Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La pelle giusta Paola Tabet, Appunti di Sociologia dell'Educazione

Riassunto dettagliato del libro "La pelle giusta" di Paola Tabet.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 03/01/2021

mati_01
mati_01 🇮🇹

4.6

(46)

45 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La pelle giusta Paola Tabet e più Appunti in PDF di Sociologia dell'Educazione solo su Docsity! RIASSUNTO LA PELLE GIUSTA, Paola Tabet - UN SISTEMA DI LUNGA COSTRUZIONE Paola Tabet apre il suo brano paragonando il sistema di pensiero razzista al motore di un’automobile: questo può essere spento, in folle o andare a 5000km. Nonostante ciò, anche da spento è un insieme coordinato e messo a punto, pronto ad entrare in azione quando la macchina si accende. Il sistema di pensiero razzista che fa parte della cultura della società è come questo motore-> a volte il ronzio può essere silenzioso o impercettibile, ma in un momento di crisi, è sempre pronto a partire. Meta anni ’80 arrivo in Italia degli immigrati del “terzo mondo” -> è qui che per esempio questo sistema subisce un’accelerazione e diviene sempre più scoperto. Da questo momento il discorso razzista diviene quotidiano, comincia a circolare attraverso ogni forma di mezzo, sia tra gli adulti, che tra i bambini. Ma questo sistema non nasce a un tratto, si è formato ben prima, è dunque un sistema di lunga costruzione. Spesso nei discorsi quotidiani si sente dire “Noi italiani non siamo razzisti, non avevamo contatto con loro!”, ma in realtà non è così pensiamo ai rapporti storici, economici, alla schiavitù, al colonialismo… IL RAZZISMO, PRIMA CHE UN’IDEOLOGIA, SENSO COMUNE E TEORIA, È UN RAPPORTO SOCIALE. - IL PASSATO Tra il 1700 e il 1800 elaborazione di una particolare filosofia della storia nella forma di una teoria delle diversità sociali come differenze naturali. A meta 1800 il periodo di crescita della borghesia industriale e di espansione militare del dominio coloniale + con il contributo di naturalisti, antropologi, sociologi, filosofi la teoria della razza fu messa a punto. L’idea della razza fonda nella natura le differenze tra gruppi umani, ponendo come inalterabile il dominio di alcuni su altri, e stabilendo tra i gruppi delle gerarchie definitive. Le relazioni tra questi gruppi, posti come diversi “per natura”, vengono ad essere definite “rapporti razziali”. Come se queste relazioni fossero determinate da caratteri endogeni dei gruppi, cioè dalla razza, anziché dai rapporti storico-economici tra essi. Di questo processo storico, l’Italia fa parte sia sul piano intellettuale (pensiamo a Lombroso o Niceforo), sia su quello politico, con gli interventi coloniali in Africa. Spesso si pensa che il colonialismo italiano sia stato più “umano, tollerante, all’acqua di rose”, ma in realtà non è assolutamente così! Nonostante la potenza coloniale italiana non sia paragonabile a quella francese o inglese, ricordiamoci che in Africa orientale l’Italia c’è stata per circa mezzo secolo e in Libia per più di 30 anni! La politica di segregazione razziale in Africa, la politica di “tutela della purezza della razza dominatrice” e di “difesa del prestigio della razza”, imposta in modo sempre più drastica dall’Italia fascista dal 1936 rimane sempre quasi ignota. + rimangono spesso ignote le azioni compiute in Libia e Etiopia, come ad esempio l’uso di gas iprite, i massacri ripetuti e le deportazioni di massa. Crimini di guerra di cui i responsabili, Graziani e Badoglio, non sono mai stati processati + non sono mai stati processati ugualmente tutti i responsabili dei genocidi compiuti in Africa dagli italiani. Tutti questi fatti restano poco noti ancora oggi e non fanno parte della consapevolezza generale sulla storia recente italiana. A tutto ciò, si aggiunge una mistificazione e un’ignoranza su altri aspetti della storia coloniale: il mito del colonialismo bonario degli italiani, “degli italiani buona gente” viene tranquillamente coltivato e la tendenza all’autoassoluzione resta la più diffusa. + una rimozione altrettanto grande colpisce in generale il razzismo come ideologia. Sì, ci sono stati resoconti, lettere e romanzi, ma in generale, una coscienza chiara degli aspetti di questa ideologia manca ancora. Eppure, essa seppure in forma più varia, permane ancora oggi. (basti pensare semplicemente anche a molte vignette che compaiono persino nella stampa, che dice tanto di essere antirazzista. Aldilà della rimozione e dei miti, l’esperienza coloniale lascia tracce. Le rappresentazioni dell’Africa e degli africani vivono ancora oggi nella memoria dei reduci, dei parenti, degli amici. Ovviamente, sarebbe erroneo pensare che la situazione di rimozione italiana sia assolutamente singolare: l’Olanda, ad esempio, si è costruita un grande mito sul proprio “non razzismo”, ma anche in Francia, il silenzio su Vichy non è stato di breve durata. - LATENZA Intanto, fino alla fine degli anni ’80 il sistema percettivo razzista è rimasto latente ma tuttavia produttivo nel discorso comune, al punto che, se non quelli chiamati direttamente in causa, pochi hanno esposto questo problema. Tutti ne avevano coscienza ed esperienza, ma in quel panorama di rimozione, nessuno ne voleva e ne doveva parlare. Ma la latenza del razzismo è assai parziale: esso rimane attivo come sistema di pensiero in generale e struttura in modi specifici i rapporti sociali con parti della popolazione (es. meridionali che emigrando al nord!). Ma nonostante tutto, nonostante anche gravi fatti di razzismo esplicito (es. uccisione del fratello della ex parlamentare Dacia Valent) questi non hanno risonanza, o semplicemente non vengono letti in questa chiave. Chi parla di razzismo in quel periodo “esagera” secondo il pensiero comune, tanto che persino il razzismo verso quelli che emigravano dal sud al nord Italia viene spesso rimosso. Solo a partire dal 1987 il razzismo verso i neri e verso gli immigrati extraeuropei in genere, comincia a fare notizia e ad arrivare alla coscienza. Ma ancora, viene percepito come fatto estremo, riguardante pochi individui. BALBO e MARCONI nominano come “pre-razzismo” il periodo che va fino all’assassinio del lavoratore sudafricano Jerry Essan Masslo a Villa Literno nell’agosto 1989. - IL SALTO: UNA SOCIETA’ DI RAZZISMO ORDINARIO Sono presentati in questo libro circa 200 temi realizzati dai ragazzi, riprodotti con fedeltà seguendo la scrittura dei ragazzi, salvo rarissimi casi di minima correzione ortografica quando gli errori rendevano in testo incomprensibile. - LA PAURA I temi sono ordinati su due percorsi: 1. Riguarda i sentimenti espressi di fronte al tema e le rappresentazioni degli altri e di sé che ne sono alla base. 2. Riguarda le soluzioni /strategie escogitate rispetto alla situazione proposta. Per quanto riguarda il primo percorso: è evidente nei bambini la paura. Ad alimentarla sono vari elementi: la simbologia cattolica del nero come diavolo, il mito dell’“uomo nero”, “lo zingaro che porta via i bambini”, ma anche gli stereotipi più comuni sui neri come delinquenti, violenti, che frugano nella spazzatura o che chiedono l’elemosina. Ovviamente, va considerato che la “paura del diverso”, dello sconosciuto sia un po’ un fatto naturale e, specialmente per i bambini, una reazione istintiva. Possiamo notare quotidianamente infatti: ci sono bambini che di fronte alla persona sconosciuta si avvicinano, altri invece che si ritirano. Ma è anche vero che, solitamente la curiosità, vince sempre sull’impulso di ritirarsi. (a meno che ovviamente non vi siano stati input terrorizzanti da parte di altri, quindi a meno che la paura non sia stata imposta e costruita socialmente!) Lo stesso vale per la paura istintiva di fronte a caratteri somatici diversi (es. pelle nera) solitamente ciò desta sorpresa e curiosità. Recenti studi di psicologia cognitiva confermano che i bambini imparano la “razza”, dal linguaggio, e non dalla percezione visiva. Quindi la percezione visiva segue, deriva dall’idea di razza, e non viceversa.  i bambini in età prescolare hanno un’idea dei membri di altre razze, possono provare nei loro confronti antipatia, paura o altro, secondo quanto viene trasmesso loro dall’ambiente circostante, senza ancora poter individuare le persone rispetto alle quali avere questi sentimenti (pensiamo ad esempio al film il bambino col pigiama a righe!) In poche parole, dunque i neri non fanno paura ai bambini perché hanno la pelle scura, bensì perché fanno parte di una categoria designata, detta razza, “i negri”, “i neri”. MA la possibilità di designare le categorie e stabilire chi vi appartiene, è un fatto di potere lo ha detto esplicitamente Goebbels (ministro della propaganda del Reich), il quale affermò “Siamo noi a decidere chi è ebreo!”. Allo stesso modo, anche all’epoca della segregazione razzialenegli Stati Uniti, gli stati federali potevano analogamente stabilire con definizioni legali chi era “negro”, “indiano”, “giallo”… Ma pensiamo anche durante l’Apartheid in Sudafrica venivano classificati come non bianchi i cinesi, ma non i giapponesi!  IL PROCESSO DI CREAZIONE DELLA DIFFERENZA È UN PROCESSO SOCIALE E POLITICO! È la relazione sociale a creare la differenza. Vengono create così alcune categorie che si presentano come “naturali”, ma non c’è niente di “naturale” in tale classificazione. Il gruppo dominante decide la classificazione e la collocazione sociale di persone e gruppi, e può decidere secondo una “biologia” di comodo. È chiaro allora come i temi dei bambini non sbaglino, ma rispecchiano e rispettano una specifica classificazione sociale, una proiezione dei rapporti di potere tra i gruppi sociali. In più attualmente, si da molta e troppa importanza ai fenotipi, come elementi differenzianti dei gruppi sociali e dati costituitivi della persona. Il colore della pelle o altri dati somatici potevano essere menzionati come strani anche in epoche passate, ma non erano i primi elementi da indicare: pensiamo a Marco Polo non insistette così tanto sugli occhi a mandorla o il colorito giallo dei cinesi! L’idea di “razza” non è un fatto né ovvio, né universale, ma è solo una particolare modalità culturale di costruzione della differenza di potere tra gruppi, connotata da rapporti storico- sociali definiti. I temi raccolti danno testimonianza di una paura indotta, della costruzione di un’immagine negativa e ossessiva dell’altro, interiorizzata dai bambini, e che si fonde con la visione di una diversità “naturale” tra le persone. La paura e la diffidenza sono impiantate nel bambino attraverso esperienze penose di negazione dell’altro, e istillate così presto, hanno tendenza a perdurare e creare rigidità e blocchi psicologici. La psicologa statunitense Marcuse, che ha tenuto decine di workshop per “disimparare il razzismo”, considera il punto di partenza dell’assorbimento di idee razziste. Per disimparare il razzismo andrebbe sciolto questo infinito groviglio di disinformazione e pregiudizi. I bambini non fanno che rispecchiare la paura ossessiva presente nell’immaginario comune. - SCHIFO, VERGOGNA, RIFIUTO Alla paura, alla compassione, spesso nei temi si mescola lo schifo. Ma la cosa peggiore è che questo schifo non può essere considerato come la manifestazione di un sentimento soggettivo e istintivo, ma è bensì un sentimento tipico di molti rapporti sociali, ed in particolare di rapporti tra gruppi caratterizzati da disuguaglianze di potere economico e politico. Il disgusto sentimento costruito culturalmente. Siamo dunque ben lontani dal piano dell’istinto il disgusto è infatti una potente forza culturale che trasforma l’attrazione in repulsione. La trasmissione sociale ha un ruolo fondamentale nella creazione del disgusto e la reazione di disgusto viene stimolata dall’osservazione del disgusto altrui. Dunque, il disgusto si diffonde per condizionamento sociale e apprendimento. + consideriamo il fatto che si tratta di processi cognitivi, dove l’apprendimento non passa soltanto per la parola (pensiamo alle occhiate, ai versi di disgusto!) Il disgusto crea distanza, gli “altri” sono definiti repellenti perché diversi da noi, perché “non propriamente umani”. Vi sono nella storia europea, chiari esempi della funzione politico-sociale dello schifo nei rapporti sociali con gruppi minoritari pensiamo al disgusto verso gli ebrei, ma anche per esempio verso gli zingari! Ma ancora, il disgusto è anche presente nei rapporti di classe, ad esempio nei riguardi delle classi popolari della Parigi del 1800, quando le classi subalterne erano considerate diverse “per natura”, Ma ancora, possiamo ritrovare lo schifo e l’idea di impurità anche nelle relazioni di dominio tra uomini e donne, dove molte volte il ciclo mestruale era considerato elemento di disgusto e contaminazione. Ma ancora, pensiamo agli omosessuali! I temi mostrano gli effetti di questa socializzazione negativa al rifiuto e al disgusto in bambini che appartengono al gruppo dominante bianco. + connessi allo schifo appaiono anche un senso di smarrimento, un’ansia fortissima e una tremenda vergogna all’idea di essere neri essi stessi o i loro genitori. In alcuni casi addirittura vi è proprio un rifiuto netto e dichiarato (dice il bambino “se fossero di un’altra razza i miei genitori, non li vorrei in casa mia…) - L’IMMAGINE DELL’AFRICA Alla domanda “se i tuoi genitori fossero neri?” vendendo le risposte dei bambini, inizialmente hanno valutato se questi sentimenti fossero anche una reazione di angoscia provocata dall’idea di un improvviso cambiamento di genitori. Ma molti elementi portano a rifiutare questa spiegazione: In primo luogo la reazione ansiosa assai meno forte quando si propone ai bambini di immaginare di avere genitori americani, anzi, qui solitamente la reazione è di entusiasmo. Probabilmente quest’ansia deriva dall’idea di una vita difficile in un paese sconosciuto. Ma va anche considerato come quando si tratta dei genitori neri, la reazione non prende un percorso casuale, ma piuttosto percorsi noti e largamente praticati, ben tracciati nell’ideologia della nostra società, in cui gli stereotipi della “razza” sono largamente diffusi. I neri nei temi dei bambini sono o nella “terra dei neri”, l’Africa, o in Italia. L’Africa appare in molti temi, anche i più benevoli e positivi, come una situazione di “natura” e non di “cultura, un ambiente non inquinato da smog, dove il bambino immagina di vivere come Tarzan o di fare l’esploratore o salvatore di indigeni. Avventure che però sono spesso accompagnate da un forte ribrezzo di fronte alla “primitività” degli abitanti. L’Africa sembra dunque un continente immerso nella preistoria, “la vita degli africani è una vita selvaggia” scrive un bambino. In Africa vivono solo raccoglitori, cacciatori, mangiatori di selvaggina, e addirittura, a volte anche cannibali. + secondo molti bambini, gli africani si - VIOLENZA Dalla denegazione si passa alla fuga. Le scelte immaginate dai bambini sono: fuggire, cacciarli di casa, nasconderli, farli diventare bianchi; e infine, si arriva all’eliminazione fisica, all’omicidio.  Queste sono le soluzioni trovate dai ragazzi di fronte all’ipotesi di avere i genitori neri, rimanendo loro stessi bianchi. Se invece viene proposta loro l’ipotesi che tutta la famiglia sia nera, loro compresi dunque, le soluzioni si riducono a due: trasformare tutti in neri o tornare in Africa. Come si nota, sono soluzioni queste dello stare fra sé. Le altre soluzioni ricalcano invece quelle già viste: ci si finge bianchi, si cerca di diventare bianchi e infine, la morte come esito per i genitori (non per il bambino: egli, magari per adozione può entrare nel mondo bianco!)  Le soluzioni sono dunque le situazioni immaginarie o immaginate in cui si articola il rifiuto. Che esso sia espresso palesemente, dichiarando in modo netto sentimenti di paura o disgusto, o narrativamente attraverso strategia di difesa come la fuga, questo rifiuto pervade larga parte dei temi. Ma allora la domanda che si pone ora è: secondo questi i bambini, gli uomini neri, sono adatti a fare i padri??? - PATERNALISMO Di fronte ai neri, molti ragazzi assumono la posizione che è stata trasmessa loro da innumerevoli immagini e discorsi quella di buoni e paternalistici civilizzatori. Insegneranno dunque ai neri il mestiere del loro padre, a fare la casalinga alla madre, a leggere e a scrivere, si occuperanno dei loro vestiti e del loro tempo libero ecc. E mentre così i ragazzi cercano e credono di mostrarsi benevoli e non razzisti, manifestando certo un atteggiamento sicuramente meno violento e più riflessivo degli altri, allo stesso tempo vengono a negare ogni dignità, autonomia ed esperienza a queste persone, che più che come tali, vengono trattati da automi. È una contraddizione intrinseca che i bambini non hanno certo gli strumenti per superare, ma che deriva dalla tradizione europea del pensiero degli altri. Nel rapporto tar nero e bianco, qualunque sia l’età, quello da aiutare è sempre il nero. E attenzione, non si tratta di un atteggiamento generico di onnipotenza del bambino perché quando al bambino si chiede di immaginare di avere genitori diversi, ma non neri, questo rovesciamento dei ruoli non avviene. (nell’ipotesi dei genitori americani si ha lo stereotipo della ricchezza e del consumismo-> quindi i bambini non immaginano di dare e insegnare, ma piuttosto di ricevere e imparare). Ma, cosa significativa frequentemente, non vengono scambiati i ruoli quando l’ipotesi è che i genitori siano neri e ricchi (e dunque, diversi dal tipico stereotipo sui neri). L’assunzione nella veste di educatore-civilizzatore è dunque una modalità più complessa, e a tratti contraddittoria, in cui si esprime il disagio e la difficoltà a considerare i neri come delle persone. Il ribaltamento dei ruoli con il passaggio del ragazzino al ruolo di “genitore” per i suoi genitori rappresenta infatti solo un’altra faccia del rapporto sociale di “razza”. In queste modalità a cui i bambini ricorrono per descrivere i rapporti con i loro ipotetici genitori, possiamo vedere rispecchiate e tradotte due posizioni che hanno una lunga storia: 1. Fondata sulla differenza biologica, sull’alterità totale. Porta alla negazione dell’altro, allo sterminio dei gruppi di razza diversa 2. Manifestata per esempio in molte opere missionarie in Africa. Ammette una “salvezza” possibile dei gruppi diversi in un universo che può essere comune. Essa conduce alla cosiddetta assimilazione e alla soppressione culturale. Sono due modi dunque di organizzare i rapporti di potere tra gruppi sociali economicamente e culturalmente diversi. - STRATEGIE ARGOMENTATIVE Ma ancora, il rifiuto affiora spesso all’interno dei testi dei bambini anche solo attraverso la loro struttura formale, cioè attraverso la scelta di una specifica strategia discorsiva e dunque, prende forma inconsapevolmente attraverso dati linguistici. Le forme narrativa e descrittiva sono le più usate all’elementari, ma sono abbastanza rare nei temi sui genitori neri. Prevale invece un’altra forma la forma argomentativa. Ovvero si adducono argomenti per persuadere, si espongono le ragioni che giustificano la propria posizione di disagio e di rifiuto. I bambini non raccontano, ma discutono. Dicono perché non sarebbe bene avere genitori neri, perché non li vogliono, richiamandosi agli stereotipi più diffusi del pregiudizio collettivo. L’ipotesi di Paola Tabet la strategia discorsiva adottata, ovvero l’argomentazione, manifesta il disagio e il rifiuto anche quando nella superficie testuale appaiono affermazioni positive. Quindi, anche in questo caso vi sono due punti di vista del testo: 1. Esplicito di contenuto 2. L’altro che si attua con la scelta della struttura formale del discorso, in cui si esprimono la negazione dell’ipotesi e la dissociazione da essa. Questa dissociazione si manifesta attraverso spie linguistiche inconsapevoli sono elementi del linguaggio che sfuggono al processo di intenzionalità e scelta. Si tratta per esempio dell’uso del pronome personale “noi” (spesso contrapposto al “loro”, dei neri).
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved