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La persona con sindrome down, Sintesi del corso di Didattica generale e speciale

Riassunto del libro trattato a lezione e utilizzato come testo di studio per frequentanti e non frequentanti

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 13/03/2019

annalisa-gismondi
annalisa-gismondi 🇮🇹

4.3

(6)

5 documenti

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Scarica La persona con sindrome down e più Sintesi del corso in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! Didattica speciale Libro: la persona con sindrome down Capitolo 1 1. 1 L’inclusione tra figura e sfondo: prospettive esistenziali e disabilità cognitiva La pedagogia si pone come obbiettivo quello di rappresentare la specificità esistenziale della persona disabile, il suo compito è quello di riflettere, progettare ed attivare tutte quelle possibilità educative e abilitative che mirano a costruire la propria identità sulla diversità in campo cognitivo e adattivo. Il protagonista di questo è il disabile che è di fatto una maschera attribuita dallo spazio culturale e sociale, si prefigura come sfondo che si focalizza sul deficit e fa risaltare in primo piano la figura, ovvero la persona disabile. Questa figura viene identificata per quel che non ha piuttosto che per le sue caratteristiche intrinseche. La disabilità genera esclusione e costringe la persona ad esprimersi come identità disabile. La Gestalt e la fenomenologia hanno evidenziato come le connessioni tra sfondi siano determinanti per la nostra percezione. I confini di contrasto permetto la costruzione della nostra individualità, originale e unica, attraverso un processo complesso e non pre-determinato ricco di incognite e opportunità dai quali si scaturiscono anche conflitti, talvolta difficili da gestire. Il contesto e la persona con disabilità costituiscono un dualismo orientato alla reciprocità di stimoli, influenze e negoziazioni. L’apprendimento diviene l’esito di una complessa esperienza contestuale ed ecologica e il risultato di una interazione diacronica e sincronica tra la persona, gli oggetti, i materiali, i significati sociali impliciti, le azioni di altri e le emozioni. La pedagogia speciale e la didattica speciale contribuiscono a fornire strumenti che permettono la piena realizzazione dello sviluppo umano di tutti. Le attività di apprendimento vanno progettate nell’ottica della promozione delle capacità personali e relazionali, alla base dei processi inclusivi. L.S. Vygotskij considera il deficit come motore di sviluppo originale, come una spinta in avanti che avviene mediante percorsi indiretti, contorti e irregolari. Diventa perciò fondamentale acquisire consapevolezza da parte degli operatori del processo educativo. Sono infatti necessarie alcune condizioni di ordine pedagogico-educativo, sociale e culturale perché l’adattamento creativo caratterizzi i processi d’apprendimento/insegnamento nella costante tensione alla strutturazione e ristrutturazione della persona, mediante la considerazione di sé intero, anche se funzionale attraverso modalità speciali. Il primo passo è quello di considerare la persona con disabilità cognitiva come un intero e non con il riferimento alle sue parti disfunzionali è già un primo approccio educativo nell’ottica dell’inclusione. L.S Vygotskij analizza questo sistema di interrelazioni, indaga sulla condizione fenomenologica dell’esistenza riguardo alla persona e intuisce, per senza l’ausilio delle attuali tecniche di neuro indagine come anche le funzioni psichiche superiori siano fortemente collegate a quelle inferiori ed elementari. “Per questa ragione un lavoro educativo che parte dagli aspetti motori e sensoriali, nonché percettivi, può favorire lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori.” Tali considerazioni hanno un grande valore pedagogico e orientano i percorsi educativi in senso fenomenologico e olografico. In chiave olografica, l’intero viene rappresentato in ognuna delle sue parti. Non è il deficit o il BES che problema in sé ma il mancato riconoscimento degli aspetti differenti che vengono spesso interpretati come dis-adattamento e disturbo. A. Contardi dice che l’autonomia non significa solo acquisire abilità e competenze ma esercitare un ruolo effettivo adulto che non comporta l’agire individuale scisso dall’aiuto dell’altro, ma richiede proprio aiuto e imparare a gestirlo. Il progetto educativo verso l’autonomia, il percorso di ristrutturazione dell’esistenza del disabile verso tale traguardo, deve essere sostenuto da una funzionale pianificazione di natura educativo-didattica. Non di rado deve affrontare ostacoli, dicotomie, pregiudizi, paure spesso espressi nel linguaggio e tali da costruire barriere invisibili. Il costrutto di inclusione elimina in confini già esistenti induce dei nuovi modi di essere e di vedere la realtà, nella consapevolezza che l’inclusione avrebbe senso sole le nostre possibilità di esserci sono stabili, concrete, reali, vive e svincolate da etichette linguistiche e rappresentazioni sociali. La formazione della persona disabile non può prescindere da una rete di alleanze e di mediazioni tra pluralità di agenzie, in una visione sistemica, co-partecipano alla presa in carico come investimento valoriale. Si tratta di avviare processi corresponsabilità poiché esiste una co- educazione condivisa tra persone e gli spazi. Una co-educazione che mira a costruire “un progetto di vita condiviso”, nel quale la scuola contribuisca al miglioramento delle qualità di vita del potenziamento delle risorse individuali. La pedagogia speciale ci mostra come logiche riparatorie e di normalizzazione non siano la strada per riconoscere la nostra umanità e valorizzarla. L’inclusione è accoglienza piena e senza barriere nei confronti dell’altro, di ascolto ed empatia, di processi che non prevedano prodotti pre- determinanti ma lasciano spazio alla relazione del possibile. 1.2 il valore speciale della diversità Nella nostra società post-moderna e iper-tecnologica è sempre stato presente il concetto di marginalità ed esclusione e per la pedagogia speciale, scienza aperta al nuovo e all’ignoto è necessario ri-definire dei suoi compiti e dello statuto epistemologico. L’educazione inclusiva non vuole essere diretta a una minoranza ma mira a creare contesti inclusivi in ogni contesto. Effettuare questo riconversione sociale comporta una forte trasformazione culturale che rivaluti i concetti di diversità e differenza, in modo da privilegiare l’orientamento del sostegno diffuso raggiungibile solo una ridefinizione dei ruoli della relazione di aiuto una rimodulazione dei processi formativi. Il problema della diversità nasce da una cornice politica di tipo democratico-liberale. Il problema perciò è legato da una parte dall’espressione di differenze che si manifestano nello spazio pubblico e alla conseguente rivendicazione di diritti, dall’altra parte l’esistenza di discriminazioni che originano incomprensioni o rifiuto. La diversità merita di avere un aggettivo qualificativo che circoscriva il campo dell’azione e cioè gli oggetti, le persone, le cose, le situazioni in cui quella specifica diversità si riferisce. La pedagogia speciale, scienza della complessità e della diversità, che pone come cifra del suo statuto l’accettazione del deficit e la riduzione delle barriere escludenti ha progressivamente allargato i propri confini de arricchito la sua identità. Tale apertura non pone un limite, rappresenta una caratteristica peculiare che permette la scoperta di nuove prospettive, l’esplorazione di nuovi stimolanti territori, una lettura plurale della realtà e della categoria della diversità. La disciplina è una disciplina di frontiera di natura interdisciplinare. La riflessione pedagogica e l’azione della didattica speciale, lungo l’arco della vita, contribuiscono a immaginare nuovi scenari trasformazione perché sia realmente permesso a ciascuno, nella sua unicità, di diventare ciò che può e non che gli altri hanno deciso al suo posto. La realtà si presenta con forme che sono complesse e plurali, dunque è fondamentale sottolineare che non esiste una definizione valida e univoca in grado di rappresentare la realtà. L’approccio narrativo è una modalità che permette alla persona di non confondersi con il proprio deficit di non trasformarsi con una categoria. Ogni persona ha una storia da raccontare, propri desideri da coltivare, un proprio futuro da sognare. Per realizzare questo è necessario che essa si trovi le condizioni giuste per potersi raccontare e per essere ascoltata da qualcuno. La pedagogia speciale è il territorio dell’avere cura e la relazione di aiuto è un luogo ermeneutico in cui l’altro è percepito come una continua scoperta all’interno del reciproco scambio, autentico e mai invasivo. L’inclusione è un processo di divenire che restituisce la libertà delle democratiche e partecipative a quelle fasce sociali spesso al margine, prive di opportunità. 1.3 Pedagogia speciale e inclusione I processi d’inclusione promuovono una cultura attenta ai bisogni educativi diversificati di ciascuno, in contesti rispettosi alle pari opportunità e attenti al riconoscimento delle diversità e delle potenzialità individuali. Progettare e promuovere una società inclusiva può offrire opportunità a tutti i cittadini e ridurre al minimo il rischio dell’esclusione. L’inclusione genera consapevolezza, sviluppo e consolidamento di abilità di autonomia. L’esperienza inclusiva introduce il concetto empowerment inteso come concetto di aiuto che consente di assumere la consapevolezza del proprio valore, nella direzione di una scoperta della propria identità e la consapevolezza delle proprie potenzialità. La cultura inclusiva si lega il concetto di empowerment come rafforzamento di capacità individuali a sostegno dello sviluppo determinato che sottintende a sua volta altri principi, quali autonomia, autodeterminazione, indipendenza e interdipendenza. La parola empowerment significa fare spazio alla persona, aiutarla a diventare protagonista del proprio processo di apprendimento, di socializzazione e di formazione. L’educazione e la formazione per chi presenta “i bisogni educativi speciali” non è il raggiungimento di una competenza procedurale e meccanica ma bensì di un utilizzo di conoscenze per fini condivisi, un’istruzione egualitaria, un accesso alle informazioni e alla conoscenza per tutti senza nessuna esclusione. Il caregiver, esperto dei processi inclusivi, assume la connotazione di animatore dei processi di apprendimento e facilitatore della transizione tra spazi relazionali differenti. Gli spazi di comunicazione diventano spazi di apprendimento e mutano di aspetto assumendo nuove connotazioni e nuove identità sociali. In questo universo le learning activities sono le attività che consentono di attuare un apprendimento in azione, autentico e vitale, basato sui processi 3. E anche la quarta fase: prevedono che le informazione sia rappresentata n un formato che renda autonomamente accessibile ad operazioni cognitive, incluso l’accesso consapevole e in un secondo momento la verbalizzazione in equilibrio tra rappresentazione interna e imput esterno. Il processo descrittivo spiega i meccanismi con il sistema cognitivo si appropria di stati che hanno raggiunto la stabilità al fine di codificare le informazioni in modo tale che possano essere riutilizzate in maniera flessibile per altri scopi, diversi da quelli dello stato iniziale. L’apprendimento è una modificazione emotiva, cognitiva e operazionale che scaturisce l’esperienza e dell’intersezione attiva con i contesti e investe tutto il ciclo esistenziale. Per il bambino con il deficit cognitivo significa essere guidato e accogliere ed interpretare la realtà nel rispetto della sua esperienza, delle sue potenzialità e soprattutto nel rispetto dei suoi livelli di conoscenza che potrà raggiungere, originali e unici. E’ compito pedagogico saper tradurre i linguaggi specialistici perché diventino relazioni di significato orientate a saper osservare, individuare, interpretare, progettare, coordinare, monitorare, organizzare in ottica costruttiva, con la persona disabile e non per essa. Il linguaggio neuroscientifico viene accolto come un prezioso riferimento e i processi inclusivi sono garanzia di accessibilità e partecipazione. 2.2: Ritardo mentale, cognitivo, o disabilità intellettive? Elementi del ritardo in corso, delle neuroscienze della pedagogia speciale In passato il termine “ritardo mentale” significava oligofrenia, deficienza mentale, frenastenia, idiozia/ imbecillità/debilità questo succedeva fino al 1970 e oltre. La definizione del termine entra nella nostra nosografia ufficiale del 1988, data in cui viene sia nell’International Classification of disoders, sia nel Manuale Diagnostico e Statistico utilizzato negli Stati Uniti. Ritardo mentale fa riferimento a un preciso presupposto teorico: richiama all’idea di una condizione semplice sfasamento temporale in un’ottica evolutiva, un costrutto accattivante e illusorio poco esatto; l’aggettivo “mentale” connota inoltre un’ampiezza del disturbo differente dal termine intellettivo. Sembra opportuno rilevare che le classificazioni nosografiche quali Il DSM-IV e L’ICD-10, concordavano nel definire il ritardo mentale secondo tre criteri: 1. La presenza di un quoziente intellettivo (QI) al di sotto di un certo limite (fissato a 70) 2. La presenza, contemporaneamente, di un deficit nel cosiddetto “funzionamento adattivo” 3. L’esordio doveva avvenire prima dei 18 anni Questa definizione tri-fattoriale evidenzia molti limiti in particolare: • Non esiste necessariamente una identità tra QI ed intelligenza. Il QI non rappresenta una misura affidabile dell’intelligenza. • Le intelligenze sono multiple e perciò Il QI non può essere assunto quale unità di misura. Attualmente la definizione di ritardo mentale prende la locuzione “disabilità intellettiva-evolutiva”. Nel DSM-5 la definizione di ritardo mentale è stata ufficialmente da disabilità intellettiva o disturbo dello sviluppo intellettivo evolutivo. Stessa definizione adottata nella prima bozza dell’ICD-11, elemento che sottolinea la convergenza fra i due sistemi classificatori. La modificazione terminologica è oggetto anche da indicazioni dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2002) che sconsigliato l’uso del termine handicap per privilegiare il termine disabilità. La definizione di “Disabilità intellettive “sembra più corretta nell’evidenziare la complessità ed eterogeneità delle varie forme in cui si manifesta il deficit cognitivo. La diagnosi formulata in accordo al DSM-5 deve soddisfare 3 criteri: 1. Deficit delle funzioni intellettive: attività di ragionamento e logiche, soluzione di problemi, pianificazione, pensiero astratto, giudizio, apprendimento scolastico o apprendimento dell’esperienza. 2. Deficit del funzionamento adattivo: riguarda un mancato standard di sviluppo personale e sociale che garantisca lo sviluppo autonomo delle funzioni relative all’età cronologica relative all’indipendenza personale e alla responsabilità adeguata alla comunità di appartenenza. I deficit adattivi limitano il funzionamento di una o di più attività quotidiane come la comunicazione, la partecipazione sociale e la vita indipendente. 3. Insorgenza di deficit adattivi e intellettivi nell’età evolutiva (non si riferisce più al limite dei 18 anni) Il QI non è più un riferimento centrale, prevale l’esigenza dell’assessment pedagogico, cioè di una presa a carico globale e dinamica della persona e del contesto. Le aree di compressione sono le seguenti: • Comunicazione e linguaggio • Cura della salute e della persona, nelle sue varie modalità con capacità di assunzione di responsabilità in merito alla sicurezza sociale e personale • Vita familiare e assunzione di ruoli e responsabilità parentali • Capacità di interazione sociale • Uso funzionale delle risorse collettive • Auto-determinazione • Capacità di inclusione nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero La disabilità intellettiva viene divisa in quattro livelli (lieve, moderata, grave, gravissima) ma non attraverso i modelli del DSM- IV, essa viene posta all’interno di una area meta-sindromica definita disturbi del neuro-sviluppo. Le ipotesi patogeniche del disturbo cognitivo si distinguono in: • Preintellettive: sistemi di base del sistema cognitivo, come attenzione, memoria, percezione. • Intra-intellettive: costituiscono la rete delle relazioni • Post-intellettive: analizzano i selettori, i processi deputati a scegliere Un atto intelligente quando si è in grado di tenere conto dei parametri del problema reale, ipotizzare dati e saperli incrociare con gli elementi dell’esperienza, per produrre soluzioni. La funzione centrale dell’intelligenza diventa non l’operazione di base ma la manipolazione cognitiva dell’informazione relata. Questo conferma l’ipotesi secondo la quale nella disabilità cognitiva siano caratterizzanti le problematiche di natura meta-rappresentazionale. Dal punto di vista funzionale ed empirico emergono prove a sostegno di una ipotesi meta-rappresentazionale della disabilità intellettiva in cui le difficoltà più frequenti vengono descritte come: • Insufficiente flessibilità cognitiva: la difficoltà di adattare schemi cognitivi noti a contesti diversi, anche all’interno dello stesso dominio cognitivo • Difficoltà della generalizzazione: per generalizzazione si intende la capacità di avvalersi dell’informazione ricavata da una esperienza e affrontare per affrontare con modalità trasversale situazioni simili o che comunque si avvarrebbero di quella capacità di esperienza specifica per problematiche differenti da quell’esperienza originaria. • Difficoltà di scelta e strategia: individuare le variabili, molteplici che possono disegnare lo scenario di un’ipotesi risolutiva di un problema, comporta la difficoltà nel percepire distintamente i termini del problema per ricavare la soluzione più idonea. • Deficit dell’apprendimento implicito: apprendimento esplicito consiste nell’acquisizione di procedure palesemente espresse come oggetto di apprendimento, apprendimento implicito è quello che viene dedotto da operazioni inferenziali sull’esperienza appresa • Difficoltà di integrativa di dati provenienti da più aree di esperienza Emerge sempre di più che il disturbo cognitivo non sia riconducibile ad una questione di quantità di conoscenza, quanto alla qualità e funzione dei operazionalizzazione sui dati di conoscenza. La persona con il deficit cognitivo acquisisce informazioni tramite schemi che non è in grado di gestire e utilizzare in modo differente e trasversale, critico e dinamico a causa delle sue difficoltà nelle operazioni di meta- rappresentazione. Il deficit cognitivo assume caratteristiche ed implicazioni sia di nauta biologica che ambientale. La disabilità intellettiva una condizione congenita o che insorge nei primi anni di vita che compromette molteplici sfere personali e soprattutto incide all’interno del contesto familiare. 2,3 Emozioni e cognizione: confini, intrecci e sfondi La definizione di intelligenza emotiva si riferisce a una delle sfere cognitive indicate come specifiche da H.Gardner , in quanto essa è focalizzata principalmente sul riconoscimento e la gestione degli stati d’animo propri e altrui per risolvere problemi e regolare il comportamento. Le emozioni sono una dimensione individuale sulla quale poter esercitare l’influenza intenzionale, organizzativa e costante: funzione di per se complessa che lo diventa ancor più nei casi in cui la relazione di aiuto si costruisca con la persona con il deficit cognitivo. La locuzione disabilità cognitiva si riferisce a un insieme umano troppo vasto, mentre sappiamo dall’altra parte che anche soltanto in riferimento alle sindromi genetiche le caratterizzazioni sono totalmente differenti. Bisogna inoltre rimarcare le differenze tra la parola carattere e temperamento, due parole molto spesso utilizzate come sinonimi. Il termine temperamento indica gli aspetti determinati dalla componente innata, genetica mentre il carattere si riferisce alla dimensione complessiva dell’individuo che si forma progressivamente grazie all’interazione fra le componenti genetiche relative al comportamento e le influenze ambientali. In un processo dinamico, dal temperamento come base evolutiva si approda alla personalità, sempre esposta al cambiamento che le esperienze esistenziali prospettano. La personalità intesa come divenire è necessario riflettere sulle differenze del deficit cognitivo comporta sullo sviluppo complessivo a livello motorio, intellettuale, linguistico, della memoria, dell’attenzione, della capacità di controllare le emozioni, della maturazione, sociale, della maturazione, del giudizio morale. Da questa prospettiva è necessario esplorare i costrutti teorici che definiscono l’universo emozionale alla base dell’intelligenza emotiva, procedendo a definire le teorie e i rispettivi approcci. L’emozione è una variabile complessa, che ha la capacità d’interagire con il funzionamento dell’organismo a tutti i livelli: neurobiologico, cognitivo e comportamentale. Le emozioni hanno basi fisiologiche e rappresentano un esperienza soggettiva dotata di importanti significati individuali, risentono dei fattori culturali e hanno una valenza sociale nelle relazioni. Studi recenti, definiscono il ruolo di diversi fattori in relazione alle dinamiche emotive: • Attivazione fisiologica (arousal) dei sistemi nervoso autonomo, endocrino e immunitario, che attiva reazioni fisiologiche che hanno una funzione di regolare il sistema e mantenerlo pronto a reagire. • L’esperienza affettiva soggettiva di eccezione o di piacere-dispiacere • I processi congiunti, finalizzati alla valutazione della situazione-stimolo • La predisposizione all’azione, in relazione alla motivazione • Le risposte espressivo-motorie verbali e non verbali • I processi di regolazione sociale e culturale L’insorgere delle emozioni sarebbe dunque la conseguenza dello scontro tra obbiettivi e bisogni personali e le condizioni dell’ambiente: le emozioni contribuiscono di questo conflitto tramite la riorganizzazione delle risposte comportamentali. L’esperienza emotiva dunque scaturisce un meccanismo di segnalazione della rilevanza degli eventi ed è l’esito di un processo generale e fondamentale di valutazione delle situazioni, qualificate come piacevoli e spiacevoli. Le emozioni sono strettamente collegate alle relazioni interpersonali ed alla gestione delle relazioni con gli altri. All’emozione spetta il ruolo di organizzatore del nostro comportamento e nei momenti cruciali dell’esistenza la parte emotiva prevale su quella razionale. Gli sfondi teorici a cui si fa rifermento costituiscono il frame entro cui trovare le chiavi di lettura di costrutti quali: l’intelligenza emotiva, competenza emotiva, caring thinking, fondamentali per progettare interventi di La memoria costituisce il fondamento per lo sviluppo intellettivo. La valutazione di questa abilità indica che i bambini con SD evidenziano un profilo cognitivo caratterizzato da un insufficiente funzionalità del sistema esecutivo centrale, con prestazioni di memoria inferiore. Secondo R.D Benni e A.Moè bambini con SD dimostrano minore consapevolezza metacognitiva e difficoltà a generalizzare gli apprendimenti con l’uso trasversale e flessibile degli stessi. Uno di questi è la capacità di codifica della memoria a lungo termine, la memoria a breve termine e di lavoro evidenzia span visuo-spaziali carenti, prestazione di span verbale insufficienti cosi anche la memoria strategica. Nella persona con sindrome Down, dalla prima infanzia, risulta compromesso il sistema prassico, cioè l’insieme complesso e multidimensionale che si basa sull’integrazione funzionale dei fattori neuromotori, neuropsicologici, cognitivo-simbolici ed affettivi. In ambito educativo si è accentuata la prospettiva inclusiva, sia a livello scolastico e sia a livello sociale, attraverso una presa a carico globale che si fonda sul valore della persona a prescindere dal deficit. Sono necessarie che le componenti pedagogiche e socio-sanitarie costituiscono un dialogo intorno a questi principi base per collaborare ad una imposizione condivisa nel progetto di vita che riconosca la persona con SD come attività costruttrice di legami e relazioni, nel pieno esercizio del suo diritto all’umanità e cittadinanza. La progettazione educativa dovrebbe prevedere interventi che puntino al raggiungimento di conoscenze trasversali di tipo affettivo, socio-relazionale, consolidando le competenze cognitive raggiunte al fine di poterle implementare in relazione alle possibilità soggettive. 3.3: Linguaggio e comunicazione Il marcato ritardo nell’acquisizione del linguaggio nei bambini con la sindrome Down è particolarmente sottolineato in particolare nelle abilità linguistiche. La produzione linguistica presenta diverse difficoltà: fino al terzo anno d vita è inferiore rispetto a quella dei bambini neurotipici di 18 mesi; a 4 anni il linguaggio è comparabile a quello dei bambini di 18-21 mesi; a 5 a quello dei bambini di 20-25 mesi. Il livello morfologico è assente fino ai 3 anni e presentano delle difficoltà che si riscontreranno anche in età adulta. La compressione linguistica è maggiore e migliore rispetto quella verbale. Numerosi studi sui bambini con SD dimostrano che la comunicazione gestuale è più adeguata. Le difficoltà di comunicazione avvengono in diverse modalità (linguaggio parlato, scritto, gestuale) e possono essere dovuti a deficit della compressione e della produzione. Nel disturbo del linguaggio è importante adottare un approccio didattico metodologico mirato, con la promozione di attività in grado di catturare l’interesse e la motivazione fondate sul gioco e finalizzate a favorire l’apprendimento attivo e per scoperta. E opportuno parlare al bambino in maniera tranquilla e pacata, scandendo parole, nominando gli oggetti e descrivendo le relazioni che caratterizzano le azioni. Esternamente consigliato è l’utilizzo di foto che documentano le esperienze vissute. Nella fase di apprendimento della letto-scrittura è necessaria una progettazione attenta alle proposte, articolata in sequenze mirate a favorire l’acquisizione di strategie cognitive che colgano gli aspetti linguistici delle procedure e degli aspetti salienti della lingua. Utilissimi sono i libri parlanti, le tombole sonore, rappresentazioni grafiche, l’uso di schemi e mappe concettuali. La persona con sindrome di Down ama la ripetizione che va utilizzata come elemento di forza. Per la compressione le connessione logiche e il lessico risultano interessanti e produttivi i cloze, attività di gioco a incastro di parole o ricostruzione della frase. 3.3: l’educazione affettivo emotiva e cognitiva: sinergie formative Lo sviluppo affettivo dei bambini SD è molto simile a quello dei bambini neuro-tipici e strettamente collegato al tipo di attaccamento strutturato con la madre. Il trauma della nascita di un figlio disabile e le conseguenti, affettive, difficoltà di interazione rendono possibili atteggiamenti quali di una certa direttività e rigidità con elevati livelli di controllo intrusività. La natura complessa dell’interazione madre-bambino necessita di un approccio globale e aperto al contesto e alle responsabilità condivisa in ambito familiare. Per questo motivo un supporto psico-pedagogico precoce può orientare positivamente tutte le fasi del ciclo esistenziale, sostenendo una positiva modulazione del repertorio emotivo. E’ importantissimo che l’educazione familiare valorizzi sentimenti ed emozioni, che riconosca il bambino nella sua persona, nelle sue potenzialità, rispetti i suoi spazi di crescita. L’iper-protezione non è effetto di amore superiore ma è una modalità che nasconde il rifiuto anche inconscio del bambino. Il problema è trovare la giusta distanza per favorire il pieno realizzarsi di una crescita per molti aspetti complessa e fragile del bambino. Come scrive Goleman: siamo fatti per essere connessi, le emozioni vanno lette secondo il modello bio-psico sociale (ICF) e cioè integrate nelle sviluppo globale, cognitivo e sociale. L’emozione è un’esperienza complessa capace di attivare risposte multidimensionali anche e soprattutto nel bambino con il deficit cognitivo. Capitolo 4: Strategie didattiche inclusive nella prospettiva reticolare. L’esperienza della sindrome Down dell’essere al mondo 4.1: Una concezione estesa della didattica speciale: la presa in carico reticolare integrata Ogni uomo nasce unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità. Di questo qualcuno che è unico si può fondamentalmente dire che prima di lui non c’era nessuno. L’azione corrisponde come principio alla nascita, e se questa è la realizzazione della condizione umana vale dire alla realizzazione della condizione umana della sua pluralità, ciò del vivere come distinto e unico essere tra uguali. L’agire è stato concettualizzato da H.Arendt offre degli interessanti spunti di riflessione sul piano pedagogico didattico orientato alla definizione di spazi inediti, come la nascita di un bambino con la sindrome Down. La prospettiva costruttivista-problematicista e quella del fenomeno, logico-ermeneutica sostengono che ogni esistenza esposta al mondo, debba assumersi la responsabilità e l’impegno formativo per poter realizzare i suoi obbiettivi e lavorare per essi, al fine di poter accettare la possibilità di non realizzare i progetti immaginati o vederli compiuti in modalità differenti. La didattica speciale esplica la sua azione finalizzata all’inclusione in tutti i contesti e in ogni fase del percorso esistenziale, in coerenza con i principi del lifelong learing , valorizzando tutti gli attori, fenomeni e gli eventi in relazione. L’inclusione rappresenta orizzonti concettuali congiunti differenti che riconducono a diverse pratiche di valori e processi. 4.2: Nascere, la prima esperienza dell’essere nel mondo. Il ruolo genitoriale come expertise didattica La comunicazione della diagnosi dell’anomalia cromosomica costituisce il primo evento-chiave nel sistema familiare della persona con sindrome Down. Il processo psicologico che contraddistingue la nascita di un “figlio imperfetto” viene definito come elaborazione di un lutto. Il modello di Kubler-Ross si caratterizza in fasi la negazione o isolamento, la rabbia, la contrattazione, la depressione e l’accettazione. La negazione e l’isolamento costituiscono un momento della storia genitoriale in cui la diagnosi inattesa si configura come un elemento di sospensione che permette di non essere travolti dall’evento e di raccogliere le energie per elaborare strategie di fronteggiamento. La reazione della diagnosi può rappresentare un vero e proprio shock, anche se momentaneo. In questa fase un supporto di aiuto può essere individuato nella relazione di aiuto alla rete familiare, tramite una figura educativa di affiancamento. La relazione educativa offre la possibilità di valutare tutte le componenti della vita individuale, incluse tutte le percezioni e reazioni emotive come la rabbia, le prospettive relative alle diverse aree dell’esistenza e i problemi da affrontare step by step. Il compito del caregiver è quello di tradure e mediare l’incontro con la disabilità, focalizzando l’attenzione sull’ascolto empatico in modo da interpretare le parole ma anche i silenzi facendo in modo che si manifestano e vengano accolte anche quelle parti emotive che possano rafforzare la relazione di coppia oppure far emergere difficoltà pregresse e latenti. La figura educativa rappresenta un fattore di protezione triadica tra genitori e figlio. La fase della contrattazione determina la presa in atto della realtà nella quale i genitori si confrontano con il figlio reale, con la diversità e con il suo deficit. Nel caso dell’evoluzione sia positiva si procede verso la fase dell’accettazione, condizione instabile. E’ proprio in questo periodo che si individua il primo spazio della didattica nell’ambito familiare capace di accompagnare la famiglia nel percorso esistenziale del loro bambino. Questo significa aiutare la famiglia a costruire uno stile educativo rispettoso della diversità e coerente con le figure di cura che interagiscono con il bambino: si tratta di una azione pedagogico-didattica che deve essere collocata nella dimensione inclusiva tout-court, sgombrando il campo da logiche assimilatori e normalizzanti. Il parent traing (formazione e sostegno ai genitori) nasce con l’obbiettivo di potenziare e valorizzare le risorse individuali e genitoriali che talvolta necessitano di specifiche competenze pedagogiche e capacità di riflessione, autovalutazione e automonitoraggio. Ci sono diverse prospettive teoriche riguardo al parent traing, un esempio è responsive teaching (RT), una modalità di intervento che si colloca tra gli approcci evolutivi basati sulla relazione, applicati al trattamento dei bambini con bisogni speciali ed in particolare nei casi di deficit. Il RT è un metodo che la scopo di implementare le conoscente teoriche-pratiche, educative e didattiche dei genitori con lo scopo di aumentare la responsività nelle cure parentali nei confronti del bambino. Questo metodo è bastato su 5 dimensioni: La reciprocità Saper coinvolgere il bambino attivamente nella relazione. La contingenza Capacità di cogliere i segnali del bambino e rispondere all’intenzionalità e tempestiva. Il controllo Capacità di struttura l’ambiente e orientare l’attenzione del bambino. Affetto Dimostrare adeguato trasporto emotivo. Adattamento Capacità di associare il proprio stile di vita interattivo alle richieste adeguate al livello evolutivo del bambino. Il parent traing è considerata una strategia di intervento precoce in cui il lavoro è concentrato su un percorso relazionale con un trainer (pedagogista o psicologo), non solo per affrontare i problemi specifici nel quotidiano quanto e soprattutto per intervenire e nell’ orientare la struttura evolutiva che porti al bambino ad essere più flessibile ed aperto ad imparare come apprendere, a gestire le situazioni con diverse strategie. 4.3 Un modello di intervento per l’educazione globale, tra famiglia e scuola Il modello D.I.R comprende anche il floor-time, ovvero un intervento personalizzato che nel nido o nella scuola d’infanzia può diventare una rielaborazione del circle time. Questo intervento propone un intervento e un approccio evolutivo globale bastato sulla relazione, sulle differenze e sulle specificità individuali di ogni bambino e della sua famiglia ed ha come finalità la promozione dello sviluppo integrale della persona. Il modello è utilizzato in diverse situazioni quali disturbi del comportamento e disturbi pervasivi dello sviluppo, il deficit cognitivo si è rivelato molto utile. L’acronico DIR indica tre punti fondamentali dell’approccio: developmental, individual-difference e ralationship-based, un intervento evolutivo mirato al supporto dello sviluppo con SD tenendo conto delle sue specificità attraverso un lavoro sulla costruzione di relazioni funzionali, adattivi ed efficaci. Il modello DRI prevede una serie di interventi che coinvolgono i servizi sanitari, sociali, la famiglia, l’utilizzo sia a casa che a scuola del metodo floor-time. La finalità ultima è accompagnare i bambini con deficit cognitivo o comportamentale nella costruzione di adeguate, comunicazioni e competenze cognitive ed emotive. L’intervento diretto con il bambino è focalizzato sul floor-time, un metodo che implica un mercato contatto in rapporto uno a uno al fine di strutturare situazioni emotivamente significative che costituiranno la base evolutiva degli apprendimenti cognitivi e motorio- prassici. Il floor-time attiva la sfera emozionale nella relazione con l’adulto all’interno di un contesto stimolante e motivante dove il gioco è l’attività prevalente. Il floor-time si pone obbiettivi maturazione emotiva e cognitiva: • Stimolare l’attenzione e l’intimità: supportando il bambino attenzione e l’interesse verso l’ambiente e le specifiche interazioni, acquisendo il controllo sull’attenzione ben condivisa. • Educare il linguaggio del corpo: per facilitare la costruzione di un dialogo globale, ossia di una comunicazione emotiva significativa, verbale e non verbale, valorizzando mimica e gestuale al fine di ampliare il repertorio comunicativo e l’uso del corpo per esprimere necessità, desideri, intenzioni. • Supportare l’espressione e l’uso di sentimenti e di idee: attraverso il gioco simbolico e il linguaggio. 4.4: la scuola come prima esperienza sociale del bambino con sindrome down Nella fase pre-scolastica, il bambino ha già compiuto una serie di esperienze che costituiranno la base degli sviluppi futuri. In questa fase si delinea lo stile genitoriale si affrontano tutte le pratiche cliniche che sono elemento di ansia e poca serenità per il bambino e la famiglia. E’ un periodo di importanti ri- organizzazioni, psicologiche, pedagogiche e relazionali. Le crisi genitoriale creano nel bambino disorientamento emotivo che spesso si manifesta in disturbi del sonno, comportamentale, dell’alimentazione e induce la famiglia a valutare un rinvio della frequenza del nido che della scuola dell’infanzia, come soluzioni di protezione. Il primo atto didattico nella presa al carico del bambino Down in ogni ordine di scuola è l’accoglienza. L’accoglienza è la capacità di entrare in contatto in pieno con altro, è un dono leggero. Accogliere significa com-prendere antropologicamente e pedagogicamente la paura e il disorientamento che la nuova esperienza suscita: i genitori sono in • Luoghi di apprendimento: se si considera l’apprendimento interazione sociale di gruppi d’individui che intrattengono rapporti di collaborazione • Luoghi delle risorse strumentali e tecnologiche • Luoghi d’inclusione: perché ognuno con la diversità offre un contributo 5.2: La scelta metodologica: il metodo qualitativo e l’intervista narrativa A.Marradi colloca il suo lavoro secondo forme descrittive, afferenti all’insieme non standard che possono essere descritte in termini di approccio: • Approccio idiografico, esplorativo, descrittivo e mirato alla compressione • Forte indipendenza dal contesto: lo studio in oggetto si caratterizza per una forte accentuazione del contesto in riferimento, ovvero le priorità dello spazio relazionale e associativo di persone interessate da disabilità specifica • Interesse focalizzato sui problemi “micro” • Orientamento induttivo: l’oggetto di conoscenza è il punto di partenza della esperienza soggettiva degli intervistati • Compressione delle specifiche situazioni La selezione mirata della tipologia di indagine e la riflessione preliminare alla costruzione di domande viene calibrata in base alla prefigurazione delle competenze comunicative degli intervistati in relazione alla peculiarità della disabilità. 5.3: Il disegno di ricerca L’obbiettivo principale è indagare, attraverso un approccio qualitativo partecipato, come la narrazione contribuisca: • Contribuisce a risolvere la dicotomia relazionalità/emotività e abbia un potere ri-compositivo • Implementi la definizione e l’idea della collocazione di sé nel mondo • Supporti la disponibilità a ri-progettare la proprie esistenza orientata alla formazione continua • Supporto per costruire un percorso di cura educativa e resilienza • Modifichi in senso qualitativo la cultura dell’accettazione familiare e sociale • Contribuisca a costruire il senso di appartenenza e di cittadinanza partecipativa • Focalizzi le relazioni sociali e amicali • Orienti la dimensione lavorativa • Costruisca uno spazio per un linguaggio, evocativo e immaginifico, creativo e simbolico • Educhi all’ascolto delle storie altrui e individuali • Riconosca il bisogno di formazione permanente intesa come processo reticolare • Si offra come metodologia utile a potenziare la professionalità degli operatori La valenza formativa della narrazione si è affrontata su tre versanti: • La narrazione con persone con SD • La narrazione dei genitori • La narrazione degli operatori 5.4: Narrazione delle persone con sindrome di Down L’esperienza realizzata durante la ricerca offre la possibilità di esprimere modalità narrative dense di significato ed emozioni associative. Lo studio dei dati effettua due step: • L’individualizzazione delle unità narrative con contenuti di ricordo personale • L’attribuzione del livello di complessità narrativa che riguarda la situazione cognitiva globale La metodologia analizza la teoria delle self defining memories, cioè macro-narrazioni di eventi personali significativi e vividi, emotivamente intensi, connessi al livello spazio-temporale. I segmenti sono l’unità del testo che possono contenere interazioni tra ricercatore e intervistato/a. L’avvio del segmento è segnalato dalla presenza di alcuni marcatori verbali o sintattici che permettono di individuare nuovi imput narrativi nel tema dell’interazione. Ai individuano passaggi legati a fattori interni con verbalizzazione di argomenti spontanei connessi all’esposizione dei temi precedenti. La conclusione di un segmento è definita da formule di chiusura. La lunghezza media di ogni segmento è di 180 parole circa. Tutte le interviste con persone con SD sono state suddivise in segmenti e valutate in merito alla complessità narrativa con i seguenti criteri della scala di Likert: 1 punto= assenza di struttura narrativa 2 punti= descrizione non narrativa 3 punti= narrazione sufficiente 4 punti= narrazione parziale 5 punti= narrazione completa 5.5: la narrazione dei genitori La ricerca ha evidenziato l’importanza dello spazio della memoria dei genitori sia in riferimento alle esperienze passate sia rispetto alla valutazione attuale in merito alla responsabilità speciale di una genitorialità che deve confrontarsi con la disabilità. Il genitore è portato a riflettere intenzionalmente, cioè ad attribuire significato all’esperienza vissuta, esplorando il sé a partire dal confronto con l’altro, operazione necessaria per l’esperienza. 5.6: la narrazione del caregives Le interviste evidenziano la motivazione e l’impegno che caratterizzano l’azione professionale e quanto le competenze relazionali e narrative siano ritenute importanti. L’esperienza della narrazione ha fornito l’occasione e lo strumento per riflettere ed interpretare gli aspetti personali e professionali contribuendo a costruire una maggiore consapevolezza sulle modalità operative e la stesura dei piani educativi. Gli operatori manifestano l’esigenza di ampliare modelli operativi a loro disposizione per potersi addentrare nella complessità delle problematiche relative della disabilità ed a sviluppare competenze relazionali ritenute fondamentali per migliore l’efficacia e qualità dell’intervento educativo.
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