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La pittura della Serenissima. Venezia e i suoi pittori di Filippo Pedrocco, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi del catalogo "La pittura della Serenissima. Venezia e i suoi pittori" di Filippo Pedrocco, edito da Mondadori Electa, 2010. Una raccolta delle opere dei musei, delle chiese e dei palazzi veneziani, insieme ai capolavori presenti nei musei esteri. Dalle Paolo Veneziano, a Giovanni e Jacopo Bellini, dallo sfumato di Giorgione, al colore di Tiziano, per finire con Tiepolo e i vedutisti.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 20/06/2018

saramaffei
saramaffei 🇮🇹

4.3

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Scarica La pittura della Serenissima. Venezia e i suoi pittori di Filippo Pedrocco e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! LA PITTURA DELLA SERENISSIMA VENEZIA E I SUOI PITTORI Filippo Pedrocco Il Seicento: Tra accademie, tenebre e luci Il ‘600 è stato per Venezia un’epoca difficile, nel 1606 il papa Paolo V ha emesso un’interdetto che ha causato l’isolamento dello Stato veneziano dall’Europa, nel 1630 una forte peste si abbatte su Venezia. A causa di guerre difensive contro l’espansione ottomana, lo Stato fu costretto dal 1646 a vendere titoli nobiliari ed ammettere famiglie non veneziane al patriziato e alla vita politica, per rinvigorire la casse dello Stato. Tutto ciò ha segnato la produzione artistica, si riduce la committenza da parte dello Stato anche perché impegnato nella decorazione pittorica di Palazzo Ducale e costruzione della chiesa della Salute. La committenza privata invece è di grande risalto, impegnati nella costruzione e decorazione delle loro dimore e ville dell’entroterra o di chiese. L’involuzione del manierismo Causa dell’involuzione nel primo ventennio del ‘600 della pittura veneziana è il blocco tra Venezia e Roma, le novità naturalistiche caravaggesche e classiche dei Carracci che trionfano nella capitale non si trovano a Venezia, la quale ancora rivolta verso le glorie passate è caratterizzata da artisti che erano stati allievi dei grandi maestri del ‘500 e dei quali ne replicano gli elementi più trasmissibili. Troviamo gli artisti della bottega di Paolo Veronese, il figlio di Tintoretto, Domenico, Leandro Bassano, figlio di Jacopo, insomma nessuna novità proviene da questi sette artisti principali dell’inizio del ‘600 (citati da Boschini), chiamati anche “pittori delle sette maniere” (data la loro diretta discendenza dai modelli del ‘500 tra cui Tiziano e Tintoretto). Artisti che decorano Palazzo Ducale, caratterizzati appunto dalla ripetitività della loro interpretazione dei modelli dei maestri del passato. Nemmeno un dei più dotati, Jacopo Palma il Giovane (Venezia, 1548-1628) si svincola nella sua carriera dai tardo manierismi e dall’eclettismo accademico che vediamo nelle tele di P. Ducale. Tra le sue opere giovanili migliori ricordiamo quella del senatore Pasquale Cicogna che assiste alla messa per l’Ospedaletto dei Crociferi, non ancora intaccata da quella retorica che caratterizza la produzione successiva. Jacopo Palma il Giovane, Il senatore Pasquale Cicogna assiste alla messa, 1586-87, tela, 369x262cm, Venezia, Oratorio dell’Ospedaletto dei Crociferi. Palma è legato al mondo manieristico, sia per le tematiche che aderiscono agli ideali della controriforma, sia per la grande quantità di produzione di carattere devozionale con schemi ripetitivi. Jacopo Palma il Giovane, Betsabea al bagno, 1610-1615, tela, 116x100 cm. Roma, Accademia Nazionale di San Luca. Qui troviamo un soggetto erotico, nudo femminile in primo piano ripreso in una stanza di una casa veneziana molto ben descritta. Un altro artista di quei sette rivolti verso il passato, è Andrea Micheli detto il Vicentino (Vicenza, 1542-1617 circa), egli invece che guardare al Tintoretto e Tiziano si rivolge verso Paolo Veronese, utilizzandone le soluzioni sceniche caratterizzate da cromatismi vivaci, dipinge molto per Palazzo Ducale un esempio di grande capacità narrativa è: Il Vicentino, L’incontro al Lido tra Enrico III re di Francia e il doge Alvise Mocenigo, 1593 circa, tela, 367x791cm. Venezia, Palazzo Ducale, sala delle Quattro Porte. Tra classicismo, naturalismo e tradizione Vi sono anche artisti che non si rivolgono al mondo manieristico ad esempio Alessandro Varotari detto il Padovanino (Padova, 1588- Venezia, 1648). Egli studia Tiziano sia gli affreschi nella Scuoletta del santo a Padova sia a Roma nel 1614-16 i Baccanali di Alfonso d’Este vedendo quindi anche opere di Carracci e Domenichino. Basandosi su questo e su ciò che avevano ispirato i pittori delle “sette maniere” si forma il suo stile già dalla sue prime opere: egli unisce i cromatismi di un Tiziano giovanile e un’impostazione classica. Alessandro Varotari detto il Padovanino, Le Grazie e gli Amori, 1640?, tela, 222x160 cm. San Pietroburgo, Ermitage. Soggetto profano, si concentra sul dinamismo delle figure femminili, colte in movimenti naturalistici, risalta la bellezza classica dei loro corpi. Importante è Carlo Saraceni (Venezia, 1579-1620), pittore veneziano che a inizio secolo lavora per molto a Roma, rimanendo affascinato da Caravaggio e rinnovandosi in chiave naturalistica. Egli ritorna a Venezia per concludere il ciclo della Sala del Maggior Consiglio ma la tela dell’Allocuzione del Doge Enrico Dandolo ai crociati a causa della morte dell’artista viene conclusa da un suo allievo, Jean Leclerc. Con Strozzi avviene l’avvento della cultura Barocca a Venezia, importante per la formazione della nuova generazione di pittori locali che si apriranno alle novità. Tra tradizione classica e barocco L’apertura verso il barocco avviene gradualmente, a metà del ‘600 c’è interesse per le novità di Padovanino e al recupero dei modi classici di Tiziano. Gerolamo Forabosco (Padova, 1604-1679) aderisce al barocco, ha una pennellata vaporosa e soffice che gonfia le vesti. Grande ritrattista del tempo, prova di ciò lo abbiamo nella tela della parrocchiale di Malamocco. Salvataggio miracoloso della gondola, 1646, tela, 350x520cm. Malamocco, parrocchiale Trasporta la famiglia Urbani sorpresa dalla tempesta, tutti raffigurati come una serie di ritratti a figura intera, nella parte bassa festeggiano lo scampato pericolo e in alto c’è apparizione della Vergine con due santi. Colori chiari e leggeri e pennellate vaporose, grande realismo sia nei personaggi ma anche nelle emozioni e sentimenti che provano. Pietro Liberi (Padova, 1605 - Venezia 1687) come Forabosco è allievo di Padovanino. Dopo una giovinezza caratterizzata da viaggi, tra cui Roma dove entra in contatto con Carracci e Pietro da Cortona nel 1643 è a Venezia e riceve incarichi per pitture devozionali per la chiesa della Salute e dei santi Giovanni e Paolo. L’artista è caratterizzato da un forte dinamismo derivato da Cortona e da colori schiariti tipici del Veronese. Molto apprezzato è per le pitture di soggetto erotico-mitologico di grande sensualità e con colori morbidi di ascendenza tizianesca. Venere e le tre grazie, 1650, tela, 235x280cm. Venezia, palazzo Albrizzi. Una delle prime prove in questo campo, nudi femminili che danzano in cielo, nella luce radiosa, figure rese vive dal dinamismo cortonesco. Di Liberi vi sono anche dipinti a soggetto allegorico come ad esempio la tela dei Vizi che minacciano l’uomo del 1650. Allievo di Padovanino inizialmente è anche Pietro Vecchia (Vicenza, 1603-1678). Personaggio dai molti interessi, originale nella sua produzione sono le tele di carattere religioso come la Crocifissione del 1637-38 per la chiesa di Ognissanti (ora alla fondazione Cini a Venezia) in cui reinterpreta la lezione cinquecentesca in chiave barocca. Nella pala per Santa Giustina (ora Galleria Accademia) dell’Angelo che offre a Santa Giustina un teschio, alla presenza di san Giovanni e san Giuseppe (1640) riprende modelli compositivi e coloristici di Veronese, e da alla scena una dinamica complessa e vivace. Vecchia ebbe fama anche per la capacità di imitare, quasi falsificare le opere del maestri del ‘500 come Giorgione. Il chiromante, 1650-1660, tela, 148,5x 219cm. Vicenza, Museo Civico. Propensione nel periodo tardo della sua vita per i forti effetti chiaroscurali che conferiscono una grande intensità drammatica. Nel quadro si nota il suo interesse per temi dell’occulto. Giulio Carpioni (Venezia 1613 - Vicenza 1679), anche lui è allievo di Padovanino e attento alle novità di Saraceni. Svolge la sua attività soprattutto a Vicenza e propende per tematiche classiche, viene chiamato “Poussin veneto”, ma egli è caratterizzato da un tono nostalgico e malinconico, chiarezza nei colori e cromie che ricordano Saraceni (esempio Allegoria dei Vizi umani). Allegoria dei Vizi umani, 1650, tela, 125,5x100cm, Vicenza, Museo Civico. Diana ed Endimone, 1646-48, tela, 141x147cm, Vicenza, Banca Popolare. Storia mitologica, ricerca di perfezione formale classica. Francesco Maffei (Vicenza, 1605 - Padova, 1660) è il pittore più originale del panorama della pittura veneziana del ‘600, si forma nel tardo manierismo vicentino, ma si libera dei suoi retaggi formativi già con la prima visita a Venezia nel 1638, rivolgendosi verso il mondo barocco. Egli studia le realizzazioni di pittori stranieri a Venezia come Bernardo Strozzi. Nel periodo 1640-57 lavora in varie città come Rovigo, Brescia, Vicenza e Padova inviando comunque opere a Venezia. L’Angelo Custode, 1658, tela, 260x130cm, Venezia, chiesa dei Santi Apostoli Prova di adesione alle novità figurative, struttura compositiva fantasiosa, barocca, espressioni caricate dei volti dei personaggi realizzati con una materia pittorica sfatta realizzata da violenti colpi di pennello quasi grotteschi. Irruenza compositiva ma anche una sua personale tecnica molto apprezzata. Trinità, Vicenza, Oratorio S. Nicola Dipinto degli esordi del 1660, per la chiesa di San Lorenzo a Vicenza, poi nell’Oratorio di San Nicola (in cui vi sono altre sue opere), è uno dei più alti raggiungimenti di Maffei, per la composizione audace e nuova, per la resa pittorica di qualità, il gioco chiaroscurale e cromie vivaci e luminose. Sebastiano Mazzoni (Firenze, 1611 - Venezia, 1678) è di analoga linea barocca ma di personalità differente, si forma in Toscana e giunge a Venezia seguendo Pietro Liberi dopo il 1640, suo amico al quale progetterà anche la casa sul Canal Grande ( Palazzo Moro Lin a Samuele). Fino al 1648 non sappiamo niente dell’attività di Mazzoni a Venezia, anno in cui firma e data una delle due pale della chiesa di San Beneto con San Benedetto che raccomanda alla Vergine il parroco della chiesa. Nonostante vi siano elementi come la propensione per il ritratto e un colorismo variegato tipici di Strozzi, egli è molto originale nel creare le figure dilatate. Convito di Cleopatra,1660, tela, 106x332,4 cm. Washington, National Gallery of Art. Molto scenografico, tecnica molto personale con pennellata lieve ma incisa. Variazioni di luci che anticipano le realizzazioni di Ricci. Grande partitura architettonica di fondo, con logge, porticati, scale e statue. Vi sono molti personaggi in pose diverse, essi è come se si fermassero quando la regina sta per immergere la perla nella coppa di aceto. Impaginazione della scena ricorda le Cene di Veronesi, ma i personaggi sono diversi nei movimenti, come diversi sono i toni e il colore che diventa quasi liquido. Anche nell’opera il Sogno di sant’Onofrio della chiesa dei Carmini a Venezia possiede una complessa iconografia, creando un sottinsù e figure molto dinamiche. Mazzoni è l’unico a Venezia Verso il Settecento: la rivoluzione “chiarista” Il successo dei tenebrosi declina poco dopo la morte di Langetti. Come per reazione a quella corrente i pittori alla fine degli anni sessanta verso forme di barocco decorativo come quello di P. da Cortona. Artefici del rinnovamento sono due artisti toscani: Giovanni Coli e Filippo Gherardi, allievi di Pietro che tra il 1665-68 decorano la biblioteca di San Giorgio Maggiore con tele ispirate alla Sapienza divina. Cinque tele e due lunettoni sulle testate della sala. Nelle tele vi è affinità con Paolo Veronese sia nelle pose che nel colore anche se è ancora chiaroscurato. Le scene affollate di grandi figure, sono colte con il sottinsù. Le lunette raffigurano Mercurio che invita il genio a calarsi e L’incontro di Marte con Venere. Mercurio che invita il genio a calarsi, 1665-68, tela, Venezia, San Giorgio Maggiore, biblioteca. Lunette presentano caratteristiche diverse, più influenza di Veronese, colori più chiari e luminosi, meno chiaroscuro rendendo tutto più gradevole. Rinnovo pittura veneziana avviene attraverso due toscani, che studiano un veneziano del passato: Paolo Veronese. Rinnovo che parte e si diffonde a Venezia e che diventerà un elemento di successo europeo nel ‘700 con Ricci e Tiepolo. Le novità vengono accolte da Giovanni Antonio Fumiani (Venezia, 1650-1710). Martirio e apoteosi di san Pantalon, 1684-1704, tela, 2500x5000cm. Venezia chiesa di San Pantalon, soffitto (+ particolare) Realizzazione più celebre, enorme soffitto composto da 40 tele montate su tavole. Opera che segna l’esordio della scenografia barocca a Venezia. Fumiani utilizza elementi architettonici in prospettiva (le quadrature) tipici emiliani della tradizione seicentesca. Grande capacità di scorciare le figure, lo vediamo anche in altre opere, come la disputa di santa Caterina a Vicenza. In questo periodo si viene anche a recuperare la tecnica dell’affresco, in auge nel ‘500 ma poi dismessa per problemi di conservazione. I pittori di fine secolo reagiscono alla corrente tenebrosa adottando il nuovo linguaggio chiarista. Reazione che si fonda sul barocco emiliano e romano, dai Carracci a P. da Cortona, ma anche alla rivalutazione di Paolo Veronese fonte d’ispirazione per i veneziani. Andrea Celesti ( Venezia, 1637 - Toscolano presso Brescia 1711) si adegua al linguaggio chiarista. Mosè che fa distruggere il vitello d’oro, 1682-85, tela, 365x360 cm, Venezia, Palazzo Ducale Vi è un desiderio di abbandonare i trascorsi tenebrosi per adeguarsi ai canoni figurativi veronesiani, infatti vi è uno schiarimento dei colori e decorativismo negli abiti. Ciò si nota di più nella sua produzione successiva. Ritrovamento di Mosè, 1700, tela, Reggio Emilia, Galleria Civica Parmeggiani. Vi è decorativismo veronesiano e naturalismo, unità di forma e colore. Antonio Molinari ( Venezia, 1655- 1704) è allievo di Zanchi, quindi di formazione tenebrosa ma poi in maturità evolve verso il chiarismo, creando figure più eleganti e naturalistiche ma eliminando gli aspetti drammatici. Ratto di Elena, 1700-1704, tela, 139x173cm, Northampton, Art Gallery. Traslazione a Venezia del corpo di San Marco, fine del XVII secolo, tela, 262x805cm, Crespano del Grappa, duomo. Nonostante l’impostazione scenica convulsa, è caratterizzata da colori eleganti, e toni schiariti, come la seconda tela, nella quale le figure sono ben disposte ed è di forte realismo. Gregorio Lazzarini (Venezia, 1655 - Villabona, 1730). Giovanile esperienza nell’ambito dei tenebrosi, poi coglie da Forabosco il colorismo elegante. Predilige soggetti religiosi e storie mitologiche, assumendo un ruolo importante e ricevendo incarichi ufficiali sia a Palazzo Ducale che nella cattedrale di San Pietro di Castello. La produzione migliore è quella di tele profane per committenti privati. Orfeo e le baccanti, 1698, tela, 340x520cm, Venezia , Museo Ca’Rezzonico. Dipinta per il procuratore Correr, vi sono elementi classici, che suggestionerà i suoi molti allievi tra cui Tiepolo. Antonio Bellucci (Venezia, 1654 - Pieve di Soligo 1726). Attivo a lungo nei paesi tedeschi e in Inghilterra, pittura molto elegante di stampo neo-veronesiano. Il battesimo di sant’Eusebio, 1689, tela, 240x360cm. Venezia, Gallerie dell’Accademia. Pittura matura, le qualità naturalistiche e le capacità disegnative si fondono con tinte chiare e luminose. Composizione molto affollata, di gusto scenografico, ciò lo ritroviamo nelle dipinti dell’inizio del ‘700 della residenza di Bensberg e in molte commissioni (come Matrimonio tra Johann Wilhelm e Maria Anna Josepha d’Asburgo alla Alte Pinakothek di Monaco, una delle sue realizzazione di maggior significato sia per la composizione che per i colori). I suoi dipinti di carattere mitologico sono molto sensuali. Nicolò Bambini (Venezia, 1651 - 1736 ). È allievo di Mazzoni, ma aggiornato sui decoratori emiliani e romani grazie a viaggi giovanili a Bologna e Roma e a Luca Giordano. Realizza complessi impianti scenografici come negli episodi della vita di santa Teresa. Santa Teresa riceve l’Eucarestia, 1720 circa, tela, 350x230cm, Venezia, chiesa degli Scalzi Vi è una grande imponenza plastica delle figure e un colore luminoso e ricco. abbandonerà più. Tutto ciò sono i fondamenti del rococò Francese, tutti elementi che ritroviamo anche in una pala, capolavoro di Ricci: Madonna e santi, 1708,tela, 406x208cm. Venezia, chiesa di San Giorgio Maggiore Egli soggiorna anche in Inghilterra (1712-16) dove ha contatti con i fiamminghi come Rubens e Van Dyck. Importante in questo periodo sono, oltre all’affresco dell’Ospedale di Chelsea, le pitture dello scalone del Palazzo di Lord Burlington a Piccadilly, ora sede della Royal Academy, ora nella villa di Chiswick e le opere a cavalletto. Bacco e Arianna, 1713 circa, tela, 189x104cm. Londra Chiswick House. Nel ritorno soggiorna un po’ a Parigi e nel 1716 fa ritorno a Venezia e lavora per delle tele per Palazzo Taverna a Roma di grande realismo, naturalezza e maniera che riporta in scena i modelli di P. Veronese. Dal 1724 al 1733 Sebastiano lavora per la Corte di Torino, per la quel dipinge due grandi tele. Susanna davanti a Daniele, 1725-26, tela, 243x440cm. Torino, Galleria Sabauda. (anche Mosè che fa scaturire l’acqua). Passo verso l’ulteriore raffinamento della tecnica, nei colori e impasti preziosi di Ricci, lo schema compositivo rimane uguale, ma cambiano i modi delle figure e il disegno denotando una maturazione del gusto rococò. Ricci mantiene questo stile anche nelle sue ultime commissioni, come per la tela di Mosè che fa scaturire l’acqua da una roccia del 1720 per la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, ora alla fondazione Cini di Venezia o le due pale per San Rocco. Sant’Elena che scopre la croce (anche S. Francesco di Paola che resuscita un bambino), 1734, tela, 400x167cm. Venezia, chiesa di San Rocco. Una composizione d’invenzione geniale, tocco frammentato, aereo e scintillante. Gian Antonio Pellegrini ( Venezia, 1675 - 1741), artista dall’attività innovativa, come Ricci viaggia molto: in Moravia, Vienna, Bologna, Roma, entrando in contatto con la pittura barocca, influssi che gli permettono di dominare gli spazi decorativi, una delle sue caratteristiche principali della sua produzione. Pellegrini, affine allo stile di Luca Giordano, utilizza colori trasparenti e luminosi, egli è meno legato di Ricci alla tradizione del ‘600, è più estroso ed ha un linguaggio aperto che lo mette in testa alla nuova maniera rococò in Europa. In Inghilterra, studia le opere fiamminghe e realizza delle decorazioni brillanti a Castle Howard (affreschi perduti nel 1941), a Burlington House e a Kimbolton Castle. I suoi dipinti da cavalletto decorano e arricchiscono le residenze londinesi, con una caratteristica interpretazione profana, ricca di verve, dei soggetti biblici e storici. Nel 1713 Pellegrini si trasferisce in Germania, dove dipinge nel castello di Bensberg dei pannelli, ora a Schleissheim. Nozze dell’elettore di Sassonia (Entrata trionfale del principe elettore), 1714-16, tela, 345x534cm, Schleissheim, castello. Capolavoro del rococò europeo, festa in costumi settecenteschi, nudità mitologiche e l’enfasi che ricordano Rubens. Dopo l’Inghilterra Pellegrini si reca nei Paesi Bassi, dove gli vengono commissionate due pale d’altare per la chiesa di San Clemente di Anversa, tele che sono andate distrutte ma di cui una possediamo il bozzetto, in cui ritroviamo i colori brillanti e chiari, la capacità espressiva e un tratto rapido e sintetico. Santa Cecilia, 1717, bozzetto, 72,5x40,5cm. Nonostante sia poco in Veneto realizza nel 1735 una pala per la basilica del Santo di Padova, il Martirio di Santa Caterina, opera tarda di maggior significato. Giambattista Pittoni (Venezia, 1687-1767) mediocre tenebroso segue le novità di Balestra e Ricci, e le novità di Luca Giordano e Solimena. Ciò gli permette di definire il suo stile caratterizzato da una vena coloristica vivace e una grande duttilità disegnativa. Predominano soggetti storici e mitologici dando libero sfogo alla sua creatività come Diana e le ninfe e il Sacrificio di Polissena. Diana e le ninfe, 1725, tela, 147x197,5cm. Vicenza, Museo Civico. Sensuale immagine di Diana e del suo corteo sulle rive del fiume, in sfondo, nel paesaggio, vi è l’episodio di Atteone sbranato dai suoi cani. Sacrificio di Polissena, 1735, tela, 134x160cm. Monaco, Alte Pinakothek. Caratterizzato da gestualità teatrale e aggraziata, celando quasi il dramma della vicenda. Pittoni realizza anche opere di carattere religioso più convenzionali come l’Annunciazione del 1757 per l’Accademia di pittura e scultura, ora alle Galleria di Venezia. Jacopo Amigoni (Venezia, 1682 - Madrid, 1752) guarda a Ricci e Pellegrini soprattutto per le opere mitologiche caratterizzate da freschezza e sensualità. Amigoni, senza essere completamente rococò assume le tematiche e le gamme chiare e festose, riscuote un grande successo in Europa, lavora in Germania anche, affrescando i castelli di Nymphenburg nel 1718 e Schlessheim nel 1720-23, tra i monumenti più significativi del barocco bavarese. Ritorna per poco a Venezia e poi si reca in Inghilterra dove approfondisce il campo della ritrattistica raffreddando i colori delle realizzazioni che diventano più lucide. Periodo in cui realizza favole mitologiche come le due grandi tele di Flora e Zefiro e Venere e Adone (in collezione privata ora). Zefiro e Flora, 1729, tela, 213,5x147,3cm. New York, The Metropolitan Museum of Art. Molto raffinata, ampi paesaggi e figure sensuali, forme classicheggianti che possono generare un parallelo con Boucher. Dopo essere ritornato a Venezia Amigoni si reca nel 1747 a Madrid chiamato dal re Ferdinando su suggerimento del cantante Farinelli, in Spagna l’artista si dedica ai ritratti. Ritratto di Farinelli con gli amici, 1750-1752, tela, 172,8x245cm. Melbourne, National Gallery of Victoria. Viene rappresentato Farinelli insieme al poeta Pietro Metastasio, la soprano Teresa Castellini, un paggio che porta la tavolozza allo stesso pittore raffigurato in abiti da lavoro. Non vi è più quel rigido formalismo della sua produzione di ritratti ma inscena un’informale incontro tra amici. Rosalba Carriera (Venezia, 1675-1758), è la ritrattista di maggior successo di aristocratici del ‘700, i suoi ritratti a pastello sono contesi tra le case regnanti e collezionisti di tutta Europa e costituiscono uno dei più alti esiti della cultura rococò. Utilizza la tecnica a pastello oppure la miniatura a tempera su avorio, ma vi aggiunge una caratterizzazione inconfondibile nei colori e negli sfumati assai chiari. Rosalba possiede una notevole fermezza nel disegno (vedi ritratto di Anton Maria Zanetti il vecchio del 1700). Con la pratica della tempera su avorio ottiene molto successo, diventa membro dell’Accademia di San Luca, e in tale occasione vi invia la Fanciulla con colomba, molto raffinata. Fanciulla con colomba, 1705, miniatura, 15x10 cm, Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Corsini. Giambattista Piazzetta (Venezia, 1682 - 1754). Figlio di uno scultore in legno che può avergli fornito i primi rudimenti entra a bottega da Antonio Molinari, tenebroso, che costituisce la base del suo fare artistico. Dopo il 1704 si trasferisce a Bologna dove studia le opere dei Carracci, di Guercino, Cignani e Crespi e ne assume quello slancio innovatore che gli permetterà di crearsi uno stile personale, abbandonando i residui seicenteschi che caratterizzano la sua produzione giovanile, derivati dai legami con i tenebrosi come vediamo nelle opere di genere. Contadinella addormentata, 1720 circa, tela, 66x82cm. Salisburgo, Residenzgalerie. Prendendo spunto da Crespi, Piazzetta recupera la trasparenza viva delle tinte: come nel frammento della pala per la Scuola dell’Angelo custode o nel: Martirio di san Jacopo nella chiesa di San Stae, 1722. In esso vi sono forti contrasti luministici, figure scomposte e di grande passionalità religiosa, elemento base del pittore. Capolavoro decorativo è il soffitto della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo che raffigura la Gloria di San Domenico. Gloria di san Domenico, 1727, tela, 780 x 600 cm. Venezia, chiesa Santi Giovanni e Paolo. Le immagini sono scorciate al margine della quadratura ovale, la spirale ascendente centrale caratterizzata da una luce chiarissima sono sicuramente ispirate dagli affreschi di Crespi a Palazzo Pepoli a Bologna, ma lo slancio delle figure e armonia dei colori sono tipici di Piazzetta. Nuova fase di Piazzetta chiamata del ‘lume solivo’ è inaugurata dall’Assunta, dipinta per l’elettore di Colonia, Clemente Augusto. Fase caratterizzata da un colorismo molto più luminoso. Vi sono anche altri capolavori come: L’indovina e gli Idilli (di Colonia e di Chicago realizzati nel 1740 e 1745) in cui raffina sempre di più il colore. L’Assunta, 1735, tela, 517 x 245 cm, Parigi, Louvre. L’indovina, 1740, tela, 154x115 cm. Venezia, Galleria dell’Accademia. Piazzetta aveva una numerosa bottega che costituirà il nucleo dell’Accademia veneziana, i suoi seguaci però volgono in prosa il linguaggio del maestro seguendo ognuno nuovi indirizzi culturali. Tra i suoi seguaci ricordiamo: Giuseppe Angeli, al quale viene affidata la direzione della scuola, seguace più fedele e bravo disegnatore. (vedi il solletico, Gallerie Accademia); Domenico Fedeli detto il Maggiotto, le cui opere migliori sono scene di genere come La lezione di disegno. La lezione di disegno, 1770 circa, tela, 82 x 110 cm. Treviso, Museo Civico Luigi Bailo. Giulia Lama, ( Venezia, 1681 - 1747) pittrice veneziana, autrice di dipinti di soggetto religioso, con disegno plastico e chiaroscurati. Rapporto con Piazzetta non chiaro, anche lei guarda ai modelli bolognesi ma anche a Bencovich, il lombardo Paolo Pagani e il veneziano Solimena. Dipinti significativi sono Giuditta e Olferne (fine anni ’20 Galleria Accademia), di grande contrasto cromatico e intensità drammatica e la Crocifissione. Crocifissione, 1730, tela, 336 x 152 cm. Venezia, chiesa di San Vidal Vi è maggiore attenzione per le realizzazioni giovanili di Piazzetta. Giambattista Tiepolo Nella pittura veneziana del Settecento merita attenzione la scuola dei pittori di grandi decorazioni che lavora sia per aristocratici che per la chiesa. Prevale la tecnica a fresco e lo stile si ricollega a quello rococò dal quale prende la tavolozza chiara e la grandiosità compositiva. Il pittore più celebre in questo campo è Giambattista Tiepolo (Venezia, 1696 - Madrid, 1770), ritenuto il più geniale artista del secolo. Nato da una famiglia di mercanti, non ancora ventenne s’inserisce nel mondo artistico veneziano, diventando caposcuola della pittura settecentesca veneta e di fama europea. Primo maestro di Tiepolo è Gregorio Lazzarini ma non assimila molto il suo modo di dipingere, ma assimila il metodo di lavoro, imparando a cogliere dalle opere di altri pittori contemporanei o meno elementi lessicali e compositivi rielaborandoli poi secondo il proprio gusto e sensibilità. La fase giovanile di Tiepolo è quindi caratterizzata da opere di stili e colori diversi, ad esempio i 5 soprarchi per la chiesa dell’Ospedaletto di Venezia realizzati nel 1715-16 sono caratterizzati da luci, forme plastiche e massicce e un colorismo drammatico e bruciante di matrice barocca (riprende Crespi, Bencovich e Piazzetta) ma il contemporaneo ritratto del Doge Giovanni II Correr, mostra un colorismo di toni chiari e solari (come Ricci). Modello più significativo per Tiepolo è Piazzetta, dal quale eredita le forme solide e plastiche e la forza compositiva, tipiche degli anni ’20 in cui mostra la sua personalità. Sacrificio d’Isacco, 1724, tela sagomata, 205x390cm, Venezia, chiesa dell’Ospedaletto. Nel 1725 dipinge a fresco sul soffitto di una sala di palazzo Sandi la scena del Trionfo dell’Eloquenza. I colori sono sempre più chiari e vi è più libertà. Il luminismo barocco e il realismo di Piazzetta cedono alla luce chiara di matrice Riccesca, il quel periodo il m a g g i o r p r o t a g o n i s t a d i decorazioni veneziane. Nel 1726 dipinge le dieci grandi Storie romane per il palazzo dei Dolfin (separate ora) e per il patriarca di Aquileia, Dionisio Dolfin realizza tra il 1726 e il 29 gli affreschi con le Storie bibliche del Palazzo Patriarcale, vero capolavoro che va verso la conquista della luce protagonista delle opere future. L’angelo che appare a Sara, 1726-29, affresco, Udine, Palazzo Patriarcale, Galleria. Caratterizzato da colori diafani e cristallini, il disegno delinea le figure quasi senza contorno, la luce diventa medium decorativo, mezzo espressivo astratto su cui muovere le composizioni e ricercare la musicalità, la bellezza e i colori. Scena che presenta le stesse caratteristiche è: Figurazione incentrata sulla figura di Apollo, dio della luce, aperta su un cielo luminosissimo in cui vi sono le apparizioni delle divinità, mentre le figurazioni delle quattro parti del mondo stanno sui lati sui cornicioni. Tiepolo torna a Venezia per commissioni di grande importanza (chiesa della Pietà, Ca’ Rezzonico, palazzo Canossa a Verona, villa Pisani a Stra) giocando con la chiarificazione dei colori. Importanti sono gli affreschi di Villa Valmarana a Vicenza con le Storie dell’Iliade, Eneide, Gerusalemme liberata e Orlando Furioso del 1757. Teti emerge dai flutti per consolare Achille, 1757, particolare di affresco, Vicenza, villa Valmarana. In questi affreschi inizia ad essere anticipata quella vena realistica che caratterizzerà la sua ultima fase, forse prendendo spunto dalla moda neoclassica, forse seguendo l’esempio del figlio Giandomenico, in quale decora nella stessa villa temi legati alla realtà e alla vita quotidiana. Nel 1762 insieme ai figli Giandomenico e Lorenzo, Tiepolo si reca a Madrid per decorare il Palazzo Reale, suo ultimo viaggio. Nel palazzo decora il soffitto della sala del Trono, e successivamente l’anticamera della Regina e la sala degli Alabardieri finendo nel 1766. Opere che vedono la ripetizione di tematiche e modelli decorativi già utilizzati, mentre le sue ultime opere presentano motivi poetici molto più intensi (bozzetti per le pale della chiesa di Arabjuez). Il realismo e il patetismo connota le tele di soggetto religioso di piccolo formato degli ultimi anni della sua vita che nonostante il mutarsi dello stile, cercando di conformarsi alla poetica neoclassica e alle mutate esigenze della committenza. Stile caratterizzato da colori chiarissimi, grafia tremolante e nervosa e una grande intensità poetica. Fuga in Egitto in barca, 1767-1770, tela, 57x44cm, Lisbona, Museo Nacional de Arte Antiga. La galassia tiepolesca Nell’ambito della decorazione su grande scala operano nella prima metà del secolo numerosi frescanti come Mattia Bortoloni, allievo di Balestra, sensibile a Dorigny e alle realizzazioni di Tiepolo, rappresenta un caso abbastanza unico a Venezia. Gloria di san Gaetano, affresco soffitto presbiterio, 1729-1730, Venezia, Chiesa dei Tolentini. Pittura corposa e disegno incisivo. Gaspare Diziani, allievo di Ricci dal quale non si allontana, caratterizzato da un colore disteso con pennellate fluide. Da ricordare sono l’Entrata di Cristo a Gerusalemme per la Scuola Grande di san Teodoro, gli affreschi nei palazzi Rezzonico, Contarini e Wildmann. Un opera giovanile é: Gaspare Diziani, Strage degli innocenti, 1732, tela (riquadro sagomato per sagrestia), 350 x 480 cm, Venezia, chiesa di Santo Stefano. È nelle opere mature di piccolo formato e soggetto erotico-mitologico che vediamo più affinità con Ricci, opere in cui troviamo la parte migliore e spontanea della produzione di Gasparre. Giambattista Crosato, guarda a Ricci e ad Amigoni, dopo alcuni lavori a Torino ritorna a Venezia dove affresca il salone da ballo di Ca’Rezzonico nel 1753 dipingendo sul soffitto Il trionfo di Apollo con le immagini dei quattro continenti e affresca anche i salone della villa dei Marcello a Levada. Apelle ritrae Pancaspe alla presenza di Alessandro, 1756-1758, affresco. Levada di Piombino Dese, villa Marcello. Evidente l’attenzione per Tiepolo, sia nella ricerca di tonalità chiare che nell’impaginazione di alcune scene. Francesco Fontebasso, attivo come frescante in molti edifici veneziani, ad esempio: il soffitto della chiesa dei Gesuiti, in cui sintetizza la varietà e il colorismo di Ricci con la volumetria delle figure di Tiepolo. Mediazione che caratterizza tutta la sua produzione anche negli affreschi di palazzo Contarini a San Beneto in cui vi sono figure immediate e una sapiente regia coloristica. Estate, 1748, affresco. Venezia, Palazzo Contarini del Bovolo. La pittura di paesaggio È un genere del tutto nuovo a Venezia, ma ben presto raggiungerà vertici notevoli ottenendo successo tra i collezionisti locali e stranieri. Il merito di aver portato in auge questo genere va a due pittori non veneziani di nascita ma attivi fin da giovani a Venezia e accomunati da un’esperienza romana: Marco Ricci, nipote di Sebastiano e Luca Carlevarijs. Luca Carlevarijs, (Udine, 1663 - Venezia, 1730) arriva a Venezia nel 1679 e si dedica da subito alla pittura di paesaggio, prende come modello le opere degli artisti della scuola nordica giunti in città alla fine del ‘600 come il Cavalier Tempesta, Conrad Filger, Anton Eismann e Hans de Jode. Fondamentali sono le tele realizzate per palazzo Zenobio, con delle vedute di paesaggio molto drammatiche e chiaroscurate, ma i modi giovanili lasciano spazio a immagini più chiare e serene, conseguenza di un soggiorno romano che rende le sue opere più gradevoli sia dei paesaggi che delle vedute di Venezia. L’attività di vedutista la intraprende all’inizio del ‘700, agli esordi, ed è ad essa che è legata la fama del pittore. Nonostante i paesaggi siano secondari sono d grande interesse, sia per la qualità ma soprattutto perché apre sul mondo veneto una finestra sul mondo reale, fino ad allora marginale. Paesaggio con porto di mare, 1706, tela, 71x115 cm Bergamo, Accademia Carrara Esempio di grande luminosità, importante l’architettura. Marco Ricci, (Belluno, 1676 - Venezia, 1730) opera in modo sostanzialmente diverso. Inizia la sua carriera nella bottega dello zio Sebastiano dipingendo figure, dopodiché si converte tra il ‘600 e il ‘700 al paesaggismo dopo un viaggio a Roma e nell’Italia centrale rimanendo affascinato dalle realizzazioni di Perruzzini e Salvador Rosa. Nelle sue prime opere (come Paesaggio con cavalli che si abbeverano), notiamo tutta la complessità della sua cultura, un mix tra esempi centro italiani e di paesaggi veneti del ‘500 (su esempi di Campagnola e Tiziano). Tutto ciò è pervaso da uno stile drammatico, con toni bruni e chiaroscuro e grande realismo. Fin da giovane mostra la sapienza prospettica, elemento che affinerà nella sua carriera di scenografo, che gli valse fama europea. Con il tempo Marco cambia un po’ stile diventando più sciolto e brillante grazie a contatti con altri artisti e un soggiorno in Inghilterra, per realizzare le scenografie del Royal Theatre di Haymarket, entrando così in contatto con realizzazioni olandesi e fiamminghe. Soggetti tipici delle pitture di Ricci sono ampie vallate con alberi, torrenti, parchi e grandi giardini popolati da persone, edifici classici in rovina in grandi paesaggi, tutto in un gusto quasi pre- romantico, base del paesaggismo veneto. Paesaggio con donna e bambino, 1709, tela, 73x123,8 cm Windsor, Windsor Castle, The Royal Collection. Nell’ultimo decennio di vita produce piccoli paesaggi a tempera su pelle di capretto, raggiungendo esiti di grande luminosità. Veduta della piazzetta verso la piazza, 1720-1730, tela, 100 x 195 cm. New York, Cooper Union Museum (ma anche Piazzetta e la libreria, Ashmolean Museum Oxford). Opere che r ien t rano t ra i p iù a l t i raggiungimenti del vedutismo veneziano del ‘700. Carlevarijs è imitato da Johann Richter ( Stoccolma, 1665 - Venezia, 1745), autore di vedute veneziane meno particolareggiate e un veduta a ‘cannocchiale’. Trascorre un periodo nella bottega di Luca, infatti a causa della somiglianza dello stile e di alcuni soggetti vi sono state difficoltà nell’attribuzione di alcune opere, come ad esempio: Il ponte votivo per la festa della Salute, 1720-1730, tela, 117 x 148,6 cm. Hartford, Wadsworth Atheneum. Attribuita a Luca, a Richter ma anche ad una collaborazione. Spetta a Richter però per la forzatura della trasposizione dei palazzi a sinistra, innaturali e imponenti, elemento che ritroviamo nelle opere dell’autore. Canaletto Astro nascente del vedutismo veneziano è Antonio Canal detto il Canaletto (Venezia, 1697 - 1768). Gli esordi avvengono con il padre, pittore di scenografie teatrali, lavorando con lui per l’allestimento di melodrammi a Venezia e a Roma. Stanco d’inventare scene da teatro torna a Venezia e si rivolge verso la realtà, utilizzando la prospettiva da scenografo nelle vedute che la sua città gli offre. Viene influenzato da Marco Ricci, e ciò lo vediamo nella: Veduta dal Canal Grande da palazzo Corner Spinelli verso Rialto, 1724-25, tela, 146 x 234 cm Dresda, Gemaldegalerie. Canaletto ha successo immediato soppiantando Carlevarijs, apprezzamento che capiamo anche leggendo la corrispondenza tra committenti e mercanti: ovvero tra Marchesini e il collezionista Lucchese Stefano Conti, il quale viene persuaso ad acquistare tele di Canaletto, ora nella Pinacoteca Agnelli di Torino. Una di esse con raffigurato il Ponte di Rialto, ha anche un disegno preparatorio preso dal vero sul quale rappresenta anche gli effetti della luce. In Canaletto vi è la continuità tematica di Carlevarijs ma Antonio ha un nuovo modo di intendere la veduta. Dipinti per Stefano Conti, caratterizzati da una pennellata libera e corposa, non sono ancora all’apice della luminosità di Canaletto, ma vi è contrasto chiaroscurale tra le zone d’ombra e quelle soleggiate, di matrice Riccesca. Una svolta avviene quando entra in contatto con Owen McSwiney, impresario teatrale che lascia l’Inghilterra convincendolo a collaborare con altri per l’esecuzione di due Tombe allegoriche e gli chiede due vedute di Venezia su rame (per il duca di Richmond, quello anche delle tombe). In queste due opere di piccolo formato (1727) Canaletto abbandona i modi chiaroscurali giovanili, preferendo una luminosità intensa che esalta i particolari. Forse ha influito il desiderio di far realizzare a Canaletto opere affini al gusto inglese, ovvero di precisione e vedute particolareggiare, accelerando un processo già in atto. La collaborazione tra i due dura fino al 1730 a causa di ritardi da parte del pittore, intanto Canaletto stringeva legami con l’intermediario che lo avrebbe lanciato in modo definitivo: Joseph Smith, banchiere, mercante, uomo di cultura e collezionista di alto livello. Tra i due si stringe uno stretto rapporto e Smith gli procurerà molte commissioni dal mondo inglese, ma anche per lo stesso Smith Canaletto dipinse, raccolta d’arte che verrà venduta a re Giorgio III comprensiva di circa 50 vedute e oltre centocinquanta disegni. Le primo opere che dipinge per Smith sono ancora caratterizzate dallo stile brunaceo, con pennellata corposa e con figure di grandi dimensioni, giovanile, dopodiché avviene il cambiamento: Venezia inondata di sole, luminosa, animata e precisa nei particolari (come vediamo nelle 12 immagini del Canal Grande dipinte per Smith entro il 1730). La Piazzetta verso la torre dell’Orologio, 1726-1729, tela, 170,2 x 129,5 cm. Windsor Castle, The Royal Collection. Si nota il cambiamento di atteggiamento, ma le sue opere non possono essere considerata ‘fotografiche’ perché adatta la realtà alle proprie intenzioni e alla propria poetica. Egli compiva rilevamenti sul luogo con la camera oscura che poi utilizzava per realizzare il dipinto in studio. Quindi le immagini che produce non sono del tutto coincidenti con la realtà. È nato quindi un dibattito tra chi sostiene che sia un precursore della fotografia e altri che lo ritengono correttamente che ricerchi l’effetto della realtà migliore. Le tele per Smith erano come un campionario per acquirenti inglesi. Agli anni ’30 e ’40 del ‘700 vanno datati alcuni capolavori di Canaletto come: Laboratorio del tagliapietra, 1726-1727, tela, 124x163 cm. Londra, National Gallery. Mostra scalpellini al lavoro nel campo di San Vidal e dall’altra parte del Canal Grande gli edifici della scuola e della chiesa di Santa Maria della Carità, il tutto immerso in un’abbagliante luce solare. Canaletto ottiene molte commissioni da anglosassoni, da ricordare tra quelle per il conte di Carlisle a Castle Howard uno dei suoi massimi raggiungimenti: Veduta del bacino di San Marco,1735-1740, tela, 125 x 204 cm, Boston, Museum of Fine Arts. Scenografica veduta panoramica, ripresa da punti di vista simultanei da posizioni sopraelevate, una forte luce inonda la scena, le acque sono solcate da molte imbarcazioni e da macchiette (figure accessorie disegnate rapidamente solo per animare il paesaggio) e infine vi sono anche numerose architetture, il nuovo campanile della chiesa di Sant’Antonin permette di datare con certezza la veduta a dopo il 1738 quando venne ricostruito. La festa di San Rocco, 1735, tela, 147 x 199 cm. Londra, National Gallery. Altro capolavoro di Canaletto, ricorda la visita del doge alla chiesa in onore della festa del santo e dipinti venivano esposti. Di grande luminosità e descrizione analitica dei personaggi, architetture. Capolavoro di stile maturo per la brillantezza e nitidezza di Canaletto è Veduta dalla riva degli Schiavoni dal bacino del 1740 ora al Toledo Museum of Art (Ohio). Successivamente la produzione canalettiana sembra avere un ripensamento, realizza delle vedute romane su disegno del nipote Bernardo Bellotto e vi è un ritorno ai capricci giovanili (come le sovraporte per Smith). Canaletto ricerca nuove tematiche, forse a causa del mutamento delle condizioni politiche europee, infatti a causa della guerra di successione austriaca si era ridotto il flusso turisti a Venezia e quindi di commissioni. Canaletto decide di andare in Inghilterra nel 1746 entrando in contatto con Sir Hugh Smithson che divenne suo primo committente inglese e suo protettore. In Inghilterra ottiene molte commissioni di rilievo, circa una cinquantina di vedute, tra cui due Vedute dal Tamigi, per il pricipe Lobkovitz. Canaletto da importanza anche al ritrarre la vita quotidiana descrivendola in mondo analitico o usi e costumi degli abitanti. Veduta del Tamigi col ponte di Westminster nel fondo, 1746-1747, tela, 118 x 238 cm. Praga, Narodnì Galerie. Nel 1755 ritorna in patria e riprende l’attività per i committenti stranieri a Venezia. La fase finale della sua vita è caratterizzata da un rinnovo del suo Michele Marieschi e gli altri Da i primi anni ’30 il genere del vedutismo diventa di grande successo, aumentano le commissioni, soprattutto da parte dei viaggiatori stranieri che arrivavano a Venezia con il grand tour. Molti artisti approdano quindi a questo genere dal mondo della scenografia teatrale. Tra questi vi è Antonio Joli, scenografo e vedutista di grande precisione e prospettiva; Jacopo Fabris, attivo soprattutto il Germania e Danimarca, segue Canaletto; Giovan Battista Cimaroli, sia paesaggista che vedutista di fama, numerose le sue commissioni dal mondo anglosassone; Francesco Tironi, celebri i suoi disegni delle isole della laguna, coniuga Canaletto e Guardi. Di notevole spicco è Michele Marieschi (Venezia, 1710 - 1743), la sua attività è molto breve ma il suo catalogo è ampio, vi comprendono vedute e capricci caratterizzati da una pennellata corposa e spazi dilatati. Peculiarità è che Marieschi non dipingeva le figure lasciano il compito a specialisti come Diziani, Guardi e Simonini, infatti notiamo la differenza di tipologia e resa delle macchiette. Nel 1736 dipinge una Veduta del cortile di Palazzo Ducale, ampia e scenografica, caratterizzata da una marcata distinzione tra le zone di luce e d’ombra, luce che illumina ogni particolare. L’ingresso del patriarca Antonio Correr, 1737, tela, 123 x 280 cm, Claydon House, Buckingamshire, National Trust. Mostra il corteo di gondole che accompagna il neo eletto patriarca a bordo di un ‘peatone’ dogale verso il Fondaco dei Tedeschi dove poi sarebbe andato verso San Marco. Veduta che mostra il gusto per gli spazi dilatati tipico della cultura scenografia di Moreschi. Uno dei suoi più significativi capolavori è Ponte Rialto con la riva del Ferro, caratteristica è la ripresa grandangolare che allarga la scena e il modo di dipingere le architetture a pennellate incrociate e sovrapposte con una materia spessa (le macchiette come quelle dell’Ingresso di Correr sono di Diziani). È difficile stabilire una cronologia di Marieschi anche perché il suo stile non muta molto, solo due tele sono databili con sicurezza al 1739 ( Il bacino si San Marco con San Giorgio Maggiore e il Prospetto di San Marco e la riva degli Schiavoni) coppia che presenta nella seconda tela un campanile, di Sant Antonin, completato nel 1738. Opere eccezionali per l’impostazione delle scene con panorami amplissimi, costituendo una sorta di risposta alle realizzazioni di Canaletto. Con Guardi, Mareschini collabora svariate volte, ad esempio nel Canal Grande con la basilica della Salute, Veduta di campo San Gallo ed altre. Il Canal Grande con la basilica della Salute, 1740 circa, tela, 85,5 x101,3 cm, Madrid, Fondazione Thyssen. La pittura di costume: Pietro Longhi La seconda metà de ‘700 è caratterizzata dalla riscoperta della realtà umana e naturale, orientamento che era sorto a Parigi e che, attraverso l’importazione di riviste e libri, trova terreno fertile a Venezia. I pittori quindi si volgono verso la società umana attraverso il ritratto o la pittura di genere. Pietro Longhi (Venezia, 1701 - 1785), offre un’immagine vera di Venezia e della sua vita, dentro e fuori i palazzi. Ideale per il pittore è il quadretto di costume, capace di cogliere sia la fisionomia delle singole persone che l’ambiente e l’atmosfera della società. Nelle sue opere giovanili s’ispira, oltre che alla Francia, alle stampe di Hogarth, creando dei quadretti familiari chiamati anche conversation piece. Grazie agli influssi europei supera il provincialismo della ritrattistica veneta adottando modi raffinati e internazionali, adeguamento anche all’estetica illuminista. Osserva la società molto attentamente, scavando nella verità delle cose, il suo stile è caratterizzato da una pennellata delicata, attenta come una miniatura. Pittore molto moderno, la sua formazione però avviene con Antonio Balestra nel campo della pittura religiosa e di storia. Successivamente Longhi si dedica alle scene di vita popolare e poi esclusivamente a quelli della vita veneziana, adottando una tavolozza delicata ma pungente, con colori distesi e minuziosi. Il concertino, 1741, tela, 60x49 cm, Venezia, Gallerie dell’Accademia. Tra i primi capolavori giovanili, ricco di vitalità anche grazie alla luce che crea ambiente. Il colore è di grande luminosità e sfumature. La lettera del moro, 1751, tela, 62 x 50 cm, Venezia, Ca’ Rezzonico. Episodio di grande freschezza pittorica e spirito descrittivo. Nella modista troviamo la tematica della seduzione. La modista, 1746, tela, 61x49,5 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art. Longhi è ricordato soprattutto come ritrattista di famiglie patrizie soprattutto. Egli finisce la sua carriera dipingendo quadri d’occasione, cronache di eventi curiosi veneziani e di ricordi di famiglia, abbandonando quel colore che caratterizzava i suoi dipinti. La vena satirica di Giandomenico Tiepolo Giandomenico Tiepolo (Venezia, 1727 - 1806), si avvicina alla pittura di costume, figlio di Giambattista. Egli ha un processo stilistico particolare: a lungo sottomesso al padre come suo collaboratore per le grandi imprese decorative, solo più tardi trova la sua vena personale nei soggetti grotteschi e caricaturali come pulcinella, mascherate, zingari, realizzate sia su tela che a fresco o in disegno. Il suo esordio avviene nel 1747 - 1747 realizzando la Via Crucis e altre tele per l’Oratorio del Crocefisso della chiesa di S Paolo a Venezia, opere molto legate al padre. Il suo esordio nella pittura di genere avviene quando lavora a Wurzburg ma soprattutto negli affreschi nella stanze della Foresteria a villa Valmarana (Vicenza). La famiglia dei contadini a mensa, 1757, affresco. Vicenza, villa Valmarana, Foresteria. Rappresentano l’opposto rispetto alle realizzazioni del padre mitologiche nella villa padronale, mostrando la sostanziale differenza dal padre, ovvero la predilezione per rappresentazioni vere. Ciò lo vediamo anche nei dipinti a cavalletto. Il minuetto, tela, 112 x 80 cm. Parigi, Louvre. Solo dal 1770 è libero dalla presenza del padre, Giandomenico si dedica alla produzione grafica creando una serie di grandi fogli con soggetti di spirito caricaturale dando uno scorcio della vita veneziana del ‘700. Periodo in cui crea il suo capolavoro, gli affreschi nella sua residenza estiva, la villa Zianigo presso Mirano, iniziati nel 1759 e terminati nel 1797, ora a Ca’ Rezzonico. Giandomenico irride i comportamenti del suo tempo. Il Mondo novo, 1791, affresco staccato, Venezia, Ca’ Rezzonico + particolare Emerge il senso dell’attesa della novità (il mondo nuovo appunto) che la società veneziana nutriva nei confronti della situazione economica e politica compromessa. Mondo che viene prefigurato con l’ironia degli affreschi della stanza dei Pulcinella.
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