Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Pecora di Giotto, Luciano Bellosi, Sintesi del corso di Storia dell'arte medievale

riassunto dettagliato de La Pecora di Giotto

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 12/06/2023

Fedetulli
Fedetulli 🇮🇹

4.4

(9)

5 documenti

1 / 20

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La Pecora di Giotto, Luciano Bellosi e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! La Pecora di Giotto, Luciano Bellosi 1. La Barba di san Francesco sappiamo che san Francesco aveva la barba e ce lo conferma anche Tommaso da Celano, come anche l’iconografia duecentesca del santo; anche nelle storie della basilica superiore di Assisi ha la barba, ma in quella inferiore risulta rasato; oppure nella cappella Bardi in santa Croce a Firenze, sul letto di morte il santo è sbarbato, e come in altre figurazioni giottesche. Più tardi, da Taddeo Gaddi in poi il santo ritorna ad avere la barba, che mantiene fino ad oggi con sole poche eccezioni nel ‘400. Quindi che significato ha questa innovazione dei primi decenni del ‘300, nella sua iconografia? Sapendo che in iconografia si rispetta molto la tradizione figurativa di un santo. Sappiamo che la moda del tempo voleva l’uomo ben rasato, e si può pensare a questo motivo quindi, ma perché non farlo anche con gli altri santi allora. In realtà portare la barba aveva un suo significato, l’anonimo autore della vita di Cola di Rienzo ci informa che i giovani di allora (1340 ca) oltre a vestire in modo nuovo, portavano la barba folta, e parla di uomini ‘di pessima rascione’ quindi chi gliela toglie a san Francesco vuole dargli un significato contrario a quello di ‘uomo di pessima rascione’. San Francesco senza barba è un’immagine diffusa nella Roma della curia pontificia minacciata dalle idee francescane, nella Firenze dei ricchi borghesi, nella Assisi ormai dominata dalla corrente dei conventuali alleati alla curia pontificia, il movimento francescano stava avendo favore soprattutto nelle classi meno abbienti; sia la curia romana che la ricca borghesia fiorentina avevano interesse ad addomesticare il movimento francescano, a sostenerlo per guidarlo. È in questi ambienti che si aveva interesse a fornire di san Francesco un’immagine addomesticata, più civile e accettabile, ricondotta all’ordine, un san Francesco per bene, compare infatti per la prima volta nel mosaico di santa Maria Maggiore commissionato da Nicolò IV, il PRIMO papa francescano. All’immagine del san Fr senza barba poi fa propaganda molto Giotto che aveva legami con l’alta borghesia fiorentina; ad Assisi compare più volte nella basilica inferiore in affreschi datati dopo il sopravvento dei conventuali in coincidenza con l’aprirsi delle ostilità contro gli spirituali iniziate con Bonifacio VIII. Quindi il san Fr senza barba si pone come un’immagine intenzionale, pregna di una forte carica ideologica, simbolo del francescanesimo moderato dei conventuali. Immagine che però agli spirituali non va bene, cosa contraria alla loro concezione radicale, misticheggiante, anche nella Napoli angioina gli Angiò simpatizzavano per gli spirituali. Quindi non ci meraviglia che le uniche immagini di san Francesco con la barba dei primi decenni del ‘300 che si vedono nella basilica inferiore di Assisi siano quelle di Simone Martini, infatti non c’è dubbio che gli Angiò ebbero a che fare con la commissione degli affreschi assisiati a Simone Martini. Quindi appurato questo, pensando al fatto che nella basilica superiore di Assisi appare con una corta ma folta barba cosa significa? L’immagine più antica di lui senza barba è quella del Torriti nel mosaico absidale di santa Maria Maggiore a Roma, 1296. nel 1290 sempre lui in san Giovanni in Laterano, eseguito per lo stesso Niccolò IV aveva realizzato un san Francesco con la barba, quindi l’idea del santo senza barba è nata tra il 1290 e 96. Quindi se Assisi fu uno dei luoghi più ospitali per l’immagine, le storie francescane di Assisi si potrebbero datare prima del 1296. 2. Moda e Cronologie nelle storie di san Francesco ad Assisi vediamo l’aspetto della moda e del costume, la storia di san Francesco era una storia moderna e c’erano personaggi che non potevano indossare i generici abiti delle storie testamentarie, la sua narrazione in figura è stata uno degli stimoli verso quel fenomeno dell’arte del tre e quattrocento, per cui si vestivano i santi in abiti contemporanei e si fanno partecipare a scene sacre. In una lettera del Petrarca al fratello si nominano i ferri nei capelli usati dagli uomini dei primi decenni del ‘300 per acconciare i capelli, troviamo testimonianze figurative negli affreschi ad Assisi di Lorenzetti e Martini. Anche il donatore Enrico Scrovegni al centro del Giudizio Finale ne è un esempio, l’uomo coltivato degli inizi del ‘300 non voleva questi capelli sul collo o sulle spalle e si differenziava così dagli uomini della seconda metà del ‘200 che li lasciavano cadere sul collo. Negli affreschi con la Leggenda di san Francesco nella basilica superiore di Assisi ci sono sia uomini con i capelli a rullo con i ferri e sia sciolti, persino nell’omaggio dell’uomo semplice che è l’ultimo eseguito. Ciò serve per una proposta di datazione, abbiamo due punti di riferimento cronologici: affreschi Scrovegni 1303-05, tavola di santa Chiara 1283 più antica degli affreschi Assisi, infatti i personaggi hanno solo i capelli cadenti sulle spalle. Quindi possiamo stabilire quale posizione vanno ad assumere gli affreschi di Assisi tra questi due estremi. Variazioni che cogliamo: -Abiti femminili subiscono qualche modifica, vesti lunghe accollate, lungo i bordi ricami. L’abito femminile poi è cinto molto in alto, 20 anni prima nella tavola di santa Chiara vediamo abiti più semplici, la cintura è tenuta più bassa; l’abito femminile nelle storie di san Fr è ancora in linea con quello che andava di moda nel 1283. -Le acconciature femminili anche vicine alla tavola della santa Chiara, a Padova è già diffusa la moda della treccia a vista che sale dalla nuca, girando intorno ai capelli invece ad Assisi nessuna la ha. Qui li tengono fermi con fili bende e nastri. Acconciatura identica alla tavola della santa Chiara. -Il copricapo maschile che più si distingue nelle storie di san Fr è una sorta di cappuccio, che forma una specie di corno, uguale a molti uomini della tavola di santa Chiara, e altre figurazione di fine ‘200. Mentre negli affreschi padovani non c’è. Conclusioni: - termine ante-quem degli affreschi di Assisi, il White il Meiss e il Previtali hanno detto che dovevano esistere prima del 1306-08, ma con queste osservazioni sui costumi si può stabilire che sono sicuro precedenti agli Scrovegni. - inoltre vediamo come cfr tutto, gli affreschi di assisi sono più vicini alla tavola del 1283, quindi salvo controprove l’esecuzione dovrebbe essere intorno al 1283 più che al 1303-05, quindi inizi anni ‘90 del ‘200. 3. Le ‘Storie di san Francesco’ e gli affreschi della sala dei Notai a Perugia mettiamo in rapporto questi due affreschi. Sono stati spesso considerati di scuola cavalliniana, dati i solenni episodi della genesi, la figura umana improntata a una severità da ricordare il Giudizio di santa Cecilia in Trastevere. Poi i rapporti col Cavallini diventano più generici via via che sotto le ridipinture si scopre sempre più marcata la caratterizzazione umbra di quelle fisionomie. I rapporti di pittori umbri col ciclo francescano di Assisi sono evidenti, l’autore attribuisce al perugino Marino gli affreschi della sala dei Notai. Ma torniamo al rapporto con quelli di Assisi: -alcuni partiti decorativi riprendono quelli del registro alto della Basilica Superiore, così i motivi a voluta floreale, o l’incorniciatura decorativa dei busti negli sguanci delle finestre. Ma questo pittore conosceva già le storie di san Francesco infatti non avrebbe potuto fare il Banchetto del mese di gennaio senza aver visto la Morte del signore di Celano. E soprattutto la tavola imbandita è una citazione diretta. -la figura di Eva nella sua Creazione, ripete il san Francesco nella Rinuncia dei beni. -anche le architetture richiamano le storie francescane sia nella formulazione in termini oggettuali, che nella caratterizzazione e decorazione. -particolare decorativo rivelatore: le storie di san fr sono inquadrate da un architrave che poggia su colonne tortili e su questo si appoggia una serie di mensole viste in prospettiva, non è questo motivo in sé già presente in Cimabue, ma la soluzione prospettica delle mensole che ci rivela la Maggiore sono stati attribuiti a Giotto stesso... insomma è molto probabile che il suo interessamento per la chiesa madre dei francescani sia da collegare con la decorazione della basilica superiore. Per quanto riguarda la paternità e al loro grande interrogativo, la letteratura giottesca è divisa da quando Rintelen nel 1912 pubblica la sua monografia e negava la paternità delle storie di san Francesco. Chi ha quest'idea viene chiamato 'separatista' dall'autore, e questi si spostano dall'area tedesca a quella americana quando anche l'Offner nel 1939 scrive 'Giotto-Non Giotto'. Si formano due letterature parallele su Giotto. 1. I Separatisti innanzitutto partiamo dal fatto che la 'debolezza' di chi invece crede siano di Giotto era proprio l'aspetto cronologico perché si credeva a Vasari che li data al tempo di Giovanni da Murro quindi a partire dal 1296, se invece sono come pensiamo degli inizi degli anni '90 del '200, possiamo contare su più di dieci anni per una evoluzione da Assisi a Padova per Giotto. Poi, un'alternativa a Giotto dai separatisti non c'è stata, si dice solo 'non Giotto'. Col passare degli anni un'ipotesi se è vera trova sempre delle conferme; il fatto è che l'ipotesi separatista nasce da un clima culturale particolare, in un contesto di conoscenze diverse da quelle odierne... c'è poi chi pensava fossero di scuola umbra, chi romana, chi parla di sua bottega. Inoltre se il ciclo francescano non era opera di Giotto, non dovevano esserlo nemmeno il Crocifisso di santa Maria Novella e la Madonna di san Giorgio alla Costa, nonostante le testimonianze a favore. Secondo il separatista Meiss le storie di Isacco sono di un giovane Giotto, ma il seguito della decorazione dei registri alti era opera di suoi scolari. Un'idea dei separatisti era questo aspetto romaneggiante delle Storie di san Francesco perché si faceva equivalere romaneggiante a cavalliniano, però romano era anche Torriti. Però il Cavallini aveva in quegli anni un evento importante cioè la scoperta a inizio secolo degli affreschi in santa Cecilia, datati intorno al 1293, quindi si fanno poi convergere a lui tutte le soluzioni innovative di quegli anni e anche il ciclo di Assisi, perché sembrava una formulazione più vicina a santa Cecilia che alla cappella degli Scrovegni. Nacque un fenomeno di 'pancavallinismo', l'Offner si fida così tanto di Vasari che segue anche l'idea che a Firenze ci fu un'attività del Cavallini e si risolse così il problema del maestro della santa Cecilia quando invece nella città di Giotto è più credibile che il maestro della santa Cecilia sia un giottesco essendo lui già attivo in quegli anni. Poi loro considerano gli affreschi di Assisi più tardi di quelli padovani. Inoltre la riscoperta del polittico di Badia risulta essere un anello di congiunzione tra le opere di Giotto giovanili e la madonna di Ognissanti, per alcuni aspetti modellato come ad Assisi per altri pittorico come a Padova. Comunque ribadiamo che dipende molto dal clima culturale, la mentalità di prima, dire che ad Assisi c'è una volgarità e a Padova gli affreschi sono più indefiniti è più un atteggiamento mentale che un criterio di giudizio. È vero che c'è un tono più distaccato e idealizzante negli affreschi padovani e più vivacità naturalistica ad Assisi, però si tende ad enfatizzare e radicalizzare le differenze tra i due cicli da parte dell'Offner che lo portano un po' a qualche sbaglio. Ad esempio dice e a Padova l'architettura è ideale ed astratta ma non pensa ai due finti ceretti in prospettiva, insuperati in tutto il '300. Le aureole anche diventano per lui elemento differenziante tra un ciclo e l'altro. 2. Gli Angeli-gnomi: Assisi prima di Padova altra dimostrazione che gli affreschi di Assisi sono più antichi di Padova: gli angeli di Assisi sono ancora duecenteschi, come li troviamo in Cimabue ad esempio, sia a figura intera che volanti, a Padova il loro corpo non è tagliato a metà ma interrotto da una nuvoletta, le ali inoltre non sono astratte come ad Assisi ma come ali di un uccello vero, già trecenteschi. 3. Assisi prima di Padova: schemi compositivi ad Assisi la composizione è vista spesso da sopra, è una prassi arcaica, come vediamo che fa anche Cimabue nella basilica Superiore,e in confronto a queste, quelle francescane sono già più con un'intenzione 'spaziosa' perché le figure si dispongono una più in alto dell'altra e una dietro l'altra, dando l'impressione di degradare nella profondità dello spazio. Quindi gli affreschi assisiati essendo più antichi conservano più elementi tradizionali. Nemmeno a Padova poi si sgancia del tutto da queste consuetudini figurative medievali, due casi: -le acque del Battesimo di Cristo, non fa la 'montagna d'acqua' come nelle rappresentazioni medievali ma comunque fa un altura leggera. -la folla nel bacio di Giuda, negli affreschi di santa Croce evita la folla come si faceva prima con dei personaggi in primo piano e poi un insieme di teste dietro, ma a Padova questo c'è ancora. Per quanto riguarda le osservazioni sulla materia pittorica l'Offner parla di luce fredda nelle rocce e lucentezza metallica nel panneggio, che risalgono a Cimabue infatti Giotto si forma a bottega da Cimabue probabilmente. Anche il modellaggio a tratteggio stesso discorso. Inoltre la presenza di una tenda nella parte bassa della parete, sotto le scene figurate, riprende cimabue nel transetto della stessa basilica Superiore, mentre a Padova c'è uno zoccolo marmoreo con rilievi di vizi e virtù quindi idea già più trecentesca. 4. Assisi prima di Padova: la riscoperta del profilo una evidente disparità figurativa tra Assisi e Padova riguarda la rappresentazione del profilo, infatti i due cicli si inseriscono nella storia della Scomparsa del profilo nell'arte del medioevo che può farci capire qualcosa sulla mentalità dell'uomo medievale. Sappiamo comunque che c'era questo filo conduttore del concetto di 'maestà' quindi i personaggi positivi esigevano sempre la frontalità, e per rivolgersi ad altre figure rimangono frontali e chinano la testa verso l'altro, tutto ciò scompare con Giotto e inizia il profilo, riuscendo comunque a dare quella maestà, forza di espressione e nobiltà di atteggiamento. Ovviamente questa consuetudine aveva portato a un impoverimento delle capacità di vedere un profilo e quando si vede per la prima volta dopo tempo nelle Storie di san Francesco appare irrealizzato e mancante. I profili ad Assisi lasciano un po' a desiderare sotto l'aspetto naturalistico e in confronto a quelli di Padova costituiscono un momento più arcaico nella storia del recupero di questo aspetto. 5. Illusionismo Architettonico Ci sono anche altri elementi di diversità sottolineati dall'Offner però che esistono per altre ragioni non solo perché ad Assisi sono più arcaici o altro. Lui considera inconciliabile il sistema di incorniciatura architettonica di Assisi con quello di Padova, il primo realizzato in un trompe-l'oeil che interferirebbe con le scene figurate distraendo l'osservatore, invece il secondo più discreto e solo figurativo. Ma ricordiamo che tutto l'impianto decorativo di Padova è realizzato fingendo un intelaiatura architettonica i cui elementi sono costituiti dal finto zoccolo marmoreo e quattro solidi pilastri. Anche il Giudizio è incorniciato come se lo vediamo da una finestra, da un'impalcatura architettonica solida su cui camminano i dannati dell'inferno. Anche i finti coretti in prospettiva sono la dimostrazione che anche a Padova come ad Assisi, la cornice architettonica finge di far parte dell'architettura reale, creando un illusionismo architettonico senza precedenti nella pittura italiana. 6. Diversità di condizioni ambientali L'autore dice anche che l'Offner non ha considerato la diversità di ambienti in cui Giotto ha dovuto operare, ad Assisi ampio spazio di una basilica, a Padova invece si trovava in una piccola cappella voluta dal committente che rimaneva un privato, qui finti aggetti avrebbero stretto ancora di più lo spazio, infatti i coretti invece di fingere un aggetto fingono un recesso. Da considerare anche le dimensioni dei riquadri destinati alle storie dipinte che era più alta ad Assisi e questo spiega il maggiore sviluppo architettonico dei riquadri di Assisi, e la maggiore concentrazione ed organicità di rapporto tra figura e architettura che si è sempre sottolineata negli affreschi padovani, ma anche frutto di una forzata riduzione delle presenze architettoniche, a Padova nelle scene tranne la Strage degli innocenti che ce ne sono due c'è sempre un solo elemento architettonico. 7. Assisi: nascita della concezione figurativa del secolo di Giotto i sistemi di incorniciatura sono diversi dalla fine del 200 al 300, grafici e decorativi i primi, solidi e architettonici i secondi, come se fingessero di far parte integrante dell'architettura reale dell'ambiente in cui sono dipinti. Sembra che questa nuova concezione sia particolarmente organica e razionale negli ambienti più vicini a Giotto. 8. San Francesco, personaggio da 'comedia' Altra differenza secondo l'Offner è che ad Assisi l'azione sarebbe resa in modo naturalistico, a Padova invece dice è più atemporale e generico, ma dice l'autore che questo avviene ai personaggi principali, invece ai minori vediamo un'umanità più feriale, ordinaria e segnata da caratterizzazioni comiche o grottesche, quindi sono figure per le quali le osservazioni dell'Offner non valgono, mettendo invece in evidenza la sua capacità di rendere un tipo di umanità umile; quindi ora ci si chiede, se a Padova ha concepito un'umanità minore con intorno personaggi con più dignità, può essere che ad Assisi si sia posto il problema di caratterizzare le figure con questo tipo inferiore' di umanità. Vediamo che già dai tempi di Torriti nel mosaico del 1296 di santa Maria maggiore a Roma vengono differenziati i santi Paolo, Giovanni ecc dai due francescani san Francesco e sant'Antonio, e magari questo diversifica le storie di Assisi da Maria e Cristo a Padova. Non è impossibile che viene messa in atto una differenziazione intenzionale di livelli di stile perché stava succedendo anche con Dante in quegli anni, che chiama il suo poema comedia e l'autore lo confronta con un san Francesco 'da commedia'; comunque tutto fa credere che tutto deriva da una concezione gerarchica dei diversi gradi di santità, se non proprio da una volontà di diminuire la dignità della figura di san Francesco per dargli un'umanità reale. 9. Modernità Rivoluzionaria delle Storie di san Francesco Quindi, dice l'autore, è come se Giotto ha ribaltato il significato conservatore di una simile interpretazione di san Fr in una visione realistica che si esprime in termini di contemporaneità, non c'è niente di più moderno in quegli anni nell'arte occidentale, non solo per la questione di volume o spazio, ma c'è una riconsiderazione del mondo e dell'uomo in termini naturali e terreni, dalla figura umana iniziano a scomparire le deformazioni di formulazione bizantina, le fisionomie iniziano a rasentare il ritratto, il profilo torna ad avere un valore positivo, gli occhi il volto il gesto tornano ad essere parlanti ed espressivi. Inoltre con queste storie entra nella pittura italiana una concezione positiva del contemporaneo, che da qui in poi diventa uno degli aspetti caratterizzanti dell'arte del 3 e 400, scompaiono toghe, tuniche... cosa assolutamente inedita è la rappresentazione di ambienti, architetture, suppellettili, in termini di contemporaneità; nella basilica superiore vengono rappresentate per la prima volta strutture architettoniche moderne, in funzione nell'Italia centrale di allora. La ricostruzione di veri e propri ambienti come nel presepe di greccio oppure la piazza di assisi nell'omaggio dell'uomo semplice, robe assolutamente nuove in pittura, il seguito della sua L'autore sottolinea l'Identità di Stile: dice si nota la straordinaria affinità della messa in scena che è tanto più significativa in quanto non vi è nemmeno un particolare nella tavola che possa dirsi copiato dall'affresco. Infatti viene ripetuta l'idea di uno spuntone roccioso a piramide sopra la figura del santo, ma è diverso , anche gli alberelli posizioni diverse, ma stesse dimensioni. Stessa idea delle due cappelle, ma descrizione assai differenziata, anche se c'è lo stesso risultato ottico nella cappella sulla sinistra con il paliotto ricamato che brilla nell'ombra. Il Cristo crocifisso con le ali di serafino è identico e diverso: ad Assisi ha ali mediane abbassate, e astratte, nel Louvre sollevate, simili a un uccello, e ha il perizoma. Per quanto riguarda le Affinità Stilistiche: -la testa del santo si confronta con quella dei Funerali, e nel compianto delle Clarisse di Assisi. Le peighe della pelle tra le sopracciglia aggrottate, i capelli, le occhiaie, le bocche... anche cfr con la Confessione della Donna di Benevento, dove c'è il dialogo tra Cristo e san Francesco, è uno degli affreschi considerati opera del Maestro di santa Cecilia, ma alcune parti sono del migliore livello dell'intero ciclo. -le mani del san Fr del Louvre sono paragonabili alle parti di più alta qualità degli affreschi assisiati, dalle storie di Isacco ai più belli fra i riquadri francescani. Quindi i rapporti tra tavola e affreschi fanno pensare a una vicina cronologia, e se non bastassero gli aspetti stilistici, è confermato anche da una circostanza: l'aureola del santo è bordata da una fila di punti scuri, cosa in uso tra la fine del due e inizi trecento, quindi porta a una datazione alta delle Stimmate. Quindi sì, se ha firmato le Stimmate avrebbe potuto firmare anche gli affreschi. 13. Da Assisi a Padova Resta il problema della compatibilità tra gli affreschi di Assisi e di Padova, e le altre opere di Giotto. I separatisti e gli altri non hanno mai comunicato per arrivare a una soluzione, la disputa si risolve nell'unico modo ragionevole, quello che ci indica le affinità tra le Storie di san Francesco e le Stimmate del Louvre firmato da Giotto. Le parti direttamente confrontabili del ciclo padovano e di quello assisiate sono numerose, anche se bisogna tener conto di uno sviluppo notevole verso una pittura più soffice e disinvolta. -iniziamo con la rappresentazione dello spazio: già abbiamo detto delle differenze dovute alla differenza di formato tra gli affreschi; la maggiore genericità dei vani spaziali e delle architetture nella cappella Scrovegni è sicuramente legata alla volontà di rendere più distanti e 'tragiche' le storie di Maria e di cristo da quelle moderne del santo, come avviene ad Assisi nelle storie del vecchio e del nuovo testamento dei registri alti della navata dove la 'casa' di Isacco è più generica e meno moderna del resto. Arricchimento con marmi mischi, fregi intagliati, decorazioni vegetali, rilievi figurati, evocativi di Assisi sono a Padova i cavalli e i leoni sul portico, antistante il tempio di Gerusalemme, nella Cacciata dei mercanti. Una cosa emblematica è che il primo affresco giottesco di Assisi, la Benedizione di Isacco, e l'ultimo di Padova, la Discesa dello Spirito Santo, si richiamano con forza per la somiglianza di impostazione della scatola architettonica, anche se in quello padovano c'è un cambiamento → segno di evoluzione in direzione naturalistica: la linea retta della base dell'edificio e quella del tetto sono diventate convergenti, accennando a un effetto più giusto di uno scorcio del lato lungo del vano architettonico che non può apparire in estrema frontalità come nelle storie di Isacco ad esempio. Abbiamo visto che uno dei risultati più straordinari in ordine alla rappresentazione dello spazio è il Presepe di Greccio per la presentazione dell'interno di una chiesa dalla zona presbiteriale, dell'abside, a Padova troviamo idee simili, soprattutto nella rappresentazione del tempio di Gerusalemme nella Cacciata di Gioacchino e nelle due Presentazioni, di Maria e di cristo. Anche qui l'interno del tempio viene enucleato nel settore presbiteriale e definito da un sistema di arredo liturgico costituito dall'altare con ciborio sovrastante, dall'ambone e da un'articolazione di transenne di marmo, la cosa interessante è che questo complesso è presentato da pdv diversi e mai frontalmente: -nella Cacciata di Gioacchino lo spettatore è nella zona absidale. -nella Presentazione della vergine ci si colloca dalla parte della navata. -in quella di Cristo siamo immessi direttamente dentro il recinto. È questa capacità di visualizzare con tanta precisione e coerenza un ambiente che rimanda direttamente agli esperimenti assisiati tentati nel presepe di Greccio o altre scene. Altro punto di accordo è da vedere nell'idea stessa di concepire un interno raffigurando solo ciò che contiene senza contenitore. Il modo più diffuso di raffigurare un interno ad Assisi, a Padova e poi in tutta la pittura del '300 è quel tipo di 'casa di bambola', una sorta di scatola cubica aperta sul davanti, invece in questi casi c'è solo l'arredo dentro di essa. Anche nell'incorniciatura architettonica vediamo somiglianze, la fila di mensolette usate per la cornice orizzontale in aggetto che corona lo zoccolo, subito al di sotto delle scene affrescate. L'Offner poi ad esempio sul paesaggio dice che ad Assisi è troppo sviluppato in confronto a Padova. Ma se anche qui teniamo presenti le differenze di formato e di cronologia, nemmeno le rocce sembrano tanto difformi. Alcune figuri molto simili sono ad esempio i diavoli, comici più che terrificanti. Passando alle figure umane, troviamo ad Assisi molti precedenti diretti per Padova, affinità nel modo di concepire anche le stoffe, le pose, i gesti, le mani. Per quanto riguarda i panneggi sono diversi perché ad Assisi sono ancora un po' cimabueschi, però un precedente assisiate lo troviamo nell'Omaggio dell'uomo semplice, qui la figura sulla destra si può confrontare bene con una della Presentazione della vergine al tempio di Padova ad esempio, stessa idea di spalle cioè massa gonfia. Tra l'altro l'Omaggio dell'uomo semplice dovrebbe essere l'ultimo affresco di Assisi quindi si vede come si sta andando verso Padova. Comunque molta somiglianza tra le mani, i gesti, i profili, i sorrisi.. Quindi, i punti di contatto tra il ciclo assisiate, padovano, e le altre opere di Giotto, si presentano come un complesso organico e sistematico e testimoniano una profonda maturazione avvenuta nella mente dell'artista. Quindi poi man mano ci sono degli avanzamenti artistici, che ha anche fatto pensare a un intervento del maestro della santa Cecilia e di Simone Martini. Infatti si nota negli ultimi affreschi di Assisi un addolcimento della materia pittorica. Quindi il suo cammino verso un soffice pittoricismo era partito ad Assisi e raggiunse il culmine dopo il soggiorno a Rimini. 1. ''Romanizing'' o Assisiate? L'autore dice che i separatisti non appena devono fare i conti con la storia hanno problemi: -il primo viene dal non aver tenuto in nessun conto le tre opere firmate di Giotto, poi c'è la testimonianza di Riccobaldo Ferrarese, contemporneo di Giotto che nel 1313 dice che il pittore fiorentino avevo dipinto nella chiesa di Assisi di Rimini e di Padova e nella chiesa padovana dell'Arena, dove questa successione sembra cronologica. -poi il rifiuto dell'attribuzione a Giotto del Crocifisso in santa Maria Novella, e poi il rifiuto delle Storie di san Francesco ad Assisi va contro una testimonianza documentaria del 1312 che in quella chiesa fiorentina c'era un suo crocifisso. Rifiutare la sua paternità degli affreschi di Assisi va anche contro una visione d'insieme della pittura italiana della fine del due e inizi del trecento. Agli inizi del '300 lo stile assisiate è molto più diffuso dello stile giottesco che si manifesta a Padova. I separatisti con questa scusa trovano una soluzione a questo problema nel Cavallini e nella scuola romana, perché queste due maniere del cavallini e di giotto vengono fatte coincidere con le due maniere di Roma e Firenze. Cosa distingue queste due maniere? Entrambe vogliono abbattere le maniere tradizionali della pittura precedente, ma i romani sono interessati all'aneddoto, a ciò che è reale e momentaneo, i fiorentini invece cercano in ogni tema il significato trascendentale e duraturo, e immobilizzano le figure in pose espressive che hanno poco di ieratico e rigido. Quindi queste differenze sono quelle che l'Offner ad esempio vede tra Assisi e Padova e questo pone problemi, perché la scuola romana non si esaurisce poi col Cavallini ma continua col Torriti, dall'altra parte Firenze presenta agli inizi del '300 una fitta produzione che non fa ancora pensare al Giotto di Padova ma a quello di Assisi. 2. Una Tendenza romana nella pittura fiorentina? I separatisti individuano una tendenza romana nella pittura fiorentina; la produzione dei fiorentini 'romanizing' è molto più cospicua di quella dei romani stessi. I separatisti chiamano 'romanizing' una fase di sviluppo più antica rispetto a tutto ciò che essi vorrebbero etichettare come fiorentino. Prima del 1305-10 circa a Firenze non si ha niente che possa far pensare allo stadio stilistico rappresentato dagli affreschi Scrovegni. L'arte del maestro della santa Cecilia rappresenta la generazione più antica non parallela a quella giottesca. C'è da notare poi che la cultura artistica dei pittori fiorentini che i separatisti chiamano romanizing segue quella cimabuesca, se prendiamo il maestro di san Gaggio, quattro delle sue opere sono quelle presentate dal Garrison nel suo saggio sui fiorentini romanizing. Vengono collegate poi a un dossale attribuito a Cimabue. Insomma ciò per dire che a Firenze la cultura che segue immediatamente quella cimabuesca è la maniera che i separatisti chiamano 'romanizing'. Ma quindi qual era il ruolo di Giotto nella sua città prima degli affreschi Scrovegni se subito dopo cimabue vengono i cosiddetti romanizing mentre lo stile detto fiorentino dai separatisti e fa capo agli affreschi Scrovegni viene dopo? Le grandi novità che i separatisti considerano parallele a quelle giottesche, nate al momento in cui decade l'interesse per i modelli di Cimabue, bisogna credere che siano di fonte giottesca. 3. la Scuola Romana prima del rinnovamento: il Torriti il concetto di scuola romana elaborato dai separatisti è semplicistico perché dimenticano che la pittura di fine duecento a Roma ha anche il Torriti ed è stato lui la figura di maggiore spicco fino alla metà degli anni '90. fu un artista importante messo in secondo piano per far risaltare il cavallini, la sua partecipazione alla decorazione della basilica superiore di Assisi è da mettere in rapporto con l'alta considerazione di cui godeva presso la corte pontificia. Poi lavora nel grande mosaico absidale di santa Maria Maggiore. Facendo caso al suo modo di tratteggiare, di condurre le pennellate come una ragnatela di sottili e grassi filamenti in curva che si vedono nella Madonna della volta della terza campata di Assisi, ricompare identico nel volto della Vergine advocata di santa Maria Maggiore a Tivoli. Sono simili anche nell'impostazione, nei giri delle pieghe della veste, nelle mani. Quindi dell'idea che il cavallini sia un contemporaneo del Torriti e che l'inizio della sua attività vada collocato negli anni '70 del '200 pare faccia giustizia un dipinto da riferire al Torriti, una tavola nella chiesa di santa Lucia in Selci a Roma, raffigurante santa Lucia in piedi e frontale, come una basilissa bizantina. Rimanda alla madonna incoronata nell'abside di santa Maria Maggiore e alle Vergini della facciata di santa Maria in Trastevere. La cosa più interessante è in basso a sinistra una minuscola donatrice inginocchiata, una signora di casa Cerroni, nobile famiglia, molto attiva tra due e trecento, il marito di questa Angela era vicino mito del Cavallini è quello relativo alla scuola riminese. Lo Smart ritiene la scuola riminese inspiegabile senza Giotto e ormai non fa più riferimento al Cavallini. Il testimoniato viaggio di Giotto a Rimini ci fu proprio agli inizi del 300 se non prima, perché già nel 1309 Giovanni da Rimini riflette sul Crocifisso giottesco del Tempio Malatestiano. Che il giotto riminese fosse vicino a quello assisiate lo indicano anche le continue allusioni alle incorniciature architettoniche degli affreschi di Rimini. D'altra parte i parallelismi col Cavallini sono innegabili, la risposta sta nel denominatore comune che è Giotto. Il caso della pittura riminese del 300 diventa infatti una delle riprove più evidenti che ciò che una volta si chiamava cavalliniano deve invece considerarsi giottesco. E si spiega così anche l'equivoco del mito del Cavallini su cui si appoggiava la tesi separatista ai tempi dell'Offner. Il fatto che Giotto ha lavorato a Rimini è la spiegazione della fioritura della pittura riminese, ma di regola furono le pareti della basilica superiore di Assisi il palcoscenico su cui Giotto potè far vedere le nuove idee in pittura, poi la diffusione del suo linguaggio più evoluto, da Padova in poi, rimase più limitata. 1. Un Contesto Cimabuesco e la pecora di Giotto il papato di Niccolò IV è un punto di riferimento per la Basilica Superiore, e per tutta la decorazione a parte il caso oltremontano, e anche l'intervento del Torriti e della sua equipe si spiega con Niccolò IV, così come l'intervento di Cimabue. 2. Continuità della Decorazione della Basilica superiore il Belting ha dimostrato l'unità di programma e di significato della decorazione pittorica della basilica superiore di Assisi, unità che rappresenta un caso eccezionale, per gli aspetti figurativi salta agli occhi un'organicità e unità del sistema decorativo, che diventano più evidenti per la profonda distanza stilistica che separa la fase iniziale dalla fase finale del lavoro. Tra il sistema decorativo della volta degli Evangelisti di Cimabue e di quella dei Dottori ormai giottesca non ci sono molte differenze. I bordi hanno motivi vegetali di tipo grafico e bidimensionale, l'intonazione cromatica è fredda, i motivi cosmateschi, le cornici marmoree poligonali inquadrano busti di profeti, angeli e santi che ricorrono per tutta la basilica. Al massimo si segnala un evoluzione della forma verso una complessità mistilinea ormai gotica, come anche il motivo della cortina di stoffa nella parte bassa della decorazione corre lungo tutta la basilica superiore. In controfacciata vediamo finte architetture che annunciano ciò che accade nella zona con le storie di san Francesco. Qui l'incorniciatura di finta architettura diventa sistematica ed è il primo caso di una prassi decorativa che sarà regola costante per tutto il 300. idea precorsa da Cimabue nella parte bassa del transetto, va ricordato che è una parte aggettante rispetto alle pareti più alte, costituisce un vero e proprio zoccolo. È stata probabilmente questa situazione a suggerire a Cimabue l'idea di un finto architrave visto dal basso, e sorretto da una serie di mensole che vogliono dare l'illusione che le superfici su cui ci sono le scene siano a filo con quelle delle pareti alte. Quindi è il germe dell'idea delle incorniciature delle storie di san Fr, che Giotto trasforma però, costruendo un vero e proprio sistema architettonico. Questa evoluzione nella continuità si può vedere anche in alcuni aspetti figurativi nelle 'storie'. Vediamo ad esempio la rappresentazione del nudo: -il Cristo della Crocifissione di Cimabue è ancora figurato, si inarca sulla croce, anatomia indicata con formule tradizionali come il ventre ripartito. -nei Funerali di san Francesco il nudo è visto con altri occhi, in modo più naturalistico. -il Nudo parziale di san Francesco nella Rinuncia ai Beni, approssimazione al vero. L'evoluzione da Cimabue a Giotto avviene con gradualità attraverso vari passaggi. Siamo di fronte a un caso eccezionale di una chiesa affrescata tutta seguendo un progetto unitario sia dal pdv iconografico che decorativo. Sembra che Giotto sia subentrato alla squadra del Torriti senza che si sia verificata un'interruzione dei lavori, e che le storie di san Francesco hanno seguito senza soluzione di continuità la decorazione dei registri alti. Quindi probabilmente la decorazione della basilica superiore è stata eseguita senza soluzione di continuità almeno da Cimabue in poi, svolta tutta sotto Niccolò IV quindi tra 1288 e 92. 3. Cimabue ad Assisi e la Pittura Umbra del 200 un indizio della rapidità di successione tra la decorazione cimabuesca e giottesca ci viene anche dalla pittura umbra di fine 200, l'impatto giottesco è denunciato da pittori come Marino da Perugia o altri anonimi. Ma prima di essi si può parlare di una generazione di pittori colpiti ugualmente da Cimabue ad Assisi? Intanto bisogna tener conto che era una situazione complessa pensando solo all'intervento di Cimabue nel transetto e nel coro della Basilica Superiore di Assisi. L'esistenza nel transetto destro della basilica Inferiore della Madonna con bambino fra angeli e san Francesco testimonia l'articolata presenza del pittore ad Assisi. È precedente infatti alla madonna di santa trinità e agli affreschi della basilica superiore. Poi, le aureole sono ancora piatte quindi duecentesche, mentre nella Basilica superiore c'è la novità del pittore oltremontano, che Cimabue perfezionerà e diventerà la norma della pittura del 300. inoltre, il trono, ad Assisi possiamo cogliere l'evoluzione dal tipo duecentesco, disposto insieme frontalmente e in tralice, al tipo trecentesco, frontale. L'affresco della Basilica Inferiore è mutilo, perché manca una seconda figura di Santo. Ma è da pensare che oltre a ciò, Cimabue avesse affrescato almeno tutto il transetto destro se non anche la volta sull'altare maggiore, il coro e il transetto sinistro. Rispetto all'influenza che dà Giotto, Cimabue influenza molto meno i pittori umbri, viene il sospetto che l'epicentro di diffusione cimabuesca fosse stato prima di Assisi, Roma, dove Cimabue è documentato nel 1272, e dove la decorazione pittorica del Sancta Sanctorum del tempo di Niccolò III cioè tra 1277 e 80 sembra una delle conseguenze della presenza cimabuesca nella città dei papi. Scarse quindi le presenze di riflessi di Cimabue in Umbria, soprattutto in confronto con i riflessi di Giotto invece. Uno dei Capolavori della pittura umbra del 200 è la ancona con al centro santa Chiara in piedi e ai lati gli episodi salienti della sua vita in santa Chiara ad Assisi. L'ascendente culturale che richiama alla mente, sia nel formulario figurativo che nei colori, è il Maestro del san Francesco, ma nella tavola della santa Chiara le formule di questo maestro vengono rivestite di un impasto più vero e tenero e il racconto si fa accostante, ricco di accenti quotidiani. Quindi diverso dal linguaggio drammatico di Cimabue. Inoltre la Tavola della santa Chiara reca una data, 1283, possibile che se a questa data Cimabue avesse già finito gli affreschi nel transetto della basilica superiore, il maestro della santa Chiara non ne risentisse proprio? Sembra che i pittori umbri siano passati da una situazione come quella del maestro del san Francesco e della santa Chiara, alla fase giottesca. Il Maestro del Farneto ci indica un simile fenomeno: questo maestro prende il nome da un dossale a cinque scomparti oggi nella pinacoteca di Perugia, proveniente dal convento del Farneto, e la madonna col bambino al centro deriva da una giottesca, la cosa sorprendente è che la parte della deposizione dalla croce è presa dalla composizone del maestro del san Fr. Come se la pittura umbra passa dal maestro del san Fr a Giotto senza Cimabue. L'unica cosa logica può essere che tra Cimabue e Giotto passa così poco tempo che non si fa tempo ad accorgersi del primo che già il secondo lo aveva sorpassato. 5. Un Cimabue ormai 'Trecentesco' dice l'autore che Cimabue appare già con idee trecentesche anche per la resa della realtà visiva, la rappresentazione della spazio. Basti pensare all'invenzione del finto architrave dipinto sopra gli affreschi dello zoccolo, al carattere di voluminosità quasi illusiva che assumono certi oggetti architettonici. Ma l'attenzione di Cimabue per questi aspetti oggettuali non sembra costante: nel transito della vergine le figure sono collocate sotto una specie di Loggia. La figura in piedi a dx si colloca nella striscia di spazio coperta da questa architettura e la puntualità di tale collocazione è resa controllabile da uno stratagemma: l'aureola dell'apostolo è tagliata dall'arco antistante ma non da quello retrostante. Una connotazione di spazio annullata nella scena successiva, questa mancanza di coerenza fa pensare che le idee attuate ad Assisi in ordine alla rappresentazione dello spazio, si sovrappongano alle sue intenzioni artistiche, invece di integrarsi. L'autore dice che l'idea che Cimabue sia il precursore da cui poi sboccerà Giotto, non abbia giovato all'artista, relegandolo in una posizione acerba e imperfetta. 6. un Contesto Cimabuesco degli anni 80 le notizie sul pittore sono scarse, però dice l'autore che dalla pittura contemporanea possiamo prendere informazioni, tenendo presente un gruppo di opere degli anni 80 del 200, che sono punti fermi di un contesto cimabuesco. -la Madonna Rucellai, fu commissionata a Duccio di Buoninsegna nel 1285, le incertezze sulla sua attribuzione, il Toesca punta sulle affinità di questa figurazione con la grande Maestà cimabuesca del Louvre: in effetti le due tavole si richiamano strettamente nelle linee essenziali, più di quanto la stessa Madonna di santa Trinità si richiami a quella del Louvre. Intanto è identica l'idea della cornice ornata di liste decorative che si alternano a dei tondini con mezze figure sacre. Idea che viene abbandonata nella Madonna di santa Trinità per una decorazione più semplice, simile a quella che Giotto userà nella Madonna di Ognissanti. Anche il gesto benedicente del Bambino, la mano destra di lei che si abbassa a toccare il ginocchio del figlio, poi il volto della Madonna, si ripete quasi tratto per tratto. Consonanza anche nel tipo di panneggio che fascia i corpi. Queste affinità dei due artisti li legano in una unità cronologica, e li allontanano nel tempo della Madonna di santa Trinità, opera più tarda come vediamo anche dal trono: nella madonna rucellai e in quella del louvre è disposto in tralice, e ha la forma di uno scranno di legno a fitte torniture, che ne rendono elaborata la struttura. Sontuosità e leggerezza perse nella madonna di santa Trinità, frontale e più solido. Cambiamento in linea con le idee del 300. -L'Aureola della madonna di Trinità è anche meno ampia della tavola parigina, bordata da una fila di punti scuri... -Il Naso, nel crocifisso di santa Croce, nella madonna del Loluvre, nella madonna Rucellai, il naso è aquilino si curva, a Pisa più dritto e regolare, come nella madonna di santa Trinità, che infatti viene messa in rapporto cronologico con gli affreschi di Assisi. Se la madonna Rucellai di Duccio si appoggia culturalmente alla Madonna del Louvre, segna anche un avanzamento rispetto ad essa e la traduce in una forma più gentile. Anche il Crocifisso di santa Croce, partecipa all'atmosfera cupa della madonna del Louvre. Che la madonna sia più antica lo indicano le striature chiare tra il naso e la bocca, risalente almeno a giunta pisano, cosa che Cimabue supera, mirando a effetti di trasparenza. Abbiamo qui il precedente più diretto per quei giochi di trasparenza per quei veli impalpabili che si vedono nella madonna Rucellai.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved