contraddizioni, le ambiguità e le ambivalenze che emergono quando il bambino adottato cresce: nel contesto sicuro di una relazione terapeutica, una famiglia può trovare modi per comprendere le complicate relazioni. 7. L’AUTOLESIONISMO NEGLI ADOLESCENTI (IL TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE (MBT) È UNA RISPOSTA?) INTRODUZIONE ALL’AUTOLESIONISMO Sono azioni volte a far male a sé stessi, è diffuso tra ragazzi ed è associato a stati patologici, sia alla mortalità. L’autolesionismo può esprimere o non esprimere l’intenzione di morire, ma spesso vi è una grande sovrapposizione tra queste 2 forme. Si associa ad una serie di condizioni demografiche e familiari + altri fattori (tra cui genere femminile, conflitto familiare e stile genitoriale giudicante...), ed è stato riscontrato in giovani affetti da depressione, ansia... ed è stato ipotizzato possa essere una modalità per ridurre stati mentali negativi. Altre ragioni: resistere a pensieri di suicidio, modo per esprimere rabbia/disgusto verso sé, per sfuggire da episodi di dissociazione e per desiderio di influenzare altri/cercare aiuto. Inoltre, molti studi se da un lato hanno stabilito un legame forte tra disturbi della personalità e autolesionismo, dall’altro un numero significativo di autolesionisti non sviluppa in età adulta un DBP. DARE UN SENSO ALL’AUTOLESIONISMO: LA CORNICE DELLA MENTALIZZAZIONE La marcatura del rispecchiamento costruisce gradualmente nel bambino il “sé nucleare”, che consiste in un a rappresentazione basata sulla comprensione, da parte del caregiver, dei sentori del neonato: questo porta nel bambino una rappresentazione interiore di sé stesso come essere intenzionale/agente, e si pensa che questa rappresentazione sia generalizzata agli altri, conducendo così allo sviluppo di una mentalizzazione del mondo, che aiuta il bambino a percepire il mondo relazionale come dotato di significato e prevedibile. Quando le rappresentazioni del bambino da parte del genitore sono fondate su attribuzioni non sintonizzate, il neonato interiorizzerà delle rappresentazioni non accurate di sé stesso, e sarà perciò una rappresentazione aliena rispetto al suo stato mentale autentico: questa diventa comunque parte del concetto interiore di sé, il “sé alieno”. Esperire interiormente il sé alieno è come avere un persecutore interno, una critica interiore che esprime odio verso sé stessi: in uno stato interiore dominato dal sé alieno, in cui le rappresentazioni interne sono incongruenti con le esperienze personali, le rappresentazioni degli altri saranno allo stesso modo inaccurate e, quindi, condurranno all’ esperienza per cui il mondo relazionale non ha senso, e così il sé alieno può ostacolare lo sviluppo della mentalizzazione. In tale prospettiva l’autolesionismo è inteso come  sintomo di un deficit nella capacità di mentalizzare  e come tentativo di liberare il sé dal sé alieno  Rappresenta infatti un modo concreto di gestire emozioni forti, nel contesto di un crollo della capacità di occuparsi degli stati mentali propri e altrui (parti del corpo possono essere considerate equivalenti a specifici stati mentali, quindi possono essere letteralmente rimosse in modo fisico). La regola aurea è:  creare un’alleanza empatica con l’esperienza delle persone che vivono questo stato  stabilendo così un contatto col sé autentico  ciò crea un’esperienza di sicurezza  fornisce una tregua all’attacco del sé alieno  si crea così uno spazio per la riflessione  che porrà le basi per i tentativi di mentalizzazione IL TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE PER ADOLESCENTI (MBT- A) Il MBT-A comprende:  Seduta individuale di MBT per adolescenti (1 a sett.), associata a  Terapia basata sulla mentalizzazione per famiglie (MBT-F) (1 a mese) L’obiettivo principale è quello di aiutare i ragazzi e le loro famiglie a migliorare la loro consapevolezza degli stati mentali propri e altrui, attraverso il potenziamento della capacità di mentalizzazione: queto perché le difficoltà nel comportamento/conflitti familiari sono risultato abituale di un fallimento della mentalizzazione, che provoca a sua volta una disregolazione affettiva (dove l’impatto del fallimento della regolazione affettiva risulta un concetto essenziale per poter comprendere queste dinamiche). Tale disregolazione è difficile che sia sottoforma di bolla isolata all’interno del singolo individuo dalla quale tutti gli altri sono risparmiati: al contrario ne vengono coinvolti dove nelle interazioni le relazioni cadono nel fraintendimento e si diffonde il fallimento di mentalizzazione che sfocia in acting-out (agiti)  l’enfasi del MBT non è sulla gestione dei comportamenti sintomatici, bensì sulla comprensione della varietà di modi in cui la mentalizzazione è crollata e le modalità in cui ciò influenza i componenti. Anche i terapeuti in questi casi sperimentano a loro volta forti attivazioni emotive, sentendo minacciata la loro capacità di mentalizzare: è per questo che risulta essenziale la supervisione di un’équipe. Fasi del MBT-A: 1. Fase di valutazione (2 sedute): ha lo scopo di giungere a: a) una formulazione psicologica delle difficoltà del ragazzo; b) comprendere anche le sue competenze cognitive; c) le sue abilità di mentalizzazione (e famiglia), e quali contesti possono portare al loro collasso 2. Fase iniziale di trattamento (3 fasi del trattamento): - comincia con l’incontro di restituzione: il quale obiettivo è quello di illustrare le difficoltà attuali in termini mentalizzanti e relazionali, di fornire a ragazzo e famiglia un’immagine di loro stessi che li faccia sentire compresi e aiutarli a vedersi in modo oggettivo.
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