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La poesia di Umberto Saba, Appunti di Italiano

La figura di Umberto Saba, poeta italiano del ventennio fascista. Saba si distingue per la sua estraneità rispetto ai movimenti culturali dell'epoca, influenzato invece da grandi pensatori come Nietzsche e Freud. La sua poesia si concentra sulle pulsioni dell'amore e della morte, e si ispira alla tradizione letteraria italiana, in particolare a Petrarca e Leopardi. La poesia di Saba è definita 'Dell'onestà', in quanto mira a richiamare l'onestà degli uomini e a favorire l'autoconoscenza.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 06/02/2023

J0208
J0208 🇮🇹

4.5

(6)

85 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La poesia di Umberto Saba e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Umberto Saba UMBERTO SABA Ciò che maggiormente distingue la poesia di Saba dal panorama culturale contemporaneo è la sua completa estraneità rispetto a quei numerosi movimenti culturali che attraversano il nostro paese nel primo ventennio del 1900. E’ un’estraneità, quella di Saba rispetto al panorama culturale contemporaneo, determinata dalla de centralità di Trieste rispetto all’ambiente culturale italiano del ventennio fascista. Saba, infatti, non solo nasce e si forma a Trieste, che, come anche per Svevo, era una capitale mitteleuropea, che aveva dei contatti culturali molto importanti, con l’Austria e la Germania, i luoghi in cui in questo periodo si va formandosi una letteratura di carattere moderno, di cui gli interpreti fondamentali sono, ad esempio Kafka, Joyce e Musil; che danno testimonianza del disagio dell’uomo moderno in un era dominata totalmente dall’industrializzazione. Saba, ancor più di Svevo, risente di questa dimensione provinciale di Trieste, il suo rapporto con la città natale sarà uno degli oggetti fondamentali della sua ricerca poetica. Egli non ritiene di aver nulla da spartire con le principali correnti di pensiero/artistiche che si sviluppano in questi anni in Italia, egli non si sente assolutamente legato alle tradizioni futurista e corpuscolare, né tanto meno alle novità introdotte nella poesia da poeti del calibro di Ungaretti e Montale. Quella di Saba è una poesia delle piccole cose, una poesia che Saba definisce “Dell’onestà”. Forte in Saba, invece, si sente l’influenza di grandi pensatori e filosofi, quali ad esempio Nietzsche o Freud, che attraverso la psicoanalisi forniscono a Saba uno strumento per scandagliare l’interiorità della coscienza umana. Lo sguardo poetico, di Saba, sul mondo si muove in direzione del recupero di una naturalità della tradizione poetica, che guarda con grande interesse ai classici della nostra tradizione letteraria, in particolare a Petrarca e Leopardi, che saranno i modelli di riferimento della poesia sabiana. Su questi modelli letterari Saba innesta l’analisi psicologica, che gli viene fornita dagli strumenti della psicoanalisi individuati da Freud, e l’attenzione per la critica alla società borghese, presente in Freud. Sulla riflessione petrarchiana e leopardiana vanno ad innescarsi i grandi sistemi filosofici di Nietzsche e Freud, anche se tuttavia, rispetto all’uso poco ortodosso che fa D’annunzio di Nietzsche, l’attenzione di Saba per la filosofia nietzschiana si concentra soprattutto sulla dimensione dell’aforisma della filosofia nietzschiana, su ciò che c’è di sistematico della filosofia di Nietzsche, piuttosto a ciò che c’è nel sistema filosofico Nietzschiano. I grandi argomenti che affronta Saba nella sua produzione poetica sono fondamentalmente quelli che lui chiama “Eros” e “thanatos”, le due pulsioni fondamentali individuate da Freud all’interno della sua speculazione Umberto Saba filosofica; ossia l’amore (eros) e la spinta a lui contrapposta (thanatos), ossia la morte. La poesia che Saba vuole fare è una poesia che il poeta stesso, all’interno di un articolo del 1911, definisce una poesia onesta; ossia in un mondo caratterizzato dalla finzione, dalla maschera, dalla necessità da parte della società borghese di interpretare un ruolo, Saba sostiene che nella modernità, nel contesto a lui contemporaneo, la poesia abbia la funzione fondamentale di richiamare l’onestà degli uomini; quindi la capacità da parte dell’uomo di guardare dentro se stesso senza filtri, senza l’obbligo di indossare necessariamente una maschera. La poesia diventa, per tanto, uno strumento attuo alla conoscenza, una sorta di terapia utile alla scoperta del se. E’ questa un argomento che avvicina molto la poesia sabiana alla coscienza di Zeno scritta da Italo Svevo; nella coscienza di Zeno, infatti, il dottor S. suggerisce a Zeno Cosini di mettere per iscritto le proprie impressioni, le proprie suggestioni, al fine di imparare a conoscersi e quindi risolvere i propri problemi esistenziali. Questo progetto di scrittura si dimostrerà nella coscienza di Zeno assolutamente fallimentare, non lo è invece nella scrittura di Saba, in quanto la scrittura è funzionale ad una presa di coscienza di se, soprattutto la scrittura poetica, che risente meno, rispetto alla prosa, dei filtri imposti dalla società, e che ha come scopo il determinare l’evidenza dell’io, essa ha la funzione di autoconoscenza. Umberto Saba riflette su alcuni aspetti della vita in maniera assolutamente disordinata, producendo degli aforismi che costituiscono per Saba una fonte inesauribile di curiosità e interesse. Tanto è vero che ciò che a Saba interressa della filosofia nietzschiana è proprio il discorso frammentario sulla vita e in particolare sulle due tensioni portanti della vita, che sono “eros” e “thanatos”, l’interesse per Nietzsche va a trovare una completa definizione nell’analisi della psicologia di Freud, nella conoscenza del pensiero di Freud. L’”eros” e il “thanatos” nella filosofia freudiana sono pulsioni ineliminabili nell’esistenza dell’uomo, che vanno a giustificare quasi ogni azione dell’uomo. Su questi due aspetti della realtà, ossia sull’amore e sulla morte, si concentra l’attenzione di Saba. Queste sono le influenze europee che si possono individuare nel pensiero di Saba, non di minore importanza sono sicuramente le suggestioni che esercitano sulla formazione dell’autore e sulla sua idea di poesia onesta, due autori italiani, Petrarca e Leopardi. In linea con l’idea di voler emulare la grandezza della poesia petrarchiana e leopardiana, la poesia di Saba è una poesia che potrebbe essere definita antinovecentesca. Si parla con Saba di un atteggiamento antinovecentesco, che rifiuta qualsiasi tipo di suggestione proveniente dal secolo in cui egli vive, per andare, invece, ad interessarsi a delle tematiche, delle soluzioni formali, presenti all’interno della poesia dei due più grandi poeti della tradizione letteraria. In particolare Petrarca è un modello di riferimento assoluto, l’opera di Petrarca, il “Rerum vulgarium fragmenta”, anche detto “Canzoniere”, sarà il modello di ispirazione della poesia sabiana, tant’è che la sua raccolta di poesie più importanti venne dal poeta intitolata “Canzoniere” in omaggio alla grandezza del poeta toscano Petrarca. Petrarca concepiva la poesia alla maniera di Saba, come uno strumento di chiarificazione del se, uno strumento di autoanalisi, e all’interno del canzoniere (composto da 356 liriche ad emulare i giorni che compongono l’anno) Petrarca fa i conti con se stesso. Fare i conti con se stesso per un uomo del 1300 significava prendere coscienze dei limbi della propria umanità imposti da un’entità metafisica (Dante). In Petrarca la definizione di umanità è una conquista difficilissima che il poeta opera e trova alla ricerca di se stesso. L’uomo è colui che pur tendendo alla perfettibilità, riconoscendo i propri limiti, è soddisfatto di ciò che l’esistenza gli offre. Questa continua tensione tra la perfezione a cui aspira e la frustrazione che ne consegue in seguito al fallimento dei propri obiettivi, costituisce nella poesia petrarchiana quello che viene definito dissidio interiore ed è proprio il dissidio interiore il tema più caro della produzione di Umberto Saba. La poesia aiuta l’uomo a fare chiarezza di sé, una chiarezza che non è mai limpida, in quanto nell’uomo, come ci insegna Freud, ci sono tante zone d’ombra, per cui è impossibile Umberto Saba sapere a pieno ciò che noi siamo. Come in Svevo la psicoanalisi ha una capacità di aiutare l’uomo tramite il proprio processo di conoscenza che è valido fino ad un certo punto, perché essa non ci offre la certezza delle zone buie della nostra esistenza, essa illumina le zone di luce ma non riesce a catturare quelle ombre che costituiscono una parte così importante del nostro essere. Altro autore ampliamente apprezzato da Saba è sicuramente Leopardi, colui che scrive una poesia che cerca la verità delle cose, una poesia in grado di parlare all’uomo come la poesia antica. Al di là della maschera che la poesia indossa, essa deve essere in grado, a seconda dei secoli in cui viene esercitata, di costituire un’autentica e onesta voce dell’uomo su se stesso. L’opera più importante di Saba è il canzoniere, una raccolta di poesie pensata dal poeta in maniera organica e unitaria. Il Canzoniere vuole essere un progetto di educazione alla vita, nel senso che l’obiettivo che Saba si propone all’interno di questa opera è quello di riuscire ad educarsi alla vita. All’interno del Canzoniere, proprio per l’ecletticità del poeta, si individuano anche elementi narrativi, spesso la poesia si fa quasi narrativa, prosaica; proprio perché Saba rifiutò sempre l’idea di una netta separazione tra generi diversi. Si tratta di un’opera fondamentalmente autobiografica, in cui il poeta mette a nudo se stesso, e in cui diviene personaggio della propria storia. Possiamo definire il Canzoniere un’opera psicologica, un libro totale, in quanto mette a nudo la crescita interiore dell’autore attraverso lo strumento di autoanalisi, quale la poesia. L’organizzazione del Canzoniere, così come oggi ci si presenta, come opera organica e unitaria, si realizza a partire dal 1919 ed è un testo che subì moltissime riedizioni e modificazioni. Le più importanti sono quella del 1919, che possiamo considerare la prima, l’edizione del 1921, in cui Saba mette mano ad un progetto che potremmo definire totalizzante dell’opera, e l’ultima quella del 1945, che rappresenta un preludio all’edizione ultimissima del 1961, che si articola in tre parti che il poeta chiama volumi. Nell’edizione definitiva il Canzoniere si struttura in tre parti ben contraddistinte tra di loro e all’interno delle singole parti si individuano a loro volta delle sezioni organizzate per temi, che contengono una strutturazione di tipo tematica. Altro elemento fondamentale della poesia sabiana è il tentativo di aggiustare la lacerazione, il dissidio interiore, dell’uomo moderno attraverso la misura della poesia, l’attenzione formale estrema alla pressificazione; quasi come se attraverso la parola scritta, la parola poetica, si tentasse di curare la lacerazione esistenziale dell’uomo moderno. La poesia non soltanto ha il compito di promuovere l’autoanalisi, dell’uomo moderno, ma ha anche il compito di tentare di disciplinare, di far pulizia, sul caos interiore che è la parte costitutiva della nostra coscienza. Umberto Saba La poesia ha una doppia funzione: 1) l’autoanalisi, 2) riordinare il caos interiore. La parola diventa onesta, ossia risente molto delle scelte lessicale pascoliane senza indulgere, tuttavia troppo, su quel linguaggio che Contini aveva definito pre- grammaticale nella poesia di Pascoli, ne tanto meno nel linguaggio post- grammaticale, ossia nell’abbondanza di tecnicismi. Il lessico della poesia di Saba è quotidiano, è il lessico della quotidianità, che per alcuni versi ricorda la poesia dei corpuscolari, quindi una poesia fatta di piccole cose descritte nel piccolo mondo in cui abitano. Altra annotazione importante sulla poesia di Saba è su l’estenuante ricerca della musicalità del verso e la tendenza a una versificazione regolare che si sostanzia soprattutto di endecasillabi e di settenari. L’endecasillabo, verso più lungo della tradizione italiana, da ha Saba la possibilità di fare una poesia prosaica, esplicativa, con tendenza alla documentazione. Umberto Saba “CRITICA DI MARIO LAVAGETTO” La contrastata accoglienza che i critici riservarono a questa discussa lirica di Saba sollecitò vive e risentite reazioni da parte dello stesso autore, che mise in guardia i suoi lettori dall’apparente inganno della semplicità del testo. Il critico Mario Lavagetto nel suo saggio “La gallina di Saba” operando con prudenza e cercando di attenersi a testi poetici e in prosa, ha cercato di indagare a fondo il rapporto tra il poeta triestino e la psicoanalisi. In questo suo lavoro di ricerca, ha individuato due momenti e testi fondamentali per comprendere la complessità del rapporto che lega Saba alla psicoanalisi come strumento di interpretazione della sua arte. Il critico raccoglie dunque la sfida di Saba e sonda al confine analisi, l’alta, anche se dissimulata, elaborazione formale di A mia moglie, che si colloca all’incrocio fra una preghiera laica e un moderno bestiaio da aia domestica, erede soprattutto della gallina che ripete il suo verso nella leopardiana “Quiete dopo la tempesta”. A prima vista (critica Lavagetto 1940) il testo non presenta nessuna difficolta eppure Saba si lamenta con particolare fervore dei suoi critici e li accusa di aver frainteso e distorto il senso di una lirica trasparente e dotata di una perfezione formale tanto alta da non parere elaborata. La struttura semplicissima può far pensare a una Lucania, fondata com’è su strofe di alterna lunghezza. Ognuna delle quali provoca l’emergenza di una femmina animale, la definisce e fissa allo stesso tempo un’apparizione di Lina (la moglie). Così si edifica, senza strati, un piccolo sistema al centro del quale troviamo Lina, che acquista spessore, si individuano i contrasti, diviene lentamente sé stessa attraverso successive metamorfosi. Intorno al lei gravità un singolare bestiaio, nel quale gli animali, come sempre in Saba, non sono contro figure umane o corpi di categorie morali, ma portatori di un enigma che Saba interroga nelle profondità di questi nomi tutelari, di questi pazienti testimoni, sprovvisti sempre del dono o del vizio di parlare, e sempre legati organicamente al mondo dell’infanzia. La pollastra, la giovenca, la cagna, la coniglia, la rondine, la formica, l’ape; tutte le femmine di tutti i sereni animali si sgranano davanti a noi realizzando il miracolo della mutevole identità divina che costituisce il perno della poesia. Le immagini, alla fine, non si presentano come una serie di addendi ma si aprono l’una dopo l’altra, l’una sull’altra senza fratture, concentricamente. La prima è quella che rompe la superficie, la più evidenziata e accanita, le altre si dilatano intorno con tante variabili di apparizione. Pian piano più rapide, più tenui, fino a spegnersi nella totalità. Il tono di favola, la dolcezza delle immagini così familiari e incantate, fanno pensare ad un esodo ebraico, ma le parole, a prenderle nel loro pieno significato, ci portano più avanti. Se la poesia Umberto Saba è un ricordo di infanzia, se su Lina si allunga l’ombra dell’animale sacro, allora la donna è ancor ipotecata, soggetta alla madre (eterno femminino, archetipo della donna, unione di ogni tipo di donna), occupa uno spazio determinato e ne rimane prigioniera. A questo punto basta rileggere la poesia per accorgersi come l’elemento che unisce le singole immagini e le collega, fa dell’una la progressiva silenziosa anticipazione dell’altra, è la maternità (ciò che domina all’interno di questa lirica non è la donna sensuale, ma è una donna che ha con tutte le specie in comune il dono della vita, la capacità di essere il fulcro della vita e di saperla difendere, Lina è l’incarnazione di un’idea di madre assoluta e totale che nella vita di Saba è mancata). Umberto Saba “TRIESTE” Trieste è tratta sempre dal canzoniere, si tratta di una poesia di endecasillabi e settenari alternati, con versi più brevi a descrizione dell’autore, su uno schema libero e su un gioco di rime assolutamente arbitrario. E’ una delle poesie più famose all’intero del Canzoniere, ed è una poesia in cui Saba mette a nudo l’amore per la propria città. All’interno di questa poesia Saba canta il suo rapporto d’amore profondo con la città che gli ha dato i natali. La poesia è in un certo senso pensata, strutturata, secondo una logistica che ricorda L’infinito leopardiano, ossia il poeta si trova in un cantuccio a contemplare di fronte a sé la propria città e la descrive non con oggettività, ma con la propria interiorità. La città è interiorizzata nel poeta. All’interno della città c’è un cantuccio in cui il poeta si sente quasi come in un grembo materno, protetto dalla bestialità e dalla violenza della contemporaneità. La poesia risulta divisa in tre diversi momenti strutturali. La prima strofa che inizia con una annotazione quasi prosaica, con un tono prosaico, quasi recitativo, in cui si racconta un fatto di cronaca, ossia l’attraversamento da parte del poeta della propria città, che viene presentata come un luogo abituale per il poeta, caratterizzato da posti che sono conosciuti e cari al poeta. La seconda parte corrisponde alla seconda strofa, la quale è caratterizzata da una contemplazione quasi a volo di uccello sopra la città, in cui il poeta analizza la propria città rendendola quasi il prototipo di un’umanità più vasta. E’ come se Trieste incarnasse, per il suo aspetto astro, come lui lo definisce, per la sua grazia scontrosa, il mondo a cui il poeta non si sente preparato. Un mondo così vasto e totale in cui il poeta sembra quasi sentirsi perdere, per ritrovare nella sua Trieste quel cantuccio di serenità in cui la sua vita acquisisce una forma. E’ proprio, infatti, nella terza strofa che Trieste viene definita il luogo felice; quello che nella psicologia moderna viene chiamato il proprio posto felice, ossia il luogo in cui il poeta si sente nella propria confort zone, da cui riesce a guardare il mondo. Moltissimi sono, all’interno della poesia, gli enjambements che danno una scorrevolezza e una dimensione prosaica al testo e che fanno si che Trieste occupi tutto il campo visivo dell’autore. Molto importante è il chiasmo che troviamo al verso 3 “popolosa in principio in là deserta”, che va a definire Trieste. Dopo la prima introduzione paesaggistica si va affermando una visione ad uccello sulla città, che ricorda molto il sabato del villaggio di Leopardi, uno sguardo che dall’alto si abbassa alla vita. Altra contestualizzazione si può fare con l’infinito di Leopardi sia per l’idea della contemplazione a distanza su un orizzonte vasto, sia per la presenza ossessiva di enjambements che sembrano rincorrersi nella definizione di uno spazio che quasi
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