Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Dewey e la democrazia: riflessioni su Dewey, democrazia ed educazione, Dispense di Pedagogia

La critica di Lukàcs a John Dewey sul tema della democrazia e dell'educazione, sottolineando la debolezza del testo di Dewey in quanto non si occupa di analizzare le contraddizioni sociali che la realizzazione di una democrazia matura comporta. anche sulla visione di Dewey sulla democrazia e sull'educazione, che secondo lui non esiste se non in potenza, e richiede una chiara visione del modello di società per la quale educare. Il testo conclude con una riflessione sul ruolo dell'educatore e del cittadino nella costruzione di una comunità educativa.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 02/11/2021

nicole-di-paolo
nicole-di-paolo 🇮🇹

5

(2)

24 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dewey e la democrazia: riflessioni su Dewey, democrazia ed educazione e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Pietro Lucisano Quale democrazia? A cento anni dalla pubblicazione di Democrazia e educazione è opportuno fermarsi a riflettere sul merito di questo binomio e su come oggi questi due concetti siano presenti nella nostra esperienza. Porci domande del tipo ‘Siamo stati in grado di fare tesoro delle riflessioni di John Dewey per costruire più democrazia?’ o ‘educazione può ancora essere motore di una democrazia più matura?”, potrebbe indurci a considerazioni assai sconfortanti. Facciamo fatica a considerare la nostra condizione politica, non solo quella italiana, ma probabilmente anche quella dei grandi paesi occidentali, come una situazione di democrazia matura. I molti e innegabili progressi nel campo dell'istruzione, le molte conquiste nel campo dei diritti civili e dell’informazione, non sembrano, infatti, avere dato la risposta attesa di una condizione sociale generalmente migliorata, di coesione e di intelligenza nella formulazione dei problemi e nella individuazione delle risposte. Siamo probabilmente di nuovo di fronte a uno scacco, che mette in discussione l’ipotesi illuminista della ineluttabilità di un progresso condotto dalla ragione. Siamo in un momento storico in cui il Washingror Post ha inse- rito come sottotitolo della sua prestigiosa testata Democracy Dies in Darkness. Ciò a cui assistiamo appare piuttosto simile a quel processo di progres- sivo degrado della ragione messo in luce con tragica chiarezza da Lukàcs nel suo La distruzione della ragione. Nella sua accurata disamina delle moti- vazioni del procedere dell’irrazionalismo, Lukàcs dedica a Dewey poche righe nel Postscritto sull’irrazionalismo nel dopoguerra. Lukàcs considera il pragmatismo come un'ideologia degli agenti del capitalismo, incapace di far fronte alle contraddizioni sociali presenti nella società reale. L’accusa è quella di avere in qualche modo elaborato una riflessione sui temi della democrazia e dell'educazione prescindendo da una visione critica dei pro- cessi sociali nei quali il concetto di democrazia andava prendendo forma. In sostanza la democrazia di cui parla Dewey, vedremo più avanti per sua 133 P. Lucisano stessa ammissione, non esiste se non nel terreno del possibile, in potenza ma non in atto. «In modo chiarissimo queste tendenze — afferma Lukàcs — si ricono- scono già da tempo in Dewey, come fase superiore di sviluppo del pragmatismo, che è stato fin dal principio e coscientemente un’ide- ologia degli agenti del capitalismo, dei costruttori e dei sostenitori della ‘forma di vita americana; che fin dal principio e coscientemen- te ha respinto l’indagine oggettiva della realtà indipendente dalla coscienza, e indaga solo la pratica utilità delle singole azioni in un ambiente dato come immutabile nella sua essenza, anche se non nei particolari relativi all’agire individuale» (Lukàcs, 1959: 787). Se questa critica appare, anche nello stile, poco generosa, non pos- siamo tuttavia non constatare che la debolezza del testo Democrazia e educazione sia proprio nella concezione della democrazia che viene assunta come categoria del pensiero, senza una analisi accurata dei conflitti che la sua realizzazione comporta e delle forze che ad essa si oppongono. Non che lo stesso Dewey nell’arco della sua lunga vita non abbia più volte avuto modo di scontrarsi con gli effetti della distruzione della ragione: le due Guerre mondiali, la caccia alle streghe, i rigurgiti di tradizionalismo nel sistema scolastico americano. Non che non li abbia attivamente combattuti. Gli era evidente che «Anche quando un individuo è, o cerca di comportarsi in modo in- telligente nella gestione delle sue cose, i suoi sforzi vengono impedi- ti, e spesso resi vani, da ostacoli dovuti non solo all’ignoranza, anche all’opposizione attiva contro l’atteggiamento scientifico da parte di coloro che sono influenzati dal pregiudizio, dal dogma, dall’inte- resse di classe, da autorità esterne, da sentimenti nazionalistici o razziali, o da agenzie altrettanto potenti» (Dewey, 1939). E, ancora «Ho già ricordato che il metodo scientifico è giunto ad un momento critico della sua storia, crisi dovuta, in ultima analisi, al fatto che ultra-reazionari e ultra-radicali, pur riconoscendo il prestigio della scienza in alcuni settori, siano alleati nell’usare le tecniche della scienza per distrug- gere l’atteggiamento scientifico» (Dewey 1939). E ancora in Democracy is radical (1937) gli è evidente come il concetto di vera democrazia sia preda di forme diverse di propaganda. Se è evidente che il nazionalsocialismo che Goebbles annuncia come unica forma possibile di democrazia per il futu- ro sia un falso ideologico, e la costituzione di Stalin non possa parimenti essere considerata democrazia, allo stesso modo non risponde al concetto 134 QUALE DEMOCRAZIA? sempre accompagnato da un patto di reciproco riconoscimento. Oggi è abbastanza evidente lo scontro tra l’idea che lo scopo della socie- tà sia l'incremento della produzione di beni, di ricchezza e quello deweyano e della nostra Costituzione della produzione di esseri umani liberi che si associano perché riconoscono il mutuo vantaggio del costruire assieme. La prima idea sembra guardare solo alla moltiplicazione del PIL, la seconda considera che senza un ragionevole progetto di divisione la mol- tiplicazione del PIL tende solo ad accentuare i conflitti sociali. Del resto l’insofferenza per la democrazia soggetta alle pretese del demos si è più volte manifestata negli ultimi cento anni, con il riemergere continuo della soluzione aristocratica, quella che assegna a un gruppo intellettualmente più attrezzato il governo, ovviamente per il bene di un popolo incapace di scegliere per il suo meglio. Questo gruppo di élite, in grado di decidere rapidamente, è composto da tecnocrati, bancari, imprenditori formal- mente al di fuori dell’agone politico, ma che sapientemente manovrano politici sempre più spesso reclutati dal mondo del cinema e dei media e non da lotte sociali. Di tanto in tanto questa aristocrazia, che di fatto si manifesta incapace nella soluzione dei problemi, cede il posto a forme di tirannide ripercorrendo in fondo il percorso ben descritto da Platone nella sua tipologia delle forme di governo. Del resto il demos privato della coscienza politica finisce per cedere all’illusione che un uomo forte possa risolvere da solo i problemi di tutti. Visalberghi aveva colto con chiarezza come il problema centrale per la costruzione di un modello educativo attivo fosse l’organizzazione e la divi- sione del lavoro. Se il lavoro è infatti il collante sociale, questo va reinter- pretato superando le distinzioni tradizionali tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e la conseguente organizzazione della società in classi in lotta fra loro. Il lavoro, la sua concezione, il suo ruolo nel processo educativo rimane dunque il vero terreno di confronto. «Autori come Moro, Campanella, Rousseau, Pestalozzi, Marx, Dewey, Whitehead sostengono l’opinione che l’educazione al lavi ro è necessaria per ogni essere umano, non solo per ragioni morali sociali, ma anche e principalmente come il modo di promuovere il pieno sviluppo dell’essenza stessa dell’uomo» (Visalberghi, 1973). Tuttavia, l'evoluzione del lavoro, soprattutto negli ultimi trenta anni, invece di utilizzare le potenzialità delle tecnologie nella direzione auspi- cata da Visalberghi nei convegni interdisciplinari sui mutamenti della divisione sociale del lavoro e sulle loro implicazioni educative, raccolte nel Quale società (1985), ha assunto sempre più la forma prevista nelle utopie 137 P. Lucisano negative di Orwell e di Huxley. Una frammentazione sempre maggiore, un impoverimento materiale e culturale delle classi medie, la dominanza della comunicazione unidirezionale dei mass media, il controllo dei sin- goli lavoratori attraverso meccanismi di colpevolizzazione e di punizione. Siamo precipitati dal modello di una pedagogia attiva e partecipata al bastone e alla carota evocati dal ministro Profumo. Non che di questo rischio non ci fosse consapevolezza: «Educare gli uomini come esseri progettanti e valutanti è probabilmente un'impresa auto-contraddittoria in società industriali dove per gran parte di essi il lavoro che compiono esorbita dalle loro possibilità di progettazione e valutazione» (Visalberghi, 1973: 9). Chomsky (2000) del resto, nel ripercorrere le tappe dell’involuzione del nostro modello sociale, attribuisce a Dewey una percezione chiara dei rischi insiti nel ruolo dei cosiddetti poteri forti «John Dewey era un residuo della tradizione liberale classica dell’Il- luminismo che si opponeva al dominio dei saggi, alla carica degli ari- stocratici Jeffersoniani, che si collocassero nella porzione reazionaria o liberale di questo ristrettissimo spettro liberale. Dewey aveva com- preso chiaramente che “la politica è l'ombra proiettata sulla socie- tà dai grandi interessi economici”, e fintanto che ciò permane vero, “un'attenuazione dell’ombra non cambierà la sostanza”. Intendendo che le riforme sono di utilità limitata. La democrazia richiede che la causa dell'ombra sia rimossa non solo per il suo dominio sull’arena politica, ma perché le stesse istituzioni del potere privato incrinano la democrazia e la libertà. Dewey era molto esplicito riguardo al potere antidemocratico che aveva in mente. Per citarlo: “il potere oggi” — sia- mo nel 1920 — “risiede nel controllo dei mezzi di produzione, scam- bio, pubblicità, trasporto e comunicazione. Chiunque li possieda controlla e domina la vita del paese, anche se permangono forme di democrazia. Affari finalizzati al profitto privato attraverso il controllo privato delle banche, della terra e dell'industria rafforzato dal control- lo della stampa, delle agenzie stampa e degli altri mezzi di pubblicità e propaganda, che è il sistema di potere attuale, la fonte di coercizione e controllo, e finché non sia rovesciato non potremo parlare seriamente di democrazia e libertà”. L'istruzione, sperava, del tipo di cui parlava, la produzione di esseri umani liberi, doveva essere uno dei mezzi per mettere in discussione questa mostruosità assolutista. In una società libera e democratica, sosteneva Dewey, i lavoratori do- vrebbero essere padroni del loro destino industriale, non strumenti affittati dai datori di lavoro. Concordava su questioni fondamentali con i fondatori del liberalismo classico e con i sentimenti democratici e libertari che animavano i movimenti dei lavoratori sin dagli inizi 138 QUALE DEMOCRAZIA? della rivoluzione industriale, fino a che non furono abbattuti da una combinazione di violenza e propaganda. Nel campo dell'istruzione, perciò, Dewey riteneva “illiberale ed immorale” insegnare ai bambini a lavorare “non liberamente ed intelligentemente, ma allo scopo di guadagnare dal lavoro”, nel qual caso la loro attività “non è libera perché non vede una libera partecipazione”. Ancora la concezione del liberalismo classico e dei movimenti dei lavoratori. Perciò, sosteneva Dewey, le aziende devono cambiare da “un ordine feudale ad uno de- mocratico” basato sul controllo da parte dei lavoratori e sulla loro libera associazione, ancora una volta classici ideali anarchici che affondano le loro radici nel liberalismo classico e nell’Illuminismo». Nella nostra società post-feudale i servi della gleba sono diventati capita- le umano, il lavoro rischia di perdere la sua connotazione di luogo di presa di coscienza e di luogo in cui l'individuo si riconosce parte della società. La nostra indagine su 105.856 laureati Sapienza osservati per sei anni dalla laurea ci restituisce un mondo frammentato in cui i laureati passano da un lavoro all’altro, in cui i contratti durano un batter di ciglia, in cui oggi sei ingegnere, domani barista, dopodomani chissà, in cui il passar del tempo non premia e il lavoro non consente di accumulare competenza. Per quanto riguarda la frammentazione basti pensare che il 30% dei contratti ottenuti da i 61.782 laureati che hanno avuto nel periodo osservato almeno un con- tratto di lavoro subordinato o parasubordinato hanno la durata di un giorno e ancora 111% fino a una settimana, per arrivare ad una percentuale cumu- lata del 48% comprendendo i contratti fino a un mese di durata. Da questi risultati e dalle esperienze narrate da sessanta giovani laureati Sapienza che abbiamo intervistato, emerge soprattutto la responsabilità di una domanda di lavoro che opera secondo logiche lontane dall’investimento nelle perso- ne, adottando strategie di corto respiro (Zanazzi, 2016). Viene da chiedersi quale coscienza sociale possa nascere in queste condizioni materiali. Perché se è vero che la coscienza non è solo un prodotto delle condizioni materiali, rimane vero che è difficile che si sviluppi pienamente in condizioni materiali completamente ostili (Lucisano et 4/, 2016). Così, a cento anni da Democrazia e educazione, non possiamo non riflettere sul nostro ruolo di educatori e di cittadini, e di cittadini e perciò educatori. Non basta combattere un modello di scuola basato sull’addestra- mento ai test INVALSI, sul controllo e non sulla fiducia. Né è sufficiente rilevare come abbiamo fatto nell'indagine Teens voice (Lucisano, Du Merac, 2015, 2016) come sia ancora presente nei giovani una base di valori demo- cratici tale da accendere speranza e fiducia sulla possibilità di una attivazione di nuove generazioni verso un percorso di crescita della nostra società. Le 139
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved