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LA PESTE - ANALISI DEL TESTO NARRATIVO, Appunti di Italiano

Analisi del testo narrativo del testo in prova "La Peste" di Giovanni Boccaccio

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 07/02/2022

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1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica LA PESTE - ANALISI DEL TESTO NARRATIVO e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! La peste - analisi del testo narrativo Il testo narrativo in analisi,dal titolo “La peste”, tratto dall’opera “Decameron”,è stato scritto da Giovanni Boccaccio nel 1350 e pubblicato nel 1353,per cui il tempo della storia,cioè il tempo che le vicende narrate occuperebbero se si svolgessero nella realtà e non nella finzione narrativa,e il tempo del racconto,cioè il tempo dedicato alle vicende nella narrazione,non coincidono.Gli eventi sono disposti in ordine cronologico e,per tale motivo, prevale la fabula.Il tempo è indeterminato,poiché non sono fornite indicazioni temporali.La narrazione è ambientata nel passato e sono utilizzati tempi verbali al passato.Prevale la pausa,poiché il ritmo è rallentato.Lo spazio è determinato,perché la collocazione spaziale viene specificata,e non viene lasciata nell’indeterminatezza.Non sono presenti veri e propri personaggi che si muovono all’interno della narrazione e compiono azioni che determinano l’andamento della storia, ma sono semplicemente citate delle figure,quali le persone malate di peste,le persone sane che non avevano contratto la malattia,gli infermieri,coloro che andavano via per paura e chi rimaneva nella città,tutti ovviamente personaggi statici,poiché la loro caratterizzazione non si evolve con il mutare degli eventi.La loro presentazione è indiretta,poiché le informazioni non vengono fornite in modo diretto,ma sono sparse all’interno della narrazione.Il narratore è onnisciente,perché conosce tutto riguardo alle vicende.La focalizzazione è zero,poiché il narratore assume il proprio punto di vista.E’ possibile dividere il seguente testo in due sequenze. La prima sequenza è narrativa (rr.1-45),poiché fornisce informazioni su eventi e personaggi,ed è statica,poiché l’azione non procede e non vi è dinamicità.Il titolo della sequenza è “Questi così varamente oppinati” e la parola chiave è “puzza”.Boccaccio scrive che nella tanta angoscia e miseria della città di Firenze l’autorità delle leggi religiose e civili,divine e umane,degna di essere riverita,era quasi del tutto decaduta e dissolta a causa di coloro che dovevano applicare le leggi e farle rispettare,i quali,come gli altri uomini,erano tutti morti o malati o rimasti quasi privi di sottoposti,di modo che non potevano svolgere alcuno dei loro compiti.Di conseguenza diventava per ciscuno lecito fare tutto ciò che desiderava.Molti altri tenevano una via di mezzo tra i due comportamenti,la sobrietà e l’eccesso,senza limitarsi nel cibo come i primi,né abbandonandosi al bere e altre dissolutezze quanto i secondi,ma usavano dei beni a sufficienza secondo il bisogno,e senza rinchiudersi in casa uscivano portando tra le mani chi fiori,chi erbe odorifere e chi diversi generi di spezie, portandole al naso,ritenendo ottima cosa confortare il cervello con simili odori,poiché l’aria era impregnata dell’odore dei corpi morti,dei malati e delle medicine.Alcuni erano di animo più malvagio,e cioè pensavano che nonostante fosse forse più sicura:dicevano che nessuna altra medicina fosse migliore né tanto buona contro la peste quanto fuggire innanzi ad essa:e mossi da simile convinzione,curandosi solo di se stessi, molti tra uomini e donne abbandonarono la propria città,le proprie case,gli stessi parenti e le sostanze e si recarono presso il contado,la campagna,di altre città o almeno quello di Firenze,come se l’ira di Dio non si rivolgesse a punire con quella peste la malvagità degli uomini dovunque essi fossero,ma una volta scatenata mirasse a sopprimere soltanto coloro che si trovassero all’interno delle mura della loro città,o come se pensassero che in quella città nessuno doveva sopravvivere e che era venuta la loro ultima ora.E sebbene costoro che professavano tali diverse opinioni non morissero tutti,non per questo tutti sopravvivevano:anzi,poiché in molti luoghi si ammalavano molti appartenenti ad ognuna di quelle opinioni, languivano quasi abbandonati dappertutto,come avevano insegnato a fare essi stessi quando erano sani a coloro che ora rimanevano sani.E non parliamo del fatto che i cittadini si evitavano l’un l’altro e che quasi nessuno si prendesse cura del proprio vicino e i parenti raramente o mai si facessero visita, rimanendo comunque a distanza:questa angoscia era penetrata con tanto spavento nel cuore degli uomini e delle donne,che un fratello abbandonava il proprio fratello,lo zio il nipote,la sorella il fratello,e spesso la moglie abbandonava il marito;e,cosa incredibile,i padri e le madri evitavano di fare visita e di assistere i propri figli, come se non appartenessero a loro.Per la quale ragione non rimase alcun sostegno a coloro,uomini e donne,che si ammalavano se non la carità degli amici,e ce ne furono pochi,o l’avidità dei servi,i quali prestavano la loro opera attirati da stipendi sproporzionatamente elevati,sebbene a causa di ciò non fossero rimasti in molti:e questi pochi erano uomini e donne di indole grossolana,per lo più non abituati a tali compiti,i quali non fornivano alcun servizio se non quello di porgere agli ammalati gli oggetti che chiedevano e di guardare quando essi morivano;e,adempiendo a tali mansioni,molto spesso perdevano sé stessi insieme al guadagno.Lo spettacolo offerto dal ceto più basso e forse da gran parte di quello intermedio della popolazione era molto più miserevole:dato che essi,nella maggior parte trattenuti nelle loro case o da speranza o da povertà,stando vicini gli uni agli altri,si ammalavano a migliaia al giorno,e non essendo né serviti, né soccorsi in nessun lor bisogno, morivano tutti quasi senza alcuno scampo. E assai erano quelli che finivano,di giorno o di notte,sulla strada pubblica,e molti,sebbene morissero all’interno delle loro case,non davano notizia ai vicini della loro morte se non attraverso il fetore dei loro corpi in decomposizione;e di questi e degli altri che morivano dappertutto era tutto pieno. La seconda sequenza è narrativa (rr.46-83),poiché fornisce informazioni su eventi e personaggi,ed è statica,poiché l’azione non procede e non vi è dinamicità.Il titolo della sequenza è “Cittadini sopra gli omeri portavano” e la parola chiave è “beccamorti”.Era usanza che le donne parenti o vicine di casa del morto si riunissero e piangessero,così pure i vicini e gli amici si radunassero davanti alla casa e poi veniva il clero che portava il morto nella Chiesa che egli aveva, precedentemente,indicato.Man mano che la pestilenza divenne più feroce,queste usanze cambiarono.Molti morivano da soli,senza alcun conforto o pianto dei congiunti e non potevano essere trasportati nella chiesa che avevano scelto.Venivano,invece,prelevati da persone prezzolate che venivano chiamate “beccamorti” o “becchini”,di umile origine,che messili nella bara,li portavano nella chiesa più vicina,dove c’erano pochi chierici che,rapidamente,senza lunghi e solenni offici,con l’aiuto dei becchini,li seppellivano in qualche sepoltura ancora vuota.La gente umile stava ancora peggio,perché non aveva potuto lasciare la propria casa,abitata da molte persone,dove il contagio si diffondeva molto più rapidamente,non aveva alcun aiuto e tutti morivano.I vicini,temendo per sé,gettavano i corpi dei morti o degli infermi nella strada.I vicini,da soli o con l’aiuto di alcuni portatori,tiravano fuori i morti,li ponevano davanti agli usci e facevano venire le bare.Ben presto le bare furono insufficienti.Allora misero molti cadaveri in una sola bara.I preti,nel seppellirli,sotto una sola croce misero sei o otto morti,senza che essi fossero onorati da alcuna lacrima,lume o compagnia.I morti venivano trattati come capre. La prima sequenza è narrativa (rr.83-110),poiché fornisce informazioni su eventi e personaggi,ed è statica,poiché l’azione non procede e non vi è dinamicità.Il titolo della sequenza è “” e la parola chiave è “beccamorti”.Perchè Boccaccio non si soffermi su ogni dettaglio delle miserie capitate sulla cittàe,dice che,mentre trascorreva un periodo così nefasto in Firenze,nondimeno non risparmiò il contado circostante di alcun male,nel quale,tralasciando quei borghi circondati da mura,che nella loro poca estensione assomigliavano alle città,per i casolari sparsi e per i campi i contadini poveri e miserevoli e le loro famiglie morivano per le vie,per i loro campi coltivati e per le case,di giorno e di notte indifferentemente,senza alcuna cura di medico o aiuto di servitore,non come uomini,ma quasi come bestie.Le persone non di prendevano cura delle loro cose,anzi era quasi come se aspettassero la morte quel giorno stesso sino a cui erano riusciti ad arrivare.Non rispettavano ciò che il defunto aveva fatto in vita,i frutti delle loro fatiche,ma prendevano semplicemente ciò che avevano a disposizione e lo consumavano.In tal modo accadeva che i buoi,gli asini,le pecore,le capre,i maiali,i polli e i cani,che furono fedelissimi al deunto quando era in vita,furono cacciati nei campi ancora coltivati.Alcuni,quasi come dotati di ragione.durante i giorni andavano al pascolo e alla sera tornavano a casa da soli,senza nessuno che li guidasse.La crudeltà del Cielo fu tanta,in parte anche quella degli uomini,che furono tanti a morire tra marzo e luglio di quell’anno,sia per la peste che per la mancanza di aiuto da parte delle persone sane che avevano timore di contrarre la malatti.Per non parlare delle centinaia di migliaia di persone che furono uccise a Firenze.Boccaccio si chiede se
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