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La Antropologia: Significato, Cultura e Società - Prof. Di Giovanni, Sintesi del corso di Etnologia

Antropologia biologicaTeoria della culturaAntropologia socialeAntropologia culturale

Il significato intellettuale, culturale e biologico dell'antropologia, enfatizzando l'uomo come essere immerso in un ambiente fisico, biotico e sociale. Viene discusso il ruolo della tecnologia, organizzazione sociale, credenze religiose e valori nell'adattamento umano all'ambiente. Inoltre, viene presentata la prospettiva socio-costruttivista e il concetto di cultura, che riporta all'idea di società dinamica e in continua evoluzione.

Cosa imparerai

  • Come la prospettiva socio-costruttivista influenza la comprensione della cultura?
  • Come gli antropologi studiarono la cultura e la società nel corso del Novecento?
  • Quali sono i tre elementi portanti delle strategie adattive umane?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 24/05/2019

costanza-lopez
costanza-lopez 🇮🇹

4.6

(19)

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Scarica La Antropologia: Significato, Cultura e Società - Prof. Di Giovanni e più Sintesi del corso in PDF di Etnologia solo su Docsity! Capitolo 2: Lo studio. Oggetti e teorie 1. Sull'uomo. Intanto “antropologia” da “antropos” più “logos” significa discorso, ragionamento sull'uomo. Il significato intellettuale, culturale e biologico dell'antropologia va quindi ricondotto al suo oggetto primario: l'uomo questo, come gli altri animali, è immerso in un ambiente, intendendo con questo termine l'ambiente fisico (clima terreno piovosità), l'ambiente biotico (ente animali) e l'ambiente sociale (interazione con gli altri membri della specie umana). Noi uomini apparteniamo a una specie biologica fra tante altre, che è la specie Homo Sapiens, che presenta molte caratteristiche del tutto diverse da quelle degli altri animali: la stazione eretta, il coordinamento tra occhio e mani, la ricettività femminile. Perlopiù gli esseri umani trascorrono la maggior parte del loro tempo in compagnia di altri esseri umani; generalmente è in gruppo che si adattano all'ambiente e cercano di procurarsi tutto ciò che il sostentamento richiede e si può affermare in linea generale che le strategie adattive si basano su tre elementi portanti: la tecnologia, l'organizzazione sociale, le credenze religiose, i valori tutti frutti dell'intelligenza umana. che porta alla capacità di comunicazione e quindi al linguaggio lo scambio di informazioni è un elemento essenziale dell'adattamento di qualsiasi specie biologica all'ambiente; una fallita comunicazione può portare ad una perdita di risorse, a un danno, addirittura alla morte. Inoltre gli esseri umani costituiscono una specie animale incredibilmente differenziata: siamo i di colori (pelle, capelli), fattezze e misure diverse, lingue estremamente diverse, usi e costumi differenti e idee sul mondo e su noi stessi differenti. Ciò a dispetto del fatto che ci unisce una comune matrice biologica e psichica. Inoltre gli uomini danno significati al mondo, agli oggetti, agli eventi, alle persone, ai comportamenti e alle emozioni, agendo come se questi significati fossero reali —> questa prospettiva detta socio-costruttivista che risale a Durkheim e Marx ci riporta al concetto di cultura. 2. Cultura e società. L’oggetto dell'antropologia divenne, a partire dai primi decenni del Novecento, la singola cultura nella sua individualità, empiricamente osservabile portata da un popolo, legato a un luogo. -per Boas è necessario studiare le culture nel loro particolare contesto storico; -per Malinowski una cultura è un complesso di elementi legati fra loro da relazioni funzionali. -per Brown, viceversa, l'oggetto dell'antropologo deve essere la società concretamente osservabile e non la sua cultura, che è un'astrazione derivante da questa. -per Benedecict le culture, in quanto reti di significati costruite dai loro stessi membri attraverso l'azione, l'esperienza e l'interazione, non si possono studiare adottando una prospettiva esterna ma vanno almeno in una prima fase della ricerca comprese dall'interno, cogliendo il punto di vista del nativo (osservazione partecipante); in una seconda fase, poi, possiamo far ricorso a prospettive esterne per allargare la nostra visione. Intorno alla metà del 900, parallelamente all'avvio dei processi di decolonizzazione e dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli antropologi iniziarono a studiare il conflitto. È in questo periodo, infatti, che alcuni studiosi presero le distanze da quell'idea di cultura per sottolineare l'esistenza di tensioni e conflitti, di equilibri precari, capendo che le culture e le società cambiano e, quindi, un'immagine dinamica di società; ciò ha dimostrato che nonostante la presenza di una qualche forma di organizzazione politica di meccanismo in grado di mantenere l'ordine, la dimensione conflittuale e il mutamento sono due costanti di tutte le società umane. Si cominciava insomma a mettere in discussione un presupposto abituale in antropologia, che ora veniva inteso come la “finzione dell'omogeneità”. 3. Il dibattito sulla cultura. Il termine cultura è una parola centrale dell'antropologia. Con il consolidarsi della disciplina ebbe inizio il periodo in cui le condizioni della ricerca antropologica videro lo studio di piccole comunità relativamente isolate, insomma lo studio del modo di vita di un popolo. Nazioni, civiltà, popolazioni e comunità dovevano avere una cultura: il compito dell'antropologo era “andare là e poi tornare qui a raccontarci che cultura era”. Il dibattito si concentra su questioni del tipo “qual è la sede della cultura? è fatta di cose reali che si possono osservare empiricamente oppure un modello ricavato dagli antropologi a partire dalla realtà? qual è il suo livello di astrazione? se ne devono scoprire le leggi oppure interpretarne i significati? La località, la tribalità sono intese come tratti distintivi della vita sociale che per tutta la prima metà del 900 sono apparse come delle società arcaiche, immobili, in una sorta di equilibrio e in grado di assorbire le tensioni e le spinte di cambiamento provenienti sia dall'interno che dall'esterno, oppure di spezzarsi e scomparire con una visione negativa del mutamento come un fattore distruttivo e di degenerazione. Una posizione che trova straordinaria espressione in ciò è quella di Levi-Strauss che esprime il suo disprezzo per la cultura occidentale che si diffonde e devasta gli altri mondi culturali, attraverso la metafora della “sozzura” gettata sul volto dell'umanità. Nella seconda metà del Novecento questa visione gradatamente scomparve per lasciare il posto all'idea che il cambiamento fosse un fattore importante delle dinamiche sociali e culturali. La “sozzura” di Levi-Strauss è infatti rielaborata come un “fertilizzante” in grado di stimolare creatività e nuovi ordini di differenza (ne parlò Clifford).
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