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La percezione, Rookes e Willson (appunti, sintesi, citazioni - testo completo), Appunti di Psicologia Della Percezione

La percezione, Rookes e Willson (appunti, sintesi, citazioni - testo completo)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 05/02/2020

alcyone1
alcyone1 🇮🇹

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Scarica La percezione, Rookes e Willson (appunti, sintesi, citazioni - testo completo) e più Appunti in PDF di Psicologia Della Percezione solo su Docsity! Psicologia della percezione La percezione Rookes, Wilson Differenza tra sensazione e percezione Una sensazione è la risposta dei recettori sensoriali e degli organi di senso a determinati stimoli ambientali. La percezione riguarda il modo in cui interpretiamo l’ambiente che ci circonda, è un processo che implica il riconoscimento degli stimoli che colpiscono i nostri sensi. Se la sensazione può essere considerata come qualcosa di diretto, strettamente collegata al mondo fisico (il mondo delle cose), la percezione si può considerare come qualcosa di inedito perché dipende, oltre che dalla presenza fisica di oggetti in un dato ambiente, da un insieme di elementi interni al soggetto. Nella catena psicofisica, la percezione è un processo che arriva ben oltre lo stimolo distale (questo infatti viene elaborato in unità significative dando vita al precetto) e permette di segmentare le spinte sensoriali (stimolo sensoriale) in eventi dotati di senso. In definitiva dunque è un insieme concatenato di processi di raccolta ed elaborazione delle informazioni disponibili, qualcosa di strettamente legato al mondo fenomenico, ovvero al mondo per come viene percepito (e quindi mediato) dalla mente di un determinato individuo. Il sistema visivo I nostri organi di senso sono in grado di ricevere energia fisica dall’ambiente e di convertirla in attività elettrica nel sistema nervoso. Nella visione, l’energia ambientale è costituita dalla luce e questa ci permette di accogliere il cosiddetto stimolo prossimale, ovvero l’immagine proiettata sulla retina. Movimento dell’esperienza visiva La luce proveniente dallo stimolo visivo deve essere messa a fuoco sulla parete posteriore dell’occhio. Questo processo ha inizio in corrispondenza della cornea che può essere considerata come una lente esterna. Esterno => CORNEA: la cornea ha la funzione di deflettere i raggi luminosi ed il suo lavoro è coadiuvato dalla presenza della sclera (parte bianca dell’occhio) che circoscrive il punto su cui la luce deve scontrarsi. => IRIDE: l’iride ha la funzione di calibrare la quantità di luce che entra nell’occhio. => PUPILLA: è un’apertura di forma circolare che permette il passaggio della luce e si trova al centro dell’iride. Iride e pupilla lavorano insieme in funzione di controllo degli stimoli luminosi in ingresso. I muscoli dell’iride possono contrarsi e rendendo la pupilla più piccola o più grande, questo dipende dal gradiente di esposizione. Se l’occhio verrà esposto ad una quantità di luce sostanziosa l’iride si contrarrà in modo da far contrarre la pupilla per non sforzare troppo l’occhio. In condizioni di luce scarsa l’iride permetterà alla pupilla di dilatarsi per catturare più luce possibile. Interno CRISTALLINO <= : situato dietro la pupilla, il cristallino ha la funzione di mettere a fuoco i raggi luminosi sulla parete posteriore del globo oculare (quindi la sua funzione completa quella della cornea) Cambiando forma attraverso un movimento che si chiama accomodazione, mette a fuoco i raggi luminosi provenienti da oggetti lontani così come quelli provenienti da oggetti vicini. Il cristallino è di colore giallo e diventa più scuro con l’invecchiamento del soggetto. RETINA <= : è da considerare come l’avamposto più esterno del cervello perché è composta da uno strato di recettori sensibili alla luce (fotorecettori) e di cellule nervose che forma la parete posteriore dell’occhio. Questo strato è composto da due tipi di fotorecettori: coni: deputati alla visione diurna e alla percezione dei colori; bastoncelli: ci permettono di vedere in condizione di luce scarsa ma solo in bianco e nero. I fotorecettori hanno la funzione di convertire la luce in informazione neurale: questa infatti viene trasmessa alle cellule bipolari e a quelle gangliari e fuori dall’occhio fino al cervello. FOVEA <= : è quella parte della retina nella quale la visione è più nitida in quanto vi si trova la massima densità di coni: quando si guarda un oggetto l’occhio si allinea in modo che l’immagine cada perfettamente in questo punto dell’occhio. NERVO OTTICO: è un fascio di assoni (prolungamenti delle cellule nervose) che passa attraverso la parte posteriore della retina e trasmette gli impulsi nervosi al cervello. I nervi ottici provenienti da ciascun occhio si incontrano in un punto a forma di “x” chiamato chiasma ottico. Movimento delle informazioni → le fibre nervose provenienti da ciascun occhio rappresentano separatamente la metà della retina più vicina al naso (emiretina nasale) e la metà della retina più vicina al lato della testa (emiretina temporale). → le fibre provenienti dall’emiretina nasale, attraverso il chiasma ottico, raggiungono l’emisfero cerebrale centrolaterale mentre le fibre provenienti dall’emiretina temporale proiettano all’emisfero ipsilaterale. → praticamente, ciascuna metà del campo visivo proietta al lato opposto del cervello. I nervi ottici (o tratti ottici) proseguono in ciascun lato del cervello e passano attraverso il corpo genicolato laterale per convergere infine in un’area del cervello detta CORTECCIA VISIVA PRIMARIA o STRIATA che si trova dietro la testa, all’altezza della nuca, la cui funzione è proprio quella di elaborare le informazioni e di garantire la percezione di oggetti statici o in movimento. La visione dunque ci permette di provare delle sensazioni (accogliere in modo diretto gli stimoli ambientali) ma la percezione garantisce che lo stimolo distale, ovvero la nostra esperienza percettiva degli oggetti «là fuori», resti lo stesso indipendentemente dalle variazioni dello stimolo prossimale. Vi sono tre assunti che sintetizzano in generale la prospettiva costruttivista moderna. 1 la percezione è un processo attivo e costruttivo, che va oltre l’immediata registrazione delle sensazioni 2 la percezione emerge indirettamente come prodotto finale dell’interazione tra lo stimolo, da un lato, e le ipotesi, le aspettative e le conoscenze interne dell’osservatore, dall’altro. 3 la percezione è influenzata da fattori individuali; ciò significa che a volte vi saranno errori e, i conseguenza, percezioni fallaci. La teoria di Gregory Richard Gregory non accetta la conclusione di Gibson secondo la quale la percezione è un processo diretto che non richiede l’intervento di processi cognitivi superiori. Per Gregory le informazioni sensoriali sono incomplete e non sufficientemente ricche perché la percezione abbia luogo. RICERCA DINAMICA/ CONTROLLO DELLE IPOTESI La percezione comporta dunque una ricerca dinamica della migliore interpretazione dei dati disponibili. Gli studi di Gregory si sono concentrati soprattutto sui cosiddetti errori percettivi facendo ampio uso delle illusioni visive nei suoi esperimenti. Ha saputo dimostrare che la percezione vada oltre l’informazione data e che quest’ultima venga arricchita o privata nell’ambito del più intimo mondo fenomenologico del soggetto. Percepire in altre parole vuol dire porsi delle potenziali risposte davanti ad uno stimolo, risposte valide a seconda della propria predisposizione e cognizione. Il momento in cui si sceglie la risposta più adatta passa, secondo Gregory, da un processo che chiama controllo delle ipotesi, un meccanismo istantaneo che definisce l’oggetto esperito in maniera tutta soggettiva. Il set percettivo di Allport Riprendendo il concetto di controllo delle ipotesi di Gregory, Gordon Allport sostiene che l’attenzione dell’osservatore sia influenzata da tendenze sistematiche all’opera nel sistema percettivo. Tali predisposizioni fanno sì che alcuni stimoli, sullo sfondo delle informazioni sensoriali, vengano messe in risalto in modo particolare e che, proprio grazie a tale funzione, venga orientata la scelta dell’opzione migliore. Tali costrutti formano ciò che è stato definito dallo studioso set percettivo, qualcosa che avrebbe la funzione di sfoltire il numero di percezioni (intendendo più marcatamente in senso interpretativo) possibili. Anche in questo caso si fa riferimento alla natura soggettiva (individuale) dei set percettivi, ovvero al fatto che questi siano fortemente influenzati da motivazioni, esperienze e aspettative pregresse. Teorie sintetiche: Neisser /bottom up & top down Analogie tra l’approccio bottom up e quello top down 1 La percezione visiva dipende dalla luce riflessa dagli stimoli dell’ambiente. 2 La percezione non può aver luogo se non sulla base di un sistema fisiologico 3 La percezione è un processo attivo (controllo delle ipotesi vs. lettura di mappe) 4 La percezione può essere influenzata dall’apprendimento. Differenze/ riflesso dei differenti metodi sperimentali 1 Gibson tendeva a preferire situazioni naturali (teoria ecologica) nelle quali le condizioni di osservazione fossero ottimali. In queste condizioni, l’elaborazione bottom up ha probabilmente maggiore importanza. 2 Gregory impiegava soprattutto stimoli visivi incompleti o ambigui, che lasciano poco spazio alla pura elaborazione bottom up. Sembra percò probabile che nella maggior parte delle circostanze possa essere necessaria una combinazione dei due tipi di processi. Neisser e il ciclo percettivo Ulric Neisser ha cercato di conciliare le teorie della percezione diretta con il costruttivismo e ciò a cui è arrivato con le sue ricerche si si suggella con il concetto di ciclo percettivo. Secondo Neisser alla base del processo percettivo ci sono delle aspettative di contesto che possono essere confermate o modificate attraverso un processo di modifica dei modelli percettivi precostituiti. La percezione da questo punto di vista non è un processo lineare e fisso, diciamo pure unidirezionale: infatti l’osservatore deve controllare e ricontrollare l’input rispetto alle aspettative. ANALISI TRAMITE SINTESI/ analysis-by-synthesis Questo tipo di elaborazione è nota come teoria dell’analisi tramite sintesi : - l’analisi consiste nell’elaborazione dei dati sensoriali per estrarre informazioni sull’ambiente, informazioni che procedono nel sistema in senso bottom up. - la sintesi consiste nella generazione di un modello percettivo che, sulla base di esperienze passate opera in senso top down contribuendo al prodursi della percezione. Nel dettaglio si possono annotare tre fasi: 1 la selezione preliminare/bottom up: caratterizzata da meccanismi preattentivi e inconsci che producono una rappresentazione preliminare dei dati sensoriali; 2 direzione/top down: una volta captato lo stimolo significativo, l’attenzione viene diretta verso di esso ed è proprio in questo momento che l’osservatore intraprende la costruzione del modello percettivo attingendo da schemi precostituiti. L’osservatore qui confronta il modello con la rappresentazione preliminare generata nel primo stadio ottenendo così una rappresentazione intermedia => risultato dell’interazione tra l’elaborazione top down e quella bottom up 3 modificazione: infine, se dalla comparazione tra dati sensoriali e modello percettivo risultano delle corrispondenze, quest’ultimo viene confermato come risultato finale della percezione. Se però la comparazione non registra alcuna corrispondenza, il modello dovrà essere riveduto finché non sia trovata una corrispondenza perfetta. Teorie computazionali: Marr /bottom up>>>top down L’approccio computazionale è un’applicazione dell’intelligenza artificiale che mira a progettare sistemi in grado di svolgere compiti cognitivi. Un punto di vista interessante è fornito da una teoria in particolare che ha cercato di specificare un modello delle regole e delle procedure alla base della visione. Da questo punto di vista la percezione visiva è un problema e l’obiettivo è trovare una soluzione ad esso. A questo scopo viene anzitutto compiuta un’analisi teorica della soluzione e, di questa, ne vengono descritti gli algoritmi (le procedure di problem solving) che calcolano la situazione. Di solito poi viene sviluppato un programma di elaborazione corrispondente a questi algoritmi. Il modello di Marr Il modello di Marr riprende l’idea costruttivista che esista nell’atto della percezione un processo di costruzione dell’immagine graduale. L’approccio di Marr è fondamentalmente bottom up, benché negli stadi più avanzati dell’elaborazione percettiva vi sia un cero spazio per l’elaborazione top down. RUOLO DELLA CONOSCENZA La teoria computazionale riconosce il ruolo della conoscenza all’interno del sistema della percezione ma si tratta di conoscenze “generali” (regole della geometria e della fisica), non di quelle “specifiche” (relative ai particolari contesti) che l’approccio costruttivista reputa necessarie. VARIAZIONI DI INTENSITÀ DELL’IMMAGINE & VINCOLI NATURALI DEL MONDO Secondo Marr il sistema visivo compie una serie di computazioni sulle variazioni di intensità dell’immagine ma, allo stesso tempo, tiene conto dei vincoli naturali del mondo (proprietà fondamentali dell’ambiente, del contesto) RICONOSCIMENTO DEGLI OGGETTI Marr sostiene che il riconoscimento degli oggetti sia l’aspetto centrale della visione. La percezione avrebbe inizio nell’immagine retinica e proseguirebbe attraverso una serie di stadi che trasformano l’immagine in una rappresentazione dell’input più o meno complessa. Marr descrive ciascuno stadio nei termini degli elementi fondamentali (i primitivi) che lo caratterizzano. Gli stadi principali sono quattro: 1 descrizione dei livelli di grigio: misurazione luce. la legge della somiglianza: attesta che gli elementi simili tendono ad essere raggruppati insieme; la legge della chiusura: attesta che quando una figura presenta una lacuna, tendiamo comunque a percepirla come una figura completa, chiusa; la legge della buona direzione: attesta che quando gli elementi appaiono ordinati secondo una retta o una linea curva continua, tendono ad essere visti come unità. Percezione Veridica: la percezione che corrisponde allo stimolo fisico reale→ costanze, indizi di profondità Costanze percettive: grandezza, forma, bianchezza, cromatica, di posizione La costanza è la tendenza delle proprietà degli oggetti a restare immutate al variare delle condizioni dell’osservazione. Si tratta di un carattere importante della percezione visiva. Costanza di grandezza (distanza) Fenomeno per cui, quando ci avviciniamo ad un oggetto o ce ne allontaniamo, esso continua ad apparirci pressappoco della medesima grandezza. La grandezza prossimale può diminuire o aumentare ma la grandezza distale sembra essere all’incirca la stessa (es. differenza tra sensore fotografico ed occhio umano). In altri termini, il nostro sistema percettivo compensa le variazioni dipendenti dalla distanza nella costanza di grandezza. Si parla di meccanismo responsabile della costanza di grandezza ma gli psicologi sono in disaccordo su quali siano realmente i fattori in gioco. Alcuni fattori in gioco possono essere: ...considerando meccanismi marcatamente top down la familiarità (conoscendo le dimensioni di un oggetto possiamo stimarne la grandezza senza vederlo); l’invarianza distanza-grandezza (si stima la distanza confrontando lo stimolo prossimale con quello distale. Si tratta di un processo inconscio); la grandezza relativa (presupponendo una situazione di visione di un gruppo di oggetti, la percezione della grandezza di uno di questi può rimanere costante se si confronta con quelle degli altri oggetti); ...e tenendo conto della prospettiva bottom up la percezione diretta (è possibile giudicare la grandezza di un oggetto confrontandolo con invarianti ambientali-proprietà percettive che persistono nello spazio/tempo). Costanza di forma (inclinazione/angolazione) La forma di un oggetto può rimanere costante a dispetto delle variazioni della sua orientazione. La memoria può svolgere un ruolo nella costanza di forma proprio come probabilmente accade nella costanza di grandezza. Secondo l’ipotesi dell’invarianza forma/inclinazione, l’osservatore giudica il grado di inclinazione di un oggetto alla luce di indizi di profondità e poi combina questa informazione con l’informazione sulla forma prossimale dell’oggetto. Costanza di bianchezza È il fenomeno per cui un oggetto ci appare della stessa bianchezza indipendentemente dalla quantità di luce che lo colpisce. La nostra percezione di chiarezza non dipende dalla quantità di luce riflessa dall’oggetto, ma dalla percentuale di luce riflessa. Mentre la quantità di luce riflessa può cambiare ampiamente a seconda dell’illuminazione, la percentuale resta la stessa. È questa la cosiddetta albedo dell’oggetto. Gli oggetti con albedo elevate sono percepiti come bianchi. Alla costanza di bianchezza contribuiscono parecchi fattori. La spiegazione più comunemente accettata è basata sul principio di rapporto di Wallach: quel che conta è la bianchezza relativa di un oggetto piuttosto che la sua bianchezza assoluta (esempio cane nero sotto il sole=risulta più nero; macchina bianca sotto i raggi della luna= risulta più bianca). Costanza cromatica È il fenomeno per cui il colore di un oggetto rimane lo stesso al variare della lunghezza d’onda che lo colpisce. La percezione del colore è una questione complessa, e i modi in cui manteniamo la costanza di colore non sono ancora del tutto chiari. Costanza di posizione Il fenomeno della costanza di posizione ci permette di vedere gli oggetti stazionari nella stessa posizione nonostante i movimenti (nonostante l’immagine retinica si muova, non ci sembra che il mondo si muova). Il fenomeno sembra dipendere in parte dal feedback fornito dai muscoli e dagli organi di equilibrio nell’orecchio medio. Indizi di profondità: disparità retinica, convergenza, indizi monoculari L’immagine che si forma sulla nostra retina è bidimensionale eppure riusciamo a percepire il mondo come tridimensionale. Ciò accade grazie all’uso che facciamo di alcuni indizi che ci forniscono informazioni sulla distanza e sulla profondità. Esistono due tipi di indizi: 1 indizi binoculari: che dipendono dall’interazione dei due occhi. Disparità retinica Ciascun occhio riceve un’immagine leggermente differente dall’altro. La percezione binoculare è dominata dall’immagine proveniente da un occhio (nei destrimani, l’occhio dominante di solito è il destro). Anche se attraverso i due occhi riceviamo due immagini differenti, normalmente non vediamo immagini doppie. Il cervello sembra in grado di fondere le due immagini, capacità questa che ha il nome di stereopsi. La differenza di posizione di un oggetto nelle due immagini è un importante informazione usata dal cervello per calcolare la profondità. Maggiore è la differenza di posizione di un oggetto, più esso è vicino. Convergenza Dalla visione binoculare deriva un altro indizio di profondità, la convergenza. Più l’oggetto è vicino, più gli occhi devono convergere per metterlo a fuoco. L’informazione proveniente dai muscoli oculomotori è perciò un ulteriore indizio di profondità. Tali indizi sembrano non dipendere dall’apprendimento o dall’esperienza e per questo sono detti indizi primari. 2 indizi monoculari: che sono a disposizione di ciascun occhio indipendentemente dall’altro. Indizi monoculari Vi sono diversi indizi monoculari, ma soltanto uno è un indizio primario (indipendente dall’apprendimento), l’accomodazione: per mettere a fuoco degli oggetti situati a differente distanza dall’occhio, il cristallino deve cambiare forma. Il grado di accomodazione del cristallino fornisce al cervello un feedback sulla distanza dell’oggetto fissato. Secondo Hochberg l’accomodazione è un indizio di distanza piuttosto debole perché funziona solo per distanze relativamente limitate. Per questa ragione devono essere disponibili altri indizi, sono i cosiddetti indizi pittorici monoculari o secondari, che sembrano dipendere dalle proprietà dell’immagine piuttosto che dalla fisiologia del sistema visivo. Essi sono i seguenti: sovrapposizione (quando un oggetto si sovrappone ad un altro, il primo viene percepito come più vicino del secondo); grandezza relativa (in una successione di oggetti simili, i più piccoli vengono percepiti come più lontani); altezza sul piano dell’orizzonte (gli oggetti che si trovano più in alto rispetto al campo visivo appaiono più lontani); gradiente di tessitura (la “grana” diventa più densa o più fine all’aumentare della distanza); prospettiva lineare (le linee parallele appaiono convergere mano a mano che si fanno più lontane); prospettiva aerea (gli oggetti che appaiono chiari e distinti sono percepiti come più vicini); ombreggiatura; parallasse di movimento (quando ci muoviamo gli oggetti vicini ci appaiono muoversi più velocemente di quelli lontani-una forma particolare di parallasse di movimento si ha quando un oggetto si muove o ruota; il movimento delle parti dell’oggetto può darci informazioni sulla sua forma tridimensionale→ è questo l’effetto cinetico di profondità). Errori percettivi: percezione che non corrisponde allo stimolo fisico reale→ illusioni visive Illusioni visive Sono state utili per analizzare lo scarto che c’è tra ciò che esiste nel mondo fisico e ciò che percepiamo. Richard Gregory si è particolarmente interessato alle illusioni visive e ne ha descritti quattro tipi differenti. Secondo lo studioso i nostri giudizi percettivi sono fondati su informazioni relative alla grandezza e alla distanza ma, in mancanza di tali elementi, possiamo solo costruire la miglior congettura su ciò che abbiamo di fronte (ricerca dinamica/controllo delle ipotesi). 1 figure ambigue: cubo di Necker→ oscilliamo tra due interpretazioni ugualmente plausibili perché manca un contesto che possa rendere un’ipotesi più convincente dell’altra 2 figure paradossali: elefante impossibile→ figura che non può esistere come oggetto tridimensionale Sviluppo percettivo Natura e cultura nello sviluppo percettivo Il dibattito filosofico su come e quando si sviluppino le nostre capacità percettive ha una lunga storia. Innatismo vs. Empirismo Gli innatisti assumono che lo sviluppo delle capacità percettive progredisca nel corso della regolare crescita del soggetto ma che, tale sviluppo, avvenga grazie una predisposizione genetica innata. Le capacità percettive di un uomo adulto dunque sarebbero il risultato di un lungo processo di sviluppo fisico/psichico indipendente dall’esperienza. Gli empiristi, contrariamente al primo schieramento di studiosi, affermano che l’evoluzione del sistema percettivo in un essere umano sia legato a degli effetti di contesto, all’interazione con individuo/ambiente. Queste due posizioni rappresentano due punti di vista estremi, limitati dalla loro sistematicità semplicistica. Gli psicologi contemporanei tendono invece a tenere in considerazioni fattori ambientali e fattori innati. Risultati della ricerca sui neonati: riconoscimento di configurazioni, percezione della profondità, costanze L’appartato visivo del neonato non è maturo: molte delle caratteristiche di quello adulto sono già presenti ma ovviamente c’è ancora una mancanza importante negli schemi di risposta. Nella maggior parte dei casi considerati, le capacità percettive progrediscono con la maturazione dei meccanismi fisiologici sottostanti. Riconoscimento di configurazioni FANTZ: TECNICA DELLA FISSAZIONE PREFERENZIALE DELLO SGUARDO Per studiare il riconoscimento delle configurazioni nei neonati è stata largamente usata la tecnica della fissazione preferenziale dello sguardo. Un pioniere di questa tecnica è stato Robert L. Fantz il quale scoprì che già a 2 giorni di vita il bambino è in grado di distinguere tra figure strutturate e non strutturate, che i bambini dai 2 ai 4 mesi di età preferiscono configurazioni semplici con elementi fortemente contrastanti, ma poi, verso i 5 anni di età, preferiscono guardare oggetti nei quali il contrasto è fortemente accentuato. INNATISMO NEL RICONOSCIMENTO DEI VOLTI Fantz eseguì un esperimento su bambini di età compresa tra i 4 giorni e i 6 mesi che consisteva nel mostrare loro tre diverse figure che rappresentavano la configurazione tipica di un volto umano (forma ovale, presenza di macchie disposte in modo tale da rappresentare una volto) ed i tratti di un volto. La prima figura rappresentava in maniera chiara un volto, osservandola si possono distinguere bene i capelli, due occhi, un naso e una bocca; la seconda figura presentava le stesse macchie della precedente ma disposte alla rinfusa, negando all’osservatore la possibilità di riconoscervi un volto umano; la terza figura presenta solo una macchia geometrica posta sull’estremità più larga dell’ovale (dove nella prima figura si potevano distinguere i capelli del volto). Tutti i bambini mostravano di preferire ,sia pur leggermente, lo stimolo fornito dalla prima figura a quello fornito dalla seconda. Ovviamente la terza figura veniva totalmente ignorata. La conclusione dello psicologo è che la percezione dei volti non ha bisogno di essere appresa e che i bambini hanno una preferenza per ciò che è o somiglia ad un volto. IMPORTANZA DELL’ESPOSIZIONE ALLO STIMOLO John H. Flavell ha controbattuto a questa teoria riprendendo la complessa ricerca condotta sul riconoscimento dei contorni sui bambini. Riprendendo le preferenze che i bambini hanno espresso nell’esperimento di Fantz, Flavell spiega che di fronte ad oggetti equivalenti per contorno e per movimento, l’attenzione dei soggetti rimane fissa per quantità di tempo simili. Ciò significa che non viene estrinsecata una vera e propria preferenza per i volti. Goren e colleghi invece si allineano con quanto ha detto Fantz sottolineando l’importanza che i neonati ed i bambini danno ai volti ma considerando anche l’importanza del rafforzo dello stimolo da parte di agenti ambientali. Sicuramente il neonato è continuamente esposto allo stimolo- configurazione facciale, e che quindi sviluppi un certo tipo di elementare preferenza. CAPACITÀ DI RICONOSCERE I VOLTI DEI GENITORI Ian W. R. Bushnell ha sfatato la convinzione che il bambino potesse riconoscere il volto della madre dopo qualche mese dalla nascita dimostrando, con un la tecnica della fissazione preferenziale dello sguardo, che già 2 giorni dopo la nascita riesce a selezionare il volto della madre. I margini di errore di questo esperimento sono stati analizzati da Walton ma i suoi esperimenti hanno confermato le conclusioni di Bushnell. → Ciò sembra mostrare che i bambini apprendano molto rapidamente a riconoscere il volto della madre – ma questa conclusione si fonda sull’assunto che tempi di fissazione più lunghi stiano a significare preferenza (piuttosto che, per esempio, curiosità). Percezione della profondità PRECIPIZIO VISIVO/ visual cliff Eleonor J. Gibson e Richard Walk hanno ideato e condotto il famoso esperimento con il precipizio visivo (visual cliff), di fatto, un gradino di circa un metro coperto con una robusta lastra di vetro trasparente. I due esaminarono un campione di 36 bambini di età compresa tra i 6 e i 14 mesi e scoprirono che molti di loro erano disposti ad attraversare a carponi la parte non profonda ma che poi si fermavano sul ciglio del presunto precipizio. Gibson e Walk passarono ad appoggiare l’idea che la percezione della profondità sia innata. I due studiosi non si fermarono a questo e provarono a testare il visual cliff con animali precoci (pulcini, agnelli, capretti). La maggior parte degli esemplari si fermò sul ciglio ma i ratti passarono oltre. Ciò accadde perché i ratti danno molta più importanza alla percezione tattile, quindi ciò che conta non è lo stimolo visivo fornito dal “vuoto” ma dallo stimolo tattile fornito dalla lastra di vetro sovrastante. Joseph J. Compos e colleghi hanno riprovato l’esperimento esaminando le reazioni di bambini più piccoli (2 mesi). Gli analisti hanno cambiato un po’ la prassi ponendo i bambini prima sulla parte non profonda e poi sull’altra, registrandone la frequenza cardiaca. Quest’ultima è risultata leggermente inferiore sul lato profondo, il che indica il fatto che i bambini fossero in grado di distinguere le due parti. Riprovando l’esperimento con dei bambini di 9 mesi ne è venuto fuori che il cuore battesse con una frequenza superiore. Un’interpretazione di questi risultati è che la percezione della profondità sia una capacità che emerge molto presto nella vita ma che il comportamento dell’evitamento sia appreso solo per esperienza. Costanze COSTANZA DI GRANDEZZA: BOWER E L’ESPERIMENTO DEL CUBO T.G.R. Bower ha mostrato un cubo di 30 cm di lato posto a un metro di distanza a dei bambini tra le 6 e le 12 settimane. Questi apprendevano per condizionamento a girare la testa ogni volta che vedevano il cubo, la ricompensa era il gioco del cucù. Una volta appresa questa risposta l’analista è passato a tre differenti presentazioni del cubo: 1 un cubo di 30 cm posto ad 1 m di distanza; 2 un cubo di 90 cm posto a 3 m di distanza; 3 un cubo di 90 cm posto a 1 m di distanza. Bower trovò che i bambini girarono la testa 58 volte di fronte al primo stimolo, 54 di fronte allo stimolo 3 e solo 22 volte di fronte allo stimolo 2, nel quale sia la grandezza dell’oggetto sia la distanza erano differenti dall’originale. Egli ne concluse che la costanza di grandezza è innata nei bambini. COSTANZA DI FORMA Lo stesso Bower si occupò di analizzare la qualità della costanza di forma dei bambini. Utilizzando sempre la tecnica del condizionamento trovò che nei bambini di 2 mesi rispondevano a un rettangolo inclinato come se fosse il rettangolo originale. Studi successivi hanno mostrato che la costanza di forma emerge leggermente più tardi, all’età di 3-4 mesi. Per concludere: il bambino sembra dotato già dalla nascita di un ampio repertorio di capacità percettive. Alcune di esse si sviluppano con la maturazione del sistema visivo (costanze) ed altre probabilmente non progrediscono se non attraverso l’apprendimento e l’interazione con l’ambiente visivo (riconoscimento di configurazioni, percezione della profondità). Risultato della ricerca sugli animali La tesi di fondo secondo cui la deprivazione non dovrebbe avere alcun effetto sulle capacità innate è troppo semplicistica; infatti le capacità percettive possono essere presenti alla nascita ma deteriorarsi a causa della mancanza di stimolazione ambientale in un periodo critico dello svoluppo. La coordinazione visuo-motoria può andare incontro a deficit temporanei che possono essere sanati se l’animale è restituito ad un ambiente normale, ma alcuni deficit percettivi sono permanenti e irrimediabili. Quello che è chiaro è che lo sviluppo normale del sistema visivo dipende dalla stimolazione luminosa. Differenze individuali, sociali e culturali nell’organizzazione percettiva Vi sono probabilmente diversi fattori che danno origine a esperienze percettive differenti: 1 fattori individuali e psicologici: - età : due tipi di cambiamenti: l’evoluzione del sistema visivo e percettivo e il suo conseguente decadimento – ispessimento del cristallino, riduzione della dimensione della pupilla, perdita dei neuroni nella corteccia visiva; - genere sessuale: i maschi sembrano avere una maggiore acuità visiva in condizioni di luce diurna e le femmine sembrano adattarsi al buio più rapidamente; - personalità: campo dipendenza e campo indipendenza corrispondono rispettivamente alla dimensione introversione-estroversione: i campo dipendenti sono associabili alle personalità estroverse e sensibili all’ambiente sociale ed i campo indipendenti sono associabili alle personalità introverse ma più autonome e individualiste; - stato fisiologico: agnosia: disturbo percettivo che non permette al soggetto di dare un significato allo stimolo visivo; prosopoagnosia: i soggetti sono incapaci di riconoscere i volti e possono non riuscire neppure a riconoscere il proprio volto allo specchio; droghe; alcool; fumo; - umore, esperienze di vita : definizione “set percettivo” : predisposizione per una particolare situazione stimolo, è il prodotto della nostra esperienza e della nostra storia naturale→ motivazione, aspettative, contesto, emozioni ed esperienza passata contribuiscono a creare un set ma anche ad influenzarlo nell’esercizio della sua funzione; difesa percettiva: termine coiato da McGinnies per definire la reazione in ambito di percezione di fronte a stimoli che suscitano emozioni sgradevoli, una reazione che consiste nell’allungamento dei tempi di elaborazione; 2 fattori sociali e culturali: condizioni ambientali (clima, geografia, ...), le persone che frequentiamo, la storia e la tradizione culturale. IPOTESI DEL MONDO SQUADRATO - In generale si può dire che alcuni studi classici (Segalli e colleghi – esposizione di differenti gruppi culturali all’illusione di Müller-Lyer) sostennero l’idea che in Occidente la percezione si plasmi più su principi geometrici standardizzati. L’ipotesi degli autori era che le persone vissute nell’Occidente urbanizzato, dove di solito le stanze e gli edifici sono rettangolari, fossero più suscettibili a queste illusioni rispetto a persone cresciute in ambienti più aperti e meno squadrati. Malgrado alcune variazioni all’interno dei gruppi “non squadrati”, l’illusione di M-L, in media, era maggiore tra gli occidentali. Nel caso dell’illusione verticale-orizzontale i risultati erano meno netti. Due tribù africane studiate erano abituate a grandi spazi aperti, con vedute ampie e ininterrotte. Per loro gli elementi verticali del paesaggio (es. alberi) erano importanti per stimare le distanze. Queste due tribù erano molto suscettibili all’illusione verticale-orizzontale – in effetti ne davano misura maggiore rispetto agli occidentali. I membri di un’altra tribù africana, invece, abituati a fitte foreste dove gli spazi aperti non oltrepassavano i 30 m, avevano più probabilità di tutti i gruppi studiati di vedere l’illusione. → In altre parole gli individui apprendono a vedere le cose. Gli autori osservano che in Europa vi è una prevalenza di oggetti rettangolari e squadrati, e sostengono che le persone interpretino le illusioni come se corrispondessero a reali immagini tridimensionali relative a tali ambienti. Le reali immagini tridimensionali hanno profondità, profondità che nelle immagini bidimensionali viene inferita, con il risultato che le linee più vicine appaiono più corte.
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