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La persona con Sindrome Down, Dispense di Pedagogia

Cosa è la sindrome Down, come nasce, perchè. L'approccio educativo e didattico idoneo nei confronti della persona con Sindrome Down.

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 11/05/2018

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Scarica La persona con Sindrome Down e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Francesca Salis –La persona con Sindrome di Down. CAPITOLO 1- Pedagogia sociale e prospettive inclusive. Alcune riflessioni preliminari. 1.1 L’ inclusione tra figura e sfondo: prospettive esistenziali e disabilità cognitiva. L’obiettivo della Pedagogia speciale consiste nel rappresentare la specificità esistenziale della persona disabile. Il suo compito quindi consiste nel riflettere, progettare ed attivare tutte le possibilità educative e abilitative di chi è chiamato a costruire la propria identità sulla diversità e la differenza. La pedagogia e la Didattica speciale contribuiscono a fornire utili strumenti per la pena realizzazione nello sviluppo umano di tutti. Esiste un modo di vivere la disabilità che genera esclusione e costringe la persona a attuarsi come identità disabile, cioè come ciò che il contesto/sfondo ha deciso di negoziare per lui/li, e non come costruzione di sé. Il bisogno educativo speciale, se caratterizzato dal deficit cognitivo, rappresenta gestalticamente la figura che si staglia sullo sfondo. Il disabile, il personaggio messo in scena, è una maschera; lo sfondo invece è l’attribuzione di significato che disegna lo spazio i cui facciamo esperienza del deficit. Questo fa risaltare la figura, cioè la persona disabile, identificata per quello che no ha piuttosto per le sue caratteristiche. Secondo l Gestalt e la fenomenologia, la connessione degli sfondi è determinante è per la nostra percezione. Contesto e persona con disabilità o bes costiuiscono un dualismo fatto di influenze, negoziazioni. Bisogna considerare che ogni vittoria così come ogni sconfitta individuale è vittoria o sconfitta collettiva. Ogni cambiamento nella figura è un cambiamento nello sfondo, e comporta una ridefinizione e di questo complesso rapporto. Un primo approccio educativo nell’ottica del riconoscimento delle specialità e dell’inclusione è pensare la persona con disabilità cognitiva come un intero, e non riferendosi alle se parti disfunzionali. Nella persona con disabilità cognitiva, la prospettiva esistenziale si basa sulla progettualità e sulla volontà di conquistare la libertà e la capacità di vivre una propria vita, per quanto si possa autonoma. Autonomia significa -sicuramente acquisire abilità e competenze, -ma anche esercitare un effettivo ruolo adulto, che richiede il saper chiedere aiuto e l’imparare a gestirlo. Autonomia quindi come requisito dell’adultità, il soggetto diventa adulto se supportato nella costruzione di una identità autonoma e stabile, separandosi dalla dipendenza della famiglia, gestendo il suo tempo e i suoi interessi, assumendo piena responsabilità,… Il progetto educativo verso l’autonomia deve affrontare ostacoli, pregiudizi, paure, sesso incarnati nel linguaggio, costituendo così non solo barriere visibili ma anche invisibili. Il costrutto dell’inclusione introduce nuovi modi di vedere la realtà. Oggi si parla di mondo del capitale umano, una definizione che riconduce tutto alla materialità e al possesso, è quello scenario in cui il cittadino diventa valore misurabile e quantificabile secondo le sue capacità produttive, perdendo la dimensione universale dell’essere. Se ogni uomo diventa materia prima del mercato, la persona disabile, che non risponde ai criteri di rendimento e prestazione, è vista intermini di carenza della capacità. Anche l’istruzione è piega a questa curvatura, soprattutto la scuola superore di secondo grado conferma questa analisi. La scuola persegue l’obiettivo di disvelare a ciascun studente le sue potenzialità,i talenti, a patto che siano utili al mercato del lavoro, spendibili, valorizzabili... è il mondo delle competenze. In questa scuola quindi il “focus” valoriale non riguarda la differenza di ciascuno ma l’omologazione in base alle funzionalità; non si ha più capacità di rilevare l’altro e cogliere la diversità; torna il concetto di norma; se il parametro è la competenza, senza di essa non vi è valore. La scuola, deve invece educare alla riduzione delle diseguaglianze mediante la valorizzazione delle minoranze-differenze, dove consolidare la persona. La formazione globale della persona disabile non può prescindere da un rete di alleanze e mediazioni tra le agenzie quali : scuola, famiglia e rete di servizi offerti dalla comunità di appartenenza. Insieme per co- costruire un Progetto di Vita condiviso. Nonostante la consapevolezza d tutto ciò, gli investimenti sono pochi e poco appezzabili, perché anche la scuola è sul mercato. La Pedagogia speciale ci dice come le logiche riparatorie e di normalizzazione non sono la strada per riconoscere la nostra umanità e valorizzarla. L’inclusione è fatta di: accoglienza piena e niente barriere, ascolto e empatia, processi che lasciano spazio e che non vedono prodotti pre-determinati. 1.2 Il valore speciale della diversità La presenza costante nella società di vecchie e nuove esclusioni costituisce un impulso per ri-definire i compiti e lo statuto epistemologico della pedagogia speciale, scienza aperta per definizione al uovo e all’inconsueto. Solo una diffusa prassi inclusiva può garantire pari opportunità ed un effettivo riconoscimento dei diritti di cittadinanza attiva e di appartenenza di tutti e di ciascuno. Effettuare una riconversione sociale secondo il paradigma inclusivo comporta una profonda trasformazione culturale che ri-valuti i concetti di diversità e differenza e i valori ad essi attribuiti. Il problema della diversità è legato: - all’espressone di differenze che si manifestano e alla conseguente rivendicazione d diritti - all’esistenza di discriminazioni che hanno origine dal rifiuto della stessa diversità. Il campo di influenza del costrutto di diversità riguarda quindi alcuni concetti quali cultura, identità,organizzazione scolastica e sociale, occupazione, servizi,… La diversità ha bisogno di un aggettivo qualificativo che circoscriva in qualche modo il capo di azione e cioè a chi e cosa si riferisce.. ma già nel tentativo di definirlo, si riduce la significatività del concetto stesso. La pedagogia speciale, scienza della complessità e della diversità, ha allargato i propri confini e arricchito la sua identità. Questa apertura permette la scoperta di nuove prospettive. E’ indispensabile essere disponibili al cambiamento, saper rompere dagli stereotipo del passato, saper leggere le persone con occhi nuovi e offrire loro nuove opportunità, ecc perche la pedagogia speciale è una scienza anche metabletica. La diversità è quel momento in cui l’esperienza della via quotidiana, è uno stato di incertezza. Un ricognizione teorica ed epistemologica attorno al tema della diversità e allo sguardo della pedagogia sulla diversità, ne analizza il significato e il valore attinendo a più discipline. Il carattere interdisciplinare è un compromesso necessario per problematizzare il concetto e renderlo più rispondente alla realtà, al fine di sperare il dualismo ch la considera minaccia o risorsa. Collocando il problema della diversità all’interno di un prospettiva pedagogica orientata al paradigma del costruttivismo sociale ci permette di definire la diversità come esperienza conoscitiva e di sganciarla dallo “stigma” e di renderla potenzialmente universale. E’ fondamentale sottolineare che non esiste una definizione valida e univoca in grado di rappresentare la diversità. Per evitare che la persona si confonda con il proprio deficit, un delle modalità che può evitare questo rischio è l’approccio narrativo. Ogni persona ha l sua stia da raccontare, propri desideri da coltivare e un futuro da sognare. E necessario che essa trovi le condizioni giusto per potersi raccontare e per poter essere ascoltata da qualcuno desideroso di esserci. Questo è ciò che deve avvenire all’interno della relazione d’aiuto, in un contesto di accompagnamento competente che sappia mettere al centro la qualità della vita, la dignità della persona e il diritto di cittadinanza attiva. Qualsiasi diversità deve essere accolta e valorizzata. Focus del paradigma inclusivo è la rivoluzione copernicana che mette al centro la persona e i suoi bisogni e considera la possibilità che sia il contesto e non la persona ad essere sbagliati. Ribaltando gli schemi tutti potrebbero essere considerati potenziali disabile in quanto non esiste più il disabile ma persone che vivono in una condizione di disabilità. 1.3 2 La pedagogia speciale e inclusione I processi di inclusione promuovono una cultura attenta ai bisogni educativi diversificati di ciascuno, in contesti rispettosi delle pari opportunità attente al riconoscimento delle differenze e delle potenzialità individuali. Una società come quella globalizzata in cui troviamo sempre nuove inclusioni ed esclusioni, Attraverso questo processo la conoscenza appresa diviene utilizzabile attraverso flessibilità cognitiva, generalizzazione, creatività,… In questa prospettiva, l’apprendimento e l’acquisizione di conoscenze segue un iter ben preciso fatto di 4 fasi. -Una prima fase (detta della procedure implicite) focalizza l’attenzione sull’informazione che viene acquisita e codificata sotto forma di rappresentazioni legate alla procedura comportamentale. Si osserva a livello comportamentale il raggiungimento della padronanza ma non si ha ancora un significativo cambiamento rappresentazionale. -La seconda fase (detta anche della rappresentazione esplicita) è aperta dalla padronanza comportamentale. In questa l’attivazione non parte dall’esterno ma si ritrova all’interno dello stesso sistema cognitivo. L’obiettivo in questa fase è un controllo della rappresentazione interna dove l’info, da vita a nuove rappresentazioni complesse. -Le fasi terza e quarta prevedono che l’info sia rappresentata in un formato accessibile ad operazioni cognitive. Il processo descritto spiega i meccanismi con cui il sistema cognitivo si appropria di stai che hanno raggiunto la stabilità, per codificare le info in modo che possano essere riutilizzate per altri scopi. L’apprendimento è una modificazione emotiva, cognitiva e operazionale che scaturisce dall’esperienza e dall’interazione attiva con i contesti. l interessa l’intero ciclo esistenziale, può essere considerato un processo complesso e multiforme, in cui entrano in gioco numerosi tipi di fattori. Tutti gli approcci fin’ora esplorati,considerano tutti la conoscenza come la risultante di processi di categorizzazione di dati sensibili filtrati, interpretati attraverso la mediazione dell’ambiente. L’ azione e l’esperienza sono quindi alla base dell’apprendimento. -Bruner: valorizza la rappresentazione operativa attraverso l’azione:il repertorio cognitivo individuale si realizza nel contatto con l’ambiente. La scuola secondo questa prospettiva assume un nuovo ruolo, è uno spazio di costruzione, condivisione, interpretazione della realtà culturale e non solo. L’inclusione definisce nuovi ruoli, dove ognuno possa esprimere i propri potenziali. La didattica speciale ha il compito di progettare l’apprendimento a partire da ciò che l’individuo possiede e far emergere le potenzialità e valorizzarle. L’approccio meta cognitivo risponde pienamente agli attuali bisogni formativi. La meta cognizione non rappresenta solo una metodologia molto utile in presenza di difficoltà di apprendimento ma anche una prassi didattica per tutti, quindi inclusiva. Le diverse teorie relative alla comprensione dei sistemi cognitivi, costituiscono una delle conoscenze fondamentali per attivare l’aiuto competente, complesso che deve essere orientato al saper fare, essere, sentire, agire. Nei confronti del diverso, l’educatore deve saper costruire una relazione orientata ad aiutarlo ad aiutarsi, poiché l’aiuto più autentico consiste prima di tutto, nell’apprezzamento della sua persona e nel riconoscimento dell’identità. La cura educativa ha un ruolo fondamentale perché permette alla persona con deficit cognitivo la gestione delle proprie potenzialità, individuate appunto dall’educatore. Porsi in relazione con la storia, la narrazione, l’identità dell’altro senza etichette, attivando sinergie, alleanze , significa educare alla flessibilità e all’inclusione per trasformare l’aiuto individuale in sostegno alla collettività, comprendente scuola, famiglia e servizi. Chi ha disabilità ha bisogno di vivere una possibilità di dialogo in un progetto,fatto di ascolto e responsabilità condivisa. E’ fondamentale acquisire una competenza di immedesimazione nell’altro e di disponibilità al dialogo . La persona con deficit cognitivo è una persona nella sua totalità e complessità che va valorizzata nelle sue competenze di qualsiasi natura e quantità esse siano. 2.2 Ritardo mentale, cognitivo, o disabilità intellettive? Elementi del dibattito in corso, dalle neuroscienze alla Pedagogia Speciale. In un recente passato, dal quale abbiamo ereditato abitudini lessicali difficili da sradicare, il fenomeno definito oligofrenia, deficienza mentale, viene poi sostituito dalla locuzione “Ritardo mentale” nel 1988. Perché questa nuova etichetta? Sia per i limiti delle vecchie terminologie, sia per riflessioni sullo stigma sociale a cui i termini erano legati. Con ritardo mentale si indica: una condizione di semplice sfasamento temporale in un’ottica evolutiva (implicitamente ci dice che se riscontro un ritardo, sarà possibile un recupero). Questo è un costrutto però poco esatto e illusorio, non corretto è anche l’aggettivo mentale (ci fa pensare ad un ampiezza del disturbo differente rispetto al termine ‘intellettivo’). Inoltre ricordiamo come il DSM4 e l’ICD 10,definivano il ritardo secondo 3 criteri compresenti: 1-QI sotto 70 punti; 2 –presenza di deficit che riguardasse l’incapacità di rispondere a richieste dell’ambiente appropriate per età e contesto; 3- esordio prima dei 18 anni. Le critiche di questa definizione tri- fattoriale del ritardo mentale, sono le stesse critiche a cui la definizione è soggetta oggi: il QI non rappresenta una misura affidabile dell’intelligenza; e le intelligenze sono multiple quindi il QI non si può assumere come unità di misura. Nel DSM5 la definizione ‘ritardo mentale’ è stata sostituita ufficialmente da “DISABILITA’ INTELLETTIVA”. Questa modificazione è dovuta anche all’OMS. La definizione disabilità intellettiva sembra più corretta nell’evidenziare la complessità ed eterogeneità delle varie forme con cui si manifesta il deficit cognitivo. Il riferimento all’aspetto ‘intellettivo’ (e non più mentale) riguarda solo alcuni aspetti della mente e non la mente nel suo complesso. La diagnosi, deve soddisfare 3 criteri: 1. deficit delle funzioni intellettive 2. deficit del funzionamento adattivo (mancato standard di sviluppo personale e sociale che garantisce l’autonomo svolgimento delle funzioni relative all’età) 3. Insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi nell’età evolutiva (e non più entro i 18 anni) La disabilità intellettiva viene distinta in quattro livelli: lieve, moderata, grave e gravissima. Le ipotesi patogenetiche del disturbo cognitivo si distinguono in: pre- intellettivesi concentrano sugli strumenti basilari del sistema cognitivo (memoria, attenzione,..) intra- intellettivesi concentrano sulla rete di relazioni tra i componenti del sistema cognitivo post-intellettive o meta-intellettiveanalizzano i selettori (processi che scelgono le alternative) Emergono prove per sostenere l’ipotesi meta- rappresentazionale della disabilità, le cui difficoltà più frequenti sono descritte come: -insufficiente flessibilità cognitiva: cioè difficoltà di adattare schemi noti a diversi contesti -difficoltà nella generalizzazione: generalizzazione = usare un info ricavata da una situazione per affrontarne un'altra simile con modalità diverse -difficoltà di scelta e strategia -deficit nell’apprendimento implicito: apprendimento implicito = è quello dedotto da operazioni sull’esperienza stessa -difficoltà di integrazione cognitiva di dati di piu aree di esperienza :cioè a livello scolastico è la difficoltà di capire aspetti non resi espliciti ma da estrapolare e integrare con la propria esperienza Le difficoltà descritte sono legate a competenze meta- cognitive e nello specifico a competenze meta- rappresentazionali. I termini meta- cognizione e meta- rappresentazione indicano un operare sulla conoscenza e gli oggetti cognitivi sono considerati rappresentazioni mentali. Anche l’etimologia del termine intelligenza (inter leger: connessione tra piu elementi) cognitiva (sapere- con), conferma un costrutto di intelligenza che rimanda all’idea di meta cognizione. Il deficit cognitivo assume caratteristiche sia di natura biologica sia ambientale. La disabilità intellettiva è una condizione spesso congenita o che insorge nei primi anni e che comprende diverse sfere e che incide anche sul contesto familiare. E’ infatti anche quest’ultimo che necessita di essere supportato e accompagnato , anche la famiglia deve ri-organizzare i suoi schemi esistenziali e ri-modulare confini affettivi e relazionali. Molto spesso i loro orizzonti sono ofuscati dall’ansia e dalla preoccupazione peri figli. E’ fondamentale una attenta analisi dei bisogni e delle potenzialità individuali, individuo considerato nel proprio contesto sociale al fine di elaborare un Progetto di vita personalizzato e in grado di valorizzare le abilità e migliorare la qualità della vita. 2.3 Emozioni e cognizione:confini, intrecci e sfondi Possiamo considerare le emozioni come una dimensione individuale sulla quale poter esercitare un’influienza intenzionale, organizzata e costante. Nell’intervento educativo, la conoscenza delle caratteristiche di ogni situazione specifica è ineludibile presupposto della progettazione dell‘ intervento educativo, senza MAI dimenticare che ognuno ha una personalità unica e originale. C’è differenza tra temperamento e carattere, usati spesso come sinonimi: -Temperamentoindica gli aspetti della personalità determinati, in maggior misura, dalla componente innata, genetica -Carattere (oggi sostituito da personalità) è la dimensione dell’individuo che si forma evolutivamente grazie all’interazione fra le componenti genetiche (relative al temperamento) e le influenze ambientali. Dal temperamento come base si approda alla personalità, mai definita e sempre esposta al cambiamento. Ogni deficit cognitivo può determinare influenze sul piano comportamentale.E’ necessario esplorare i costrutti teorici che definiscono l’universo emozionale alla base dell’intelligenza emotiva. L’emozione è una variabile complessa, trasversale, multifattoriale che ha capacità di interagire con l’organismo a tutti i livelli. Le emozioni hanno precise basi fisiologiche e rappresentano un’esperienza soggettiva, risentono dei fattori culturali, possono essere educate in modo tale che il soggetto sia capace di comprenderle e gestirle. Le emozioni possono avere diverse funzioni ma si può ritenere che il ruolo fondamentale sia quello di mediazione tra la persona e l’ambiente. Un’emozione cioè, può essere vista come un segnale che allerta l’organismo per mobilitare il soggetto a una risposta pronta di fronte alla situazione attivante. Le emozioni insorgono quando si ha lo scontro tra bisogni personali, obiettivi e condizioni dell’ambiente e riescono a risolvere lo scontro riorganizzando le risposte comportamentali. C’è quindi una stretta relazione tra emozione e cognizione, ed è importante per la persona con deficitt intellettivo potenziare le abilità comportamentali modulando gli influsxsi emozionali ai fini di una interazione autonoma con il contesto. Le emozioni positive sono prodotte da situazioni che soddisfano i proprii scopi, desideri. Le emozioni negative sono invece provocate da eventi che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi. Le emozioni svolgono quindi funzioni di adattamento c’è inoltre anche una interdipendenza fra relazioni interpersonali e emozioni … le prime generano le seconde che a loro volta danno forma alle prime. L’approccio neuro-biologico individua lo specifico legame tra le componenti cognitive ed emotive. Le emozioni quindi sono le prime responsabili della condotta. Nel corso dello sviluppo le emozioni si mostrano sempre piu connesse ai fattori cognitivi e sempre piu influenzate dall’esperienza soggettiva , e quindi maggiormente importanti in ambito educativo. Secondo Le Doux le emozioni che sorgono in maniera non consapevole, possono essere educate e gestite, ma non represse e sono strettamente connesse alla coscienza. Anche Damasio sostiene che sia la coscienza che ci permette di conoscere dolore, gioia, sofferenza, imbarazzo,… la coscienza e l’emozione sono inscindibili. Secondo lui la coscienza è utile per migliorare l’adattamento e ampliare le competenze cognitive. -articolazioni molto flessibili -statura media inferiore alla norma Queste combinazioni sono associate a : -riduzione del tono muscolare -lieve deficit dell’accrescimento, con ritardo dello sviluppo motorio e del linguaggio e deficit cognitivo RISCHI DI SALUTE POSSIBILI associati alla SD (alcuni): difetti intestinali, disturbi della vista, cardiopatie congenite, disturbi dell’udito, problemi di obesità o sovrappeso, possibile sterilità … Per questo è opportuno sin dai primi anni di vita un piano di controlli medici. Dal punto di vista neurologico: possibile precoce degenerazione del sistema nervoso In età infantile possibili disturbi di attenzione, iperattività, comportamenti oppositivi e provocatori. In età adulta possibili manifestazioni depressive, passività,apatia,mutismo,… La DIAGNOSI della SD è possibile in fase prenatale mediante una serie di indagini. Il miglioramento generale della qualità dell’esistenza e gli efficaci interventi medici, hanno determinato un notevole aumento delle aspettative di vita:da 10 anni ai 60 anni. 3.2 La presa in carico della persona con SD: aspetti psicomotori, prassici e cognitivi Per accompagnare e sostenere la persona con SD è necessario conoscere le peculiarità della sindrome , che richiedono una lettura flessibile e un modello pedagogico fondato sulla personalizzazione che tenga conto delle caratteristiche soggettive, sempre differenti e del protagonismo originale di ciascuno. Ogni persona con SD è un universo differente, con le sue fragilità e risorse, come per ogni altra persona. Lo sviluppo dei bambini con SD percorre le stesse tappe dell’evoluzione neuro tipica ma si realizza con tempi differenziati e dilatati rispetto alla norma. Lo studio dello sviluppo psicomotorio si riferisce a una serie di abilità relative alla motricità, che il bambino matura in genere nel corso dei primi due anni di vita, con tempi differenziati e schemi motori acquisiti che possono avere caratteristiche qualitativamente diverse. La deambulazione e lo sviluppo del linguaggio rappresentano due tappe importanti per consentire una valutazione globale del grado di sviluppo psicomotorio. Emerge come i bambini con SD presentino un significativo ritardo temporale rispetto alla norma nel raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio. Esempi: postura di seduta autonoma con 3 mesi di ritardo, deambulazione autonoma non prima dei 18 mesi. Difficoltà che permangono sono ad esempio quelle relative alla motricità fine, difficoltà nell’area L’azione motoria convolge anche le capacità percettive e cognitive: rallentamento nello sviluppo della capacità di rappresentare lo schema corporeo, difficoltà a concentrarsi sull’ oggetto tralasciando di concentrarsi sul’interlocutore, insufficiente funzionalità del sistema esecutivo centrale con prestazioni di memoria inferiori all’ età mentale, altri aspetti deficitari nelle persone con SD sono ad esempio: la capacità di codifica nella memoria a lungo termine, la memoria strategica,… Dalla prima infanzia, risulta compromesso il sistema prassico, ovvero l’insieme complesso che si basa sull’’integrazione funzionale dei fattori neuromotori, neuropsicologici, cognitivo, simbolici ed affettivi. L’atto motorio finalizzato, cioè la prassia, consente alla persona di agire sulla realtà esplorandola, trasformandola,modulando il proprio sé in relazione all’ambiente. Nel definire un profilo di sviluppo, elemento portante dell’intervento educativo, è necessario considerare sia le specifiche competenze, sia le relazioni complesse tra fattori cognitivi, emotivi ed affettivi che rappresentano il quadro globale. Settorializzare sarebbe riduttivo ed inefficace. In ambito educativo, si è accentuata la prospettiva inclusiva, tanto a livello scolastico quanto sociale, mediante la presa in carico globale che si fonda sul valore della persona, a prescindere dal deficit. E’ una prospettiva che mette in discussione quella antropologica riduttiva: non possiamo continuare a considerare l’essere umano come idea di perfezione al di là della fragilità e sofferenze che, invece, segnano l’umanità e la sua finitezza. E’ necessario che le componenti pedagogiche e socio- sanitarie costruiscano un dialogo per collaborare ad una impostazione condivisa del progetto di vita che riconosca la persona con SD come attiva costruttrice di legami e relazioni, nel pieno esercizio del suo diritto all’umanità e alla cittadinanza. SD E PREGIUDIZI. Il corpo della persona con SD alimenta sin dalla prima vista etichette e pregiudizi. Lo stereotipo è alla base del pregiudizio ed è molto irrazionale, poiché non si basa su un’effettiva sintesi dell’esperienza., L’etichetta tende a isolare il “diverso” dal resto della società si trascura cos’ l’esistenza, il fatto che l’uomo è essere- nel- mondo, che è un valore che va oltre ogni sua caratteristica. La persistenza degli stereotipi nelle società moderne, è alla base di fenomeni razzisti ed è indice di quanto sia difficile l’affermazione di un’idea di uomo libera da categorie preconcette. L’inclusione favorisce il corretto riconoscimento dell’altro; nell’inclusione le identità sono tutte peculiari e tutte impegnate a potenziare l’autonomia, autostima, cooperazione al di la delle differenze individuali. La valorizzazione del corpo e del movimento, delle forme ludiche, rappresenta un bisogno sociale che coinvolge tutti. Il coinvolgimento della dimensione corporea nella costruzione dell’immagine di sé consente una partecipazione attiva al mondo circostante, la percezione di limiti e potenzialità. E’ necessario focalizzare gli interventi intorno a tutte le componenti che definiscono l’assetto globale della persona. 3.3 Linguaggio e comunicazione E’ ampiamente documentato il marcato ritardo nell’acquisizione del linguaggio nei bambini con SD. In particolare si è rilevato che le abilità linguistiche ad ogni stadio dello sviluppo sono al di sotto del livello atteso e presentano particolati atipie, seppure in un quadro di estrema variabilità. Nella primissima infanzia, il repertorio vocale e preverbale e l’utilizzo dei gesti comunicativi non presenta differenze significative, né a livello di tempi, di comparsa, né a livello della qualità dei suoni prodotti. La produzione linguistica vera e propria registra invece marcate difficoltà (Ad esempio: fino ai 3 anni è inferiore rispetto a quella dei bambini neuro tipici di 18 mesi, con assenza del costrutto frasale e l’uso di parole frase; dai 3 ai 6 anni comincia la costruzione di frasi con almeno due parole) Il livello morfologico assente fino ai 3 anni, presenta difficoltà che permangono a volte fino all’età adulta. La comprensione linguistica risulta maggiore e migliore rispetto alla produzione verbale nell’intero arco esistenziale. La comunicazione gestuale nei bambini con SD è discretamente adeguata e l’aspetto pragmatico della comunicazione risulta sempre superiore a quello linguistico e si mantiene ad un buon livello durante tutto il corso dell’esistenza. Già nei primi mesi il bambino manifesta il pianto, il sorriso, vocalizzi articolati che svolgono un ruolo comunicativo per gli adulti, tra i 9 e i 13 mesi si può parlare di una forma gestuale intenzionalmente comunicativa. Verso la fine del primo anno compaiono i gesti simbolici, attraverso i quali il bambino dimostra di poter usare un comportamento non verbale per raccontare/chiedere qualcosa, questi gesti possono essere prodotti con o senza l’ausilio di oggetti. Da questo momento evolutivo in poi, il bambino supporta ogni azione comunicativa con un ricco repertorio gestuale. Le difficoltà di comunicazione afferiscono, dunque a modalità espressive e possono essere dovute a deficit della comprensione o della produzione. Le principali difficoltà attengono a limitazioni funzionali nella comunicazione e nella partecipazione sociale, in relazione al lessico ridotto, ad una limitata capacità di articolare frasi ed alla compromissione delle capacità discorsive. La conoscenza di tali caratteristiche è fondamentale perché il professionista della relazione d’aiuto intervenga in questo fecondo e prezioso momento evolutivo. Il lavoro educativo deve orientarsi alla costruzione dell’autentica percezione di sé da comunicare nella relazione con gli altri e con l’ambiente, unitamente ad una riflessione con la famiglia, gli operatori, la scuola fin dall’inizio. Nel disturbo del linguaggio è importante un approccio didattico mirato, con la promozione di attività in grado di catturare interesse e motivazione, fondate sul gioco e finalizzate a favorire l’apprendimento attivo e per scoperta. E’ utile e idoneo: -parlare al bambino in modo tranquillo e pacato, scandendo le parole, nominando oggetti,… - l’uso delle fotografie che documentano oggetti ed esperienze - l’uso di libri parlanti, tombole sonore, uso di schemi e mappe -la ripetizione -produttivi e interessanti sono i cloze = attività e giochi d’incastro di parole o ricostruzioni di frasi -privilegiare l’attività laboratoriale realizzata in gruppi eterogenei cooperativi Sono da evitare: -complesse e lunghe esposizioni culturali e di approfondimento -tempi di lavoro rigiri -non cambiare l’organizzazione scolastica ma adattare al contesto chi la diversità rappresenta 3.4 L’educazione affettivo emotiva e cognitiva:sinergie formative Lo sviluppo affettivo nel bambino con SD è organizzato in modo molto simile a quello dei bambini neuro- tipici e correlato al tipo di attaccamento strutturato con la madre. Questo rapporto con la madre, a causa del deficit, si caratterizza piu a lungo come dipendenza, sia in relazione alla routines di cura, sia a livello emotivo. Lo sviluppo è influenzato dalla qualità dell’interazione con le figure di accudimento. Il trauma alla nascita di un figlio disabile e le conseguenti difficoltà, rendono possibili atteggiamenti come una certa rigidità con elevati livelli di controllo e intrusività. La maggio parte degli studi individuano come profondamente rilevante il rapporto con la madre. Crescere un figlio con deficit cognitivo è un compito complesso; molto spesso si genera un atteggiamento di iper- protezione a cui si collega un profondo senso di frustrazione preoccupazione:reazioni emotive che incidono negativamente sulla relazione con il figlio. Le piu recenti indagini sul ruolo del padre, lascano emergere come questo rappresenti una risorsa per lo sviluppo sociale e cognitivo del bambino. I padri dei bambini con SD percepiscono a quanto pare, i propri figli meno compromessi dei tratti della personalità e nel livello di adattamento all’ambiente; e considerano la loro relazione più gratificante rispetto a padri d figli con altre forme di deficit. Estremamente rilevante risulta l’attività di gioco esplorativo e simbolico padre-figlio. La presa in carico globale precoce della famiglia è assolutamente auspicabile per consentire ai genitori di elaborare la situazione e costruire una genitorialità competente, capace di valorizzare gli aspetti positivi e strutturare modalità comunicative efficaci. Comprendere le esigenze del figlio, significa osservare e conoscere il figlio nei suoi tratti originali e peculiari, accettandolo. L’eccesso di stimoli, la cura eccessiva, sottende la non accettazione profonda e autentica. Il problema è quindi trovare la giusta distanza per favorire il pieno realizzarsi di una crescita per moli aspetti più complessa e fragile che vedrà il bambino, affiancato da figure differenti di caregivers, responsabili di un accompagnamento competente. E’ importantissimo comprendere il valore delle emozioni e dei sentimenti, rappresenta un bisogno delle figure educative, degli insegnanti e delle famiglie. Focalizzare l’educazione emotiva al centro dei processi apprenditivi contribuisce a valorizzare ogni individualità con il suo vissuto, l sua stria, favorendo la promozione dell’inclusione. Le emozioni vanno lette secondo il modello bio- psico-sociale (ICF) e cioè integrate nello sviluppo GLOBALE, cognitivo e sociale (visione olistica dell’inclusione). convivenza del sistema famiglia, senza la compromissione delle necessità individuali. -Gli incontri possono rivolgersi a una singola coppia genitoriale o a un gruppo; il lavoro collettivo risulta proficuo per socializzazione, condividere problemi comuni, ricercare insieme ipotesi risolutive, creare relazioni solidali. Nella complessa società post- moderna, in cui i genitori sono sempre più incerti nell’esercizio delle loro funzione, gli stili educativi spesso sono inappropriati, il PT diventa perciò luogo privilegiato. 4.3 Un modello di intervento per l’educazione globale, tra famiglia e scuola Il modello D.I.R. ,propone un intervento ad approccio evolutivo globale, basato sulla relazione, sulle differenze e specificità individuali di ogni bambino e della sua famiglia; ha come finalità la promozione dello sviluppo integrale della persona. Il modello si è rivolato piuttosto utile col bambino con SD. L’acronimo DIR indica 3 punti fondamentali dell’approccio: developmental, individual- difference, relationship- based… un intervento evolutivo mirato al supporto dello sviluppo del bambino con SD tenendo conto delle sue specificità attraverso un lavoro sulla costruzione di relazioni funzionali. Prevede interventi di rete che coinvolgono servizi (sanitari e sociali, famiglia). Nella prima fase si prevede una valutazione del bambino, delle sue aree di potenzialità e sue modalità di organizzare e gestire l’esperienza. Il DIR prevede l’utilizzo del floor- time. Floor time = “tempo del tappeto”, intervento personalizzato che al nido o all’infanzia può diventare una rielaborazione del circle time). L’intervento diretto con il bambino è focalizzato sul floor time, un metodo che implica un marcato contatto in rapporto uno a uno al fine di strutturare situazioni emotivamente significative che costruiranno la base evolutiva degli apprendimenti cognitivi e motorio- prassici. Esso si organizza in sedute individualizzate e basate su un approccio ludico, che vede l’adulto creare scambi orientati a motivare il bambino al piacere dell’attività e scambi incentrati sulla reciprocità. Il floor time attiva la sfera emozionale nella relazione con l’adulto all’interno di un contesto stimolante e motivante, dove il gioco è l’attività prevalente, insieme a situazioni gradevoli e originali rispetto alla routines. Il floor time si pone obiettivi di maturazione emotiva e cognitiva: -stimolare attenzione e intimità -educare il linguaggio del corpo -supportare l’espressione e l’uso di sentimenti e di idee attraverso il gioco e il linguaggio Il metodo è molto utile ai genitori, che possono usare lo spazio del floor time per giocare con il bambino, dedicando lui attenzione e cercando la reciprocità autentica. Il floor-time rappresenta un intervento didattico-educativo, e non una terapia. 4.4 La scuola come prima esperienza sociale del bambino con SD Nella fase pre-scolastica (0-3 anni) si sono già compiete una serie di esperienze, che saranno la base degli sviluppi futuri. In questa fase si delinea lo stile genitoriale e si affrontano tutte le pratiche cliniche, che sono elemento di ansia e non serenità per bambino e famiglia. Le crisi genitoriali vengono risentite dal bambino e spesso si manifestano in diversi modi . La maggioranza dei bambini con SD prolunga di un anno la frequenza alla scuola d’infanzia, fattore positivo se opportunamente valutato, progettato e curato, ma non se diventa un alibi per posticipare la naturale evoluzione di crescita. I genitori devono essere supportati in questi momenti delicati e soprattutto nella separazione dal figlio che l’ingresso a scuola comporta, perché va riconosciuto il valore e la necessità delle nuove esperienze che comporta. Sia i docenti del nido che dell’infanzia, costituiscono dei riferimenti che accolgono il bambino e i vissuti emotivi dei genitori e co- costruiscono con loro nuovi spazi. Incarnano così il ruolo di professionisti capaci di riconoscere e valorizzare i potenziali di apprendimento nel rispetto della diversità cognitiva e dei tempi e modi con i quali si manifesta. Il primo atto didattico della presa in carico del bambino con SD in ogni ordine di scuola è l’accoglienza che è la capacità di entrare in contatto pieno con l’altro; significa com-prendere antropologicamente e pedagogicamente la paura e il disorientamento che la nuova esperienza suscita. Nel clima di preoccupazioni vissute dai genitori e percepite dai bambini per l’ingresso a scuola, L’approccio narrativo consente che le storie si incontrino. E’ importante che la relazione sia narrativa, perché la storia individuale è il modo che ciascuno adotta per dare significato al proprio mondo, per far fronte all’esperienza. Raccontare in questo momento, è un atto didattico. Il bambino con SD, i genitori, il docente, i pari, gli altri genitori sono depositari di storie. Raccontare implica conoscere, accettare, accogliere l’altro e le emozioni che prova e suscita in noi. Dal racconto emerge l’identità unica e originale: le persone con SD , ciascuna diversa dall’altra, hanno storie, interessi, difficoltà, risorse differenti che devono essere scoperte e accolte. Le storie smentiscono inoltre l’attribuzione categoriale. L’accoglienza deve essere attentamente progettata all’interno del paradigma della continuità. 4.5 SD: mappe per orientare l’intervento educativo Con le persone con SD, così come sostengono teorie post- costruttiviste in relazione all’apprendimento in generale, risultano poco efficaci se non diretti e orientati dal docente i metodi: basati sulla ricerca autonoma, apprendimento per problemi, cooperative learning,… Invece mostrano segni didattici adeguati: interazione tra pari, feedback tra docente e pari; insegnamento diretto e personalizzato,… -L’apprendimento della persona con SD deve essere caratterizzato da obiettivi chiari ed espliciti che prevedano interventi diretti e un monitoraggio costante per modificare in itinere l’azione didattica e consolidare il patrimonio conoscitivo acquisito. In tal senso sono utili strategie didattiche che sollecitano diversi canali percettivi. -Ambiente di apprendimento = luogo in cui si esplicita la relazione el’aiuto reciproco potendo contare su risorse materiali, culturali e sociali diversificate. L’inclusione in classe non si realizza portando fuori dalla classe l’allievo con disabilità, né avvicinandolo dall’insegnante di sostegno che propone attività individualizzate mentre gli altri compagni fanno tutt’altro; né quando si sta per tante ore a scuola nella classe ma senza essere mai preso in considerazione,… L’apprendimento significativo si realizza quando la proposta didattica viene adeguatamente e precedentemente preparata offrendo all’allievo con difficoltà opportuni anticipatori che gli consentono di affrontare prima i passaggi nodali nella costruzione dell’apprendimento. Tali considerazioni riferite al contesto scolastico, trovano conferme anche traslate in ambito familiare e sociale. L’inclusione non si realizza tra le sicure mura domestiche, ma nella vita comunitaria della Polis che offre opportunità e rischi. -Chi è responsabile del processo educativo, che sia genitore o professionista, è tenuto ad abbandonare ogni pretesa predittiva sull’esito del processo formativo. -Le pratiche didattiche attivate in relazione alle persone con SD si riferiscono a diversi modelli teorici con strategie, metodi, tecniche, che non vanno applicati in modo meccanico e seriale. -Nella prassi ordinaria si rende necessario far ricorso a tecnologie didattiche plurali. Questo significa che ogni metodo conserva la sua specificità (suoi obiettivi e orientamento teorico) ma le metodologie sono integrabili tra loro. Non esiste quindi un modello particolare o piu funzionale all’educazione del bambino o della persona con SD. Il metodo apprenditivo di Ausubel è trasversale a differenti metodologie e focalizza 2 diverse dimensioni dell’apprendimento . 1-MODALITA’ DI ACQUISIZIONE DELL’ INFORMAZIONE (cioè i canali attivati per introiettare nuovi contenuti). Si fa riferimento all’apprendimento per scoperta e all’apprendimento per ricezione 2-MODALITA’ DI ASSIMILAZIONE DELL’INFORMAZIONE (cioè le forme in cui una nuova conoscenza viene sistematizzata nelle strutture di pensiero ggià preesistenti). Ne deriva che l’apprendimento può essere significativo o apprendimento meccanico. 4.6 Didattica inclusiva, strategie e strumenti PEI = Piano Educativo Individualizzato (Legge 104/92 e 107/2017). Comprende l’analisi di tutte le aree della vita del bambino per consentire una adeguata connessione alle attività della classe e prevedere una fattiva inclusione. E’ elaborato da scuola e famiglia insieme. E’ necessario scoprire mediante l’osservazione quali sono gli stili percettivi, i linguaggi, le articolazioni cognitive, tempi di attenzione e concentrazione. In questa fase i genitori sono da considerare come partner esperti del progetto didattico, alleati e non rivali. Non bisogna pensare che l’idea di individualizzazione sia una forma di separazione dalla classe, va infatti precisato che l’alunno con SD deve lavorare il piu possibile nel gruppo e nella classe. Individualizzazione –Personalizzazione Individualizzazione: mira al raggiungimento di traguardi comuni Personalizzazione: mira a far sì che ognuno sviluppi le personali potenzialità, i propri talenti,… obiettivi diversi per ciascuno NON esistono ricette didattiche: ogni team deve ricercare costantemente le strategie più efficaci basate su saldi costrutti teorici. Uno dei costrutti estremamente funzionali alla didattica rivolta ad alunni con deficit cognitivo è il concetto di Zona di sviluppo prossimale di Vygotskij. Zona di sviluppo prossimale è uno spazio intermedio tra il livello attuale del bambino, riferito alla sua capacità di affrontare in autonomia una situazione, e il suo livello di sviluppo potenziale determinato dalla capacità di risolvere un problema con l’aiuto di un adulto o di pari competenti. Essa delimita quelle funzioni che sono presenti nel processo evolutivo del bambino, ma ancora in stato embrionale, latente, che matureranno con l’interazione sociale. Il bambino opera all’interno della zona di sviluppo prossimale quando viene impegnato in un’attività didattica che richiede un livello di capacità lievemente superiore alle competenza possedute perché possa eseguirla da solo e la risposta deve essere data con il sostegno di un adulto o dei pari. L’attenzione del docente dovrebbe dunque essere focalizzata su quello che il bambino potrebbe fare se incoraggiato e aiutato nell’agire in situazione e non su ciò che il bambino sa fare già da solo, altrimenti non sarà utile al suo progresso cognitivo. L’insegnante svolge un ruolo di mediatore e facilitatore delle attività di apprendimento dei suoi alunni, favorisce l’interazione sociale e la condivisione cooperativa di conoscenze e significati agendo, quindi, in ottica inclusiva. PdF = Profilo di Funzionamento (introdotto recentemente dal decreto legislativo 66 del 2017) E’ il documento sulla base del quali i docenti delle scuole elaborano il PEI. E’ lo strumento per attivare a valutazione funzionale, nell’ottica della presa in carico globale orientata ai principi della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute (ICF). Sono state prese in esame categorie in situazione che rappresentano universi umani accomunati da una condizione, in questo caso la condizione genetica della SD, i familiari e i caregivers. 5.3 Il disegno della ricerca Nella ricerca si vuole: -esplorare le connessioni scientifiche tra Peda speciale e Peda della cognizione partendo dal modello teorico secondo cui lo sviluppo cognitivo deriva dalla conoscenza sugli eventi formulata in termini di narrazioni e M.E.R (mental event rappresentation). -rilevare il ruolo e la funzione cognitiva della memoria come elemento base funzionale della narrazione in persone con SD -indagare come la dimensione narrativa possa orientare la dimensione lavorativa, focalizzare relazioni sociali, sessuali,…; costruire a creare il senso di appartenenza e cittadinanza partecipata, ecc … La valenza formativa della narrazione si è affrontata su 3 versanti: -narrazione delle persone con SD -narrazione dei genitori -narrazione come strumento degli operatori In relazione alle persone con SD si analizzano narrazione verbale, specificità, tono, intensità emozionale, integrazione, contenuto. L’analisi delle interviste restituisce le dimensioni qualitative della percezione di sé, della capacità di auto-controllo, del funzionamento cognitivo, per quanto compromesso a diversi livelli per le caratteristiche della SD. Le interviste narrative sono state somministrate da un ricercatore preparato, allenato da lunghi anni di training sul colloquio clinico e le modalità di corretta interazione pedagogica. Ogni intervista è stata preceduta da un informativa sullo studio e le modalità di svolgimento dell’intervista narrativa e del questionario. L’intervista appositamente strutturata è stata somministrata a due campione, il primo selezionato in Sardegna e l’altro in Irlanda del Nord. Si è utilizzata la forma di campionamento probabilistica, estratto con procedura a grappoli. Come unità campionaria, sono stati scelti gruppi interi, rappresentati dalle associazioni selezionate, nelle quali sono stati intervistati gli utenti e i genitori e gli operatori che hanno partecipato volontariamente allo studio. 5.4 Narrazioni delle persone con SD I temi ricorrenti nelle narrazioni riguardano la storia familiare, il contesto sociale di appartenenza, le esperienze scolastiche e professionali, le varie fasi della traiettoria di vita, le caratteristiche della vita adulta. Lo studio dei dati si effettua in due step: -individuazione delle unità narrative -attribuzione del livello di complessità narrativa. La metodologia di analisi fa riferimento alla teoria delle self defining memories, cioè macro narrazioni di eventi personali significativi. Per i genitori si propone l’intervista narrativa libera, con domande a rilancio del ricercatore. Per i caregivers si propone una tipologia di intervista differente che focalizzi gli aspetti personali e professionali del ruolo svolto, indagando in particolare il ruolo della narrazione come competenza professionale. Il sistema di analisi e interpretazione dei dati prevede la trascrizione dei dati in segmenti specifici di contenuto. L’avvio del segmento è segnalato dalla presenza di alcuni marcatori verbali o sintattici. La conclusione di un segmento invece da formule di chiusura. La lunghezza media di ogni segmento è di circa 180 parole. I segmenti sono valutati utilizzando la scala Likert di valore così articolato L’analisi della complessità narrativa non rileva significative differenze tra i due gruppi studiati. Le tematiche più trattate sono state relative alla scuola, alla definizione di sé, ai rapporti familiari, ai desideri che configurano una progettualità esistenziale. Nei due contesti emergono differenti risultati riguardo modalità di supporto all’autorealizzazione - Sardegna: forte dipendenza, iper- protezione della famiglia, soprattutto con un solo genitore o con genitori con età avanzata. -Nord Irlanda: Meno marcata la dipendenza dal contesto familiare e l’autonomia e l’indipendenza sembrano valori maggiormente attivati. collocazione lavorativa -Sardegna: emerge l’assenza di un sistema funzionale di collocazione lavorativa ma anche diffidenza delle famiglie verso una prospettiva di vita indipendente. -Nord Irlanda: l’inclusione sociale e lavorativa sono avviate, sebbene si rileva ancora molto da fare. La presenza di un operatore specializzato si dimostra funzionale all’inclusione lavorativa. E’ previsto un anno di passaggio guidato e i ragazzi che non abbiano maturato, alla fine delle scuole superiori, le competenze necessarie per accedere al mondo del lavoro o proseguire con gli studi. desiderio di vita indipendente -Sardegna: desiderio di vita autonoma non sostanziato da alcun dato di consapevolezza della realtà e dei suoi problemi. -Nord Irlanda: si rivelano chiari progetti di vita, orientati all’indipendenza. Il giudizio che esprimono è elaborato sulla base di esperienze maturate negli anni. In generale, le narrazioni hanno evidenziato momenti critici, ma gli intervistati hanno rappresentato capacità di coping che hanno loro consentito stabilire equilibrio. 5.5 La narrazione dei genitori La ricerca ha evidenziato l’importanza dello spazio della memoria nei genitori sia in riferimento alle esperienze del passato sia rispetto alla valutazione attuale in merito alla responsabilità speciale di una genitorialità che deve confrontarsi con la disabilità. Il gruppo dei genitori intervistati: -In Sardegna è composto maggiormente da donne con evidente riluttanza e rifiuto da parte dei padri a collaborare con l’intervista. L’eta dei genitori è superiore a quella in Irlanda. In Sardegna è svalorizzato o affrontato molto poco il problema della sessualità, di cui i genitori sembrano non volersi fare carico. -a Belfast il numero delle donne è piu o meno simile a quello degli uomini e l’età è minore. i due gruppi sono accumunati dall’impegno associativo, tutti affermano di credere nel valor dell’associazionismo. Non si è verificata una significativa differenza nei due gruppi relativamente al valore della narrazione, anche se i genitori dell’Irlanda del nord sembrano piu disponibili a confrontarsi con lo strumento narrativo. Tutti i genitori ritengono maggiormente utile condividere narrazioni, si per esplicitare le loro storie, che per ascoltarne delle altre. Un dato che si intende sottolineare è la diffidenza iniziale alla collaborazione, soprattutto dei genitori, ad attribuire i necessari permessi a intervistare i figli. Per intervistarli è necessario incontrare le famiglie e ottenere i permessi. In una ricerca conta anche il dato che non può essere raccolto. In questo senso il campione si è auto-selezionato in quanto non si sono potute intervistare le famiglie indisponibili. 5.6 Le narrazioni dei caregivers -In sardegna: campione composto da pedagogisti e educatori tra i 30 e i 39 anni. Si sono formati frequentando anche corsi di studio molto lontani dal dominio educativo. -a Belfast: campione di età tra i 30 e i 39 anni. Tutti gli intervistati hanno conseguito la laurea per divenire caregivers e svolgono tutti l’attività lavorativa per cui hanno studiato. In entrambi si evidenza l motivazione e l’impegno e quanto le competenze relazionali narrative siano ritenute importanti. Il metodo narrativo è considerato efficace. Gli operatori manifestano l’esigenza di ampliare i modelli operativi a loro disposizione per potersi addentrare nella complessità delle problematiche e sviluppare competenze relazionali ritenute fondamentali. CAPITOLO 6-Le storie di vita 6.4 Conclusioni I processi di inclusione promuovono una cultura condivisa attenta ai bisogni educativi di ciascuno ch si traducono in pari opportunità uguaglianza successo formativo in termini di conoscenze, abilità e competenze. Nella società globalizzata, sono presenti nuove inclusioni e esclusioni. Una società del cambiamento e dell’incertezza richiede la capacità di adattamento e di apprendimento continuo. Ne consegue che un ruolo fondamentale lo abbiano i sistemi formali e i soggetti di cittadinanza attiva. Si è tentato di dimostrare quanto e come l narrazione abbia un potere di responsabilità, di sviluppo e consolidamento di competenze ed abilità per un’autonomia possibile, di ricomposizione del sé in relazione ai contesti e al progetto di vita. L’esperienza narrativa ha consentito di esplicitare il concetto di empowerment, intesso come processo i aiuto che consente di assumere la consapevolezza del proprio valore e delle proprie potenzialità nella direzione di una scoperta della propria identità e coscienza delle proprie potenzialità. L’empowerment narrativo viene considerato nel presente lavo come una delle risorse possibili per attuare strategie e metodologie speciali all’intero del progetto educativo che abbia come obbiettivo fondamentale l’inclusione ll’interno della comunità. Attraverso la narrazione la soggettività del singolo trova il suo spazio. I risultati di questo lavoro dimostrano come le persone con SD siano oggi in grado di vivere e raccontare esperienze significative per sé e la collettività. Questo cambiamento nonostante la trisomia 21 sia rimasta l stessa, la vita delle persone down è totalmente differente, aperta, consapevole. Questo cambiamento è dovuto solo all’educazione.
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