Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

LA NARRATIVA NEOREALISTA: l'Italia neorealista e il neorealismo nel mondo, Appunti di Letteratura Italiana

Spiegazione dettagliata del periodo neorealista in Italia e nel mondo. Biografia + analisi delle opere dei principali scrittori neorealisti italiani: - CORRADO ALVARO - IGNAZIO SILONE - FRANCESCO JOVINE - CARLO BERNARI - ELIO VITTORINI - CESARE PAVESE - GIUSEPPE FENOGLIO - CARLO LEVI - PRIMO LEVI - GIORGIO BASSANI - LUISITO BIANCHI - VASCO PRATOLINI - MARIO TOBINO - CARLO CASSOLA - GUGLIELMO PETRONI - ALBERTO MORAVIA - ENNIO FLAIANO - LEONARDO SCIASCIA - RENATA VIGANO' - NATALIA LEVI - ELSA MORANTE - ITALO CALVINO - PIER PAOLO PASOLINI

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 06/08/2023

sara-sanguigni
sara-sanguigni 🇮🇹

4.2

(53)

80 documenti

1 / 58

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica LA NARRATIVA NEOREALISTA: l'Italia neorealista e il neorealismo nel mondo e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LA NARRATIVA NEOREALISTA ●Riflessioni introduttive Analizzare il periodo neorealista presuppone una riflessione sociale e culturale su uno dei momenti più decisivi della storia italiana: il passaggio dal fascismo all’attuale democrazia. Bisogna, inoltre, discutere del nuovo ruolo degli autori e degli scrittori in un paese che sta cambiando. Non è semplice fornire una definizione di Neorealismo, evidenziarne coerenze contenutistiche, fissarne i limiti cronologici, analizzare i registri linguistici e non è semplice neanche indicare gli scrittori che aderiscono a tale movimento. Abbiamo, perciò, dubbi sul nome, sull’arco temporale, su argomenti, stili ed autori. Carlo Bo nella sua Inchiesta sul Neorealismo considera questa corrente una fede d’occasione che accumuna intellettuali diversi. Egli ci parla di fede d’occasione proprio perché il Neorealismo non fu una scuola basata su una dottrina. Secondo Italo Calvino, il Neorealismo non fu una vera e propria corrente letteraria con manifesti e maestri teorizzatori, ma rappresentò la convergenza verso aspirazioni e ideali comuni di intellettuali molto diversi tra loro. Carlo Bo sottolinea come non possa esistere un’opposizione tra letteratura e vita: entrambe sono strumenti di ricerca e verità, mezzi per scoprire qualcosa di noi. Egli non crede più nei letterati gelosi dei loro libri, anzi afferma che la nostra letteratura è la vita stessa. Queste sue parole hanno influenzato notevolmente il Neorealismo. Il tratto peculiare delle opere neorealiste sta nel fatto che gli scrittori descrivono nelle loro opere tutto il genere umano. Mai la letteratura è stata così vicina all’antropologia: la letteratura guida l’individuo alla scoperta di sé, studiando il genere umano in tutte le sue dimensioni. Perciò, il Neorealismo è difficile da definire, ma potremmo descriverlo attraverso la metafora vita e amore Per la prima volta la letteratura diventa uno strumento per conoscere la vita. Durante il Romanticismo e soprattutto con D’Annunzio, la letteratura era fine a se stessa. Il cambiamento inizia con il Verismo di Verga, ma si affrontano ancora temi cupi, senza speranza di miglioramento. A partire dagli anni 30 viene utilizzato un nuovo linguaggio, come se la letteratura fosse vita. La letteratura neorealista è soprattutto amore, dato che è incentrata sull’amore per l’uomo. È uno strumento di ricerca per comprendere qualcosa riguardante il genere umano, uno strumento di emancipazione, che permette all’uomo di accrescere la consapevolezza della sua redenzione. Il Neorealismo è un calco dal tedesco Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) che viene introdotto nel panorama letterario negli anni Trenta. Il tratto distintivo del Neorealismo è il tentativo di democratizzare il sistema letterario: si assiste ad un nuovo interesse per il romanzo e per il racconto, all’interno di una narrazione semplice e lineare che ha come obiettivo quello di essere compresa da tutti. Gli scrittori neorealisti alimentano la civiltà del racconto (la voglia di raccontarsi e raccontare perché tutti sappiano e ricordino), già precedentemente avviata da scrittori che segnano il passaggio tra Realismo e Neorealismo, come C. Alvaro, I. Silone, F. Jovine e C. Bernari. Possiamo parlare di un’evoluzione dell’arte del narrare al servizio della gente. Lo stesso Antonio Gramsci affermava che gli intellettuali italiani fino a quel momento erano estranei alla nazione italiana, erano, cioè, lontani dal popolo italiano. Il neorealismo tenta di ridurre questa frattura. Infatti il Neorealismo è considerato un movimento letterario per tutti. Italo Calvino afferma che è un “insieme di movimenti nati dal basso per consentire a tutti di approcciarsi alla cultura letteraria”: il linguaggio scende di tono e gli argomenti sono di pubblico appannaggio (si parla della vita, della quotidianità, dell’uomo). Il Neorealismo favorisce l’aspetto contenutistico, all’aspetto formale del testo. Il bisogno di mostrare direttamente storia di vita vissuta privilegiò la prosa a scapito della poesia, insieme all’adozione di un linguaggio chiaro e comunicativo che tutti potessero comprendere e all’abbandono della tradizione letteraria che esigeva la pagina ben scritta. Già all’inizio dell’esperienza fascista si erano avute le prime opere neorealistiche, tra cui Gli Indifferenti di Alberto Moravia e Tre Operai di Carlo Bernari (da molti critici considerata la prima opera neorealista). La guerra, la lotta contro il fascismo e l’occupazione tedesca avevano messo a dura prova il popolo italiano che dovettero fronteggiare la povertà e le difficili condizioni di vita di quegli anni. Ci si rese conto che i protagonisti delle nuove storie non potevano essere che i ceti di bassa estrazione. Nel Neorealismo si pensa alla “letteratura come vita” (concetto di Carlo Bo), paladina dei diritti della gente, che rappresenta la parte migliore della vita. I temi trattati nel periodo neorealista sono in stretta relazione con il periodo storico nel quale si sviluppa: la civiltà di allora visse eventi devastanti come le due Grandi Guerre, la shoah, la Guerra Fredda che annientarono due generazioni; per questo motivo si parlerà di oppressione, ricchezza e povertà, di disagi mentali, di incesto e del desiderio che gli ultimi possano vivere in maniera dignitosa e divenire protagonisti della loro vita. La letteratura deve raffigurare la realtà senza registrane passivamente i tratti. Possiamo affermare che il Neorealismo nasce come opposizione al Naturalismo e alla sua modalità di raffigurazione oggettiva della realtà come una riproduzione fotografica. Al contrario, il Neorealismo crede che lo scrittore debba raccontare la realtà così come è, ma che non Luperini lo definisce “nuovo”, non per distinguerlo da un vecchio, ma per sottolineare le sue molteplici peculiarità. - La letteratura memorialista La Resistenza dà origine alla genesi del nuovo ruolo e dell’impegno dell’intellettuale e costituisce un fenomeno rilevante anche dal punto di vista letterario: le brigate distribuivano volantini e giornali, nei quali vi comparivano pezzi narrativi (pezzi originali e poesie) e necrologi (la morte di un partigiano era ricordata anche attraverso il racconto di qualche episodio della sua vita, di vicende di lotta). Anche gli intellettuali che non hanno partecipato direttamente alla resistenza, hanno raccontato la loro esperienza. Ad esempio, Moravia pubblicò Vita nella Stalla, in cui sottolinea la difficoltà della sua esperienza poiché visse, appunto, in una stalla. Il fatto diventa il vero protagonista della narrazione: le opere sono caratterizzate dalla brevità, dall’oggettività (anche se non riducibile ad una mera rappresentazione fotografica) e alla costante presenza del narratore che è protagonista e testimone degli eventi. La narrazione postbellica si definisce corale perché la narrazione assume i contorni di un dialogo tra narratore e lettore per consolidare la memoria collettiva. Il protagonista non è un eroe o un intellettuale lontano dalla massa, ma una persona del popolo. È evidente la voglia di sottolineare la necessità di aggregarsi, di fare corpo. E. Vittorini auspica alla nascita di una cultura differente, che non si limiti a consolare l’uomo dalle sofferenze, ma che lo protegga da queste, una cultura impegnata che si confronti attivamente con la politica. Perciò diventa necessaria la nascita di una realtà popolare diversa, di un senso di collettività. - il Neorealismo degli anni Cinquanta e successivi Dal 1948 ha inizio la parabola discendente del Neorealismo, attenuandosi quella voglia di testimoniare e raccontare la realtà. Lo scrittore narra di temi più intimi e personali e non vuole scrivere per il lettore, ma per se stesso. Dal 1949 a causa della crisi della sinistra e l’inizio della Guerra Fredda (il consolidamento dell’opposizione tra blocco sovietico e blocco americano) si abbandona il Neorealismo e si favorisce il ritorno al romanzo di stampo ottocentesco. L’opera simbolica di tale narrativa è Metello di V. Pratolini, in cui si racconta la vicenda di un operaio, Metello Salani, che a Firenze realizza la sua formazione sia sul piano professionale che sentimentale, rappresentando il proletariato che prende coscienza di sé. La differenza tra questo testo e le opere postbelliche sta nella struttura (la vicenda è narrata in terza persona con il narratore che conosce i fatti) e nel finale positivo. ●Cap.2: L’Italia neorealista Il Neorealismo in Italia inizia ad affermarsi con autori come Petroni, il quale crede che la parola detenga una funzione fondamentale nella quotidianità di ognuno, infatti scrive “In nome delle parole”*, opera nella quale esprime l’importanza della proprietà di linguaggio e spiega l’obiettivo del Neorealismo: far capire alle persone che la loro situazione può essere migliorata. La gente capisce che ignoranza e povertà non sono più condizioni da accettare, quindi da tale concetto parte la mutazione antropologica: si capisce che “non è allegro soffrire”. Ci si inizia a preoccupare degli ultimi per migliorare la loro situazione. BRANO PAG. 59 “LA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA STAVA PER COMUNCIARE: LA CASA” Il centro italiano del movimento neorealista è Roma. Il Neorealismo tentò di imporre un nuovo mito nazionale: l’immagine di Roma imperiale fu sostituita con quella di una Roma umile, proletaria e progressista. In Italia, il conflitto era stato visto come una sciagura nazionale, ma anche come una liberazione dalla tirannia (dal fascismo). Mentre il periodo postbellico della Prima Guerra Mondiale generò depressione e disorientamento, il periodo postbellico della Seconda Guerra Mondiale fu caratterizzato da un grande impulso di rinnovamento dal passato, un passato non da giudicare, ma dal quale trarre insegnamenti per il futuro. Questa fede nelle capacità costruttive del popolo italiano e questa consapevolezza di poter rivestire un ruolo importante nello scenario europeo, originarono un interesse nuovo nell’uomo e nelle sue vicende private e storiche. In questi anni si assiste all’affermazione di un linguaggio di tipo medio, corrispondente alla voce di un popolo che descrive se stesso e i fatti tragici di cui è protagonista. La rappresentazione della realtà può essere drammaticamente violenta, ma in tutte le opere domina la fiducia nelle risorse popolari e nei valori collettivi. Emerge l’idealizzazione di un’umanità positiva, attraverso la realizzazione di personaggi-eroi e dalla netta distinzione tra bene e male. *NB: Negli anni ’50 viene attribuito ad un antropologo francese il compito di analizzare il numero dei suicidi delle statistiche riguardanti Tahiti, il quale equivale a più del doppio di quello delle statistiche mondiali. Durante il suo soggiorno a Tahiti, l’antropologo scopre che vi è un problema a livello comunicativo: non esisteva la parola “depressione”, quindi le persone non erano capaci di esternare il loro disagio psichico e, arrivate all’apice della sopportazione, si suicidavano. Un problema di ipocognizione (cioè la mancanza di parole, e dunque di idee e modelli di interpretazione della realtà esteriore e interiore) in una società può rivelarsi distruttivo: attraverso le parole si può esprimere tutto, compresa la propria intimità. Chi utilizza la violenza non sa esprimersi in maniera esaustiva. ●Cap.3: il Neorealismo nel mondo: le differenti modalità espressive - La Neue Sachlichkeit La definizione “Neorealismo” è un calco dal tedesco Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) usato per la prima volta in Germania all’inizio del Ventesimo secolo per definire una scuola che mirava a recuperare il valore dell’oggettività dei fatti. In particolare, questa scuola nasce intorno al 1926 grazie ad alcuni intellettuali mossi dall’intenzione di far risorgere la cultura tedesca ormai repressa dal regime nazista. - Il panorama europeo Particolarmente importante in tutta Europa è il secondo dopoguerra, tra tensioni politiche e speranze di riedificazione. Gli intellettuali si chiedono “che fare” tra le ceneri dei totalitarismi, i profondi contrasti ideologici tra l’URSS di Stalin e le potenze occidentali, le città distrutte, il tentativo di recupero dell’equilibrio tra le potenze europee. Nasce un nuovo mito dell’intellettuale engagè (impegnato), ispirato all’engagement di Sartre e Camus, il quale non si limita a contemplare, descrivere o denunciare la realtà, ma scrive per il progresso degli uomini e della società. Russia: nel 1934 si afferma in Russia una corrente letteraria, il Social-realismo, i cui temi ricorrenti sono la lotta di classe, l’alleanza fra contadini e operai e la vita quotidiana dei lavoratori. Uno dei primi teorici di questo movimento fu Andrej Aleksandrovic Zdanov, che identifica la figura dello scrittore con quella dell’ingegnere delle anime, animato dall’intento di superare la rappresentazione oggettiva della realtà per descrivere la vita del popolo. Spagna: sebbene il Franchismo avesse tenuto il paese lontano dalla Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Civile lo aveva segnato notevolmente. Dinanzi a questo scenario di degrado l’arte non poté che diventare uno specchio per riflettere la realtà. Gli intellettuali preferiscono scrivere in prima persona per denunciare la miseria e il degrado di contadini e minatori, la dura piaga dell’emigrazione (a causa del regime di Francisco Franco), la precaria socialità dei bambini che giocavano per le strade a fare la guerra. - Il Neorealismo: identità nella diversità All’interno della corrente neorealista non esiste un orientamento universale, ma si possono riscontare alcuni tratti comuni a tutti gli autori neorealisti. La profonda esigenza di rinascita che animava l’Europa porta ad un vero e proprio processo al passato: una dura polemica contro la passività della letteratura passata, sottomessa ai totalitarismi, superficialmente ottimista o consolatoria e volutamente lontana dalla realtà, ridotta a puro esercizio stilistico. Il primo racconto è ambientato in Aspromonte dove i pastori sottostanno alle condizioni che la natura e i padroni impongono loro. È la storia degli Argirò, una poverissima famiglia che vive senza alcuna speranza di poter cambiare la propria dura condizione. Uno dei figli, Benedetto, studia in seminario ed è l'unico vanto della famiglia che vede in lui il mezzo per riscattarsi socialmente agli occhi dei potenti locali, primi tra tutti i fratelli Mezzatesta, ricchi e famosi proprietari terrieri. Un giorno la mandria, sotto la cura del capofamiglia Argirò, precipita in un burrone. È l’inizio di una serie di sventure che culminano quando i Mezzatesta bruciano la stalla degli Argirò e uccidono la mula, indispensabile per i trasporti. I sacrifici del padre e del figlio Antonello non bastano più e Benedetto deve abbandonare gli studi. Il primogenito inizia a sviluppare dentro di sé un forte desiderio di rivincita e liberazione dall’oppressione. Per ribellarsi, Antonello appicca il fuoco alle proprietà dei Mezzatesta e fa strage delle loro mandrie. Comincia a distribuire ai pastori la carne delle bestie morte nell'incendio. Da quel momento inizia per lui una vita da fuorilegge, fatta di continue razzie nelle proprietà dei potenti per vendicare i soprusi subiti dai più deboli. Il racconto termina con l’arresto di Antonello, il quale esclama serenamente rivolto ai carabinieri “Finalmente potò parlare con la Giustizia”. Per la prima volta nella storia della letteratura, i contadini si sentono vittime di ingiustizie sociali e vogliono cambiare la loro situazione. Affiora la volontà di riscatto, la consapevolezza di dover reagire. (Corrado =/= Verga). Il linguaggio è scarno ed uno stile poco sofisticato per comunicare il suo dissenso e denunciare spietatamente l’attività dei latifondisti. BRANO PAG. 109-111 IGNAZIO SILONE (pseudonimo di Secondo Tranquilli) nasce a Pescina dei Marsi, in provincia dell’Aquila, nel 1900. Partecipò alla fondazione del Partito Comunista, dal quale si allontanò negli anni Trenta per avversione allo stalinismo, definendosi un socialista senza partito e un cristiano senza chiesa. Fino al 1945 vive in Svizzera, dove scrive la sua opera più importante Fontamara. Alla fine della guerra dirige l’Avanti e poi fonda l’Europa Socialista. Muore a Ginevra nel 1978. L’autore abruzzese è stato molto più amato all’estero: Fontamara fu tradotta quasi contemporaneamente in 27 lingue. In Italia, invece, Silone era considerato fuori moda. Fontamara denuncia lo sfruttamento e la violenza nei confronti dei contadini abruzzesi da parte dei padroni latifondisti, alleati con i fascisti. L’opera è ambientata tra le montagne dell’Abbruzzo, nel paese di Fontamara, nella Marsica, scelto come emblema dell’universo contadino, nel quale c’è addirittura una distinzione territoriale tra ricchi e poveri: il fiume che passa nel paese bagna solo la terra dei ricchi, la centrale elettrica illumina solo le loro abitazioni. È ovviamente un paese fittizio, ma che simboleggia tutti i paesi poveri. Aspetto centrale dell’opera è la lotta tra i “cafoni”, senza apparente possibilità di civilizzazione, e i borghesi, simbolo di una denuncia contro l’oppressione e dei soprusi subiti dai contadini abruzzesi e di ogni luogo, che spinga gli uomini ad impegnarsi per modificare la realtà. L’eroe positivo è Bernardo Viola, animato dalla voglia di uguaglianza, dalla sete di speranza. Il suo sacrificio sarà la prova dell’esistenza della fratellanza cristiana. È l’autore della ribellione e pagherà con la sua stessa vita. Questo romanzo è apprezzabile anche grazie alla sua sperimentazione linguistica: nell’introduzione, mentre denuncia le condizioni di vita dei contadini, Silone si domanda quale lingua utilizzare. Da una parte egli stesso afferma che i Fontamaresi non parlano italiano, anzi percepiscono l’italiano come una lingua straniera; d’altra parte Silone deve poter essere compreso dai suoi lettori. Perciò afferma che scriverà in italiano, quindi prenderà in prestito l’italiano, ma fontamarese sarà lo sviluppo narrativo, il modo di percepire la realtà, l’articolazione del racconto, lo stile e il modo di raccontare. In quest’opera troviamo alcuni temi tipici delle opere neorealiste: l’impegno sociale e politico dell’autore, la crescita della consapevolezza popolare e la creazione di un eroe positivo. BRANO PAG. 120-122 FRANCESCO JOVINE nasce a Guardialfiera (Campobasso) nel 1902 e svolse la professione di giornalista e di insegnante. Per sfuggire all’oppressione fascista si rifugiò a Tunisi e poi a Il Cairo. Al suo ritorno aderì alla Resistenza e al Partito Comunista. Morì a Roma nel 1950. I temi delle opere di Jovine sono quelli che accumunano le opere neorealiste, come la questione meridionale, il mondo contadino, le disuguaglianze, le ingiustizie sociali e i soprusi. Jovine ambienta le Terre del Sacramento e Signora Ava nella campagna molisana. Queste due opere narrano la crisi del passaggio dal regno borbonico al regno d’Italia. A differenza di ogni altro scrittore italiano, tenta di andare oltre i contenuti episodici di un delimitato contesto storico e di porre l’attenzione su tutto il mondo contadino. Le Terre del Sacramento La storia è ambientata nei primi anni Venti in un feudo del Molise, le Terre del Sacramento, così chiamate perché un tempo appartenevano alla Chiesa, nell’attuale Isernia e territori congiunti. Queste terre sono abbandonate a loro stesse e perennemente ipotecate. Il proprietario, l’avvocato Enrico Cannavale, non riesce a gestirle, non avendo denaro sufficiente a farle fruttare e rischiando di perderne la proprietà. Sua moglie, nonché sua cugina, Laura de Martiis, prende le redini dell’amministrazione riuscendo a convincere i contadini che le terre sarebbero state lor assegnate in condivisione e convincendoli a dissodarle. Laura è spalleggiata da alcuni latifondisti senza scrupoli che sfruttano la situazione a loro vantaggio. Luca Marano, figlio di braccianti ed ex seminarista, è incaricato di fare da intermediario tra proprietari e contadini. Proprio quando il fascismo si afferma con tutta la sua violenza, i latifondisti, alleati con la nuova forza politica e con i carabinieri, cacciano i contadini dalle loro terre. Laura fugge a Sanremo e Luca, eroe positivo come Berardo Viola in Fontamara, guida una rivolta, ma viene ucciso. L’autore approfondisce psicologicamente tutti i suoi personaggi, sia quelli maggiori (Luca, Enrico, Laura) sia quelli minori. Luca Marano, povero e non incolto, è il simbolo della ribellione e del riscatto. Avverte che qualcosa sta cambiando e che la società è pronta a questo rinnovamento: si pone dalla parte degli oppressi senza negare il dialogo agli oppressori. Luca perde la fiducia dei suoi cari, degli altri contadini e non raggiunge il suo obiettivo. Per questo atto di fede pagherà con la vita. Il lettore ha la sensazione che la storia non si possa più fermare e che il riscatto degli umili è vicino. Il sacrificio di Luca, celebrato nel lamento funebre finale delle donne davanti alla sua salma, diventa l’emblema della voglia di libertà e di giustizia degli oppressi. Per noi fame e dannazione- ma per i figli paradiso e pane CHIASMO, carico di significato espressivo: la generazione contemporanea è scoraggiata, ma per il futuro c’è speranza. Jovine utilizza la parola “Dannazione” per non usare “Inferno”, che ha un’accezione più negativa, proprio perché l’uomo può modificare la sua condizione ed uscire dalla dannazione (dall’Inferno non si più fuggire). Ed è questa la grande differenza tra i romanzi neorealisti e i romanzi veristi: l’ambiente chiuso e privo di speranza dei romanzi di Verga si trasforma nella voglia di riscatto degli umili per creare una società in cui uguaglianza, giustizia e libertà prenderanno il posto dell’oppressione e della prevaricazione. BRANO PAG. 131-134 Vittorini più che narrare descrive scene, personaggi, momenti di storie interiori: nelle sue opere emerge una serie di azioni senza pause con brevi e superficiali approfondimenti psicologici. Egli è un realista nei contenuti e un rinnovatore del linguaggio. NB: Vittorini è stato uno straordinario traduttore di opere americane ed inglesi. Anche se autodidatta, possedeva un’acuta sensibilità linguistica che gli consentiva di trasferire nella nostra lingua il senso/ il messaggio del testo originale. Conversazioni in Sicilia esempio significativo della letteratura neorealista, scritta nel 38/39 ma pubblicata nel 40 alla vigilia della Prima guerra mondiale. La prima pagina è considerata un manifesto neorealista e introduce il clima di profonda inquietudine e assenza di speranza che caratterizza la vita di molte persone nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Conversazioni in Sicilia è un libro che parla del viaggio di un ragazzo siciliano, Silvestro, che va al nord per trovare la propria dimensione e un contesto sociale più vivibile e gradevole con un lavoro. Trova un impiego come tipografo e si innamora di una ragazza: lavoro e sentimenti sono però appagati solo in parte. Un giorno riceve una lettera da suo padre che gli confessa di avere lasciato sua madre per una donna di Venezia e gli chiede di passare del tempo con la madre per il suo onomastico (Immacolata Concezione), cosicché possa aiutarla a superare la separazione. La madre è un’infermiera, cura i malati. Si sente in pace con se stessa e crede di avere esaurito il suo compito: lavora per i malati che spesso non possono pagarla. Allora Silvestro torna in Sicilia, malgrado non abbia uno stretto legame con la famiglia. Durante il viaggio parla con la gente e quando arriva a casa si confronta con la madre, ma non riescono a comprendersi appieno: Silvestro è cambiato durante il viaggio. Durante la sua permanenza in Sicilia giunge a Silvestro la notizia che il fratello è morto in guerra; inoltre il padre torna a casa pentito della sua avventura sentimentale e la madre in questo momento diventa maestra, poiché riaccoglie e perdona il marito. Il libro è permeato da un’intensa attività didattica: grazie alle conversazioni con gli altri personaggi, Silvestro matura e il lettore fa suoi i risultati di tale maturità. Le conversazioni donano al lettore una chiave di lettura del mondo. Anche la scena che chiude il libro ha una valenza didattica: la madre, che non si era mostrata partecipe nella società, perdona il padre, a differenza di Silvestro. C’è una scena simbolica, addirittura biblica: la madre lava i piedi al padre (Gesto di sottomissione, che rappresenta il perdono vero, sentito difronte al pentimento del padre). Amore e perdono descrivono la nuova società che si andrà a creare. Il libro non è autobiografico, ma qualche riferimento autobiografico non si può escludere. La Sicilia di Vittorini non è quella verghiana dei vinti e i suoi personaggi sono esempi di orgoglio e voglia di riscatto. Il tema della memoria, espresso nelle figure dei familiari, dei compaesani e nelle tradizioni della sua terra, è un modo per legare il presente al passato e per sottolineare la voglia di cambiamento e di giustizia che caratterizza le anime popolari. La narrazione è in prima persona e il punto di vista non sempre coincide con quello dell’autore. Il tema centrale è un viaggio-ritorno che compie il protagonista, il quale torna al nord della Sicilia, terra in cui è nato e in cui vive la madre. Lo stile è ricco di musicalità, di ripetizioni, di strutture grammaticali arcaiche e popolari. Vittorini racconta la guerra civile spagnola. L’idea della guerra civile lo abbatte, dato che non è una guerra di difesa, di colonialismo, non ha un senso militare. Sono semplicemente due parti dello stesso popolo che si massacrano a vicenda. CESARE PAVESE il più grande importatore della cultura americana in Italia. Vedere la vita a pag. 179 a 182 (molto importante!) Nasce in Piemonte, a Santo Stefano Belbo nel 1908. Ha un’infanzia drammatica, segnata da molti lutti in famiglia (muore il padre e la madre prova a gestire questa situazione facendo trasferire la famiglia a Torino). Perciò, Pavese è subito investito dal dramma della vita. Ha un rapporto non molto semplice con la madre, che ha un carattere molto forte. Pavese frequenta il liceo classico di Torino, poi si iscrive a lettere. È affascinato dalla scrittura e traduce opere molto importanti. Si laurea con una tesi su Whitman, autore americano del 900. Continua a scrivere traduzioni, poesie e opere narrative. Nei suoi testi introduce un elemento che sembra intimista e personale, ma che in realtà appartiene ad un folto gruppo di persone: l’incapacità di comunicare. Pavese non riesce ad avere delle relazioni con le persone. Ma la sua incomunicabilità non è un problema di genere, anche le amicizie maschili lo hanno deluso. Pavese ha un carattere difficile, schivo, ambizioso. È un partigiano e vorrebbe partecipare alla scena politica del suo paese, ma è ostacolato proprio dal suo carattere. Nel 1934 per difendere una sua fidanzata si prende la colpa di un’azione di ribellione al regime fascista e viene condannato al confino (veniva mandato in un paese sperduto del sud dove non poteva fare propaganda) in un paese calabrese, Brancaleone Calabro, dove rimane per quasi un anno, quando il fascismo perdona tutti i ribelli politici e permette loro di tornare a casa. Nel 1935 Pavese inizia il suo diario, Il mestiere di vivere, che aggiornerà continuamente. Ci impiega 15 anni e parla di idee, riflessioni e disperazione. Noi sappiamo tutto di lui attraverso questo diario, dato che si mette a nudo nel racconto di se stesso, mostrando le sue contraddizioni. Nel 1935 torna a Torino dove si dedica alle traduzioni e all’attività di scrittore. Il 27 agosto 1950 si suicida in un albergo ingerendo una scatola di sonniferi. In un biglietto scrive “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Non fate troppi pettegolezzi”. Paesi tuoi 1940 scrive molto, uno dei pochi scrittori La luna e i falò 1950 apprezzati in vita Fu molto apprezzato dal punto di vista letterario, oltre ad essere un grande scrittore, fu anche un grande poeta (“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”): tanto grande come autore, tanto irrisolto come uomo. Si paragona infatti ad una candela con due aperture: una consumata e una nemmeno accesa. La prima corrisponde al suo essere scrittore, la seconda al suo essere uomo: come se non fosse mai esistito. A differenza di Vittorini è molto introspettivo, è unico in quanto a sensibilità, incapacità di stare al mondo e incomunicabilità. Ha la capacità di raccontare le sfumature della vita. L’unico problema che riscontra durante la sua vita è proprio quello dell’incomunicabilità: non riesce a rompere la solitudine e a comunicare con gli altri, non sa come si faccia. Questo è per Pavese un disagio esistenziale che lo porta ad approfondire il proprio ego e quindi ad una vita infelice. Per di più i rapporti sentimentali sono per lui una continua delusione: sia quelli col sesso opposto, sia quelli con il proprio sesso. Malgrado ciò, la sofferenza lo rende più uomo (=Vittorini, uomo Ezechiele). Pavese si colloca agli antipodi di Vittorini: l’energia dello scrittore siciliano diventa in Pavese ripiegamento in se stesso, la consapevolezza di modificare la coscienza della società del prima diventa rassegnazione sempre più cupa nel secondo, il desiderio di solidarietà e partecipazione sfumano nell’individualismo. L’opera di Pavese si sviluppa sullo sfondo dell’incomunicabilità con il trascendente e con il genere umano. Dio e gli altri sono stati a lungo cercati e mai trovati. Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. La sua arte narrativa diventa pian piano il suo rifugio, la possibile soluzione al suo disagio di vivere, il riscatto alla sua delusione. All’arte lo scrittore chiede la possibilità di espressione che gli manca nella vita e attraverso la quale dare un senso alla sua esistenza. Pavese sente il bisogno di ispirarsi alla realtà contemporanea, ma ha bisogno anche dell’irrazionale, cioè il mito, che diventa la sua chiave di lettura della vita. Nel mito l’uomo trova e riconosce se stesso e la ragione per vivere. Per Pavese è un elemento innato nell’uomo, che gli dona la consapevolezza del suo doloroso destino e della sua incomunicabilità con gli altri. Dopodiché Anguilla crede che Cinto abbia bisogno del calore di una famiglia, perciò lo affida all’amico Nuto, colui che lo aiutò a realizzarsi in America. Nuto e Cinto sono personaggi realmente esistiti: il primo, Pinolo Scaglione = Nuto, era amico di Pavese, il secondo alla fine riuscì a realizzarsi nella vita e morì a Santo Stefano Belbo in una casa di cura all’età di 80 anni. Il fatto che proprio Cinto sia riuscito a salvarsi profuma di Neorealismo: se si salva il più fragile, possono salvarsi tutti. Pavese nel testo sottolinea l’importanza di identificarsi: Anguilla, ad esempio, essendo orfano, si fa figlio della terra in cui è cresciuto e dei suoi paesaggi. Temi del romanzo: - La speranza, il riscatto, la redenzione ci sono per tutti. - La nocività, la disgrazia di non poter contare sulla propria storia, l’impossibilità di riconoscersi attraverso i propri antenati, l’abbandono dei bimbi, l’esaltazione della natura (titolo). La natura è in grado di compensare la mancanza dei genitori con la propria presenza. La disperazione della guerra che affligge gli uomini anche nel dopoguerra, le sue conseguenze, il viaggio. GIUSEPPE FENOGLIO vedere vita a pag. 207-208 Nasce ad Alba nel 1922. Professionalmente ha dato alla traduzione un ruolo centrale: conosce molto bene l’inglese, ma il suo amore per l’inglese va al di là della voglia traduttrice: conia un italo-inglese, segue le tradizioni anglosassoni, addirittura pensa in inglese. È fortemente legato alla sua terra. Rivede i suoi testi decine e decine di volte, poiché è fortemente legato alla perfezione stilistica. Si ribella al fascismo: è un militare, ma si nasconde con altri compagni tra i partigiani per combattere fieramente nella lotta partigiana. È un uomo di lettere, la sua vera vocazione è fare lo scrittore. Muore nel’63 a Torino. È un Neorealista nella scelta degli argomenti, poiché nei suoi libri tratta temi come l’etica della solidarietà (Gran Lombardo, Vittorini); il mondo contadino, l’essere resiliente come obiettivo dell’uomo e della Resistenza intesa sia come accadimento storico vissuto dall’autore, sia come resistenza all’assurdità della vita e del mondo. Nonostante l’autore tenda a parlare parecchio di Resistenza e dell’essere partigiano, non vi è giudizio nelle sue opere, né tantomeno vi è disprezzo verso il nemico, poiché anch’esso sta semplicemente recitando – come lui – la sua parte nell’assurdità della vita. Inoltre non sottovaluta mai il prossimo e non vi è alcuna contaminazione o condizionamento eticamente e politicamente parlando. La sua penna, arricchita dalla padronanza della lingua inglese, lo guida nel mondo neorealista, le cui opere sono dedicate alle Langhe e ai suoi contadini, come La paga del sabato, che poi venne pubblicata nella raccolta di racconti I ventitré giorni della città di Alba. Il testo, uscito postumo nel 1962, narra il risentimento di un ex partigiano nella vita civile di Alba. O ancora La malora, pubblicata nella collana i Gettoni nel 1954, che rappresenta fedelmente un mondo di rapporti umani desolati e dominati dalla violenza. Importante è anche la raccolta di numerosi racconti che vennero pubblicati dopo vari processi di correzione e riscrittura che testimoniano il perfezionismo di Fenoglio, intitolata I ventitré giorni della città di Alba. Si tratta di una raccolta di dodici racconti, dedicati alla guerra partigiana o al mondo contadino delle Langhe. Il racconto eponimo descrive la vicenda del presidio partigiano che difese la città per ventitré giorni nell’autunno del 1944. Altri testi di rilievo dell’autore sono Primavera di bellezza e Il partigiano Johnny. Questi due romanzi si intrecciano e si integrano: in entrambi vengono narrate le vicende di uno stesso protagonista tra il 1943 e il 1945. In Primavera di bellezza il protagonista Johnny è un giovane allievo ufficiale di Alba, intellettuale e amante della lingua inglese, molto simile all'autore. Il romanzo descrive le vicende di Johnny, in particolare nei giorni trascorsi ad Alba prima della chiamata alle armi, il servizio militare a Roma, il suo ritorno a casa dopo l’8 settembre e la sua esperienza come partigiano. Il partigiano Johnny è la continuazione di Primavera di bellezza, che riprende la storia di Johnny a partire dal ritorno a casa dopo l'armistizio: invece di aderire subito alla Resistenza, Johnny si rifugia presso la sua famiglia, che lo imbosca in una villetta in collina. Le due opere, molto simili sul piano espositivo, sono molto diverse sul piano stilistico: nella prima l’autore utilizza un italiano essenziale, nella seconda utilizza molti anglicismi, addirittura intere frasi in inglese; nel primo utilizza una prosa asciutta e fredda; mentre nel secondo un ritmo incalzante, grazie anche all’uso dell’inglese. L’opera di Fenoglio tratta due temi fondamentali: il mondo contadino delle Langhe e la Resistenza. Egli conduce una vita indipendente e lontana dagli ambienti letterati e mondani del tempo. È molto riservato, addirittura scontroso. Vive esclusivamente nella sua terra e crede che la letteratura possa dare un senso alla sua esistenza. Il critico Francesco De Robertis ha isolato l’opera di Fenoglio dal Neorealismo. Le tematiche e la forma espressiva, nella maggior parte dei casi, sono di ispirazione neorealista, ma in Fenoglio non c’è traccia della contaminazione ideologica tipica di tale movimento che separa i buoni dai cattivi: la sua descrizione della Resistenza non ha tratti storici o l’ambizione di offrire modelli di riferimento etico; è semplicemente una rappresentazione soggettiva influenzata dalle sue radici autobiografiche. Fenoglio non vuole proporre modelli politici o storici positivi; crede che qualsiasi vicenda storica debba essere letta come esempio della forza e della resistenza umana nell’assurdità dell’esistenza. L’unica ragione dello stare al mondo è la solidarietà, che si esprime attraverso l’aiuto reciproco delle persone. Fenoglio crede che gli uomini debbano resistere all’assurdità della vita e che debbano aiutarsi a vicenda a prescindere da quello che rappresentano. Sviluppa il concetto di Resilienza = forza interiore che ti consente di sostituire il male con il bene, di fronteggiare tutte le situazioni negative. È la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi drammatici, riorganizzano la propria vita difronte alle avversità. Questo è il compito dello scrittore: evidenziare tutta la forza che l’uomo ha dentro, attraverso la quale può ribaltare una situazione negativa. Una questione privata capolavoro di Fenoglio e una delle opere neorealiste più n significative. Nelle Langhe, in pieno svolgimento della guerra partigiana, Milton, giovane studente universitario e ex ufficiale partigiano, durante un’azione militare rivede la villa in cui aveva abitato Fulvia, una ragazza che aveva amato e della quale è ancora follemente innamorato. Mentre visita l’abitazione, scopre casualmente dalla custode della casa che Fulvia era innamorata di un suo amico, Giorgio, anche lui partigiano. Nonostante sia scosso dalla gelosia, inizia un percorso razionale: cerca la verità, vuole sapere perché – ammesso che sia vero – sia successo questo. Cerca di rintracciare Giorgio, ma scopre che è stato catturato dai fascisti. Prova invano di liberarlo e, in una nuova visita alla casa di Fulvia, la scorge in lontananza, spettrale, ma viene riconosciuto da dei fascisti che forse lo uccidono durante la sua fuga. In questo caso, la morte fisica (seppur non certa) deriva dalla rassegnazione e sta a simboleggiare la verità, concetto non riconosciuto come valore assoluto. La sua ricerca della verità è destinata ad approdare nel nulla. Paesi Tuoi =/= Una questione privata: L’atteggiamento di Milton è diverso da quello di Talino: non c’è odio o aggressività nei confronti di Fulvia, piuttosto cerca la verità (Resilienza). mondo moderno, industrializzato e culturalmente e tecnologicamente sviluppato. Ha luogo così l’incontro tra un giovane intellettuale e una realtà contadina legata a tradizioni pagane e succube di una borghesia parassitaria che vive sulle spalle di tale popolazione, la quale non ha a disposizione nessun mezzo di ribellione. Il libro non ha una storia: è il racconto delle esperienze vissute dall’autore. Nel libro si parla di personaggi anonimi, della loro quotidianità: racconta della massa dei contadini, lei cui sofferenze sono uguali per tutti. Levi descrive le figure più emblematiche che incontra: la domestica Giulia, il parroco don Trajella, il dottor Milillo. Carlo Levi condanna lo Stato, un’entità astratta e sconosciuta, spesso vista come un nemico invincibile al quale di può solo soccombere. Non importa quali siano le sue forme politiche, la sua struttura, i suoi programmi. I contadini non li capiscono, perché è un altro linguaggio dal loro. La sola possibile difesa contro lo Stato è la rassegnazione. Levi è disgustato dalla classe borghese che considera la prima responsabile del degrado del paese. Al contrario, è sempre al fianco dei contadini. PRIMO LEVI Vedi vita pag. 241-243 È torinese, nasce nel 1919 da una famiglia ebraica piemontese e si laurea velocemente in chimica. La sua infanzia è tormentata a causa della morte del padre e delle leggi razziali. Per la sua attività anti-fascista viene arrestato nel ’44 e viene internato al campo di concentramento di Fossoli, dopodiché viene trasferito nel campo di Monowitz, in Germania, satellite del campo di Auschwitz. Il ritmo dello sterminio in quel periodo si era abbassato, poiché la Germania era in crisi, soprattutto in campo bellico, e aveva bisogno di forza-lavoro. Levi riesce a sopravvivere nel campo di concentramento perché i tedeschi avevano bisogno di lui, in particolare delle sue conoscenze in campo chimico e delle sue conoscenze in campo linguistico (conosceva il tedesco e poteva tradurre). Viene arrestato nel’44 e nel febbraio del’45 i sovietici liberano i deportati dai campi di concentramento, ma Levi non riesce a tornare subito a Torino: ha bisogno di comprendere il perché di quel male e di recuperare se stesso, dunque fa un viaggio in Europa, durante in quale scrive La tregua (continuazione di Se questo è un uomo). Negli ultimi anni della sua vita, a causa del ricordo della sua terribile esperienza e della nascita della teoria negazionista, secondo la quale la strage della Shoah non è mai esistita (falso storico), si è confrontato con una depressione che lo ha portato al suicidio (“folle volo”=si butta dalla tromba delle scale e si frantuma per terra) nel 1987. Con Primo Levi si afferma all’interno della narrativa neorealista una letteratura memorialista: l’opera di Levi è ispirata alla sua esperienza nei campi di concentramento e dalla sua volontà di testimoniare tale scempio. Decide di ricordare la tragica esperienza vissuta, in modo che nessuno possa dimenticare la profonda degradazione della persona operata dai nazisti sul popolo ebreo, per far in modo che non si ripeta una simile sciagura e per ritrovare fiducia nel genere umano. Il valore della testimonianza è sottolineato dalla penna dello scrittore, ben attento ad evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo. L’unico obiettivo è quello di rispondere alla domanda che lo ha tormentato per tutta la vita: “Com’è stato possibile che un uomo abbia potuto fare questo ad un altro uomo?” e per tutta la vita non troverà risposta, dato che cercava una spiegazione razionale per compensare all’irrazionalità di quanto accaduto. Ma la Shoah è l’emblema di un evento immotivato, irrazionale, illogico: migliaia di persone uccise solo perché appartenenti ad una determinata religione. E la resistenza dell’uomo nasce quando ci si rende conto che non si può vivere in una condizione di prigionieri ai quali è stata tolta ogni dimensione umana. È stata la mano dell’uomo a ferire, ma potrebbe anche essere la mano dell’uomo a guarire: per questo è importante dare testimonianza, per la redenzione dell’umanità offesa. Tuttavia, egli non è guidato solo dalla voglia di testimoniare. Nella sua opera si delinea una riflessione morale che fa emergere l’orrore per la distruzione della personalità delle vittime, operata dai nazisti. In questo senso la letteratura di Levi è una letteratura della resistenza che si batte per il diritto dell’uomo non solo alla vita, ma alla dignità e all’integrità della sua persona. Primo Levi è uno scienziato, un illuminista del’900 che crede nell’uomo e nella sua razionalità. La mente umana è capace di tutto, l’uomo può costruire la propria storia. Per questo lo scempio compiuto dagli uomini nazisti lo destabilizza, non riesce ad accettare la Shoah. Primo Levi ha scritto moltissimo e non opere relative solo alla Shoah. È uno scrittore a tutto tondo, pur non essendo un professionista della penna. Per lui la scrittura è strumento di memoria, attraverso il quale rende perpetuo un ricordo. Non possiamo dimenticare, non dobbiamo dimenticare, per noi e per tutti gli uomini passati per poter vivere la nostra vita. Tuttavia, le opere omnia di Primo Levi sono i libri dedicati alla Shoah. Se questo è un uomo libro tradotto in tutto il mondo, una delle opere più importanti della letteratura sulla guerra. è uno dei più bei libri sulla shoah, è un manifesto della Shoah. Narra la terribile esperienza dell’autore nel campo di concentramento di Monowitz, satellite di Auschwitz, negli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, prima della liberazione da parte dei nazisti. Levi scrive e descrive i fatti senza odio, né desiderio di vendetta (Fenoglio), perciò risulta un libro dai contorni neutri: l’autore ragiona con la ragione, non di pancia, né col cuore. Non vuole insultare o vendicarsi. È un resoconto equilibrato, pacato, obiettivo. Vuole rispondere alla sua domanda con la razionalità (è un uomo di scienza). Vuole trovare un senso razionale a ciò che è accaduto. C’è un solo punto in cui Levi si fa prendere dalla non-neutralità e si lascia andare all’aggressività, ma se ne dimentica subito: prova odio, eppure non verso i nazisti, bensì verso chi potrà e sarà capace di dimenticare ( incipit poesia, che dà il titolo al libro). Primo Levi crede che dimenticare la Shoah sia il primo passo verso il riviverla, non vuole che accada di nuovo. È un appello alle nostre coscienze. Quello di Levi, è un cuore certamente soffocato dal rancore, un rancore che ha soppresso durante la stesura del libro con molta fatica per far emergere la ragione. La letteratura della Shoah si divide in tre gruppi: -La letteratura diaristica -La letteratura saggistica (saggi storici, sociali, antropologici) -La letteratura narrativa Se questo è un uomo è un esempio di tutti e tre i generi (è diario, che testimonia l’esperienza di Levi; è narrazione, che racconta in modo veritiero la vita nei campi, ed è un saggio, che racconta ciò che succedeva nei campi dal punto di vista storico, antropologico e sociale). Se questo è un uomo è considerato parte della letteratura memorialista del Neorealismo. In realtà, se ne discosta a causa della mancanza di immagini positive. I sommersi e i salvati è un’opera del 1986 composta da otto saggi concentrici con introduzione e conclusione. Senza una centralità, ma accumunati dalla riflessione sulla profondità del male. Analizzano un argomento non legato a quello successivo o precedente, ma che è un tema originato dalla Shoah. Ha lo scopo di recuperare la sua memoria, soprattutto quella collettiva contro il negazionismo; dal’45 all’ 86 sono passati molti anni, ma la situazione non è migliorata, la sua domanda non ha trovato risposta. Il terzo saggio di cui si compone l’opera è “La vergogna”. Ripensando all’atrocità subita, Levi si sentirà sempre in colpa per essere sopravvissuto. Arriverà addirittura a provare un senso di vergogna per essere tra i salvati e non tra i sommersi: non capisce che cos’abbia fatto in più degli altri, perché si sia salvato a discapito di un altro, che magari avrebbe meritato di vivere più di lui. Levi crede di essere tra i peggiori perché a sopravvivere, a salvarsi, a resistere erano solitamente i meno sensibili e più distaccati; mentre a morire erano solitamente i più emotivi, i quali non erano capaci di reggere la separazione dai propri cari, né di resistere alla situazione in cui si trovavano. Non si perdona per essersi salvato a differenza di altri. È una cicatrice non rimarginata, che influenzerà la sua scelta di compiere il folle volo. LUISITO BIANCHI vedi vita pag.283-285 Nasce a Cremona nel 1927, diventa sacerdote e prete-operaio (è un sacerdote che aderisce ai movimenti dei preti-operai, soprattutto quello francese. Non chiede denaro per annunciare il suo Vangelo. Fa molti i lavori per potersi mantenere e raggiungere un’autonomia economica, così da non accettare il compenso per la sua diocesi). Grande traduttore dello spagnolo antico e grande scrittore. Muore nel 2012. Tre elementi tipici delle sue opere: - attraverso i suoi scritti fa memoria della Resistenza, che è segno di distacco dal fascismo e lotta per la democrazia. - nei sui scritti parla della gratuità (prete-operaio), che ha sempre posto come principio fondante nella sua opera di letterato, sacerdote e uomo: egli fa le cose a prescindere, il gratuito non ha un valore, dunque al tempo stesso possiede un valore inestimabile, poiché non si può comprare. È difficile pensare ad un mondo in cui nessuno si relazioni al denaro. Molti titoli delle sue opere si rifanno a questo tema (vedi libro pag. 284). - Un altro elemento della narrazione di Luisito Bianchi è la poetica della terra o l’etica della terra, per celebrarla (= Carlo Levi: mondo contadino). L’uomo nasce, si alimenta e sarà seppellito nella terra, che è una compagna di viaggio nei momenti fondamentali dell’uomo. Amava relazionarsi con tutti coloro che avevano una grande passione per Dio, di qualsiasi religione. “La messa dell’uomo disarmato” dapprima il romanzo venne rifiutato da molti editori ed uscì esclusivamente in un’edizione sostenuta finanziariamente da alcuni amici. In quest’opera Bianchi racconta un periodo storico che dura circa 20 anni, ossia dagli anni ’39 agli anni ’60: anni comprendenti pre-guerra, guerra e dopoguerra (l’attesa di un disastro, il disastro, ossia guerra e shoah, e la lenta ricostruzione). Accompagna l’uomo nei momenti più difficili della sua vita. È un libro monumentale, di circa 200 pagine. Nel testo avviene una fusione tra storia, antropologia e sociologia: ha un importante valore culturale storico, antropologico e sociologico. È un libro di grande didattica. La storia raccontata è quella di un uomo, Franco, che vive in un paesino di campagna negli anni’20. Desidera diventare Benedettino, ma presto si accorge di essere alla vigilia di un dramma, che avrebbe per sempre sconvolto il mondo. Si rende conto che vivendo da Benedettino si sarebbe confinato nell’ambiente monastico e allontanato da ciò che lo circondava. Allo scoppio della guerra decide di rimanere nel sociale, per guardare la storia più da vicino; dunque torna a casa in Pianura Padana, dove vive guerra e dopoguerra per aiutare e per dare sostegno. Nel libro si raccontano fatti quotidiani della guerra, ma anche del dopoguerra, della lenta ricostruzione, nella quale le persone vogliono ricreare il loro futuro, la loro vita. Oltre ad accompagnare il lettore nel periodo storico raccontato, il testo ha il prezioso valore di spiegare il rapporto da avere con il divino. Per spiegare tale relazione, l’autore si basa su due categorie riguardanti la parola, quali quella della parola bassa e quella della parola alta. La prima appartiene all’uomo, all’essere umano; mentre la seconda viene attribuita al divino, quindi al trascendente. Tanto è feconda, costruttrice e vitale quella Alta, quanto anti-umana, soccombente, distruttrice quella Bassa. Il testo è caratterizzato da quest’opposizione che si manifesta in tutti e tre i momenti in cui è diviso il libro, che corrispondono rispettivamente al periodo precedente la guerra, al momento della guerra e al periodo del dopoguerra: 1) Il gemito della parola: le due categorie di parola lottano fra loro e la parola bassa prevale su quella alta, perciò la distruzione vince sulla creazione. I venti di guerra sono troppo vicini, sempre più minacciosi e determineranno la caduta nel baratro. La parola alta sta per essere soffocata, distrutta da quella bassa e geme sconfitta. 2) Il silenzio della parola: la parola alta rimane in silenzio, senza parole, nei confronti della parola bassa, nonché della guerra e della distruzione. L’azione umana contrassegna la storia, in assenza totale della parola divina. 3) Lo svelamento della parola: la parola bassa e quella alta si riuniscono per ricostruire. È il periodo dello svelamento, durante il quale la parola bassa tace e lascia parlare la parola alta. Per fortuna la guerra finisce, la parola dell’uomo perde, si defila, si nasconde e la parola alta riprende il sopravvento, guidando l’uomo verso la pace e verso una lenta ricostruzione. Quando prevale la parola distruttrice dell’uomo, prevale la morte; al contrario se si afferma la parola del divino (senso assoluto, indipendentemente dalle religioni) domina la pace, il benessere. Non c’è una contrapposizione teologica, ma spirituale. I temi trattati nel libro sono la rievocazione di alcuni momenti storici della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza, l’attenzione per il mondo contadino, la poetica della terra, il riferimento alle classi più povere e l’etica del ricordo. Inizialmente il titolo dell’opera avrebbe dovuto essere “Una Resistenza”, dove “resistenza” non era da ricollegare solo agli accadimenti storici, bensì da considerarsi come compito dell’uomo per stare al mondo: resistere a se stesso e cercare di essere il meno possibile parte distruttiva (= Fenoglio, resilienza). IL NEOREALISMO TOSCANO Per tutti i neorealisti il genius loci è importante, ma per i toscani è ancor più particolarmente rilevante. Si tratta di una scuola alla cui base vi è l’identità regionale, dunque si assiste alla sublimazione del genius loci. Ciò è stato influenzato dalla cultura toscana: la Toscana è da sempre regione rivoluzionaria, stata anche sede del Rinascimento, la lingua toscana è quella che ha favorito la maturazione della lingua italiana. Oltre all’aspetto artistico, può definirsi maggiormente sviluppata anche nell’ambito economico, poiché vi nascono i primi prototipi di banche (Montepaschi): l’area toscana ha favorito la fiorente economia nazionale. Ragioni economiche, linguistiche e culturali hanno influenzato le personalità dei vari scrittori toscani, per i quali il genius loci è particolarmente rilevante. VASCO PRATOLINI vedere vita pag. 301-304 Proviene da una famiglia fiorentina molto povera e vive un’esperienza drammatica che sarà di ispirazione per scrivere il suo libro: la morte della madre avvenuta al parto del secondo figlio quando lui aveva 5 anni. Tale fatto influenzerà notevolmente la sua opera narrativa, dato che aveva un rapporto stretto con la madre. Nell’ingenuità dei suoi 5 anni incolpa il fratello e cova verso di lui una profonda rabbia per questa tragedia. Il padre è una figura di riferimento superficiale, dunque i due fratelli vengono affidati ai nonni, i quali però non riescono a mantenerli entrambi. Al ché il primogenito rimane con i nonni, mentre il secondogenito, Dante, viene adottato da un maggiordomo del ricco nobile inglese Barone, che ha deciso di vivere la sua vecchiaia a Firenze, e conduce una vita più agiata rispetto a quella di Vasco, il quale non può permettersi gli studi e si formerà da autodidatta. Gli verrà cambiato anche nome, Ferruccio. I due fratelli crescono separati e ciò rende più difficile la loro riconciliazione, anche se solo Vasco prova risentimento verso Ferruccio. Pian piano capisce di aver avuto un atteggiamento infantile, così che si ristabilisce l’amore fraterno. Si legano fortemente. Entrambi si innamorano, si sposano e mettono su famiglia. Tuttavia, Ferruccio di ammala, di una malattia non ben nota alla scienza del tempo. I medicinali non hanno molto effetto su di lui. Alterna momenti di lucidità a momenti di delirio. Nonostante numerosi consulti richiesti da Vasco, non riescono a trovare una terapia valida, tanto che la malattia si aggrava sempre di più e diventa mortale. Negli ultimi anni della sua via, Ferruccio vive a Roma con Vasco, il quale si prenderà personalmente cura di lui. La sua è una scrittura realista: racconta del proletariato fiorentino, nonché della vita di quartiere, quindi degli uomini poveri della città e di conseguenza lo scenario di vita è la fabbrica. psichiatri, i quali ipotizzano che i malati di mente possono essere compresi e forse anche curati. Si inizia a cercare una via di comunicazione con i malati, la ragione dialoga con la follia. Nelle pagine di Tobino è evidente la pietas verso le vittime della pazzia e il suo desiderio di comprenderle ed aiutarle. Il primo racconto descrive i vecchi infermieri e la vecchia direzione dell’ospedale, affidata al dottor Bonaccorsi, non sempre inattaccabile sul piano umano e professionale. Il dottor Anselmo/ Tobino è fortemente critico verso quella corrente della psichiatria che nega la malattia mentale o ne attribuisce le cause alla società. Egli vuole restituire dignità ai malati mentali e vuole considerarli delle persone da comprendere, ai quali fornire delle opportune soluzione terapeutiche. In alcune occasioni, ha la sensazione di giungere vicinissimo alla comprensione di questa malattia, alla chiave dell’enigma, ma alla fine il tutto sfuma. Comunque non vi è dubbio che i tempi stiano cambiando. CARLO CASSOLA vedi vita pag. 335 a 337 Nasce a Roma, ma è molto legato alla Toscana, regione di provenienza della madre. Temi ricorrenti nelle sue opere sono la vita quotidiana, attraverso la descrizione degli oggetti più banali, la solitudine dell’individuo, la sofferenza del vivere, cui unico conforto è la solidarietà (Vittorini) e la Resistenza. La sua scrittura è caratterizzata da un intimismo narrativo e da una narrazione filosofica secondo la quale “ogni esistenza è degna di essere raccontata”, anche quella dei più poveri: egli descrive la vita e la realtà nella loro dimensione più ridotta ed elementare. Secondo lui, infatti, l’importante è la vita in quanto tale: racconta del “nudo fatto dell’esistere” nella sua quotidianità (Vittorini e Fenoglio), ricercando personaggi incolori e vicende senza storia. Anche le vicende della Resistenza e della guerra sono raccontate da Cassola attraverso le coscienze più semplici. Tutto ciò porta ad una narrativa minimalistica, che trova compimento nei paesaggi maremmani, nei personaggi del mondo popolare e contadino e nella quotidianità. Cassola è definibile lo scrittore del minimo, del quotidiano minimale. In questo anticipa l’intuizione dello scrittore del nostro secolo Giuseppe Pontiggia, il quale nell’opera Vite di uomini non illustri racconta di 18 esistenze anonime, agli antipodi delle ricche biografie e delle personalità che hanno animato la storia. Il critico Mario Pazzaglia crede che Cassola attraversi varie fasi letterarie durante la sua vita. Il primo momento della sua produzione è caratterizzato da un profondo intimismo: la sua scrittura è attenta alla propria dimensione, dato che è un uomo che si sente solo e la sua attività letteraria rappresenta una fonte di sollievo. Si allontana da questa sua convinzione per avvicinarsi al neorealismo, almeno fino a quando non muta di nuovo e riapproda all’intimismo (3 fasi: intimismo, neorealismo, intimismo). Il primo momento intimista si chiude con l’opera Il taglio del bosco, dopo la quale si cimenterà nel vero e proprio neorealismo, anche se questo libro ha già qualche elemento neorealista. È riconosciuto come scrittore neorealista soprattutto per il romanzo Ragazza di Bube. Cassola elabora la teoria subliminare, attraverso la quale ci spiega che lo scrittore per raccontare agevolmente della vita stessa, deve porsi sotto il livello della coscienza. Il compito dello scrittore è quello di raccontare il nudo fatto dell’esistere, ossia l’esistenza nella sua dimensione più bassa, umile e insignificante. Conseguenza di ciò è che ogni vita ha la dignità di poter essere raccontata, anzi più una vita è vuota, senza prestigio, senza atti nobili, e più è degna di essere raccontata, perché l’importante non è il contenuto, ma la vita stessa. Lo scrittore deve raccontare di una vita anonima, di una vita pura e semplice esistenza, senza abbellimenti. Però lo scrittore come può giudicare il niente, la banalità, la mediocrità? Egli non può interpretare e sindacare attraverso i suoi canoni l’esistenza di un altro uomo. Deve, perciò, fare un’operazione mentale, chiamata teoria del sub-limine (greco= limite), che lo spinge a porsi sotto il livello, sotto il limite, della coscienza critica, per essere sottratto al desiderio di giudicare. Lo scrittore scivola lontano dalla possibile voglia di giudicare, di creare una classifica di valori. Il suo unico scopo è descrivere la vita in quanto tale, poiché qualsiasi esistenza, per il solo fatto di essere al mondo, vale indistintamente tutte le altre. (la teoria subliminare è simile al Verismo, ma si basa su una procedura molto più scientifica= gli scrittori veristi rappresentavano oggettivamente la realtà attraverso la descrizione delle classi più umili, ma ciò che definiva quali fossero tali classi umili era una consapevolezza naturale, mentre la teoria cassoliana si basa su un vero e proprio processo scientifico). Cassola rifiutò tutte le mode letterarie del suo tempo e rimase fedele esclusivamente alle proprie convinzioni. Il taglio del bosco è il libro che meglio celebra la filosofia dell’autore. È composto da 9 racconti. Il quarto racconto eponimo dà il nome al libro. Questo libro si colloca come spartiacque tra la fase minimalista e la fase neorealista. Racconta di un gruppo di 5 boscaioli che, guidati da Guglielmo, trascorrono alcuni mesi in un bosco in Maremma, in una condizione di isolamento. Guglielmo, il capogruppo, da poco vedono, ha affidato le sue due bambine alla sorella e ha acquistato un taglio, cioè il diritto di tagliare una parte del bosco, per poterne poi farne carbone (i boscaioli tagliavano un bosco per alcuni mesi e davano la legna ai carbonai per ricavarne carbone). Guglielmo è l’alter-ego di Cassola (Cassola rimane vedono come Guglielmo). Il libro racconta della durissima vita dei boscaioli e il loro rapporto con una natura spesso ostile. Guglielmo sperava, infatti, che questo ritorno alla natura potesse aiutarlo a superare la perdita della moglie. Tuttavia, non riuscirà nel suo intento, anzi vedrà aumentare la sua nostalgia non trovando rassegnazione (ciò ci ricorda Cassola, un uomo alla costante ricerca dell’appagamento). È un testo che unisce tutta la sensibilità narrativa dell’autore. Viene terminato nel ’49, ma pubblicato un anno dopo da una rivista e nel ’59 da Einaudi. GUGLIELMO PETRONI vedi vita pag. 379-380 Nasce nel 1915 a Lucca da una famiglia modesta, è autore autodidatta e intraprende una carriera di giornalista, scrittore e pittore, lavorando anche per la RAI (è un intellettuale a tutto tondo). Petroni non accettava il fascismo e la dittatura italiana, infatti il 3 maggio del ’44 viene arrestato e incarcerato per circa un mese (venne arrestato con il solo obiettivo di essere torturato per carpirgli informazioni, dato che era uno stratega della resistenza), per poi venire liberato dagli alleati. Il mondo è una prigione è un libro scritto nel ’45 (ritratto della sua liberazione) e pubblicato nel ‘49 da Mondadori, che appartiene al genere memorialistico carcerario. Il libro nel 1965 vinse il Premio Nazionale Prato come il miglior libro sulla Resistenza nato dalla Resistenza. È un libro autobiografico, infatti, per scriverlo, Petroni si ispira all’esperienza della prigionia e racconta il tutto con profonda introspezione. L’autore venne arrestato a Roma dai nazifascisti, insieme ad alcuni amici, per la sua attività antifascista, il 3 maggio 1944. Venne incarcerato e sottoposto a numerose torture, che non lo indussero a rivelare il nome dei suoi compagni, né le strategie partigiane. Venne condannato a morte, ma venne salvato dagli alleati dopo 33 giorni di prigionia. Una volta libero, si stabilì nella sua città natale, Lucca, dove scrisse la sua testimonianza. Il titolo del libro si rifà alla mancanza di empatia verso gli altri e all’indifferenza che ci inducono a chiuderci in una desolante solitudine esistenziale. Infatti, quando viene rilasciato dalla sua prigionia non è sollevato di essere stato liberato, ma rimane deluso dalla decadenza del mondo, del genere umano e si rende conto che la vera prigione è quando non si è in pace con se stessi, quando non si hanno speranze, quando si è romanzi, sulla scia della cultura classica. Era un enfant prodige, infatti scrisse il suo capolavoro a soli 22 anni. Per fortuna riuscì a guarire completamente dalla sua malattia. Anche lui come Pavese vive il disagio dell’incomunicabilità, della quasi impossibilità di avere dei rapporti interpersonali soddisfacenti, ma risolve la questione in maniera differente: mentre Pavese incolpa se stesso di questo disagio (la sua sofferenza lo ha condotto al suicidio), Moravia crede che quello dell’incomunicabilità non sia solo un suo problema, egli crede che sia un problema che affligge tutto il genere umano (gli uomini sono egoisti, pensano a loro stessi, non si preoccupano degli altri). Il rapporto armonico fra due individui è messo in discussioni dagli interessi e i bisogni personali. Tuttavia, Moravia anche se pone attenzione all’etica dei rapporti, si rende conto che l’assenza di relazioni rende l’uomo infelice; perciò bisogna accontentarsi anche di relazioni basse purché appaghino almeno in minima parte gli uomini. Si rende conto che la totale nullità di rapporti rende gli uomini troppo infelici, perciò accetta addirittura le relazioni più basse possibili purché l’uomo possa trovare in esse un minimo di appagamento. Proprio per questo venne definito prima moralista (dato che analizzò l’etica dei rapporti umani e criticò moralmente la famiglia a lui contemporanea) e poi immorale. Moravia è definito nell’evoluzione del suo pensiero il moralista immorale. Moravia condivide il concetto di resilienza fenogliana, dato che utilizza come difesa all’incomunicabilità la resilienza, dunque evita di risultare moralista e accetta di relazionarsi con la società in qualsiasi modo pur di riuscirci (anche attraverso relazioni basse). Moravia venne accostato al naturalismo francese (Zola) dato che parla di uomini piegati dai loro vizi, vicini ai confini dell’accettabilità; eppure attraverso questo comportamento ambiguo affermano il loro essere al mondo. L’uomo di Moravia non rinuncia alla sua vita (a differenza di Pavese), ma accetta i suoi vizi, le sue debolezze, la sua deformità per stare al mondo e per decidere del suo destino. Moravia era un uomo non accomodante, spigoloso, non dolce, in guerra col mondo; eppure proprio in questa relazione complicata con la realtà circostante la sua dimensione di scrittore realizzò le migliori opere. In altre parole, dà il meglio di sé quando è in conflitto con il mondo a lui contemporaneo: in questo modo mette in evidenza i problemi affinché possano essere risolti. Moravia era convinto che il conflitto fosse più fecondo per la produzione letteraria. È sposato con una grande scrittrice, Elsa Morante, la quale – al contrario del marito – dà il meglio di sé quando è in pace con il mondo. La relazione con la Morante termina quando Moravia si innamora di un’altra grande scrittrice, nonché Dacia Marini (Moravia ha bisogno di confrontarsi, o di cozzare, con altri scrittori per dare il meglio di sé). La sua critica è volta verso la perdita dei valori, come ad esempio il sesso non contestualizzato all’amore. Tra i libri di Moravia ricordiamo La noia, Il disprezzo e La ciociara titoli: sostantivi che delimitano un mondo nel quale egli si pone come narratore. NB: Moravia fu un precursore dell’ecologia: negli anni 60-70 si preoccupava di avvisare gli uomini della lacerazione tra natura e genere umano che si andava creando. Gli indifferenti: questo romanzo affronta il tema della crisi familiare. Si tratta di una famiglia borghese in crisi, guidata da Mariagrazia, una vedova che non sta bene da sola e cerca, un po’ per appagamento personale, un po’ per riacquistare il suo ruolo nella società e un po’ per questioni di mantenimento economico, un amante e trova Leo. Mentre Mariagrazia vuole trovare qualcuno che possa garantirle uno status sociale, neanche Leo la ama davvero, anzi vuole semplicemente sottrarle la casa. Si parla, perciò, di un rapporto di coppia, nel quale l’ingrediente principale, l’amore, è assente. Ai due personaggi si aggiungono i figli di Mariagrazia: Carla e Michele, disamorati della vita e della realtà opprimente. Leo non è appagato dalla relazione con Mariagrazia e corteggia Carla. Tale perversione continua con l’accettazione della ragazza della situazione creatasi. Carla accetterà l’interesse di Leo dopo un dibattito interno per opportunismo e per convenienza. Metterà in secondo piano il rapporto con la madre, per ottenere un buono status sociale grazie a Leo. Il ragionamento che la induce a non vederci niente di sbagliato è “Perché no?”. Tutta la storia è orientata quindi verso la ricerca dell’apparenza e la mancanza di valori. Inoltre, Moravia vuole farci capire che il contesto sbagliato influenza la scelta dei personaggi, che compiranno scelte errate. Oltre ai componenti della famiglia, è presente un quinto personaggio, Lisa, nonché ex fidanzata di Leo, la quale si invaghisce di Michele, ma ciò che la spinge a voler frequentare il ragazzo è l’invidia, l’opportunismo, il sesso e la voglia di vendicarsi per essere stata rifiutata da Leo. Quando Michele scopre della relazione tra la sorella e Leo, raggiunge il limite della sopportazione, quindi finge un grande gesto di ribellione: dà appuntamento a Leo per chiarire la situazione, presentandosi armato e con l’intenzione di ucciderlo, ma non appena spara contro Leo, si rende conto che la pistola è scarica; aveva, infatti, dimenticato di caricarla. La pistola scarica è simbolo di impotenza: contro la perdita di valori non vi è nulla che si possa fare. Michele non riesce a rivoluzionare quella realtà piena di disvalori e non è un eroe positivo. Alla fine del romanzo vi è la consacrazione del rapporto tra Carla e Leo e l’accettazione da parte di Mariagrazia della scelta della figlia. Il libro termina con un ballo in maschera, che regala simbolismo alla narrazione. Ciò sottolinea come tutti i personaggi finti, assurdi, inautentici vivessero con una maschera e, anzi, la usassero per mostrare agli altri la loro parte peggiore. Mostrano volutamente la parte più bassa della loro anima, ma la maschera simboleggia il loro vero essere. Nel romanzo non ci sono molti avvenimenti; è piuttosto una radiografia psicologica dei personaggi. La narrazione dura tre giorni, in cui non accade molto, se non un’evoluzione delle caratteristiche psicologiche dei personaggi. Ci sono molti introspezioni e approfondimenti psicologici. Il messaggio che Moravia vuole regalare con il suo romanzo è che una famiglia si sgretola, se non è costruita sull’amore. I personaggi giovani, Michele e Carla, hanno una spinta di coscienza, che tuttavia non può far molto contro la mancanza di valori: Carla è inizialmente indecisa se accettare o meno la proposta di Leo; Michele vuole uccidere Leo. Alla fine Carla prende la decisione sbagliata e Michele non diventa un eroe positivo perché non possono fare molto contro la mancanza di valori. L’incipit del romanzo è stato definito uno dei più belli della narrativa italiana. È un incipit in medias res: il lettore si trova immediatamente immerso al centro della narrazione, come se ci fosse stato un altro capitolo precedente. Non ci sono avvertenze al lettore, un preambolo o spiegazioni: Entrò Carla (Come Paesi Tuoi, Pavese). ENNIO FLAIANO vedi vita pag. 431-433 Nasce nel 1910 ed è molto amico di Leo Longanesi, un editore che apre la sua casa editrice nel dopoguerra. Vuole farla esordire nel panorama letterario italiano con un libro di Flaiano, anche se non si aspettava che il libro avrebbe avuto un tale successo. Flaiano denuncia la guerra coloniale, avendola vissuta. È un talentuoso scrittore abruzzese che nei suoi testi si serve dell’ironia. Scrive pochi romanzi, prediligendo la stesura di diari e aforismi. È un uomo di grande attività narrativa, che ha espresso soprattutto nei suoi articoli di giornali. È ricordato come scrittore neorealista per aver scritto un libro in particolare: Tempo di uccidere. Tempo di uccidere è un testo del 1946 ambientato nel corno d’Africa ed è parzialmente autobiografico: il disagio vissuto dal protagonista è stato sentito anche dall’autore. Il protagonista del romanzo è un soldato (dettaglio autobiografico) che nel pieno della guerra viene colpito da un ascesso. Chiede ai suoi superiori di potersi curare nella guarnigione medica lì vicina. Perciò con un autocarro e un suo compagno si dirige in un centro medico per essere curato. La strada è molto sconnessa e l’autocarro precipita in un dislivello. Non ci sono feriti, ma il mezzo non può proseguire. Perciò mentre il compagno torna all’accampamento, il soldato prova lo stesso a raggiungere la guarnigione medica. Nel tragitto incontra una bellissima ragazza indigena che sta facendo un bagno in un laboratorio). Perciò chiama la polizia e denuncia queste anomalie. Tuttavia la chiamata ha luogo in un giorno di festa e la polizia non può fare un sopralluogo se non prima del lunedì, quando l’uomo viene trovato morto, apparentemente suicida con un foro di proiettile nella tempia in posa per scrivere un biglietto che riporta una frase incompiuta, quale “Ho trovato…” (probabilmente voleva mettere per iscritto le stranezze trovate nella sua abitazione). Il brigadiere incaricato del caso pensa, perciò, che si tratti di un omicidio a causa di alcuni particolari: è insospettito dal biglietto lasciato, dato che Roccella stava costruendo un pensiero (non è il tipico biglietto di un suicida), non lo convince neppure la troppo costruita postura nella quale è stato ritrovato. Ciò nonostante, il commissario non è della sua stessa idea, anzi opta per un suicidio e vuole chiudere il caso il prima possibile. Giungono ad un compromesso e decidono di fare un ultimo sopralluogo, durante il quale il commissario mostra un’ottima conoscenza della casa trovando un interruttore non esattamente a portata di mano. Il brigadiere comprende che il commissario è complice nell’omicidio dell’uomo. Anche il commissario sa di essere stato scoperto. I due si sfideranno e solo uno dei due potrà sopravvivere: il brigadiere, anche se la sua non sarà una vera vittoria. Alla fine del romanzo, si capisce che quella casa era diventata una specie di avamposto della mafia, utilizzata come ricettacolo (furto), come laboratorio della droga, come nascondiglio (= quadri, laboratorio, telefono). La lunga assenza del proprietario l’aveva resa il luogo perfetto. La mafia è orribile in tutte le sue ramificazioni, ma il binomio mafia-politica è ancora peggiore. Sciascia non nominerà mai la mafia, ma il lettore non ha dubbi nell’avvertirne la presenza. Sciascia non dà nome al commissario, mentre chiama Lagandera il brigadiere. Questo perché il commissario non dimostra di essere umano, anzi, equivale al male (all’anello di congiunzione tra giustizia e mafia); mentre Lagandera corrisponde al bene (rappresenta tutto il bene intrinseco nell’uomo). LA LETTERATURA FEMMINILE Nella seconda metà del’900 la società italiana subisce profondi cambiamenti: lo sviluppo tipico del secondo dopoguerra genera la produzione di beni e servizi destinati a settori della popolazione sempre più vasti, l’industria produce oggetti che possono essere acquistati anche da famiglie operaie, c’è l’avvento della scolarizzazione di massa, della televisione, dell’automobile, dei mezzi di comunicazione che migliorano la qualità della vita. Questi cambiamenti influenzano anche la mutazione della famiglia: da una famiglia di tipo patriarcale e maschilista si passa ad una famiglia ristretta e più equilibrata, in cui la donna acquista spazio e potere decisionale. In altre parole, la figura femminile è più consapevole e responsabile del suo ruolo nella famiglia e nella società. A partire dagli anni 60 del 900 la donna finalmente acquista diritti, si afferma come figura avente un ruolo sociale e soprattutto si afferma come persona capace di scegliere (inizia ad essere interprete del suo destino). La donna si afferma su tutti i livelli: economico, sociale, politico e culturale. Questo processo di emancipazione femminile venne iniziato da Grazia Deledda, la quale vinse un Nobel nel 1926, e anche dalla nascita dei movimenti femministi. Le donne si sono progressivamente introdotte nel piano del lavoro. Con la legge 903 del’77 si stabilì l’assoluta parità retributiva tra i due generi a uguali prestazioni fornite. Con delusione, occorre sottolineare che questo processo non si è ancora concluso, soprattutto se si tiene conto della non presenza delle donne nei ruoli di rilievo e se si paragonano questi risultati con gli standard dei paesi nord-europei. L’evoluzione della condizione femminile, nella vita privata e pubblica, ha dato inizio al processo di emancipazione che culminerà con il femminismo. Questo processo di emancipazione femmine ha visto numerose donne avvicinarsi alla letteratura, dando vita alla letteratura femminile. Cerca una sua strada narrativa e una propria sensibilità, caratterizzata da un’attenzione particolare verso le piccole cose domestiche e gli affetti. Inoltre la penna femminile risulta essere più dolce, più sensibile rispetto a quella maschile. Nella scrittura diventano centrali le indagini sui personaggi femminili, l’attenzione alla vita familiare, la profondità all’analisi psicologica con una minore attenzione ai gesti epici. Gli stessi protagonisti cambiano: non devono perseguire degli ideali, ma rispondono ad una logica quotidiana. RENATA VIGANÒ vedi vita pag.471-472 Nasce a Bologna da una famiglia medio-borghese e diventa infermiera per i militari, poiché – a causa della guerra – non riesce a laurearsi in medicina. Per sanare i mali del mondo utilizza la penna e diventa scrittrice. Possiede una grande sensibilità e qualità morali e, come Luisito Bianchi e Beppe Fenoglio, parla di Resistenza. Ha lavorato a fianco dei gruppi partigiani e, tale esperienza, sarà fondamentale per scrivere L’Agnese va a morire. L’Agnese va a morire uno dei capolavori sulla resistenza, vincitore del premio Viareggio nel 1949, tradotto in 14 lingue e diventato pellicola cinematografica per la regia di Giuliano Montaldo. La protagonista del romanzo è una donna che possiede una gatta che sarà per lei una compagnia molto importante. La Viganò scrive con l’intenzione di far apprezzare la figura di una donna, che ricoprirà il ruolo di partigiana, più utile rispetto ad alcuni uomini, anche se si trova a combattere nella guerra partigiana quasi per caso. Agnese è una lavandaia realmente esistita che vive con il marito, Palita, nelle valli di Comacchio (vicino Ferrara), area segnata dalla lotta partigiana, quasi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, durante gli 8 mesi precedenti alla liberazione del nostro Paese. Agnese e Palita non hanno figli e vivono in campagna. Mentre il marito si interessa di politica e partecipa nella lotta partigiana come staffetta*, Agnese è anni luce lontana da questo mondo. Palita riesce a passare inosservato dai fascisti dato che, essendo costretto su una sedia a rotelle, non rappresenta una grande minaccia. Accanto alla loro casa vive una famiglia composta da spie fasciste che si riuniscono spesso con i nazisti e con altri fascisti per festeggiare nello spirito della guerra. Sarà proprio questa famiglia a denunciare Palita, il quale viene arrestato e dopo poco giustiziato. Agnese rimane da sola con la sua gatta (=simbolo di questa coppia che viveva di affetto reciproco e cose semplici, di un’unità familiare ormai perduta è tutto ciò che le resta dal marito), finché un giorno non giungono a casa sua due tedeschi ubriachi (che stavano festeggiando nella casa vicina credendo di star per vincere la guerra) con l’intenzione di prenderla in giro, dato che i partigiani le avevano proposto di prendere il posto del marito. Ormai sotto la spinta dell’ubriachezza, i due soldati iniziano a sparare a vuoto vicino ad Agnese, ma questo folle gioco prende una piega sbagliata e una pallottola va a colpire proprio la sua gatta (valore simbolico). La donna prende il fucile del marito e lo rompe in testa al tedesco, Kurt, che ha sparato quel colpo fatale per poi fuggire. La sua vita cambia completamente: inizia a vivere clandestinamente, a rifugiarsi dai partigiani amici del marito e a intraprendere l’attività che svolgeva Palita, diventando una partigiana, ma aggiungendo alle mansioni di suo marito le prerogative femminili (consola, cura e guarisce i soldati). sia per il divorzio da Moravia che dalla morte di Pasolini; inoltre, in seguito ad una frattura al femore, si ammala ed è costretta a stare a letto. Sottrattale la penna si sente priva di un pezzo di sé. Prova a suicidarsi, ma viene salvata da una domestica. Mentre Moravia esprimeva il meglio di sé quando era in conflitto con il mondo, la penna della Morante ha dato vita alle sue opere più belle quando lei stessa era in pace con la realtà circostante. La storia 1974= fuori dai canoni temporali del neorealismo, ma è chiaramente aderente a tale corrente letteraria: è un libro-manifesto della nostra letteratura ed è al tempo stesso un libro-denuncia caratterizzato dalla criticità dell’autrice. Elsa Morante è consapevole di star scrivendo un’opera importante, perciò vuole che tutti abbiano accesso ad essa. Perché il libro fosse accessibile a tutti, la Morante richiese espressamente ad Einaudi di stamparne un’edizione economica, un’edizione tascabile. Il libro uscì per la collana “Gli struzzi” (la più significativa di tale casa editrice). La critica della scrittrice compare già nel sottotitolo, nel quale definisce la storia come uno scandalo che dura da 10.000 anni: l’umanità è formata da cavie che non conoscono il perché della loro morte. La Storia rappresenta uno scandalo, perché nella maggior parte dei casi noi siamo stati da essa condizionati, pilotati ed uccisi. Lo scandalo della storia sta proprio nel fatto che pochi hanno deciso per molti, nel fatto che noi non siamo protagonisti della nostra storia, la quale viene scritta da altri (la nostra storia dipende da chi scrive la Storia). La Morante vuole che ci rendiamo conto di essere pedine in mano ai potenti, che ci fagocitano e ci costringono ad ucciderci. Lei dimostra come la nostra sofferenza nasca dalle decisioni che altri prendono al posto nostro: il fascismo, le leggi razziali, la deportazione, la guerra devastante, la violenza sulle donne, la solitudine, la povertà. L’acquisizione di tale consapevolezza è il primo passo verso la liberazione. Il romanzo è, perciò, una denuncia contro il potere. È un romanzo ambientato nella Roma della Seconda Guerra Mondiale e descrive gli eventi bellici e le tragiche conseguenze guerra attraverso umili protagonisti, feriti da innumerevoli sventure. Si tratta della storia di una donna calabrese, Ida Ramundo, che vive a Cosenza in un contesto storico complesso, ovvero quello della Prima Guerra Mondiale. Rimane vedova, dato che il marito muore in guerra, con un bimbo, Nini. Malgrado ciò, ama e alleva il suo bambino da sola e siccome fa la maestra, si trasferisce a Roma per cercare lavoro. A Roma trova inizialmente armonia, una casa, un lavoro e una città in cui fare crescere suo figlio; tuttavia la Storia sta facendo il suo corso e si avvicina la Seconda Guerra Mondiale. Una sera mentre torna a casa viene molestata e stuprata da un soldato tedesco ubriaco. Ida è certamente disperata e sotto shock, ma al tempo stesso prova pietà per l’uomo, perché è ubriaco, espatriato ed è vittima anch’egli della Storia (sta combattendo una guerra che non vorrebbe, ma si trova lì per qualche ordine superiore della Storia). Lo stupro è descritto con crudezza, ma non con disperazione. Dalla violenza subita Ida rimane incinta, ma accetta il bambino, Giuseppe (chiamato “Useppe” dal fratello maggiore), amandolo e crescendolo da sola come ha fatto con il primogenito (Ida=eroina). Giuseppe nasce malato di epilessia, ma cresce comunque serenamente. Al sorgere di problemi economici, il figlio primogenito di Ida è costretto ad andare a lavorare, ma la realtà nella quale vivono non offre parecchie possibilità lavorative. Infatti finisce per fare il contrabbandiere e perde la vita in un conflitto con la polizia. A questo punto Ida rimane sola, con Giuseppe malato, al ché compra un cane, Bella, un pastore maremmano, che si prende cura di Giuseppe mentre lei è a lavoro. Bella diventa, dunque, parte integrante della famiglia. Un giorno Ida si reca a lavoro e lascia Giuseppe con Bella. Ad un certo punto, però, chiama a casa per assicurarsi che vada tutto bene. Nessuno risponde al telefono, Ida inizia a preoccuparsi e corre verso casa. Una volta giunta a destinazione, Ida trova Giuseppe morto in preda ad un attacco epilettico. Lo prende e lo distende sul letto per vegliare su di lui. Tuttavia la notizia non rimane segreta per molto tempo: le autorità sfondano la porta per prelevare il corpo morto di Giuseppe, però Bella non permette alla squadra di avvicinarsi. Per questo motivo le forze dell’ordine sono costrette ad “abbattere la bestia”. Ida viene portata in un ospedale per essere ricoverata, ma non ne uscirà più: ci rimane per 9 anni, fino al giorno della sua morte, registrata l’11 dicembre 1956, a 53 anni. Per come, però vive questi ultimi nove anni, si può affermare che la donna morì con suo figlio, quel giorno. Così come morì con lui anche la sua seconda madre, Bella, la quale non può che essere considerata tale per l’amore dimostrato al bambino. Sembra che la vita non faccia sconti ad Ida, ma lei accetta tutto con la consapevolezza di vivere la sua vita nonostante le difficoltà che deve affrontare, almeno fino alla morte di Useppe (la sua morte è troppo straziante e lei impazzisce). NB: Luisito Bianchi in La messa dell’uomo disarmato descrive la storia come la Morante: mentre la scrittrice mette in contrasto la storia e la Storia, l’autore gioca sull’opposizione tra parola Alta e parola Bassa, ma sono comunque due opere dal tratto parallelo (l’obiettivo e la sensibilità sono simili). L’ECLETTICISMO ESPRESSIVO questi autori rappresentano quanto di più multiforme ed eterogeneo possa esistere sul piano artistico e hanno una notevole ampiezza letteraria e non solo: Calvino rimarrà sempre nell’ambito letterario, pur sperimentando quasi tutti i generi, e Pasolini si dedicherà anche ad altri ambiti. ITALO CALVINO vedi vita pag. 555-558 Nasce a Cuba nel 1923 perché il padre gestiva lì una sperimentazione agricola e una scuola di agraria, ma è originario della Liguria e a tre anni torna a Sanremo con la sua famiglia, non appena il padre terminò il suo lavoro. Dopo la guerra si laureò in Lettere e prese vita la sua prestigiosa carriera da scrittore. Trattò tutti i generi letterari, credendo notevolmente nell’importanza della scrittura, nell’importanza della penna (come Morante, Moravia, Carlo e Primo Levi); eppure Calvino pensava che la letteratura non necessariamente trasformasse la realtà, ma che potesse incidere sostanzialmente su di essa attraverso le soluzioni e la didattica che proponeva. È un autore parecchio attratto dal fiabesco (una letteratura fantasiosa e onirica), dall’irrazionale, dal romanzo storico, dalla sperimentazione della letteratura surrealista e iper-surrealista. Anche se alcuni critici dividono la sua attività narrativa in vari sottogeneri, altri preferiscono considerarla un unicum in cui le varie fasi convivono (come lo stesso Calvino preferirebbe). Proprio grazie a questa sua passione per il romanzo fiabesco catalogò tutto il repertorio fiabesco esistente in Italia. La fiaba venne da sempre trasmessa oralmente, ma egli girò tutta l’Italia e trascrisse tutte le fiabe tramandate da generazioni. Ne raccolse più di 200 e tutt’oggi la sua opera è un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono approfondire questa tematica. Successivamente, Calvino spostò i suoi interessi verso le scienze naturali. Opere riguardanti questo tema sono Le Cosmicomiche e Ti con zero, in cui è palese un continuo confronto con ipotesi scientifiche sull’evoluzione del Creato e delle Creature. Un’altra opera importante dell’autore fu Le città invisibili, in cui nel tredicesimo secolo, 55 città vengono descritte da Marco Polo al potente imperatore mongolo Kublai Khan: le città, non corrispondono alla realtà, ma nelle parole che le descrivono il realismo si confonde con l’improbabile, regalando al lettore la sensazione di una loro reale storicità. L’ultimo periodo della produzione letteraria calviniana è quello che presenta un intimismo più marcato. Ad esempio, Palomar si presenta come un libro religioso anche se ateo, dato che analizza temi quali l’esistenzialismo e il metafisico per giungere alla completa sconfitta, sinonimo dell’assenza di Dio. Calvino fu un importante critico letterario: analizzò vari generi e le correnti letterarie del 900 e non solo. Divenne un critico molto autorevole ed ascoltato. A differenza di Moravia, di spia. Cugino uccide la sorella, anche se Pin non se ne accorge, e poi saranno liberi di andare verso la loro storia (immagine di speranza e di fiducia nel futuro). RICAPITOLANDO: MODI PER PARLARE DI RESISTENZA 1. Approccio neutro e pacato: Fenoglio /Bianchi 2. Fascismo = male / partigiani = bene: Viganò e Calvino Il sentiero dei nidi di ragno contiene l’espressione ideologica di Calvino, soprattutto nel capitolo 9, dove quasi cessa di narrare per esprimere la sua idea politica a sostegno del comunismo. PIER PAOLO PASOLINI vedi vita pag. 587-593 È definibile un artista eclettico perché ha sperimentato sia generi letterari che forme artistiche diverse (poesia, narrativa, pittura, scrittura teatrale, scrittura cinematografica, regia cinematografica). È un artista versatile e a tutto tondo, che ha attribuito all’arte il suo mezzo di articolazione espressiva. Nasce a Bologna nel 1922, dato che suo padre militare era stato trasferito in questa città. Pasolini si affeziona a Bologna, anche se non è la sua città sul piano del genius loci: studierà qui iscrivendosi all’università di Bologna alla facoltà di Lettere, creerà le sue amicizie e tiferà per il Bologna. Eppure la vera radice di Pasolini è il Friuli, paese natale della madre, precisamente il paese di Casarsa. Tutta la famiglia tornerà nel luogo d’origine, tranne il padre impegnato in guerra, dato che la provincia friulana era decisamente più sicura rispetto a Bologna durante gli anni del conflitto. Il suo amore sfrenato per la madre lo porta a considerare tutta la dimensione culturale della madre, ben conosciuta sul territorio. Molto legato al suo genius loci (al territorio, al dialetto, alle persone) si avvicina alla scrittura scrivendo poesie in lingua friulana. Raccoglie tutti i versi scritti in dialetto friulano nel volume La meglio gioventù. Successivamente pubblicherà Seconda forma de “la meglio gioventù”, rifacimento della prima. Queste due opere saranno poi pubblicate con il titolo La meglio gioventù. Insieme a sua madre (maestra delle elementari) fornisce educazione ai figli di contadini in questi anni di guerra in cui non era facile per loro ricevere un’istruzione. Il suo modo di insegnare è particolarmente innovativo: usa pochi libri, molta dialettica, molto dialogo ed esperimenti o gite sul territorio per capire il linguaggio della natura. Mise in scena la sua prima opera teatrale I fanciulli e gli elfi trasformando i ragazzi in attori. Il suo primo testo letterario di rilievo è un testo di narrativa, Romans, dove per la prima volta Pasolini esprime la battaglia che tratterà fino alla fine dei suoi giorni contro una non accettata omosessualità. Narra dell’amicizia tra un prete e un maestro di storia, che fa emergere il suo disagio con una natura che non ha mai voluto accettare. Il fratello Guido, partigiano coinvolto nella politica, viene ucciso dai partigiani iugoslavi di Tito, probabilmente a causa di polemiche nate tra i due gruppi. Nonostante questo episodio e il fatto che lo stesso Pasolini avesse aderito alla causa partigiana, nelle sue opere non “cantò” la Resistenza. Nel 1950 Pasolini e la madre si trasferiscono a Roma, dove continua ad insegnare in una scuola di Fiumicino. Il suo metodo di insegnamento continua ad essere innovativo, dato che non volendo lasciare a loro stessi i “casi” più difficili, aiuta i ragazzi con un rendimento basso. Salva questi ragazzi, offrendo loro la possibilità di capire perché avessero determinate lacune. L’esempio più clamoroso, è un ragazzo di 12 anni, che non riusciva neanche a parlare forse perché oggetto di scherno, il quale poi sarebbe diventato Vincenzo Cerami (scrittore del’900 che scrisse la sceneggiatura della Vita è bella). A Roma non si limita all’insegnamento, ma estende la sua arte alla narrativa, al cinema, alla saggistica. È un uomo di riferimento nella dimensione intellettuale del tempo. È un personaggio amato e odiato a causa della radicalità delle sue posizioni. Pasolini non voleva migliorare il mondo, ma voleva cambiarlo e sostituirlo con un altro, laddove credeva che andasse cambiato (non apprezzava la chiesa, la televisione, la situazione economica, l’ingiustizia, la scarsa libertà). Non voleva che si prestasse attenzione alla dimensione apparente, ma a quella reale. Vive a Roma circa 25 anni sempre con la madre, per la quale aveva una venerazione assoluta. Era un personaggio scomodo che condusse una battaglia contro lo sviluppo, in particolare l’abbandono del mondo contadino in favore dell’inurbamento, rompendo l’equilibrio uomo-natura. Credeva che di questo passo l’uomo avrebbe inevitabilmente compromesso il suo rapporto con la natura. Non condivideva i metodi delle multinazionali, del potere economico, del potere politico, dell’edilizia selvaggia e mise in evidenza come quella corsa al profitto avesse leso i rapporti umani, avesse distrutto i valori e la stessa storia italiana (dato che l’Italia è una nazione contadina). Si oppose alla vita borghese, al capitalismo, al consumismo e alla televisione. Pasolini fu un profeta, anche nella sua contraddittorietà, e espresse un doloroso pessimismo nei confronti di una realtà profondamente degradata. Scrisse molti libri di denuncia e soprattutto articoli giornalistici molto critici. Scrisse un libro Petrolio, che rimarrà incompiuto, nel quale raccontava con nomi e cognomi alcune verità molto scomode. Tragica fu la sua morte: Pasolini venne massacrato di botte a Ostia nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975. Venne accusato un uomo, Giuseppe Pelosi, che mascherò l’assassinio come un atto sessuale. In questo modo celò il vero motivo di questo omicidio, quello politico, e i veri mandanti. Pasolini, nonostante le sue contraddizioni, fu una delle figure guida del’900 non solo sul territorio nazionale, ma studiato molto anche all’estero grazie alla profezia che aveva anticipato molti anni fa. Pasolini ha scritto delle meravigliose opere neorealiste, dato che nei suoi scritti descrive la realtà dura del mondo contadino e disumanante delle periferie degradate del mondo moderno. Nella dimensione neorealista pasoliniana la condizione umana è compromessa e flebile è la speranza per un futuro migliore. Dato che condanna qualsiasi aspetto del mondo contemporaneo, Pasolini non può essere inserito nel Neorealismo elogiativo della prima fase, ma neanche nel Realismo Critico, considerando che egli non vuole migliorare il mondo, ma distruggerlo per poterlo ricostruire. Tutti i racconti e tutti i personaggi raccontati sono frutto di fantasia, persino una biografia. Basti pensare a Se questo è un uomo di Primo Levi. Crediamo che il testo sia perfettamente corrispondente alla realtà, ma ciò non è del tutto vero, dato che ogni trama narrativa è frutto, anche in piccola percentuale, di un tratto romanzato. Lo stesso Levi diceva che il libro è quasi del tutto autobiografico, però ogni evento, seppur reale, passa attraverso la lente soggettiva dell’autore. Magari alcuni eventi non sono ricordati benissimo e vengono scritti attraverso il punto di vista dello scrittore oppure, per seguire una determinata scelta narrativa, l’autore sceglie di raccontare i fatti in una specifica maniera. In questo caso, la narrazione è aderente alla realtà, ma non è la realtà. In ogni libro, anche in un’autobiografia, c’è una vena di romanzato, un pizzico di finzione. Antropologicamente su un piano letterario dobbiamo considerare tutti i personaggi tratti dalla letteratura homines ficti (=uomini finti). La letteratura ci propone questa grande divisione tra uomini reali, nati da donna, e uomini desunti dalla narrazione letteraria. Si dice che la scrittura di Pasolini renda questa distanza tra homo fictus e uomo nato da donna la minore possibile. La sua scrittura mette in scena il più possibile, con la resa meno irreale, personaggi veri, sia su un piano narrativo che stilistico. La penna pasoliniana è la più realistica possibile. Pasolini non ha scritto opere dal grande spessore narrativo, ma la descrizione è decisamente raffinata. Il suo modo di narrare sembra raccontare, i ritratti psicologici assomigliano a persone vere, lo stile è estremamente realista. Esiste anche un altro archetipo: l’uomo interpreta se stesso innanzitutto come uomo narrante che racconta (per questo lo scrittore è importante). Il sogno di una cosa Titolo originale: I giorni del lodo De Gasperi De Gasperi, anche sulla spinta di Carlo Levi, stava cercando di far approvare leggi che tutelassero i contadini.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved