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La pelle giusta di Paola Tabet, Schemi e mappe concettuali di Sociologia

Riassunto del libro "La pelle giusta"

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 20/03/2023

Parisss22
Parisss22 🇮🇹

4.5

(4)

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Scarica La pelle giusta di Paola Tabet e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia solo su Docsity! LA PELLE GIUSTA Ma qual è la pelle giusta? C’è una pelle giusta o sbagliata? I risultati di una ricerca sul razzismo condotta tra gli studenti di alcune scuole italiane, elementari e medie, da Paola Tabet, docente di antropologia dell’Università della Calabria, sono risultati piuttosto omogenei. Da Torino a Caltanissetta, la maggior parte dei ragazzi ha mostrato una sorta di rifiuto, paura e preoccupazione alla sola idea di avere un genitore con la pelle diversa. I loro commenti sono stati perentori e sono il risultato di una cultura di appartenenza che non dà gli strumenti per comprendere la diversità. La pelle giusta è la pelle bianca. E' bianco chi ha potere e benessere, chi ne è privo - bosniaci o albanesi, zingari o africani - è nero e appare inquietante. L'ossessione e la paura degli "altri": è il tratto che caratterizza gran parte dei settemila temi raccolti da Paola Tabet in una ricerca condotta presso centinaia di scuole italiane, elementari e medie, dal Veneto alla Sicilia. L'età dei bambini coinvolti, l'immediatezza e la forte carica emotiva dei loro lavori, che non si nascondono dietro l'ipocrisia e l'ostentazione dei buoni sentimenti, mettono definitivamente in crisi l'affermazione per la quale "gli italiani non sono razzisti". La pelle giusta è un documento che, grazie anche al confronto tra le idee elaborate nei temi e la cultura trasmessa dagli adulti, ci avvicina alle contraddizioni e alle ambiguità dei ragazzi, divisi tra schifo e pena, simpatia e rifiuto per il "diverso", e aiuta a capire da dove nascono e dove si riflettono le nostre paure. INTRODUZIONE RAZZISMO: Ideologia che, fondata su un'arbitraria distinzione dell'uomo in razze, giustifica la  supremazia di un'etnia sulle altre e intende realizzarla attraverso politiche discriminatorie e  persecutorie Un sistema di lunga costruzione Il libro si apre con una similitudine: un motore di un’automobile può essere spento, in folle, ma anche spento è un insieme di elementi collegati tra loro che entrano in azione quando la macchina viene accesa. Il sistema del pensiero razzista che costituisce la cultura della nostra società è come un motore di un’automobile, costruito e non sempre messo in moto né spinto alla massima velocità, il suo ronzio talvolta è impercettibile come quello di un motore in folle e al momento buono, ad esempio in un momento di crisi può partire. In modo diverso consuma informazioni, materiali, vite. Con l’arrivo in Italia degli immigrati dai paesi del “terzo mondo” (metà anni 80) tale sistema entra in moto, accelera in maniera esorbitante, diviene costante, quotidiano, invadente, circola veloce (sotto forma di battute, barzellette, scambi di opinioni di persone o media), circola tra adulti ma anche tra i bambini. Tale sistema però non nasce quando arrivano in Italia gli immigrati, ma è un sistema di pensiero di lunga costruzione che ha avuto revisioni e mutamenti che nasce con il COLONIALISMO (Africa, America, Asia in cui si è verificata una presa di possesso, un’invasione di terre fino ad allora non scoperte dalle potenze europee ma abitate da altre popolazioni, ciò che qualcuno definisce: “processo di unificazione del mondo per opera degli stati  europei, con la loro forza ma anche con il loro concetto di produzione, e quindi con i loro valori e la  loro cultura”. Il razzismo prima di un’ideologia è un rapporto sociale. La legittimazione dei rapporti coloniali e schiavistici passa attraverso molteplici discussioni e posizioni diverse che portano a un’elaborazione della filosofia della storia nella forma di una TEORIA DELLE DIVERSITA’ SOCIALI COME DIFFERENZE NATURALI. A metà 800 la TEORIA DELLA RAZZA è messa a punto e con ciò la legittimazione arriva alla sua compiutezza: si parla di differenze tra gruppi umani, ponendo come inalterabile il dominio di alcuni e la soggezione degli altri e stabilendo tra i gruppi gerarchie definitive. Le relazioni tra tali gruppi (diversi per natura) vengono definite “rapporti razziali” (relazioni determinate da caratteri endogeni e naturali e non da relazioni storico-economiche tra questi, quindi diversi per essenza). ITALIA sul piano intellettuale Lombroso e Niceforo hanno elaborato l’idea di razza, mentre sul piano politico sono stati diversi gli interventi coloniali in Africa. COLONIALISMO ITALIANO: è stato più umano, tollerante e diverso dagli altri, il nostro era un “colonialismo all’acqua di rose”: l’idea diffusa è “E poi, in fondo, che abbiamo avuto come colonie?  Ma via, roba da ridere, neppure da considerare”, dimenticandosi che anche se la potenza coloniale italiana non sia paragonabile a quella inglese o francese, In Africa orientale l’Italia c’è stata più di mezzo secolo e in Libia più di 30 anni. - Rimane quasi ignota la politica di segregazione razziale in Africa, la politica di “tutela della purezza della razza dominatrice” e di “difesa del prestigio della razza” da parte dell’Italia fascista. - Sono poco conosciute le azioni compiute durante il fascismo nelle guerre di Libia e Etiopia: uso di gas, fosgene, iprite (vietati dagli accordi internazionali di Ginevra), i massacri, le deportazioni di massa, i campi di concentramento dove morivano anche bambini, crimini di guerra i cui responsabili (Graziani e Badoglio incluso dalla United Nations War Crimes Commission nella lista dei criminali di guerra, non sono stati mai processati così come gli altri responsabili dei genocidi in Africa compiti dagli italiani. Tutti questi fatti restano poco noti e non fanno parte della consapevolezza generale sulla storia recente. “La rimozione,  nella cultura del nostro paese, del fenomeno del colonialismo e degli arbitri, soprusi, crimini,  genocidi a esso connessi, è quasi totale”. - A ciò si accompagna anche tanta ignoranza per quanto riguarda la storia del colonialismo italiano: “Gli italiani in Africa? Ma erano brava gente e non colonizzatori o invasori come gli  altri”, c’è una scarsa conoscenza delle realtà locali - Una rimozione parallela costituisce il razzismo come ideologia data dalla frase: “Noi italiani  non siamo razzisti” ancora presente. Ideologia o senso comune testimoniati e diffusi dai più svariati tipi di testi come i resoconti degli esploratori dell’800, la cui circolazione è una specie di “letteratura antropologica di massa”. Oppure anche i romanzi coloniali o esotici, le vignette e la satira, quotidiani locali e nazionali, con i fumetti che veicolano la doppia immagine del negro servizievole e fido o selvaggio e sanguinario”. - Tra il 1935 e il 1941 sono passati in Africa Orientale più di 1 milione di italiani e con lettere di militari in Africa e racconti di reduci delle guerre coloniali, accompagnati anche da foto, il colonialismo italiano entra direttamente nella memoria storica familiare e collettiva locale. Alcune foto raffigurano militari con la pistola puntata alla tempia dell’indigeno, cartoline coloniali come la vignetta del soldato italiano con il piede sul collo di un abissino. Al di là di tutto però l’esperienza coloniale lascia tracce: le rappresentazioni dell’africa e degli africani vivono ancor oggi nella memoria lunga, nei ricordi dei reduci e dei parenti e amici che avevano sentito e ricordano i racconti. C’è una storia dietro ai pregiudizi che noi abbiamo nei confronti degli africani: non è vero che non li conosciamo, li conosciamo da molto tempo. - Anche senza colonialismo l’Italia è partecipe alla diffusione di ideologie razziste (film ad esempio) e alla divisione tra nord e sud del mondo. Per la cultura e la sinistra italiana però I docenti che hanno accettato di partecipare hanno dato nelle classi dei temi ampi, lasciando ai bambini la scelta: - Se io fossi indiano: eliminato poiché risposte troppo simili e troppo cliche - Se i miei genitori fossero neri: grande interesse a causa anche del grande coinvolgimento emotivo. - Se i miei genitori fossero americani: uno dei temi di controllo per valutare quanto la paura, l’angoscia e rifiuto fossero dovuti alla prospettiva di cambiare genitori o quanto le reazioni negative fossero legate proprio all’idea di quei genitori lì, neri. - Se i miei genitori fossero neri e ricchi: per separare l’incidenza dell’effetto dell’idea di “neri” dalla rappresentazione dei neri come miserabili - La mia vita e la vita della gente in un paese dell’Africa - Viene ad abitare vicino a casa mia una famiglia africana (o di neri) - Arrivano gli extraterrestri sulla terra. Immagina come descriverebbero i neri (e come descriverebbero i bianchi). I temi sono un materiale particolare non accessibili al ricercatore. Non c’è stato il rapporto diretto di intervista orale e di osservazione: mancano una serie di elementi extratestuali importanti per la ricerca come le reazioni immediate dei ragazzi all’assegnazione del tema (risatine, battute, segni di disagio). Inoltre i testi non sono stati proposti direttamente dal ricercatore ai bambini, né direttamente raccolti. Anche se le istruzioni richiedevano ai docenti di non correggere i testi e inviarli così come erano, questo non si è verificato in quanto la correzione fa parte del percorso didattica quotidiano. La maggior parte dei temi sono delle “belle copie”, copie corrette (correzione ortografica e lessicale e grammaticalenasconde le scelte lessicali dei bambini mediante ad esempio l’eliminazione di alcune parole come “sporco”). Inoltre era stato richiesto agli insegnanti di non preparare preventivamente i ragazzi a quello che avrebbero dovuto affrontare, cosa che in alcuni casi non è successo (o perché l’argomento era già stato svolto o perché erano state fornite spiegazioni poco prima del tema). Quindi, i temi rappresentano un insieme di idee espresse non in una situazione totalmente libera (ma idee messe per iscritto secondo varie regole di componimento), in risposta ad una richiesta specifica e in un contesto particolare (la classe e il rapporto con l’insegnante), cioè in una situazione guidata e con la possibilità di un giudizio dall’alto. Una sorta di “tema in classe” dove i ragazzi cercano di produrre risposte accettabili, usando parole corrette, è per cui una cosa da tener di conto, così come è necessario tener di conto le correzioni apportate dai docenti. Nelle classi dopo la 3^ elementare fino alle medie (bambini tra i 9-13 anni) c’è più una tendenza al componimento retorico: il tema sui genitori è sempre meno diretto e personale per cui questo tema perde la capacità di informare sul pensiero dei ragazzi. A tal proposito ad alcune classi 4^/5^ elementari è stato fatto svolgere un tema di controllo (“La mia vita e la vita della gente in un paese dell’Africa) per comprendere le idee che i bambini avessero dell’Africa e degli africani. Nel complesso le rappresentazioni di base sono omogenee, non appaiono differenziazioni rilevanti né tra regioni né tra piccoli paesi e grandi città… VARIABILI: tra le variabili ci sono l’età e il percorso scolastico dei bambini e sembra incidere (sulla base di impressioni) anche il tipo di rapporto tra insegnanti e allievi. RISULTATI: un insieme di rappresentazioni di uniformità in tutta Italia e sono idee non nate al momento del tema in classe ma già impresse, assorbite dall’ambiente circostante, dalla tv, cartone animati, fumetti, famiglia, scuola, chiesa, amici. Oltre 70.000 temi, necessari per valutare la diffusione di un sistema di pensiero collettivo che appare già presente nelle prime classi elementari. Si è notato che da un certo punto dell’indagine in poi i nuovi testi che arrivavano non avevano più elementi di novità ma emergevano schemi già presenti nei testi precedenti. Il sistema presenta un’altissima ripetitività e stabilità. Il materiale presente su questo libro è dato dalla ricerca iniziata nel 1990. Migliaia di ragazzi hanno svolto il tema “SE I MIEI GENITORI FOSSERO NERI” e altri temi di controllo. Si tratta di un’analisi delle forme di pensiero sugli “altruìi”, un’analisi QUALITATIVA dei concetti di “differenza”, “razza” nella mentalità dei ragazzi dell’obbligo scolastico e non di un’analisi quantitativa. Non si vuole sapere quanti bambini si potrebbero considerare razzisti o non razzisti ma di vuole indagare se e con quali modalità si manifesta a queste età una visione razzista e come trovi espressione nei materiali raccolti. In questo libro sono presenti in forma integrale circa 200 temi, sono stati selezionati e prese idee, emozioni e rappresentazioni che i ragazzi hanno espresso di fronte ai compiti assegnati, prendendo nozioni e idee da più temi e articolandoli insieme per arricchire il discorso. Sono temi ripresi seguendo con fedeltà la scrittura dei ragazzi. Il compito impossibile Paura I temi si dividono in due percorsi con diversi fili conduttori: 1. Sentimenti espressi di fronte al tema e le rappresentazioni di sé e degli altri che ne sono alla base: in cui è espressa la paura, ci sono vari elementi su cui poggia la paura la simbologia cattolica del nero come il diavolo, colpa e inferno, l’uomo nero per terrorizzare i bambini, lo zingaro che porta via i bambini cattivi. A questi si aggiungono gli stereotipi sui neri come delinquenti e violenti o le immagini di neri che vivono con l’elemosina e cercano il cibo nella spazzatura. I bambini delle elementari dimostrano paura nei confronti dei neri, colpevoli anche i media che li rappresentano in condizioni di miseria e delinquenza, e la paura espressa in alcuni temi è senza misura, diventa ossessione, totalità. “Io, se i miei genitori fossero neri, avrei paura per sempre” (Bucine, Arezzo, I elementare) Per prima cosa va messa in discussione l’idea l’idea che la paura del diverso sia un fatto naturale e per i bambini una reazione istintiva. Le reazioni individuali sono varie: c’è il bambino piccolo che si avvicina subito quasi si butta sulla persona nuova cos’ come c’è quello che prima di nasconde e poi incuriosito si avvicina. Solitamente la curiosità vince sull’impulso di ritirarsi a meno che non ci siano stati input terrorizzanti da parte di familiari, adulti, amici, a meno che la paura non sia stata imposta e costruita socialmente. La stessa cosa vale per la paura istintiva di fronte a caratteri somatici diversi. Come si costruisce la differenza che differenzia? Studi di psicologia cognitiva affermano che i bambini imparano la “razza” dal linguaggio e non dalla percezione visiva. All’inizio i bambini piccoli non vedono la razza, la odono. I bambini già in età prescolare conoscono, hanno un’idea dei membri di altre razze e possono provare verso di loro antipatia o altro in base a quanto li viene trasmesso dall’ambiente. Si impara la paura rispetto ad una categoria socialmente definita e nominata prima che vista e percepita. I neri fanno paura non per il loro colore della pelle ma perché fanno parte di una categoria detta “razza”: i neri, i negri. Joseph Goebbels (ministro della propaganda dei Reich) diceva al regista Lang: “Signor Lang, siamo  noi che decidiamo chi è ebreo”. Dalle prime leggi naziste del 1933 viene istituzionalizzato l’obiettivo di porre fine alla penetrazione del sangue ebraico nel corpo del popolo tedesco. Le Leggi di Norimberga del 1935 per la protezione del sangue proibiscono matrimoni tra tedeschi ed ebrei. I “mezzi ebrei” o “meticci di 1° grado” che abbiano un coniuge ebreo o che siano di fede ebraica sono definiti ebrei a tutti gli effetti ed esclusi dalla cittadinanza, gli altri “mezzi ebrei” sono cittadini tedeschi ma se poi sposano una persona ebraica sono riclassificati ebrei. Negli USA, al tempo della segregazione razziale, gli stati federali potevano stabilire chi era negro, indiano, giallo, mongolo ecc… La cosiddetta ONE DROP RULE: una goccia di sangue nero basta per essere neri. Un altro caso, durante l’apartheid in Sudafrica venivano classificati come non bianchi i cinesi ma non i giapponesi. In Italia ci furono le leggi fasciste che possono fornire altri esempi. Il processo di creazione della differenza è un processo sociale e politico. Vengono create (scegliendo un tratto fisico vero o inventato che diventa un marchio biologico indice di differenza) delle categorie che appaiono come naturali ma non c’è niente di naturale in questa classificazione. Il gruppo dominante sceglie e decide la classificazione e la collocazione sociale di persone e gruppi e lo decide secondo una “biologia di comodo”, stabilisce chi è diverso e anche di chi si deve avere paura o disgusto, stabilisce chi è diverso anche agli effetti visivi poiché la percezione la educhiamo. I temi dei bambini non sono quindi sbagliati ma rispecchiano e rispettano una classificazione sociale. L’importanza attribuita ai caratteri biologici non appartengono a tutte le culture e non fanno parte dell’intera storia culturale europea. Una volta il colore della pelle o altri tratti somatici venivano solo considerati strani. Ci sono culture che sostengono che non sono questi i caratteri che definiscono l’identità, l’appartenenza ad un gruppo e la differenza dei gruppi tra loro. Vi sono culture che costituiscono la persona e il gruppo in base al fare, al rapporto con il territorio e non al sangue o alla discendenza. E’ il divenire che struttura la persona: la persona è ciò che fa. L’idea di razza è dunque una particolare modalità culturale di costruzione della differenza di potere tra gruppi, connotata dai rapporti storico-sociali definiti. 2. Soluzioni e strategie escogitate rispetto alla situazione proposta: La paura del nero, è indotta e ciò lo testimoniano i temi dei bambini. La paura e la diffidenza sono impiantate nei bambini attraverso esperienze spesso penose di negazione dell’umanità altrui e possono creare rigidità e blocchi psicologici. es. una bambina di 3 anni per un certo tempo si rifiuta di andare all’asilo. Quando è all’asilo  si dispera fino all’ora di pranzo momento in cui una bambina nera, le carezza ogni giorno la  testa e dopo mangiato si mette tranquilla a riposare.  Nei disegni la piccola di rappresenta  come nera. Dopo 2 anni, la bambina cammina per strada con la madre, passa un nero e la  bambina si aggrappa impaurita alla madre che non capisce la reazione. Quando la madre  capita all’asilo vede che le maestre con i bambini avevano costruito col pongo le capanne di  un villaggio africano: al centro c’è un calderone dove i neri bollono i bianchi. Le maestre  dicono “ma si è fatto così, per ridere”. La bambina con un’esperienza traumatica passa da una situazione di affetto, di assenza di diversità alla paura. Marcuse e Sherover sostengono che per disimparare il razzismo è necessario sciogliere il groviglio formato dalla disinformazione e dall’esperienza dolorosa dell’imposizione di questa disinformazione e pregiudizio. I bambini non fanno altro che rispecchiare la paura ossessiva presente nell’immaginario comune. sono stati anche schiavi. La schiavitù da fatto storico ed economico diventa quasi un fatto endogeno che caratterizza tutti e solo i neri, un marchio indelebile di origine naturale. Non solo gli africani sono stati schiavi, ma sono schiavi per loro natura: questo definisce per sempre la loro posizione e relazione rispetto ai bianchi. Immigrati Questa rappresentazione dell’Africa diffusa nel senso comune consegue che gli africani anche quando sono nel nostro paese sono considerati sporchi, primitivi, ignoranti e portatori di malattie e saranno visti come miserabili e delinquenti. Questa rappresentazione non deriva solo dalla vecchia visione dell’Africa, ma è il risultato anche di uno specifico lavoro di produzione e diffusione ideologica di cui sono in primo luogo responsabili i media. Viene messa in moto una sorta di SOCIOLOGIZZAZIONE delle cause del rifiuto: un’organizzazione razionale di motivazioni sociali dell’intolleranza. Con l’immigrazione di forza lavoro il razzismo diviene un fatto strutturale e istituzionale legato ai rapporti di potere all’interno della nostra società. Viene svolto un lavoro di formazione delle opinioni che si esplica attraverso tre processi:  Enfatizzazione del fatto criminale o deviante  Rappresentazione miserabilista delle condizioni di vita degli immigrati  Cancellazione della loro dimensione quotidiana… La sottovalutazione degli ASPETTI ORDINARI (lavoro, relazioni sociali, rapporti familiari, forme di integrazione) favorisce la sopravvalutazione degli ASPETTI STRAORDINARI (devianza, criminalità). Molti temi infatti evidenziano la situazione pesante che gli immigrati sono costretti ad affrontare ad esempio nel trovare lavoro, in particolare un lavoro decente e pagato equamente. Ciò rispecchia la realtà: la maggior parte di loro hanno un salario al di sotto di quello contrattuale, fanno lavori al di sotto delle loro qualifiche e possibilità. “Molte persone pensano che se anche un negro è laureato è adatto a fare solo lavori manuali”. Molti bambini vedono e descrivono queste cose, il sottopagamento, la portabilità solo per lavori manuali nei loro temi, e molto spesso è presente una percezione dei processi di razzismo quotidiano. Essere neri oggi in Europa e in Italia è assai diverso che essere bianchi. Nei temi dei bambini è possibile notare l’influenza degli stereotipi e dei pregiudizi che vengono assorbiti facilmente e riprodotti nei temi in modo semplificato. Alcuni bambini più grandi, delle medie, invece mostrano compassione e solidarietà per i neri, ma allo stesso tempo oscillano tra diffidenza, lo schifo, il giudizio arrogante e la morale religiosa fondata sull’uguaglianza e la fratellanza. “Per me nero e bianco sono uguali, perché sono stati creati da Dio e Dio non ha inventato il  razzismo”. Emerge quindi il contrasto a volte tra i sentimenti di avversione interiorizzati e il senso di colpa connesso alle idee di fratellanza tra gli esseri umani. I “negri” e i “marocchini”, termini spesso usati come sinonimi non vengono solo dall’Africa o dal Brasile ma negli anni del miracolo economico anche i meridionali erano chiamati così. Adesso invece, vengono dall’Iraq, ex Jugoslavia, Albania. I “neri” non sono solo di colore nero ma, come scrive un ragazzo di IV elementare, nascono di 3 razze di pelle: nera, gialla, bianca. Non si tratta di uno sbaglio ma siamo difronte a una costruzione di CATEGORIE SOCIALI, non in base al colore ma in base ai rapporti economici, sociali, politici tra i gruppi. Negli USA a metà 800 molti gruppi che ora sono considerati “bianchi” erano considerati “non bianchi” (tra cui gli italiani). I bambini non hanno assorbito una visione astratta dei neri, ma una immagine densa e articolata, carica di segnali negativi e paurosi. Se la vita dei neri in Africa e in Italia è percepita così negativamente è ovvio che sono spaventati i bambini all’idea di avere genitori neri. Parte dei ragazzi elaborano una serie di SOLUZIONI RIVELATRICI. Il punto è come uscire dalla situazione che il tema sembra imporre e rispetto alla quale si ha una dissociazione netta. Denegazione DENEGAZIONE: rifiuto di riconoscere per vero o autentico Le prime soluzioni vengono definite di DENEGAZIONE FORMALE: “non è possibile che siano neri, non è vero”. Sono soluzioni dell’irrealtà e della finzione, di varia complessità. Si lavora sul tema: 1. Negandone il titolo, cercando di svincolare 2. Trovando modi sempre più complessi per rifiutare, fin sul piano della fiction, anche la semplice possibilità di avere genitori neri: i genitori non sono neri, hanno solo finto di esserlo, ma era uno scherzo (fingevano con una parrucca o tingendosi il viso) 3. Oppure era solo un sogno per fortuna 4. O sono neri ma solo per un attimo, a causa di un avvenimento improvviso, una malattia inspiegabile, un maleficio, ma li faremo guarire e tornare bianchi 5. I genitori sono neri ma sono genitori adottivi e temporanei, un’adozione di 1 o 2 anni e poi via, si torna dai genitori bianchi 6. Oppure lo ammetto sono neri ma io faccio finta di nulla, fingo che sono bianchi. Un’operazione di RIMOZIONE e NEGAZIONE SIMBOLICA dell’umanità. Violenza Il rifiuto assume toni più violenti e la paura diviene meno coperta. Dalla denegazione di passa alla fuga, con soluzioni basate su azioni sempre più drastiche fino alla soppressione di questi genitori neri. Le scelte immaginate sono: 7. Fuggire: abbandonando i genitori nella loro casa andando lontano o dai nonni, supposti bianchi 8. Cacciarli di casa 9. Nasconderli 10. Farli diventare bianchi: lavandoli, tingendoli con vernice o latte caldo 11. Eliminazione fisica: omicidio, tagliandogli la testa, facendoli massacrare dai carabinieri Queste sono le soluzioni trovate dai ragazzi difronte all'ipotesi di genitori neri, rimanendo loro stessi bianchi. Una minoranza però, immagina anche se stessi neri (dato da un fatto naturale visto che anche i genitori sono neri, sia perchè vedono come intollerabile la differenza che ci sarebbe in famiglia), in tal caso emergono 2 soluzioni:  trasformare tutti in neri  tornare in Africa Sono soluzioni dello stare tra sè, usate come modo di risolvere situazioni di violenza e discriminazione che potrebbero far soffrire i bianchi. Oppure:  ci si finge bianchi, si cerca di diventare bianchi  la morte: (anche qui) come esito per i genitori neri e non sempre per il bambino Le soluzioni sono azioni immaginate o immaginarie in cui si articola il rifiuto: che questo sia espresso in modo esplicito o attraverso strategie di fuga che arrivano fino all'uccisione, il rifiuto è presente nella maggior parte dei temi. Per i ragazzi i genitori non possono, non devono essere neri. Ma "dei neri possono mai essere dei genitori?" Paternalismo I ragazzi più grandi di fronte ai neri assumono la posizione che è stata loro trasmessa dalle innumerevoli immagini e discorsi, quella di BUONI E PATERNALISTICI CIVILIZZATORI: con un rovesciamento dei ruoli i ragazzi diventano essi stessi gli adulti, i genitori, e insegnano ai "genitori" o ad altri adulti neri "la vita degli esseri umani" e "a comportarsi educatamente". Insegnano dei mestieri al padre, a fare la casalinga alla madre, a leggere e scrivere, adeguarsi alla vita della città, vestiti e tempo libero. Mentre i ragazzi pensano di essere e di mostrarsi benevoli e non razzisti, nello stesso tempo negano ogni dignità, autonomia ed esperienza adulta a tali genitori immaginati, più come macchine che persone. Nell rapporto tra bianco e nero quello da educare è il nero. Per dei "noi" così superiori i neri non possono essere dei genitori ma lo possono essere solo per altri neri ed è un atteggiamento che si ha SOLO SE I GENITORI SONO NERI, in quanto se si chiede loro di immaginare nuovi e diversi GENITORI NON NERI (ad esempio ma americani) il rovesciamento dei ruoli tra bambini e adulti non avviene, anzi nel caso dei genitori americani si ha la situazione opposta, quella del consumismo e ricchezza. Se invece si parla di GENITORI NERI E RICCHI la cosa significativa è che non vengono scambiati i ruoli, prevale l'idea della ricchezza e non il fatto che il genitore sia nero (per altri invece rimane presente come elemento negativo). La scelta di civilizzare i propri genitori in ambito familiare riporta alla figura di benefattore e civilizzatore degli indigeni, visto in precedenza, si ha il ribaltamento di ruoli con il passaggio del ragazzino al ruolo di adulto e la riduzione dei genitori neri a bambini da proteggere e istruireE' la faccia paternalistica del rapporto di sopraffazione che ha caratterizzato l'Occidente verso altre società. PATERNALISMO: atteggiamento secondo cui i governanti attuano una politica che pur tendendo al progresso e al benessere dei governati, non li considera però capaci di perseguire tali fini in modo autonomo. Strategie argomentative Nei temi dei ragazzi, il rifiuto si intravede nella scelta di specifiche strategie discorsive o dati linguistici inconsapevoli (elementi del linguaggio che sfuggono al processo di intenzionalità e di scelta e per questo possono rivelare posizioni profonde, come l’uso di pronomi di persona: “Noi” nel senso di “io e i miei genitori” o nei pochi casi in cui i genitori sono neri e anche il bambino si include come nero. Sennò per i genitori neri viene usato il pronome della messa a distanza “io e loro”. “Noi” viene usato per “noi bianchi” contrapposto a “loro”). Rispetto all'ipotesi proposta c'è una dissociazione da parte loro tale che non accettano di rappresentarsi nella situazione. Non riescono, neppure per poco tempo poichè si tratta di un tema, a calarsi nel gioco di immaginazione in cui avrebbero genitori neri ma:  Oggi partirò per il Marocco mentre un bambino nero verrà dai miei genitori. Quello che importa non è il colore e la ricchezza ma l’amore, la felicità, la gioia; in questa nuova famiglia regna la tranquillità. La razza non importa perché l’unione tra le persone è l’amore. Chissà se il bambino nero si è trovato bene con la mia famiglia: ho paura a rispondere a questa domanda. 6. Vero ma fingo il falso: con una manovra complessa l’ipotesi viene annullata utilizzando la finzione, è vero che sono neri ma questo fatto si può superare fingendo rappresentandosi i genitori diversi da come sono.  Le persone nere mi fanno pensare al brutto. Forse solo una cosa fermerebbe il mio pensiero: fare finta che siano bianchi come me.  Dovrei pensare che i miei genitori fossero il re e la regina In queste ultime 3 soluzioni l’ipotesi è inquietante e possibile, mentre nelle prime 3 anche la semplice possibilità è scartata. Mediante lo schermo protettivo creato da queste soluzioni i bambini allontanano, evitandolo, l’incubo rappresentato dai genitori neri. E’ come se il nero fosse qualcosa di abnorme che bisogna fingere di non vedere. Si nega il diritto di essere e apparire neri ma se i neri esistono si rimedia a tale fatto con il tipico atteggiamento di cortesia e di educazione che consiste nel fare come se nulla fosse. E infine nella trasformazione improvvisa, prodotta da malattie, della pelle ma anche carattere, a volte diventano malvagi, mostrano gusti diversi, parlano un’altra lingua: in alcuni testi sembra una mutazione genetica, di una trasformazione in un mostro o alieno o animale a cui i bambini sono abituati dal cinema che non traduce solo degli stereotipi sui neri ma l’idea contenuta nella nozione di “razza“ di una diversità tra gli esseri umani.  SCHIFO-VERGOGNA: In una 3^elementare di Roma quando viene assegnato il tema alla classe, su 30 bambini 14 discutono se fa schifo o no essere toccati da genitori neri o se genitori o altri neri gli toccano la roba. fa schifo ma se fossero i loro genitori l’affetto mitigherebbe lo schifo. I temi echeggiano atteggiamenti osservati tra gli adulti. Disprezzo e schifo, l’idea di sporco, di sudore, di cattivo odore, all’idea di essere toccati, alla contaminazione del cibo o del letto, divano si ritrovano in non poche classi. Questo schifo però non è casuale, non è nuovo. Il disgusto serve come potente mezzo che legittima la separazione, discriminazione e umiliazione dei gruppi dominati. I gruppi dominanti possono comunicare il proprio disgusto, farlo subire, esprimerlo attraverso regolamenti, leggi, segregazione degli altri. Questo è quello che avvenuto verso i gruppi minoritari nelle società europee, gli zingari ed ebrei, verso i popoli colonizzati e il disgusto con idee di contaminazione è presente anche nei rapporti tra le classi sociali e gruppi sociali diversi. Con lo schifo siamo di fronte a una forma di SOCIALIZZAZIONE NEGATIVA, lo schifo segna la separazione tra umano e non umano: gli altri non sono come noi ma sono delle bestie, viene costruita una BARRIERA SOCIALE DI DISCRIMINAZIONE che mantiene saldi i confini tra i gruppi e che diviene una reazione psico-fisica personale e vista come un fatto naturale, istintivo. Il disgusto invece, viene trasmesso culturalmente e insegnato: fin dalla prima infanzia il bambino viene educato al disgusto verso cose (odori del corpo e prodotti ad esempio) e anche verso persone o categorie di persone. Di fronte all’angoscia e al disagio dei bambini all’idea di pensare se stessi e i propri genitori come inferiori e oggetto di disgusto, reagiscono con il volersi nascondere, con strategie di evitazione e con la vergona che può invadere ogni momento e luogo in cui hanno contatti esterni (“mi vergognerei  tantissimo…mi vergognerei quando andrei in autobus”). Se fossi nata nera e i miei genitori fossero nei tutti facevamo schifo e io mi sentivo sporca Non li abbraccerei, non mi farei accompagnare a scuola per mano. Non mi faccio dare da mangiare con quelle mani nere. Non li farei sedere nemmeno sul divano e sul letto. Mi allontanerei subito da loro. Proverei un calore dentro come se fosse tutto infuocato. Se li toccassi mi sentirei imbarazzato. Che schifo non ci voglio nemmeno pensare. Sono felice di non essere figlia adottiva di due negri, altrimenti avrei fatto una tragedia. Non sopporterei mai di vivere con dei negri Sarebbe disgustoso stare vicino a loro. Penso che non siano uguali a noi ne per il colore ne per la pelle nè per le capacità. Li caccerei perché puzzano. Avrei paura perché la notte non si vedono. Sporcherebbero casa mia. Li odierei perché quando passano lasciano odore sgradevole. Hanno i denti gialli perché non sanno cosa vuole dire dentifricio o spazzolino. I neri sono molto broccioni. Non mi fiderei di genitori negri. Starei sempre qualche metro dietro di loro. Tenterei di cambiare famiglia. Non mi piacciono i genitori neri perché danno espressione di razzismo. Sporcherebbero il letto perché sono quasi sempre umidi e mia mamma se ha la pelle umida sporcherebbe anche il mangiare. Me ne starei sempre in un angolo e piangerei. Puzzerei perché non mi farebbero lavare. Se mio padre fosse nero lo amerei ma lo farei passare per un nostro amico che è venuto ad abitare a casa nostra. Se fossi negra mi sentirei distrutta e catturata dagli altri bambini. Mi vergognerei a venire negra a scuola. Mi darei subito la cipria bianca per fare andare via il nero.  RIFIUTO: Il rifiuto ha forme e torni differenti nei vari bambini e si esprime con diverse strategie (scelta di azioni per sfuggire dall’ipotesi, discussione giustificatoria del perché si rifiutano, perché bisogna accettarli, paternalismo indifferente. Qui ci sono temi caratterizzati dal rifiuto esplicito e dichiarato in un arco che va dai più violenti (in cui il rifiuto è verso tutti i neri e la non voglia di comunicazione è totale) a quelli che esprimono pena, dispiacere all’idea della sofferenza (a cui andrebbero incontro sia loro che i loro genitori). Anche quest’ultimi però non arrivano a superare secondo cui la vita dei neri è difficile e non degna di essere vissuta. Anche in questi, compare la barriera dell’idea di razza, dell’impossibilità di comunicazione tra persone di popolazioni diverse. Io non li rispetterei Non gioco con i bambini neri Non gli vorrei perché sono neri e perché sono dell’Africa Starei molto, molto lontana Non vorrei che i miei genitori soffrirebbero la fame, perché non hanno soldi Non farò mai amicizia con questi maniaci neri Preferisco che i neri vadano a vivere in tanti territori Li butterei fuori di casa perché sono troppo brutti. Fossi nero mi ammazzerei. Voglio essere bianco di natura. Mi butterei dal terzo piano perché così non rovinerei il mio nome. Sarebbero un’altra razza come i cani. Forse è meglio essere dinosauri che essere neri.  LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ALTRO: un’Africa come natura selvaggia e incontaminata dove c’è Tarzan, un uomo bianco, con i suoi animali (coccodrilli, tigri, giraffe…) e fiori che ornano questo paesaggio. Un piccolo Tarzan che cavalca struzzi, elefanti e che deve stare attento alle tigri, ippopotami, indigeni in quanto l’Africa oltre ad avere dei bei animali è la terra dei negri e degli indigeni. Questa era l’ottica della colonizzazione italiana quando nel 1891 il generale Baldissera dichiarava: “l’Abissinia ha da essere nostra, perché tale è da essere la sorte delle razze inferiori: i neri a poco a poco scompaiono e noi dobbiamo portare in Africa la civiltà non per gli abissini ma per noi”. Diciamo che è quasi l’Eden quest’Africa ma non per tutti: per i suoi abitanti è primitività, arretratezza, ignoranza, fame (secondo la visione costruita dalla cultura europea e assorbita dai bambini). Un continente e culture rimaste all’età della pietra. La visione di un’Africa ferma all’età della pietra non è in contrasto con quella dell’Eden ma sono due stereotipi complementari, è la tipica immagine suggerita dai dèpliant. Indigeni e primitivi sono sinonimi: l’Africa è una terra dove non c’è cibo né vesti, dove trionfa la povertà, dove i bambini e adulti bevono l’acqua sporca. Secondo la maggioranza lì si vive solo di caccia e raccolta, le donne si occupano di raccogliere i frutti e cucinare mentre gli uomini vanno a caccia con lance, arco, frecce e queste sono oltre al fuoco le uniche armi con cui i popoli si difendono. Se sono alla stato selvaggio significa che non sono neanche istruiti, cos’ mentre noi siamo ben istruiti loro non sanno nemmeno cosa significa “addizionare” o “fare un tema”. Per l’istruzione gli africani dipendono dall’Europa, inoltre secondo i bambini gli africani sono tutti mussulmani o credono in più dèi o animali, non ci sono cristiani (addio alle cerimonie cattoliche e ai doni: “non farei nemmeno la festa della mia comunione perché gli africani non la fanno”, “non  riceverei regali dai miei parenti) Che in Africa ci siano piccole popolazioni di raccoglitori e cacciatori è vero ma gli africani in genere non sono cacciatori raccoglitori. Riguardo ad archi e frecce le guerre in Africa mostrano bene la presenza di fucili e armi moderne, non da oggi, ma è ovviamente ignorato il commercio di armi che nei secoli ha fornito all’Africa fucili e altro. Che sia diffuso l’analfabetismo, periodi di siccità, che esistono aree colpite da catastrofi, carestie e guerre è vero. Di queste situazioni però va rifiutata l’estensione, la loro generalizzazione assoluta all’interno continente: in tanti temi ma anche nei discorsi quotidiani sembra che siano fatti permanenti e naturali, che tutta l’Africa sia sempre e solo questo. Contemporaneamente i ragazzi dimenticano o gli viene insufficientemente insegnato quello che secoli di rapina, colonialismo e neocolonialismo hanno voluto dire oggi per l’economia, l’agricoltura e la vita nei paesi africani. Con l’idea che noi solo siamo dotati di intelligenza, che solo noi abbiamo una civiltà, come non gonfiarsi di superbia? Spesso si fa il confronto con “loro” e il confronto è visto come schiacciante per gli africani: questo viene fatto per tutti gli aspetti della vita materiale, dai giochi (“io ho tanti giocattoli che i bambini africani non hanno”), agli elettrodomestici “sconosciuti” in Africa al letto (“dormo in un morbido letto che mi consente  di riposare bene mentre loro un gruppo di foglie secche e canne fa da letto”) alle abitazioni (“noi si vive in case moderne e loro in capanne che stanno ritte con il fango”). Si pensa che non ci siano città, architettura, storia culturale, arte. Poi c’è la grande differenza nel mangiare (“la roba da mangiare non la trovano nei negozi come noi ma devono durare  fatica a cacciarla”), nel cibo schifoso e cibo buono (“mangiano formiche, rospi, vermi,  moscerini e non conoscono cibi in scatoletta”), insomma mentre gli africani mangiano quello che trovano noi basta che andiamo al supermercato, mangiamo cose buonissime come il cioccolato, la carne, la marmellata, le uova, i crostini, il pesce cose che gli africani non hanno. I bambini non sanno che ci siano piatti tradizionali come il couscous o che ci possono essere ristoranti africani. Stesso discorso con il vestire: non sanno tessere stoffe per cui si vestono secondo i bambini con delle pelli o con le foglie, noi siamo ben vestiti con scarpe,
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