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La passione del reale - Daniele Dottorini, Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Riassunto del libro "La Passione del Reale" di Daniele Dottorini

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 27/04/2021

CamillaFrancini
CamillaFrancini 🇮🇹

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Scarica La passione del reale - Daniele Dottorini e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! LA PASSIONE DEL REALE – DANIELE DOTTORINI INTRODUZIONE Lo sguardo della m.d.p. fin da sempre è stato al tempo stesso una “presa” del reale e una sua reinvenzione fantastica. Da una parte si collocano i fratelli Lumiérè che hanno avuto uno sguardo documentario sulla realtà, dall’altro Mèliès simbolo del cinema come creazione di modi fantastici e immaginari. Il cinema quindi ha due origini (come la filosofia). Queste due linee non sono separate, né in opposizione, ma si intersecano lungo tutta la storia del cinema poiché co – originarie. Godard stesso individua la compresenza di uno sguardo Lumière e Méliès ( “il primo che nel cinema del reale ha scoperto lo straordinario nell’ordinario e il secondo che nella sua esplorazione del fantastico ha svelato l’ordinario”). L’alleanza tra ordinario e straordinario è entrata in crisi nel momento in cui la dimensione fantastica dell’immagine ha assorbito una % altissima della produzione audiovisiva contemporanea. Anche se ormai il panorama audiovisivo contemporaneo, il così detto “postcinema” è un territorio, un dispositivo, un sistema di relazioni e ibridazioni che caratterizzano la contemporaneità. È un qualcosa che ha a che fare con le tecnologie e la circolazione di contenuti all’interno queste. In questo contesto la divisione tra reale e fantastico viene meno. Perché il cinema non esiste più solo come dispositivo, ed in sé e per sé, perché tutto è diventato cinema o meglio “audiovisivo”. In questo modo la definizione di cinema non corrisponde a quella del secolo scorso, ma è in una continua “rilocazione”. Parlare di cinema del reale significa: svincolarsi dal sistema dei media e assumere una posizione inattuale. (quindi contemporanea) - Un cinema che sperimenta le possibilità dell’immagine di costruire un rapporto con il reale o con il reale come problema. - È definibile come un cinema animato da uno sguardo documentario che sperimenta forme e linguaggi. - Il recupero delle forme e delle possibilità dello sguardo documentario. (Dalle origini a Flaherty e Vertov, alla rivoluzione degli anni ’60, dal cinema verité, al Direct Cinema, al Free-cinema). Con la possibilità che tali forme possono essere sperimentate per la creazione di nuovi immagini del mondo e nuovi rapporti tra l’immagine e la realtà, nuovi sguardi e nuovi interrogativi sul reale e le sue conseguenze. - È la ripresa del vivente (cioè non è la ripresa della vita e del mondo, ma del movimento di essi) - Anche come sguardo critico sulle rappresentazioni della realtà e sulle forme mediatiche. Esso riscopre il potere del racconto, il potere del montaggio. La rottura quindi non è tra realtà e finzione, ma tra nuove modalità di racconto e quindi la produzione di nuove immagini. Ciò che ha posto le basi e gli strumenti per la creazione di nuovi immagini ed immaginari è la rivoluzione attuata dal Free Cinema inglese (fine anni ’50). Da qui emerge qualcosa di nuovo, dal pto di vista dei corpi filmati, che non seguono più l regole del decoupage classico, ma sembrano più liberi a partire dai loro gesti e dalle loro parole; liberi di seguire e muoversi insinee, chinfilma e chi è filmato. Grazie anche alle nuove tecnologie che permettono più libertà. Si affianca a ciò un principio di incertezza, che fa della libertà il punto di partenza e il fine stesso di filmare. A ciò si accodano tutti altri 1000 movimenti (neo realismo, direct cinema, cinema veritè ecc). da cui partirà la volontà di riportare il cinema alla semplicità degli inizi, mescolandolo di nuovo al quotidiano della vita. Si apre così la volontà di rifamiliarizzare il cinema. Ciò che si ricerca non è la realtà o la verità, ma lo stupore che il cinema suscita. Il reale consiste in ciò che si apre nella dimensione dell’incontro e dell’evento, quest’ultimo in grado di coinvolgere filmante e filmato. Tutto ciò è analogo al passaggio tra vecchio e nuovo millennio, dove lo sguardo documentario si confronta e indaga le nuove tecnologie digitali dell’immagine. Dove però il problema della Verità e del Reale si sposta ad un livello ontologico (immagine che rivela una verità esterna ad essa) ad un livello di pratiche, di capacità produttiva dell’immagine ( la verità che l’immagine produce di sé). 1° CAPITOLO – LA PASSIONE DEL REALE Discorso sul metodo Bisogna riflettere sullo sguardo documentario come luogo di sperimentazione di forme che si interrogano sul nostro rapporto con la realtà. Si analizzerà un cinema che si impegna o può impegnarsi per il reale, attraverso la creazione continua di immagini, tutte legate ad un movimento verso o a causa di qualcosa, che non è mai già dato. Mentre l’espressione “cinema del reale” sembra indicare un’appartenenza, un cinema che appartiene al reale o la forma di cinema che è fatta nel e con il reale, ma è anche una ricerca del legame tra i soggetti e il mondo. Il montaggio è lo strumento di cui si avvale e che permette l’accostamento di piccoli elementi, la cui analisi permette l’elaborazione di un discorso generale. Si tratta quindi di scoprire attraverso un particolare montaggio, come il lavoro del cinema del reale permette di rimettere in gioco concetti importanti. Concetti veicolati e dal passaggio della vita nelle immagini che costituiscono le idee. Bisogna quindi pensare il cinema come costruzione e svelamento di connessioni, legami tra esseri viventi, raccontare storie che possono avere anche la forza senza fondamento del gesto poetico e anche solo per questo sono forme di approccio al vero, al reale. Il cinema del reale contemporaneo è un’esplorazione non tanto tesa a ricostruire una storia, ma a pensare le forme, o meglio, a scoprire quali forme di pensiero il cinema del reale può mettere in gioco e in che modo. In questo tipo di cinema le immagini che si riferiscono al reale si realizzano con un crescente disinteresse per la loro veridicità e con una sempre maggiore indifferenza nei confronti della loro capacità di rendere testimonianza. Da un lato possono testimoniare un pensiero che coglie le mutazioni dello scenario contemporaneo, dall’altro rischiano di trasformarsi in formule astratte. L’obbiettivo è riattraversare la passione del reale che caratterizza lo sguardo documentario e con essa riconoscere e ripensare le forme e le pratiche del pensiero lungo la storia. vivere l’immagine come evento visivo e flusso, atto di enunciazione e non parola. Un cinema che si impegna per il reale è un cinema che mette in relazione più sguardi, un cinema basato sull’incontro tra sguardi. 1. La forma primaria dell’incontro è quella del racconto, dove si tratta di costruire dei personaggi, ma soprattutto il proprio sguardo come personaggio, entrare in campo e dichiarare la propria presenza come atto di narrazione. Ad esempio Herzog tramite la sola voce, interroga i soggetti che rispondono non direttamente a noi, ma ad un intercessore, cioè questo sguardo-voce. Capace di coniugare l’atto semplice e privato di una conversazione con quello metafisico e cosmico di un reale che non smette di sorprendere. 2. L’incontro può avvenire grazie alle voice over che assume il ruolo di personaggio-guida, di interprete di un percorso aperto in cui rendere giustizia ai corpi che entrano nello spazio filmico. 3. Incontro può avvenire tramite la messa in gioco diretta del corpo del soggetto che filma. È un cinema estremo che ricerca la verità attraverso il patto che si instaura tra chi filma e chi è filmato. In questo caso chi filma deve accettare di mettersi in gioco, e affrontare un corpo a corpo tra 2 sguardi, saltando i confini tra finzione e documentario. Questa modalità può prendere una forma diaristica. La verità del film sta principalmente, nel gesto di raccontare rivelando lo sguardo di chi sta filmando. Entrambi chi filma e chi sta filmando si mettono in scena in una modalità aperta, non prevista e non prevedibile fino in fondo. Si cerca in questi molteplici modi di tornare a filmare un legame con il mondo, ed è proprio quest’ultimo l’oggetto del filmare, il fine ultimo dello sguardo cinematografico. La passione del reale che abita le immagini contemporanee non è una continuazione del movimento che ha attraversato il XX secolo, ma costituisce una metamorfosi. La teoria pasoliniana è una delle teorie che con più forza indaga la necessità del rapporto tra cinema e reale. Badiou (filosofo) non pretende di cogliere il reale, ma di coglierne la forza e la potenza a partire dallo strappo, dal corto circuito violento e radicale che si apre nel tessuto delle finzioni. Cioè il reale si coglie attraverso la rottura di una situazione stabile. È infatti attraverso la messa in forma di ogni esperienza che il reale ha la chance di emergere. Secondo Pasolini il reale crea scandalo, perché lo scandalo è un movimento, è qualcosa che lacera il tessuto della rappresentazione e quindi mostra il mondo, il rapporto tra me e il mondo, non come naturale. (perché il reale ha insita una profonda contraddizione, cioè voler desiderare al tempo stesso un nuovo mondo e il mondo nel suo passato, nella sua tradizione e nella sua trasformazione, la possibilità di vivere ogni aspetto). In questo contesto si inserisce il cinema, che, grazie alla riproduzione diretta e fisica degli oggetti è sostanzialmente poetico. Il rapporto tra cinema e reale è un rapporto caratterizzato da una tensione dinamica e feconda, dove il montaggio determina la sutura necessaria a ciò che sarebbe puro flusso. 2° CAPITOLO -SPAZI E MONDI Lo spazio oscuro del reale Si prendono in esame e come direttiva i documentari sviluppati presso il Sensory Ethnography Lab di Harvard, una struttura che coniuga ricerca estetica ed etnografica (e antropologica) con la produzione di film destinati al mercato. Il SEL si basa su un progetto legato ad alcune tendenze dell’antropologia contemporanea, in particolare il concetto di sensory ethnography, cioè l’indagine e la ricerca fondata sulla dimensione sensoriale dell’esperienza sul campo e sulla possibilità di riprodurla attraverso forme espressive diverse dalla scrittura. Questo concetto, etnografia sensoriale propone il recupero della dimensione conoscitiva della sensorialità. (di quella disciplina filosofica che pone i sensi e le forme al centro di un’indagine conoscitiva di sé e del mondo). Il Lab si propone di promuovere una prospettiva estetica in cui la forma no è puro ornamento, ma possibilità di percepire il mondo, sentirlo. La ricerca di questo laboratorio si fonda sull’idea del cinema come strumento di indagine del mondo e di sé stesso, delle proprie potenzialità di sguardo e discorso, di forma estetica come traccia e indagine documentaria. L’indagine verte sulla possibilità di rintracciare la messa in movimento di una particolare concezione del paesaggio che ha attraversato il Novecento. Si cerca quindi di individuare nella dimensione sensoriale (del cinema), la possibilità di elaborare una pratica del paesaggio, dello spazio come luogo abitato e come elemento dinamico. La domanda che ci si pone è, come lavora un paesaggio nel cinema e come il cinema opera attraverso di esso? (Attraverso i film del Lab) emerge il pensare lo spazio come elemento “operante”, inteso come movimento di mondo, un movimento fatto di passaggi e trasfusioni. Un movimento creatore nell’immagine che prolunga e trasfigura il mondo. Emergono da qui 3 possibili prospettive differenti: - Deleuze, pone l’accento sul movimento di mondo e dunque su uno spazio che non cessa di modificarsi insieme ai corpi che lo abitano. Il mondo è inteso come rapporto territorializzato e deterritorializzato a costruirsi come movimento in cui l’uomo è parte. Il mondo/paesaggio è in movimento continuo e non può essere catturato se non in maniera parziale. - Heidegger, sottolinea la profonda coappartenenza del pensare e dell’essere situati. È l’uomo ad abitare poeticamente il mondo. Ed esso può essere sottoforma di immagine, di paesaggio costruito dallo sguardo (o m.d.p.) poetante. - Agamben, che riflette sul senso della parola uso, distinguendola da proprietà o appropriazione. Cioè la figura dell’inappropriabile diventa la figura di ciò che può essere usato pur non potendo mai essere proprietà, come il paesaggio, nel suo rapporto con l’ambiente e il mondo. Sostenendo che chiunque abbia indagato il “problema del paesaggio” non è stato chiaro nel definirlo come realtà naturale o fenomeno umano, lasciando emergere una serie di aporie. Da queste però emerge un punto in comune: il paesaggio è qualcosa che riguarda in modo essenziale l’uomo, anche se esso sembra sfuggire ad ogni definizione”. Quindi il movimento di mondo deluziano, la coappartenenza di abitare costruire pensare e abitare in Heidegger e l’indefinibilità e l’inappropriabilità del paesaggio in Agamben sono i 3 concetti che il cinema porta alla luce e problematizza con la propria pratica; in particolare nelle pratiche del cinema del reale. Ciò che fa il Lab è di pensare cinematograficamente questi concetti come forme pratiche del cinema. Ed è proprio nel movimento cinematografico che la forma del paesaggio come luogo animato si palesa con evidenza, perché si costituisce come relazione dinamica e non statica. Movimento che è anche il movimento di mondo, proprio perché fare cinema non è comunicare una singola idea, è una forma di impegno con il mondo. Cioè pensare cinema come qualcosa che appartiene al mondo, che è immerso in esso e quindi l’esperienza filmica diventa anche altro, riscopre una potenza non solo descrittiva, ma anche evocativa e mitica. Il fantastico e l’astratto Lo spazio o meglio il paesaggio può essere considerato come operatore filmico mentre la m.d.p. come elemento che lo amplifica, che lo trasforma fino a renderlo irriconoscibile pur mantenendo la potenza di luogo reale. Questo movimento di trasformazione visiva e sensoriale è una delle eredità del cinema espressionista. Una delle caratteristiche di questo spazio è una dinamica doppia e contraddittoria: - Da una parte si ha uno sguardo che ricrea il mondo, che espande la soggettività in ogni elemento - Dall’altra il soggetto viene trasceso da uno sguardo che astrae da ogni soggettività e presenta il mondo sotto forma astratta. Esiste un documentario espressionista capace di elaborare immagini del mondo che al tempo stesso vanno oltre lo sguardo umano e sono totalmente consegnate ad uno sguardo capace di coglierne la fisionomia latente. Nella sua molteplicità di approcci, il documentario lavora spesso sullo e con lo spazio, facendolo diventare spesso, da sfondo del movimento umano, a protagonista, personaggio principale del film. In questo modo le forme dello spazio (urbanistico, architettonico ecc) vengono indagate, secondo modalità diverse. La prima forma è l’interiéur, l’interno, quando m.d.p. entra all’interno delle case dei suoi personaggi. Si tratta secondo Benjamin dell’incantesimo della soglia, cioè l’incantesimo di varcare uno spazio chiuso e scoprire così il mondo di oggetti che costellano la vita di un individuo. Varcare la soglia è il movimento, dello sguardo documentario. Filmare l’intimità del luogo chiuso, rovesciare l’interiore in esteriore è un gesto forte. Lo spazio chiuso diventa luogo di attraversamento e scoperta. Lo sguardo e il movimento non sono più possibili se non come creazione di storie incredibili. Lo sguardo documentario è stato capace di raccontare gli spazi vuoti della contemporaneità. significhi filmare il e nel tempo, rispondere attraverso le immagini al loro interrogativo. L’evento in diretta (come una partita di calcio), costituisce parte integrante del flusso vitale. Il suo essere in diretta ne certifica inoltre l’attualità e al tempo stesso la sua condizione effimera. In questo universo il cinema si pone come modello organizzativo delle forme dell’orizzonte visuale che costituiscono la nostra esperienza mediatica e non. Ciò che emerge è un principio di organizzazione di alcuni eventi mediatici secondo forme che appartengono al cinema. Esiste qualcosa che lega la caccia e l’immagine. Nel senso di ricerca delle immagini come altrettante declinazioni del rapporto che ci lega alle immagini. Questo rapporto con esse ci mostra che non si è mai in un rapporto di proprietà o dominio con esse. Da ciò emerge che da un lato c’è la libertà del nostro rapporto con l’immagine, con la sua nascita e quindi l’inseguimento continuo, la sua capacità di sfuggirci; dall’altra c’è l’istante vuoto, il tempo come occasione. Si è molto insistito sul tempo come elemento che determina delle specificità del documentario; secondo Nichols il tempo è inteso come durata del film, del film inteso come processo. La durata di un film dipende dal tempo dell’incontro, della costruzione della relazione tra chi filma e chi è filmato. ( il tempo del film ha quindi a che fare con il tempo della vita). Il tempo diventa (nella sua assenza, nella sua capacità di produrre ellissi cinematografiche), forma e potenza della narrazione, eccedenza che diventa scrittura. (come nel film Boyhood, 2014 di Richard Linklater). La forma presente La vera ripresa è un ricordare procedendo. Un tornare là dove si è già stati e scoprire così che non si ritorna mai, perché le forme del ritorno sono sempre delle riprese, e quindi delle riflessioni sul tempo del mondo, su un tempo passato. Ogni volta che un gesto si ripete esso inscrive una temporalità differente, che non potrà mai ripetere totalmente il gesto originario, ma che permette di ricostruire una sequenza di tipo nuovo. Filmare il gesto: Un gesto esibito come immagine rende visibile un mezzo come tale, lo espone e in un certo senso lo apre a nuove connessioni, proprio perché diventa visibile. (es. seguire il protagonista di Elephant di Gus Van Sant, 2003). Filmare lasciandosi guidare dal corpo in movimento, dai suoi gesti. Il gesto è legato ad un’apertura della visibilità, alla possibilità di vedere attraverso l’altro. Cogliere questa immagine-gesto può significare trovare la maniera di pensare il cinema come scrittura, come forma saggistico-poetica. Filmare l’evento: non è la somma dei punti di vista a costruire l’immagine dell’evento per due motivi essenziali: il primo è che l’immagine è sempre un punto di vista; il secondo è che il cinema, è sempre al tempo presente, il suo rapporto con il passato non può non essere il presene di un passato, il rendersi presente del passato. Solo attraverso il montaggio che coordina i frammenti di realtà ripresa, la soggettività entra in rapporto con un’oggettività che trascende e al tempo stesso la necessita. L’evento stravolge una situazione data, perché è immerso in questo flusso senza fine del rapporto tra presente e passato, tra soggettività e oggettività della visione. Il concetto di esperienza Lo sguardo che ha il tempo di soffermarsi sui corpi e sulle situazioni, produce un particolare tipo di narrazione, di osservazione, qualcosa che finisce per trascendere la semplice descrizione di ciò che il soggetto vede e diventa immaginazione di storie possibili, di cinema. Esso mette ordine e crea continuamente un senso al caos delle impressioni visive, permette di restituire una credenza al mondo. Esperienza e cinema sono strettamente legate. NON esiste cinema senza la capacità di riorientare le proprie esperienze in una forma di scrittura, cioè in una modalità che è il fondamento stesso della creazione della forma, un’immagine, un film. La conquista dell’inutile (Herzog), quell’arte che sfugge a qualsivoglia logica di commercio, è una categoria che permette di pensare in modo diverso il mondo e anche di fare cinema. La stessa idea di filmare al limite diventa allora la possibilità di creare nuove immagini. Il Neorealismo è stato un modo di pensare e mettere in pratica uno sguardo, le cui tracce sopravvivono tutt’ora, continuando ad essere presenti nel cinema, soprattutto quando il cinema lavora sulle soglie, sui passaggi sui confini. Come succede nei film di Michelangelo Frammartino, il quale reinventa il rito, che si era ormai perso nella pratica contemporanea e lo riscrive cinematograficamente, come un movimento ciclico. Il rito e il mito introducono un’altra dimensione temporale caratterizzata dalla ciclicità, dal ritorno dei gesti e rituali. Una particolare dimensione del tempo, il tempo del sacro. (lo stesso Pasolini ricercava una certa dimensione della sacralità, che ha che fare una duplicità: la sospensione della linearità temporale e la esposizione alla dimensione dei corpi, reali, eccedenti). Una doppia dimensione, che si riverbera nelle immagini dei riti. Esperienza è da intendersi anche come processo, sedimentazione nel soggetto di un vissuto che diventa uno strumento per leggere il presente. Ad essa si conferiscono due possibili risvolti all’interno della contemporaneità: - Da un lato l’eccesso di esperienza porta ad un blocco, alla cancellazione della parola stessa - Dall’altro può portare al torpore dello spirito, la “stanchezza” che porta le nuove generazioni ad adagiarsi al ritmo e al mondo della tecnica. Bisogna quindi liberarsi dal fardello dell’esperienza e vivere in un presente eternamente rinnovatosi. Questa perdita dell’esperienza di configura con l’origine di un’esistenza lieve, senza temporalità, senza un vero rapporto tra presente e passato. Si ha così la necessità di coniare una nuova possibilità dell’esperienza, un passaggio che trasla da esperienza individuale a collettiva, ciò che lo permette è lo sguardo poetico. Lo sguardo poetico come operazione: cogliere la modernità. Si tratta di una poesia che trasferisce la percezione rimettendola ad un tipo di memoria che appartiene ai molti e che si plasma. Una memoria automatica in grado di cogliere lo choc della modernità, trasformandolo in culto, in festa e spettacolo. La memoria è una questione di frammenti o meglio del loro montaggio. L’immagine mancante Raccontare, è un gesto che costruisce un rapporto ancora prima di condividere un sapere. Lo sguardo documentario è di per sé uno sguardo interrogante, ed è dunque capace di mettere in gioco sé stesso nella ricerca della forma con cui narrare storie che non possono essere filmate. Il compito del cinema è quello di cercare la forma attraverso cui creare le immagini che mancano. Non si ricostruisce una verità attraverso la narrazione, ma si mostra il potere o l’importanza della narrazione che fa i conti con le ferite tragiche della storia. Ad esempio non si può ricreare l’immagine dei campi di concentramento, si può solo contemplare e ascoltare le parole di chi li ha vissuti. Il vuoto dell’immagine, la sua mancanza creano necessariamente altre immagini. Dove questa manca, e non può essere costruita filmandola, va costruita in un altro modo. Lo sguardo documentario contemporaneo pone con forza il problema dell’immagine mancante, perché il non filmabile non debba essere anche non immaginabile. L’immaginazione è reale, è una facoltà che è parte integrante di ciò che possiamo chiamare reale. Il cinema è sempre un filmare al presente, ma la dimensione temporale del passato come racconto è sempre presente. L’animazione nel cinema del reale si presenta come una straordinaria modalità per interrogare un’immagine che manca. Animated Documentary: lavorare sull’immaginazione nel cinema del reale significa esplorare le forme attraverso cui il cinema lavora l’immaginazione. L’animazione come potenza di nuova immaginazione dei traumi della storia. C’è un’analogia tra il movimento del pensiero e il movimento del cinema. Entrambi sono pratiche creatrici, entrambe creano in quanto movimento, durata e ritaglio dal caos. Esempio: National Gallery (2014) Frederik Wiseman: filma il museo, il suo permanere nel tempo attraverso le osservazioni o riflettendo sull’immagine che abita un museo, sulla sua inquietudine, sul suo essere tempio della memoria e della storia.
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