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Regolamenti Parlamentari e Sindacabilità: Un Limite alla Disciplina delle Camere, Sintesi del corso di Diritto Costituzionale

Sulla sindacabilità dei regolamenti parlamentari e il loro ruolo nella definizione di organi interni delle camere, componenti, procedimenti, strutture di servizio e rapporti con i terzi. La giunta per il regolamento, le qualificazioni di tali atti come fonti del diritto parlamentare, e la rilevanza degli statuti dei gruppi. Viene inoltre analizzato il mandato delle commissioni e le loro funzioni consultive, sia nei confronti del governo che nel procedimento legislativo.

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 07/09/2012

gilloo
gilloo 🇮🇹

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Scarica Regolamenti Parlamentari e Sindacabilità: Un Limite alla Disciplina delle Camere e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! CAPITOLO 1 – LA POLITICA E I SUOI LIMITI: DIRITTO PARLAMENTARE E DIRITTO COSTITUZIONALE 1. Una definizione di diritto parlamentare Con il termine diritto parlamentare si fa riferimento al complesso di norme che disciplinano l’organizzazione interna delle Camere, l’esercizio delle loro funzioni e i rapporti con gli altri organi (costituzionali e di rilevanza costituzionale) e con i soggetti terzi. Nell’ordinamento italiano,la nozione di diritto parlamentare può perciò a buon titolo esser utilizzata per riferirsi alle regole che si applicano nelle due Camere in cui si articola in Parlamento repubblicano. Tanto più alla luce della giurisprudenza della Corte Cost. che ha ritenuto la dizione di Parlamento non estendibile ai Consigli regionali (sent 106\2002 decidendo su un conflitto di attribuzioni sollevato dallo Stato annullando una delibera del Consiglio regionale della Liguria,la quale stabiliva che in tutti gli atti dell’assemblea regionale alla dizione costituzionalmente prevista di Consiglio regionale della Liguria fosse affiancata la dizione Parlamento della Liguria) sulla base di due argomenti: • il nomen Parlamento non ha un valore puramente lessicale ma possiede anche una valenza qualificativa,connotando,con l’organo, la posizione esclusiva che esso occupa nell’organizzazione costituzionale • solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale,la quale imprime alle sue funzioni una caratteristica tipiga e infungibile. 2. Il diritto parlamentare come avanguardia del diritto costituzionale Nella prospettiva qui utilizzata, il diritto parlamentare deve considerarsi come una branca del diritto pubblico e, più specificamente, del diritto costituzionale. Il legame tra il diritto parlamentare e quello costituzionale è evidente anzitutto se ci si pone in chiave storica. Sin dalla fine del ‘700 la rivendicazione di organi denominati Assemblee elettive o Parlamenti è andata di pari passo con la richiesta di Carte costituzionali: la disciplina di tali Assemblee si configura perciò come un loro contenuto necessario. In assenza delle Assemblee rappresentative, le costituzioni ottocentesche, infatti, sarebbero inidonee a raggiungere i loro principali obiettivi. Viene dunque naturale che tutte le Carte costituzionali ottocentesche fissino, anche con un certo grado di dettaglio, i caratteri strutturali delle Assemblee rappresentative e ne definiscano le funzioni fondamentali. È attraverso tali Assemblee, infatti, che si pongono concretamente in essere quei principi della democrazia rappresentativa che le dottrine politiche avevano teorizzato come l’unica forma di democrazia compatibile con la dimensione dello Stato moderno. Il legame del diritto parlamentare con il diritto costituzionale emerge con altrettanta chiarezza se si guarda ai caratteri contenutistici propri del costituzionalismo e dello Stato di diritto. Se si ritiene infatti che per l’esistenza di una Costituzione occorrano la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri, ecco allora che i Parlamenti concorrono sia alla prima, mediante l’esercizio della funzione legislativa, sia alla seconda, ponendosi evidentemente come un limite all’azione del sovrano e del suo esecutivo. Il diritto parlamentare può considerarsi come una sorta di “avanguardia” del diritto costituzionale: una disciplina della quale è talvolta particolarmente arduo cogliere il carattere prescrittivo, ma proprio per questo di grande interesse per misurare fino a che punto si spinge il principio dello Stato di diritto. CAPITOLO 2 – LA STORIA DEI REGOLAMENTI PARLAMENTARI La caratteristica dominante nella storia del diritto parlamentare è costituita da un'evoluzione nel senso della continuità. (rarissimi sono i cambiamenti radicali o drastici essendo preferito perlopiù procedere con innovazioni parziali e, talvolta dichiaratamente approvate a titolo provvisorio o sperimentale secondo una logica riformatrice di tipo novellistico e incrementale). La scelta della continuità è in linea con la necessità di assicurare un buon funzionamento dell'Assemblea. Allo stesso tempo però la disciplina dei regolamenti va ad incidere, talvolta in modo determinante, sui rapporti tra Governo e Parlamento, in attuazione-integrazione della normativa costituzionale che ne delinea i caratteri fondamentali. Da questo punto di vista , il metodo della continuità determina oltre il rischio di dare origine a testi disorganici,mal coordinati e privi di ratio unitaria , il pericolo di legittimare la permanenza in vigore di regolamenti parlamentari non in sintonia con il quadro delineato dalla costituzione. =>storia dei regolamenti parlamentari capitolo non secondario della storia costituzionale italiana. Esemplare è proprio l'evoluzione del rapporto intercorrente tra i regolamenti parlamentari e lo statuto albertino: è noto infatti che lo statuto albertino delineava una forma di governo costituzionale pura , mentre nella prassi parlamentare si andò progressivamente delineando una forma di governo di tipo parlamentare detta <pseudoparlamentare>. Durante lo statuto albertino il percorso evolutivo fu molto faticoso e vide il Governo dibattersi tra una doppia legittimazione: una di tipo monarchico e una di tipo rappresentativo. In questa evoluzione, il diritto parlamentare esercitò a pieno titolo la funzione di fondamentale elemento di sostegno allo sviluppo della forma di governo "oltre", se non "contro" la lettera dello statuto. L’epoca statutaria: Nel 1848, all'indomani della concessione dello statuto albertino, la Camera dei deputati e il Senato regio procedettero all'adozione ( in attuazione di un articolo dello Statuto ai sensi dei quali ciascuna Camera determina per mezzo di un suo regolamento interno il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni)di un regolamento provvisorio non elaborato autonomamente, ma preparato dal Governo presieduto da Cesare Balbo, su modello di quello francese. Si trattò di un lavoro non originale, frutto di una delibera assunta senza discussione Lo statuto albertino, rivolgeva ampia attenzione alla disciplina strutturale e funzionale del Parlamento e dedicava 32 articoli alle due Camere. Di questi 6 articoli disciplinavamo il Senato del regno con l’indicazione analitica analitica delle categorie entro le quali Re poteva nominare i senatori, nove riguardavano la Camera dei deputati, della quale era invece sancito il carattere elettivo e la durata quinquennale, infine 17 art contenevano disposizioni comuni alle due Camere, tra queste emblematica era la previsione sulla obbligatorietà dello scrutinio segreto nella votazione finale delle leggi. Nell'organizzazione del procedimento legislativo il regolamento provvisorio della Camera statutaria adottò il "sistema degli uffici" per l'esame delle proposte di legge, a scapito dei modelli alternativi: quello delle 3 letture, nel quale cioè l'Assemblea procede a 3 tipi di esame di ciascun progetto di legge; e quello delle commissioni permanenti specializzate per materia. Gli uffici erano collegi minori di carattere temporaneo la cui composizione derivava da un’estrazione a sorte tra i nomi di tutti i parlamentari e quindi non rispecchiava la composizione politica dell’assemblea [ né poteva in alcun modo essere proporzionale ai gruppi parlamentari dal momento che questi nelle camere statutarie non esistevano (e neppure di veri e propri partiti si poteva ancora parlare). Deputati e senatori si articolavano secondo aggregazion di carattere personale e territoriale e solo assai genericamente li si poteva ricomprendere all’interno di 1 formazioni quali destra o sinistra storica( cmq privi di ogni forma di organizzazione extraparlamentare)]Presentato il progetto di legge era inviato a tutti gli uffici ciascuno di essi procedeva a una discussione informale al termine della quale eleggeva al suo interno un relatore. Tutti i relatori eletti andavano a costituire una commissione la quale esaminava ed emanava il progetto di legge presentandolo all’assemblea correlato di una relazione Il Senato si diede il suo regolamento definitivo nel 1850, la Camera nel 1863 ma quello definitivo nel 1868. Con il regolamento del 1868, si registrò un tentativo di introduzione del metodo delle 3 letture ma il tentativo fallì. Nel 1886 fu creata alla Camera, come organo permanente, la commissione ( poi giunta) per il regolamento, i cui membri, anzichè essere estratti a sorte, erano nominati dal Presidente dell'Assemblea.(passaggio dall’idea di riforma d’insieme rivelata illusoria a quella di manutenzione regolamentare da realizzarsi attraverso la codificazione degli usi e l’esperienza) La commissione per il regolamento si fece promotrice, nei due anni successivi, di una serie di modifiche puntuali, note nel loro complesso come riforme "Bonghi". Da qui si assistì a un periodo di < crisi di fine secolo> con un governo di destra che propose una serie di misure di restrittive e si scatenò l'ostruzionismo delle sinistre. Allo scopo di superare tale ostruzionismo si adottarono misure regolamentari intese a superare il problema nel merito e poi nel metodo. Tutto ciò portò allo scioglimento anticipato e a nuove elezioni,la nuova camera ebbe buon gioco nell'azzerare le riforme parlamentari, Villa( presidente camera) costituì una commissione incaricata di predisporre un nuovo regolamento. Questo stabilì che la commissione per il regolamento sarebbe stata presieduta stabilmente dallo stesso presidente dell'Assemblea e che i membri dell'ufficio di presidenza sarebbero stati eletti con voto limitato, in modo da assicurare la rappresentanza delle minoranze. A soluzioni analoghe giunse anche il Senato. In questo modo, si posero le precondizioni per una fase di relativa stabilità parlamentare e regolamentare, in coincidenza con l'età giolittiana. Nel corso di questa fase va segnalata, nel 1912, l'introduzione dell'indennità parlamentare: questa fu prevista a titolo di rimborso delle spese di corrispondenza, in modo tale da evitare un contrasto con l'art. 50 dello statuto ai sensi del quale le funzioni di senatore e di deputato non potevano dare luogo ad alcuna retribuzione o indennità. Un vero e proprio momento di svolta si ebbe nel primo dopoguerra, subito dopo l'adozione di una legge elettorale di tipo proporzionale, con cui il sistema politico-istituzionale provò a rispondere all'ingresso delle masse nella vita pubblica e allo sviluppo dei partiti politici: si ritenne infatti che all'adozione di un nuovo sistema elettorale proporzionale, e al nuovo ruolo spettante ai partiti, dovesse corrispondere un'organizzazione parlamentare per gruppi e commissioni permanenti, in modo da superare i limiti di un regime parlamentare fondato sull'individualismo e sul legame territoriale e da assicurare un rapporto più stretto con l'esecutivo. La camera approvò nel 1920 dieci nuovi articoli, non inseriti nel corpus del regolamento allora vigente,relativi ai gruppi parlamentari e alle commissioni permanenti. Ciascun deputato anziché esser sorteggiato in un ufficio,era tenuto,sulla base della proprio affiliazione politica, ad iscriversi ad un gruppo, in caso contrario finiva automaticamente in gruppo detto "misto". Ai gruppi era poi affidata la designazione dei propri rappresentanti nelle commissioni permanenti,articolate per materia. Si ritenne di aumentare il numero delle commissioni permanenti e l'obbligo per ogni deputato di far parte di una commissione permanente. Si delineò così il modello organizzativo del "Parlamento dei partiti" che ebbe durata assai breve per effetto dell'avvento del fascismo. Nell'aprile 1924 fu votata una mozione a prima firma di Dino Grandi, con la quale si dispose l'abrogazione delle modifiche parlamentari del 1920-1922 e il ritorno conseguente al sistema degli uffici. Si manifestò così il disprezzo del il fascismo verso la rappresentanza proporzionale e i partiti politici. Questo disprezzo si manifestò poi con la riduzione di quasi tutti i diritti riservati alle minoranze. Si aprì così un periodo di modifiche che segnò pesanti divieti,come il divieto di mettere all'ordine del giorno un argomento che non fosse stato deciso dal capo di governo, l'obbligo per i cittadini di eleggere candidati che si trovavano in un'unica lista composta dal Gran consiglio del fascismo ed infine la sostituzione della Camera dei deputati con la Camera dei fasci e delle corporazioni. Furono create 12 commissioni legislative specializzate per materia e dotate di poteri deliberanti. Ovviamente tutti i membri del nuovo modello istituzionale( camera dei fasci) non venivano eletti ma scelti dal capo di governo. Il Senato invece restò in piedi durante il periodo fascista, sia perchè era un organo assai vicino alla monarchia sia perchè il suo carattere non elettivo faceva si che fosse più agevole mantenerne il controllo anche attraverso la tecnica delle "infornate"di senatori. Fu tolta ai senatori ogni autonomia legislativa e qualsiasi libertà di discussione e di critica. La fase transitoria e l’avvio(con i vecchi regolamenti)del Parlamento repubblicano Nel "periodo costituzionale transitorio" , in quello cioè, in cui si ricostruì l'assetto istituzionale italiano all'indomani della fine del fascismo e che si concluse con l'entrata in vigore della costituzione , si guardò subito al sistema parlamentare come lo si era lasciato prima del fascismo. Fu istituita la Consulta nazionale , composta da 400 membri su designazione dei partiti del comitato di liberazione nazionale , dotato di poteri consultivi. Venne previsto per essa che fino a quando non avesse deliberato il proprio regolamento interno si osservassero, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel regolamento della Camera dei deputati in vigore prima del 28\10\1922(marcia su Roma) La consulta si avvalse della pox di adottare nuove norme regolamentari dedicò infatti una parte rilevante del suo lavoro alla elaborazione di tali regole. L'Assemblea Costituente diversamente non creò un nuovo regolamento interno ma adottò solo modifiche a quello previgente, poichè riteneva più urgente dedicarsi all'elaborazione della nuova Costituzione. Nella prima seduta la Camera dei deputati lasciò in vigore il regolamento del 1922implicitamente non ponendosi neppure il problema. Solo nel 1949 fu approvato un significativo insieme di modifiche al regolamento, un intervento diretto essenzialmente ad abolire i procedimenti delle 3 letture e degli uffici; ad adeguare la dizione di alcuni articoli alle nuove istituzioni ( sostituzione della parola re con quella di presidente della Repubblica); e ad inserire nel regolamento talune disposizioni della Costituzione che si riferiscono direttamente al funzionamento delle Camere. Per il Senato invece la situazione fu differente, quest'organo attraverso il lavoro della giunta per il regolamento elaborò un nuovo testo che fu approvato con voto quasi plebiscitario(1 solo voto contrario).Le differenze rispetto alla Camera erano consistenti: diversa disciplina del voto segreto e delle modalità di revisione regolamentare; l'articolazione in giunte e commissioni. Il regolamento del Senato prestò maggior attenzione alle disposizioni della Costituzione , dedicando attenzione ai procedimenti speciali appena introdotti. Ulteriori differenze si notano sopratutto per le successive modifiche, durante la prima legislatura la Camerà adottò 2 leggi ordinarie. Nell’ambito dei regolamenti “altri” rispetto a quello generale occorre operare una fondamentale distinzione, a seconda del relativo procedimento di formazione. Da un lato, si pongono i regolamenti approvati dall’Assemblea dell’una o dell’altra Camera, con le medesime procedure, inclusa perciò la garanzia della maggioranza assoluta, richieste per il regolamento maior e in genere con l’aggiunta di una consultazione dell’organo collegiale interessato; dall’altro, si collocano i regolamenti approvati dall’ufficio di presidenza della Camera o dal consiglio di presidenza del Senato. I regolamenti rientranti nella prima categoria si possono denominare regolamenti speciali: si tratta di sezioni specializzate dei regolamenti generali, dotati perciò del medesimo rango e abilitati anche a derogare, per la parte di propria competenza, alle prescrizioni dei regolamenti generali. Per quelli che appartengono alla seconda categoria, li si può denominare regolamenti minori o di diritto parlamentare amministrativo. Ad una categoria spuria, in qualche modo intermedia tra le due prima esaminate, appartiene invece il regolamento della commissione bicamerale per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Non molto diversa appare la collocazione dei regolamenti approvati dalle commissioni di inchiesta. I regolamenti minori costituiscono, insieme con il rispettivo regolamento generale, un sottosistema di norme che nell’ordinamento generale dello Stato si inseriscono come “un unico complesso tutto dotato dell’efficacia delle norme primarie”. All’interno di ciascun sottosistema, poi, “i regolamenti minori occupano una posizione subordinata rispetto a quella del regolamento della Camera cui si riferiscono” e non possono perciò porsi in contrasto con essi a piena invalidità. 3. Le leggi ordinarie e il loro “intarsio” con i regolamenti parlamentari La legge ordinaria è tutt’altro che esclusa dal diritto parlamentare anzi è la stessa Costituzione a richiederne l’intervento specie nella procedura elettorale: ecco dunque le leggi elettorali e leggi che individuano i casi di incompatibilità e di ineleggibilità (leggi che non esauriscono la loro efficacia al momento dell’insediamento delle nuove Camere.) Anche al di là delle riserve di legge previste in Costituzione( come previsto ad es implicitamente in materia elettorale) la legge ordinaria tende ad essere ampiamente utilizzata tutte quelle volte in cui si intende dettare norme che richiedono la costruzione di procedimenti parlamentari nei quali occorre delineare le posizioni giuridiche soggettive(di obbligo,soggezione,onere) di soggetti esterni alle Camere. Il primo esempio di questo “intarsio” tra la legge e il regolamento parlamentare è costituito dalla legge 14\1978 che introdusse il parere obbligatorio ma non vincolante delle commissioni parlamentari sulle nomine dei vertici degli enti pubblici. Del resto è proprio nel corso dell’iter parlamentare di tale legge che la giunta per il regolamento del Senato ebbe modo di porsi il problema dei limiti in cui una legge potesse intervenire a disciplinare le procedure parlamentari, risolvendo nel senso che la legge stessa se può attribuire una competenza ulteriore alle commissioni parlamentari, non è però abilitata a individuare le modalità attraverso cui essa vada esercitata nè i tempi per l’espressione del parere. Tant’è che si decise di modificare i regolamenti delle due camere al fine di dettare almeno alcune regole essenziali nei casi in cui il governo sia tenuto per legge a richiedere un parere parlamentare in ordine ad atti che rientrino nella sua competenza. (Un intarsio tra legge e regolamento parlamentare si è verificato anche con riferimento alle procedure comunitarie e a quelle finanziarie) Vi sono differenze tra la legge ordinaria e il regolamento parlamentare: - procedimento formativo: la legge è bicamerale a maggioranza semplice, il regolamento è monocamerale a maggioranza assoluta - regime giuridico: la legge è soggetta al vaglio del Presidente della Repubblica e al sindacato di legittimità costituzionale; inoltre, essa può essere abrogata totalmente o parzialmente attraverso il referendum Il panorama appena delineato fa sì, dunque, che l’ambito materiale riservato integralmente e in via esclusiva al regolamento parlamentare risulti, in definitiva, piuttosto limitato e che, invece, non manchino aree sulle quali si sovrappongono norme legislative e dei regolamenti parlamentari. Ciò comporta che, riguardo a tali aree, occorra individuare un criterio per la risoluzione delle possibili antinomie tra legge e regolamento parlamentare. In proposito, una parte della dottrina ha sostenuto il criterio cronologico. Altra parte della dottrina nega invece che sussista un problema di tal fatta, ritenendo che tra i due atti-fonte si realizzi una sofisticata divisione dei compiti, in nome del principio di cooperazione, idonea tendenzialmente ad impedire ogni forma di antinomia tra legge e regolamento parlamentare. 4. Gli statuti dei gruppi, dei partiti e delle coalizioni: fonti di diritto parlamentare? Fonte del diritto parlamentare è ritenuta da alcuni altresì la normazione interna ai singoli gruppi parlamentari: dunque, i regolamenti dei gruppi parlamentari (ove esistenti); e, più a monte, anche gli statuti dei partiti cui essi in genere corrispondono, o persino delle coalizioni (ovviamente, nella misura in cui tali atti dettino norme relative all’attività parlamentare dei propri membri). È evidente che le qualificazioni di tali atti come fonti del diritto parlamentare appare tutt’altro che pacifica dipendendo dalla scelta di campo adoperata dai diversi autori circa la natura giuridica dei gruppi parlamentari: se si propende per la lettura di essi come associazione tra privati o come organi dei partiti politici è ben difficile qualificare come fonti del diritto anche in senso lato i relativi regolamenti; se si pota per essi come organi delle camere è arduo sostenere che le regole che essi si danno ,che spesso limitano i diritto attribuiti al singolo parlamentare dalla costituzione, siano giuridicamente del tutto irrilevanti. [In ogni caso, relativamente a tali atti sussiste un grave problema di pubblicità in quanto gli statuti dei gruppi parlamentari appaiono poco conoscibili.] Una rilevanza nell’ordinamento parlamentare degli statuti dei gruppi è stata sancita dall’art 53 comma 4 r.S. introdotto nel 1988 il quale richiede che i regolament interni dei gruppi parlamentari stabiliscano procedure e forme di partecipazione che consentano ai singoli senatori di esprimere i loro orientamenti e di presentare proposte sulle materie in discussione. Molto si discute intorno al valore di tale prescrizione: secondo alcuni norma inutile o cmq di carattere meramente esortativo poiche caratterizzata dall’assenza di sanzioni; altri tendono a valorizzarla ritenendo come essa abbia posto fine al tradizionale atteggiamento di indifferenza tenuto dai regolamenti parlamentari rispetto agli interna corporis dei gruppi, delieando uno schema tipo di statuto con forti limiti all’autonomia della disciplina di gruppo. 5. Le fonti-fatto 5.1. Le consuetudini costituzionali Come è noto, le sole vere e proprie fonti-fatto sono costituite, nel nostro ordinamento, dalle consuetudini: vale adire, da comportamenti ripetuti nel tempo e tenuti in quanto reputati giuridicamente obbligatori. Esse trovano ampio spazio nel diritto parlamentare, caratterizzato, da un tasso particolarmente alto di politicità, e perciò da un intenso bisogno di flessibilità. Esempi di 5 consuetudini rilevanti per il diritto parlamentare sono la questione di fiducia, l’immunità di sede e la non partecipazione del Presidente di Assemblea alle votazioni che in quell’Assemblea si svolgono. Vi è poi una consuetudine di tipo orizzontale, in quanto interessa, almeno potenzialmente, tutte le regole dettate dai regolamenti parlamentari: si tratta della già ricordata consuetudine nemine contradicente, che consente di derogare a singole disposizioni del regolamento in caso di assenso unanime sull’opportunità di tale deroga. 5.2. Le convenzioni costituzionali In merito ai caratteri delle convenzioni costituzionali sussistono diversi orientamenti dottrinali. Si discute, tra l’altro, se si tratti o meno di vere e proprie fonti dell’ordinamento giuridico (in genere prevalendo la risposta negativa) e se esse presuppongano in qualche misura un accordo, tacito o espresso, tra i titolari degli organi costituzionali interessati.(in senso positivo Crisafulli; in senso negativo Zagrebelsky che ne sottolinea il carattere spontaneo). E’ pacifico che mentre nell’ordinamento inglese esse giocano un ruolo determinante ai fini della configurazione della forma di governo nel vigente ordinamento italiano esse possono al più integrare la disciplina contenuta nella Costituzione, risolvendo questioni e difficoltà che si pongono all’atto della concreta applicazione delle norme costituzionali. Non è sempre agevole distinguere le convenzioni dalle regole di correttezza costituzionale, o da meri impegni e dichiarazioni di intenti politivi, rese con riferimento al caso concreto, o ancora dalle mere prassi; e si traducono altresì nella difficoltà di delineare meccanismi istituzionali volti a sanzionare, se non sul piano giuridico almeno su quello politico-istituzionale, la loro eventuale violazione. Esempi di convenzioni rilevanti per il d.parlamentare possono forse considerarsi gli accordi interistituzionali i quali anche in Italia conoscono alcune manifestazioni: come le circolari sulla redazione tecnica dei testi legislativ, sottoscritte, nel medesimo testo dei presidenti delle due camere e dal presidente del consiglio dei ministri. Ma anche le intese tre i presidenti delle due camere attraverso le quali essi, sulle questioni di rilievo più generale e per lo più in funzione di ausilio del presidente della repubblica hanno dettato regole per lo scioglimento di alcuni nodi istituzionali o relativi all’andamento del processo legislativo. 5.3. Le regole della correttezza costituzionale Le norme di correttezza costituzionale sono in genere ritenute del tutto prive di vincolatività giuridica: viene generalmente assegnato loro un ruolo secondario, accessorio rispetto alla funzione principale assolta dalle altre prescrizioni a loro modo vincolanti. In tale categoria si includono in genere prescrizioni notevolmente diverse: sia regole di cerimoniale e del cosiddetto “galateo parlamentare”, solo in minima parte codificate dai regolamenti o da altri atti scritti, sia alcune regole di notevole rilievo istituzionale, che talvolta sono suscettibili di essere qualificate come convenzioni o persino come consuetudini parlamentari. Tra queste ultime si possono ricordare ad esempio quelle (attuative del principio costituzionale del bicameralismo paritario e perfetto) che richiedono l’alternanza della due camere nella presentazione del programma di governo o nella trasmissione, in prima lettura, dei disegni di legge finanziaria e di bilancio. 5.4. La prassi e la formazione dei precedenti Se nelle convenzioni parlamentari e nelle regole di correttezza costituzionale si è nella zona grigia che è a cavallo tra fatto e diritto, la prassi è invece interamente collocata sul versante del fatto. Ci si riferisce alla prassi quando si intende richiamare i comportamenti tenuti in precedenza, senza porsi il problema del loro rapporto con la norma, scritta o no. In altri termini, ci si rifà alla soluzione data in precedenza ad una fattispecie concreta, con l’intento di applicarla anche alla situazione attuale; con funzione, però, non vincolante, ma unicamente persuasiva, tant’è che nulla impedisce di apportare alla prassi i dovuti adattamenti al fine di affrontare la situazione attuale, o persino di innovare rispetto alle prassi seguite in passato. Il riferimento alla prassi può operare solo in assenza di una disposizione normativa che regoli la fattispecie in questione, o quando è la stessa fonte normativa a ritrarsi, facendole spazio. Tale idea è fondamentalmente vera ma pecca di una certa ingenuità: ove la fattispecie non sia regolata da una disposizione normativa (ma talvolta anche quando sussista) la prassi può finire, gradualmente e per effetto del suo ripetersi, per farsi norma essendo suscettibile di trasformarsi in regola di correttezza, in convenzione o persino consuetudine costituzionale Nel diritto parlamentare, in parte perché è un diritto che si è visto essere molto vicino alla sfera della politica, in parte perche le situazioni procedurali tendono a moltiplicarsi al di là della casistica prevista dalle disposizioni dei regolamenti parlamentari, lo spazio per la prassi è notevole. Tant’è che una parte rilevante delle strutture di supporto delle camere consiste tradizionalmente nell’archiviazione e sistemazione della prassi, dei cosiddetti precedenti parlamentari. => attività che comporta un’attenta selezione delle decisioni procedurali assunte dei presidenti delle assemblee o di commisisione analizzandone i presupposti ambientali e congiunturali: al fine di distinguere i precedenti frutto di una innovativa e accurata lettura delle situazioni alla luce dei principi costituzionali e regolamentari da quelli che sono invece frutto di applicazioni frettolose e erronee delle norme regolamentari. Il richiamarsi a un precedente e l’uniformarsi ad esso sono operazioni che, sul piano sostanziale, si fondano su una esigenza di giustizia, ossia sul fatto che tale precedente, in assenza di una disposizione normativa scritta o di una sua interpretazione univoca, dovrebbe essere idoneo ad attestare l’esistenza quanto meno di una prassi già esistente nel momento in cui si è presentato il caso da decidere in base ad essa. Nel sistema maggioritario all’italiana invece tale richiamo tende talvolta ad assumere un sapore quasi vendicativo specie quando esso avviene a cavallo di due legislature caratterizzate da maggioranze opposte con ovvi esiti deleteri. CAPITOLO 4 – LO STATUS DEI PARLAMENTARI 1. Una serie di garanzie a tutela della funzione parlamentare Ai deputati e ai senatori le norme costituzionali attribuiscono una serie di poteri, competenze e garanzie: in particolare, le immunità e le indennità. Tali previsioni sono integrate da disposizioni di legge e, soprattutto, dai regolamenti parlamentari. Questo complesso di attribuzioni , che vanno intese come situazioni giuridiche di natura individuale, ma strettamente inerenti alla funzione del parlamentare, costituiscono il suo status. Si tratta di situazioni individuali tutelate per assicurare l’indipendenza degli organi parlamentari. [Sent 1975 Corte Cost. l’indipendenza delle Camere si articola nella normativa direttamente dettata dal testo costituzionale, nell’autonomia organizzativa e normativa spettante a ciascuna di esse(riserva di regolamento); nella loro esclusiva competenza alla convalida dei propri membri; sia nella loro immunità assoluta e relativa] Lo status di parlamentare si acquista dal momento della proclamazione, atto conclusivo del procedimento elettorale. La proclamazione proviene o dagli uffici elettorali o, per i subentranti, dalla giunta provvisoria delle elezioni. Nel caso dei “senatori di diritto e a vita” (ossia gli ex Presidenti della Repubblica), lo status di parlamentare si acquista automaticamente, al momento stesso in cui cessano dalla carica di Capo dello Stato; i “senatori a vita di nomina presidenziale”, infine, diventano tali dal momento della comunicazione al Senato della loro nomina. L’acquisto dello status, tuttavia, è attribuito sotto la condizione risolutiva che l’elezione non sia annullata dalla camera di appartenenza, occorrendo anzi che da questa venga convalidata. A norma dell’art. 66 Cost. spetta, infatti, a ciascuna Camera 6 giudicare dei titoli di ammissione(regolarità elezioni e mancanza di cause di ineleggibilità e incompatibilità che potrebbero anche sopraggiungere in un momento successivo) dei suoi componenti. Oltre che quando sia la Camera stessa ad accertare la mancanza dei requisiti per l’elezione di un parlamentare, la cessazione della carica di parlamentare avviene per la fine della legislatura o per dimissioni. Le dimissioni di un parlamentare devono essere annunciate all’Assemblea. Se esse sono dovute alla circostanza che il dimissionario riveste incarichi incompatibili col mandato parlamentare, delle dimissioni si prende semplicemente atto, senza dibattito e senza voto. Se invece sono motivate da ragioni diverse dall’incompatibilità esse devono essere accettate dall’Assemblea con un voto esplicito. Insieme di garanzie sottoposto a critica in nome di una rigorosa applicazione del principio di eguaglianzae per gli aspetti dello status che configurano limitazioni al potere giudiziario. Da una parte tali istituti mantengono utilità nel garantire autonomia ai processi decisionali che si svolgono in parlamento daltra parte si prestano ad un uso distorto ed eccessivo dal potere politico=>necessità trovare punto equilibrio. Equilibrio la cui determinazione viene ormai quasi sistematicamente affidata alla Corte Cost. in sede di risoluzione di conflitti di attribuzione tra giudici e Camere (nn sl conflitti relativi art 68 ma anche filone relativo legittimo impedimento alla partecipazione al processo in caso di concomitante svolgimento di lavori parlamentari) 2. Le immunità parlamentari 2.1. Le origini, tra Inghilterra e Francia Fra le prerogative che costituiscono lo status del parlamentare vengono in considerazione innanzitutto le cosiddette “immunità (termine con cui si indica genericamente l’insieme dei meccanismi di tutela previsti nell’art 68 Cost. a garanzia dell’indipendenza e del rogolare funzionamento delle Camere di fronte agli altri poteri dello Stato) La prima delle immunità ad essere stata codificata, anche storicamente, è l’insindacabilità . Secondo l’art. 68, comma 1, Cost., i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta di una garanzia sostanziale, che immunizza i parlamentari da ogni specie di responsabilità giuridica (non solo penale, ma anche civile, amministrativa e disciplinare) per tutte le decisioni e per tutte le manifestazioni del pensiero che hanno avuto luogo “nell’esercizio delle loro funzioni”. > Già nel 300 il Parlamento inglese nell’affermare la propria autorità, denunciò i costumi scandalosi della corona e della sua corte e seppe resistere alla volontà del re di censurare questa discussione condannandone i protagonisti. Il re fu costretto dal Parlamento ad annullare una sentenza di condanna pronunciata su suo ordine e a riconoscere quindi la libertà di parola e di discussione in Parlamento(libertà di parola poi iscritta nel Bill of rights in base al quale essa in Parlamento non può essere ostacolata o contestata né in sede giudiziaria né in altra sede diversa da quella parlamentare) > Un secolo dopo l’Assemblea nazionale francese sancì in aggiunta alla prima una garanzia di tipo procedurale, ossia l’inviolabilità della persona di ciascun deputato senza il consenso della Camera di appartenenza. Non solo quindi l’irresponsabilità per le opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni ma anche il divieto di perseguire arrestare o detenere un deputato senza l’autorizzazione dell’Assemblea stessa. Il parlamentare può esser arrestato in caso di flagranza o in forza di un mandato di cattura ma ne sarà dato immediato avviso al corpo legislativo e l’azione giudiziaria potrà esser continuata solo dopo che il corpo legislativo avrà deciso che vi è luogo all’accusa. > Il modello francese fu quello seguito dallo statuto albertino > Dopo lo svuotamento delle prerogative parlamentari realizzato dal regime fascista la Costituente ripristinò con limitate varianti la disciplina statutaria delle immunità sia riguardo l’insindacabilità sia riguardo all’inviolabilità. Mentre l’insindacabilità esplica i suoi effetti su tutti i procedimenti giurisdizionali e non viene meno con la cessazione dello status di parlamentare in relazione a opinioni e voti espressi quando lo status esisteva ed è tendenzialmente automatica la sua applicazione; l’inviolabilità si applica solo nei riguardi di misure relative al processo penale ed esclusivamente finche il parlamentare è in carica, ed è superabile con un’autorizzazione da parte della Camera di appartenenza. Originario Art 68 Cost : I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; non può esser arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura. Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile. Art. 68. Testo revisionato dalla legge costituzionale 3\1993: I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. 2.2. L’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni Fino al 1993, vigente cioè l’autorizzazione a procedere la questione dell’estensione dell’insindacabilità(cioe l’individuazione in concreto degli atti coperti da tale garanzia ovvero rientranti nell’esercizio delle funzioni)non assumeva una rilevanza centrale poiché tutte le manifestazioni di opinione erano coperte con il sistematico diniego dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza[ => insindacabilità indiretta] Corte Costituzionale ( sent 1150\1988) chiamata a decidere un conflitto di attribuzione tra poteri, sollevato da un giudice che riteneva ingiustamente lesa la propria sfera di competenza da un esercizio arbitrario del potere delle Camere di dichiarare l’insindacabilità del comportamento di un proprio componente , rivendicò a se stessa la possibilità di sottoporre a verifica il corretto 7 La Costituzione disciplina poi il modo con cui sono ripartiti i seggi: proporzionalmente alla popolazione di ogni regione al Senato che è eletto a base regionale mentre la Camera su base nazionale. Leggi costituzionali 1\2000 e 1\2001 istituito la circoscrizione estera x cui italiani residenti all’estero eleggono 12 deputati e 6 senatori suddivisi in 4 ripartizioni 2. I sistemi elettorali di Camera e Senato 2.1. Dal sistema proporzionale a quello prevalentemente maggioritario La Costituzione tace su quello che è ritenuto il cuore della materia elettorale, ossia il sistema elettorale in senso proprio: il meccanismo di traduzione dei voti in seggi. La scelta del sistema elettorale è infatti rimessa al legislatore ordinario statale con la sola garanzia di escludere questa materia da quelle esaminabili con il procedimento semplificato e meno garantistico delle cosiddette commissioni in sede legislativa o deliberante. La materia non è invece tra quelle per le quali l’art. 75 esclude il referendum abrogativo. E così inizi anni 90 la legislazione elettorale che adottava per entrambe le camere sistemi proporzionali fu oggetto di due referendum abrogativi nel 1991 e 1993: il primo comportò il passaggio, alla Camera dalla preferenza multipla(se ne potevano esprimere fino a 5 nelle circoscrizioni più ampie) alla preferenza unica; il secondo riuscì a incidere sul sistema elettorale del Senato trasformandolo in un sistema maggioritario con un recupero proporzionale(relativo a 1\4 dei seggi). La spinta del referendum portò a una completa revisione delle leggi elettorali di entrambi i rami del parlamento: Leggi 276 e 277 \ 1993 Col sistema elettorale proporzionale vigente fino al 1993 le coalizioni di governo si formavano dopo le elezioni mentre a partire dal ‘94 progressiva affermazione di un confronto elettorale bipolare. 2.2. Il vecchio sistema elettorale della Camera(vigente dal 1993 al 2005) Stabiliva la possibilità di espressione di due voti, su due schede separate: il primo valido per l’assegnazione del 75% dei seggi in collegi uninominali con formula maggioritaria relativa(anche un solo voto in più dell’avversario); il secondo, per il restante 25% dei seggi, ripartito proporzionalmente tra le liste che avessero conseguito almeno il 4% dei voti a livello nazionale. Un collegamento tra le due schede era dato dal cosiddetto scorporo: al riparto dei seggi proporzionali, infatti, le liste concorrevano non con tutti i voti ottenuti ma sottraendo,scorporando da questi, una parte dei voti ottenuti nei collegi uninominali dai candidati vincenti collegati alle liste medesime(i voti necessari per aggiudicarsi il collegio:ossia quelli del candidato risultato secondo piu uno) [aggiramento dello scorporo con le liste civetta: proprio x evitare la penalizzazione derivante dallo scorporo nelle elezioni del 2001 le due maggiori coalizioni hanno fatto collegare gran parte dei candidati dei collegi uninominali non con le effettive liste di appartenenza ma con liste civetta(prive con ogni probabilità di consensi nella scheda proporzionale). Ciò ha avuto per il partito della coalizione vincente (Forza Italia)un risultato paradossale: il sistema elettorale infatti prevedeva che, qualora ad una lista spettassero più seggi rispetto al numero dei candidati al proporzionale si dovette procedere al ripescaggio dei candidati non eletti ai collegi uninominali collegati alla lista. Questo caso si è verificato nel 2001 x le liste di Forza Italia, ma essendo quasi tutti i candidati appartenenti al partito di Forza Italia, nei collegi uninominali,collegati non alle liste recanti questo contrassegno ma a liste civetta non si è riusciti a individuare un numero sufficiente di candidati perdenti nei collegi uninominali da ripescare. Secondo il regolamento di attuazione della legge elettorale questi seggi si sarebbero dovuti distribuire proporzionalmente alle altre liste (e cosi 7 degli 11 seggi sarebbero passati all’opposizione). Ciò ha determinato un lungo contenzioso che si è risolto con la decisione salomonica della Camera di non assegnare questi 11 seggi.] 2.3. Il vecchio sistema elettorale del Senato Prevedeva invece l’espressione di un solo voto, che serviva sia ai fini dell’assegnazione del 75 % dei seggi in collegi uninominali con formula della maggioranza relativa sia per l’attribuzione del restante 25 % dei seggi: quest’ultima avveniva proporzionalmente ai gruppi di candidati uninominali perdenti a livello regionale(presentatisi nei collegi della regione con il medesimo contrassegno e non risultati eletti con il meccanismo maggioritario. Anche in questo caso i voti ottenuti dai candidati eletti nei collegi non concorrevano a determinare il riparto del 25 % dei seggi proporzionali: al Senato lo scorporo era totale(sottraendosi ai fini dell’attribuzione dei seggi proporzionali tutti i voti ottenuti dai candidati vincitori nei collegi) mentre alla Camera era parziale 2.4. La legge elettorale vigente Con la legge 270/2005 si è passati da un sistema misto, maggioritario con recupero proporzionale, a un altro sistema, anch’esso misto, proporzionale con premio di maggioranza. Questa volta, però, l’impianto è tipicamente proporzionale (con liste bloccate e soglie di sbarramento di entità variabile), cui si aggiunge un premio di maggioranza eventuale (ove cioè nessuna lista o coalizione consegua la quota del 55% dei seggi) e di consistenza variabile (idonea a portare cioè la lista o coalizione a raggiungere tale quota), assegnato alla Camera su base nazionale e al Senato su base regionale. Più in dettaglio, tutti i seggi, sia alla Camera che al Senato, sono assegnati con un sistema proporzionale (applicando il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti). Ma vi è una fondamentale correzione, nella distribuzione dei seggi, determinata dal premio di maggioranza. Alla Camera, il premio va alla coalizione di liste o alla lista che abbia ottenuto a livello nazionale il maggior numero di voti: esso assicura allo schieramento vincente almeno 340 seggi (seggi che sono sottratti alle altre liste o coalizioni perdenti, tra le quali vengono divisi proporzionalmente 277 seggi). Il premio di maggioranza scatta solo se la coalizione vincente non è riuscita ad ottenere in modo naturale almeno 340 seggi. Per avere maggiori chances di ottenere il premio i partiti sono così “costretti” ad aggregarsi in coalizioni preelettorali. Nella logica della nuova legge elettorale le coalizioni si costruiscono attorno ad un progetto di governo e una leadership comune con l’obiettivo della conquista del premio di maggioranza. Alla Camera, stabilito quale coalizione ha vinto, si procede, in un secondo momento, alla ripartizione proporzionale dei seggi tra le liste all’interno delle coalizioni. Non hanno diritto a seggi le coalizioni che non abbiano ottenuto almeno il 10% dei voti e le liste singole con meno del 4% dei voti. I seggi assegnati a ciascuna coalizione sono ripartiti tra le liste che ne fanno parte, salvo quelle che non abbiano ottenuto il 2% dei voti. Così ripartiti i seggi tra le varie coalizioni, e al loro interno tra le varie liste, si procede,alla distribuzione di questi seggi tra le 26 circoscrizioni in cui è diviso il territorio nazionale. Gli eletti sono individuati sulla base dell’ordine in cui sono collocati nelle rispettive liste: si parla perciò di liste bloccate. Non essedovi limiti alla possibilità di candidarsi nelle varie circoscrizioni i candidati che risultano eletti in più circoscrizioni dovranno esercitare l’opzione x una circoscrizione entro 8 giorni dalla data dell’ultima proclamazione. Il sistema del Senato differisce da quello della Camera perché la ripartizione dei seggi avviene tutta a livello regionale: non vi è perciò un premio di maggioranza nazionale, ma tanti premi regionali, in tutte le regioni tranne Molise, Trentino –Alto Adige e Valle d’Aosta. Le sogli di sbarramento sono più alte: il 20% per le coalizioni (purchè all’interno coalizione vi sia una lista che ha raggiunto il 3%) e l’8% per le liste che si siano presentate singolarmente, al di fuori delle coalizioni. Alla coalizione o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti nella regione, viene attribuito, se non lo ha già raggiunto naturalmente, il 55% dei seggi in palio in quella regione. 10 La combinazione di 17 premi regionali rende un’eventualità non improbabile la formazione al Senato di una maggioranza diversa da quella della Camera. Sulla formazione della maggioranza che dovrà dare la fiducia al Governo può divenire quindi essenziale il ruolo dei sei senatori eletti nella circoscrizione Estero e dei senatori a vita. 3. La verifica delle elezioni Giudice della correttezza del procedimento elettorale è, secondo la Costituzione, lo stesso Parlamento. Sono le due Camere a giudicare sui titoli di ammissione dei propri componenti e sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità determinate dalla legge o direttamente dalla Costituzione. La Costituente rimase fedele a un modello classico. Sottrasse così alle magistrature un’importante zona di giurisdizione. A proclamare eletti i parlamentari sono gli uffici elettorali. A fronte di eletti in più circoscrizioni, il Presidente di Assemblea, dopo l’opzione fatta dal candidato eletto per una circoscrizione, procede a proclamare il candidato “subentrante”, che segue nella lista l’ultimo eletto nell’ordine accertato dalla giunta delle elezioni. Con la proclamazione il parlamentare acquista il suo status, ma è un acquisto “temporaneo” e reversibile. La proclamazione infatti è oggetto del giudizio di convalida previsto dall’art. 66 Cost. La procedura di verifica che porta a questo giudizio è affidata nelle due Camere a un organo, la giunta delle elezioni, composta da 30 membri alla Camera e 23 al Senato, scelti dal Presidente (su indicazioni non formalizzate dei gruppi), e per prassi consolidata presieduta da esponenti dell’opposizione. Queste giunte, raccolto il materiale documentale dagli uffici elettorali, ricevuti gli eventuali ricorsi, predispongono relazioni circoscrizione per circoscrizione. Su iniziativa dei relatori la giunta può decidere di proporre all’aula la convalida delle elezioni o aprire un’istruttoria. Così la giunta, o meglio un comitato costituito al suo interno, procede a verificare le schede:le bianche , le nulle e le valide; a campione o a tappeto.. Tutte queste attività alla Camera sono compiute in contraddittorio, mentre il Senato segue un modello inquisitorio, che considera il contraddittorio come meramente eventuale. A conclusione dell’istruttoria la giunta può proporre la convalida o la contestazione dell’elezione. In quest’ultimo caso si sviluppa una procedura quasi dibattimentale: si svolge una vera e propria udienza pubblica, ove le parti possono farsi assistere da un avvocato, al termine della quale, in camera di consiglio, la giunta decide proponendo la convalida o l’annullamento dell’elezione contestata. Qui la palla torna all’Assemblea, che può sovranamente rovesciare, con un voto privo di motivazione, la proposta argomentata della giunta, senza che sia possibile alcun rimedio giurisdizionale. Dal 1992 il regolamento del Senato prevede che sulle proposte della giunta l’Assemblea non proceda a votazioni, intendendosi approvate le conclusioni della giunta stessa. Alla Camera, dal 1990, questa procedura di silenzio-assenso si segue qualora una proposta della giunta discenda dal risultato di accertamenti meramente numerici. L’aula resta pertanto sovrana nel decidere se annullare – o meno – un’elezione, ma con l’obbligo di fornire una qualche motivazione ove si discosti dalle indicazioni della giunta. 4. L’accertamento delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità Un procedimento analogo segue l’accertamento delle cause di ineleggibilità e incompatibilità. Le cause di ineleggibilità sono essenzialmente raccolte nel testo unico 361/1957 e possono in sintesi essere ricomprese in 5 gruppi: 1. titolarità di alcune cariche elettive (presidenti di provincia, sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti) 2. titolarità di determinati uffici (magistrati, prefetti, diplomatici, capi di gabinetto dei ministeri, direttori generali delle ASL) 3. titolarità di particolari rapporti economici con lo Stato 4. titolarità di rapporti di impiego con governi esteri 5. l’essere giudici costituzionali (e, più di recente, componenti di autorità di vigilanza). Per potersi candidare, i titolari di cariche elettive e di uffici pubblici per i quali è prevista l’ineleggibilità devono abbandonare la carica almeno 180 giorni prima della fine della legislatura; oppure, nel caso di scioglimento anticipato, entro i 7 giorni successivi alla pubblicazione del relativo decreto. Quest’ultima possibilità è negata, a partire dal 1997, ai magistrati che intendano candidarsi nelle circoscrizioni sottoposte alla giurisdizione degli uffici cui sono assegnati. I sindaci dei comuni più popolosi e i presidenti delle giunte provinciali devono invece necessariamente abbandonare la carica prima delle elezioni. Non vale, invece, la regola inversa: deputati e senatori possono essere eletti sindaci o presidenti di provincia e, oggi, tendono comunque a conservare il proprio mandato parlamentare. Facendo leva sulla mancanza di una norma sull’ineleggibilità “a specchio”, ossia di una norma che, oltre all’ineleggibilità alla carica di parlamentare per i presidenti delle giunte provinciali e per i sindaci dei comuni con più di 20.000 abitanti, preveda espressamente anche l’ineleggibilità dei parlamentari in corso di mandato alle stesse cariche locali, le giunte di Camera e Senato sono addirittura arrivate a riconoscere le legittimità del cumulo dei mandati. La prassi parlamentare è così pervenuta alla conclusione di consentire che un parlamentare in carica, candidato ed eletto alla carica di presidente di provincia o di sindaco di comune con popolazione maggiore di 20.000 abitanti, possa continuare a ricoprire entrambi i mandati. Per l’ineleggibilità di chi ha rapporti economici con lo Stato il criterio seguito è quello formale del rapporto con lo Stato:la pura “fornitura statale”. E cos’ non può candidarsi chi è legato con lo Stato da rapporti di affari anche di modesta entità, mentre la via è aperta a chi controlla società titolari di importanti concessioni(che lo pongono, queste sì in condizione di incidere sulla formazione del consenso elettorale) La Cost. prevede alcune ipotesi di incompatibilità per il parlamentare: non si può essere contemporaneamente deputato o senatore, parlamentare e giudice costituzionale, membro del CSM o consigliere regionale, né Presidente della Repubblica, ufficio questo incompatibile con ogni altra carica. Le leggi prevedono molti altri casi di incompatibilità:cariche di nomina governativa, cariche in enti o associazioni che gestiscono servizi in concessione,o ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, cariche direttive negli istituti bancari o in società finanziarie, mandato di parlamentare europeo, consigliere del CNEL, cariche di autorità di garanzia e molte altre. Mentre il giudizio sulle cause di ineleggibilità rientra nella verifica dei poteri, e dunque si svolge contestualmente alla convalida di cui costituisce un aspetto, il giudizio sulla compatibilità degli incarichi dei parlamentari presuppone che la convalida sia già avvenuta. I parlamentari hanno l’obbligo, strumentale a entrambi i giudizi, di comunicare ai Presidenti dell’Assemblea di appartenenza gli incarichi ricoperti. Sulla base di questa documentazione, appositi comitati permanenti delle due giunte svolgono un’istruttoria, in contraddittorio con l’interessato. Se emerge un’incompatibilità, il parlamentare deve optare tra il mandato di parlamentare e l’incarico incompatibile. Qualora non vi sia l’opzione, la giunta propone all’Assemblea di dichiarare la decadenza del parlamentare; ad esso subentra il primo dei non eletti. 5. I gruppi parlamentari 5.1. La costituzione dei gruppi (ordinari e autorizzati) 11 Il primo atto con cui si apre la legislatura è l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, e avviene tra esponenti della coalizione di maggioranza e con i voti solo di questa. Il risultato politico della consultazione elettorale viene reso più chiaramente leggibile con la costituzione dei gruppi parlamentari: proiezione in Parlamento dell’articolazione del sistema politico (partiti, movimenti politici ecc.). I deputati devono dichiarare di quale gruppo parlamentare vogliono fare parte. È questa un’articolazione prevista come necessaria dai regolamenti delle due Camere: i parlamentari che non scelgono un gruppo sono infatti d’ufficio assegnati a un gruppo residuale: il gruppo misto. Per formare un gruppo servono 20 deputati e 10 senatori e nient’altro. Questa soglia numerica può essere ridotta (al Senato, sempreché non si scenda al di sotto di 5) solo se si realizza altresì una condizione politica: che il gruppo sia effettivamente proiezione di un partito organizzato nel Paese che abbia ottenuto un certo numero di eletti. In tal caso è possibile la formazione di gruppi “in deroga” o “autorizzati”: una possibilità che l’ufficio di presidenza deve autorizzare. (una sola deroga nel 2001 alla camera forzando la lettera, si è autorizzata la costituzione del gruppo rifondazione comunista con 12 componenti corrispondente a un partito che aveva partecipato con liste proprie alle elezioni conseguendo un risultato superiore al 4%voti su base nazionale) Il criterio politico x la formazione dei gruppi è dunque solo residuale ed eventuale rispetto a quello numerico. 5.2. Il gruppo misto e le sue componenti politiche Nella XIII legislatura (1996-2001) si dovette affrontare un problema di ordine pratico, ossia l’esplosione del gruppo misto: questo, oltre ad essere il contenitore dei parlamentari che non riuscivano a raggiungere la soglia numerica per la costituzione di un gruppo, divenne la sede – di transito o di destinazione finale – dei parlamentari che, per ragioni personali o in seguito a movimenti interni alla propria formazione politica, abbandonavano il gruppo di originaria appartenenza. Alla Camera esso divenne il terzo gruppo in ordine numerico, sfiorando quota 100 deputati: ovviamente con i più variegati orientamenti politici, originando perciò evidenti problemi di governabilità al proprio interno. Proprio alla Camera si escogitò la soluzione di consentire la formazione di una sorta di “quasi gruppi”, ossia delle componenti politiche del gruppo misto. La disciplina delle componenti politiche del gruppo misto è modellata su quella per la formazione dei gruppi: se si raggiunge una soglia numerica (pari a 10 deputati), la componente si può costituire comunque, senza altro requisito; se si è invece al di sotto di questa (purché non si scenda sotto i 3), occorre che la componente rappresenti un partito o un movimento politico, la cui esistenza risulti da “elementi certi e inequivoci”. Tale disciplina si completa poi con alcuni principi volti: *a regolare la vita interna al gruppo misto, in modo da assicurare che gli organi e le deliberazioni assunte da questi tengano “proporzionalmente conto della consistenza numerica delle componenti politiche in esso costituite”. *assegnazione al gruppo misto e alle sue componenti di locali,attrezzature e risorse finanziarie *attribuzione alle componenti politiche di gran parte dei poteri spettanti ai gruppi quanto al diritto di intervenire nella discussione e della possibilità di essere invitate alla conferenza dei capigruppo, ma solo “ove la straordinaria importanza della questione lo richieda”, e comunque senza il potere di votare sulle questioni relative alla programmazione dei lavori. Il regolamento del Senato, invece, menziona le componenti politiche in un unico articolo, ma, per il resto, non le ha “codificate” anzi la giunta x il regolamento del Denato ha stabilito che il regolamento del Senato non conosce la figura delle componenti politiche del gruppo misto. In Senato anche un singolo senatore appartenente al gruppo misto può darsi un’etichetta “politica”, che ha un qualche rilievo esterno, pur senza che ciò gli dia diritto a prerogative di altro genere.(avvicinandosi al fenomeno del monogruppo) Dibattuto in dottrina se l’introduzione delle componenti politiche del gruppo misto sia da leggersi come tentativo di adeguare disciplina gruppi ad un funzionamento delle camere di tipo maggioritario o o di porre rimedio al suo mancato adeguamento alla legge elettorale maggioritaria o se invece vadano viste come un’ulteriore manifestazione della spinta alla frammentazione politica e parlamentare. Fenomeno trasformismo parlamentare 5.3. Le funzioni dei gruppi parlamentari All’interno dell’ordinam. parlamentare la suddivisione dei parlamentari in gruppi è innanzitutto funzionale a esigenze organizzative. Consente di disporre di un metro per comporre in modo proporzionalmente rappresentativo gli organi delle Camere, innanzitutto le commissioni permanenti e d’inchiesta. Serve inoltre per attribuire alcuni poteri procedurali, in genere in alternativa rispetto ad un certo numero di parlamentari. Alla Camera, per evitare che questi poteri fossero esercitati in modo ostruzionistico dai presidenti dei gruppi autorizzati, si è previsto il criterio ponderale: si è espressamente previsto che i presidenti di gruppi che esercitino il potere in questione siano a capo di gruppi di consistenza numerica tale da raggiungere, separatamente o congiuntamente, la soglia dei deputati necessaria per esercitare quel medesimo potere. Il regolamento del Senato tende invece ad attribuire tali poteri solo ad un certo numero di senatori:ma esistono anche poteri attribuiti in esclusiva ai presidenti dei gruppi parlamentari( come quello di presentare le interpellanze di gruppo) I presidenti dei gruppi, riuniti dal Presidente d’Assemblea, e sotto la presidenza di quest’ultimo, formano la conferenza dei presidenti dei gruppi: l’organo di direzione politica di ciascuna Camera, che definisce il programma e il calendario dei lavori, ossia quali siano gli argomenti da discutere e con quali tempi e priorità. Un organo solo sommariamente disciplinato dal regolamento della Camera, e in modo indiretto da quello del Senato, che svolge funzioni politiche anche tipiche e crescenti, costituendo oggi il vero baricentro delle due Camere. Ai gruppi l’amministrazione e il bilancio delle Camere assicurano disponibilità di locali e attrezzature, e il versamento periodico di contributi. Presso i gruppi possono essere distaccati o comandati dipendenti pubblici o privati. Il funzionamento dei gruppi è disciplinato da statuti e regolamenti interni ai quali il regolamento del Senato richiede di stabilire “procedure e forme di partecipazione che consentano ai singoli senatori di esprimere i loro orientamenti e presentare proposte sulle materie comprese nel programma dei lavori o comunque all’ordine del giorno”. La disciplina di gruppo è un vincolo a cui volontariamente il parlamentare si sottopone, senza alcuna violazione dell’art. 67 Cost., il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi che gli vengono dall’esterno, compreso il proprio gruppo parlamentare, ma è anche libero di sottrarvisi. Lo stesso gruppo può dare, in alcune materie, libertà di voto. Ma generalmente i parlamentari seguono le indicazioni dei gruppi. Il che permette un’organizzazione politica dei dibattiti nei quali al momento della votazione prende parola un oratore per gruppo, che quindi esprime la volontà del gruppo politico nel suo complesso.(ripartito il tempo disponibile dividendolo non per i parlamentari ma per gruppo , tenendo conto della loro consistenza numerica;sarà poi ciascun gruppo a decidere chi, qudno e per quanto tempo far intervenire tra i parlamentari che ne fanno parte) 12 4. Le commissioni speciali La scelta organizzativa di adottare un sistema fondato su commissioni permanenti rende residuale lo strumento delle commissioni speciali. Non era però questa una scelta scontata: art 72 comma 2 Cost “..il procedimento può essere deferito a commissioni anche permanenti..” sembrando quasi di dare l’indicazione opposta. E cosi la formazione di speciali commissioni avviene raramente, come per esempio nel caso di disegni di legge di grande importanza che investano la competenza di più commissioni. Il mandato di queste commissioni è definito dall’atto istitutivo e può sia essere limitato all’esame di disegni di legge chiaramente individuati e assegnati alla commissione speciale per una funzione referente, sia essere esteso, ovvero limitato, alle altre funzioni proprie delle commissioni: consultive e di indirizzo. Non è una commissione speciale, ma è per certi versi a essa assimilabile, la “commissione di indagine sull’onorabilità dei deputati e senatori”. Il parlamentare che si ritiene offeso da un collega può ricorrere a un organo interno (“Giurì d’onore”), il cui obiettivo è sostanzialmente quello di mettere pace tra i contendenti. Si tratta di un contrappeso all’insindacabilità che copre le opinioni espresse dai parlamentari nelle sedi di Camera e Senato. I poteri di esso sono limitati:le sue conclusioni sono sempre discutibili e la finalità dell’istituto non può che essere quella di un rasserenamento degli animi e di una riappacificazione. 5. Le giunte Sono organi il cui insediamento è previsto tra i primi adempimenti delle Camere appena costituitesi. Le giunte si distinguono dalle commissioni per il loro essere organi con una proiezione tutta interna al lavoro delle due Camere; oltre che per una composizione più ristretta di quella delle commissioni e per avere componenti, anziché designati dai gruppi parlamentari, nominati dal Presidente. La giunta per il regolamento è composta da 10 o più membri nominati, secondo i criteri di proporzionalità tra i gruppi, dal Presidente di Assemblea, che la presiede. Ad essa spetta essenzialmente promuovere ed esaminare le proposte di modifica del regolamento parlamentare; proposte che, dopo essere state istruite dalla giunta, sono esaminate dall’Assemblea della Camera (o del Senato), e da questa approvate a maggioranza assoluta dei componenti, come prescritto dall’art. 64 Cost. La giunta per il regolamento ha importanti funzioni consultive su ogni questione di rilievo concernente l’interpretazione del regolamento. La giunta delle elezioni è l’organo che alla Camera svolge l’attività istruttoria per la “verifica dei poteri” affidata dall’art. 66 Cost. a ciascuna Camera, che consiste nel controllo sulla regolarità delle operazioni elettorali e sull’accertamento di eventuali situazioni di ineleggibilità o incompatibilità. La giunta, composta di parlamentari nominati dal Presidente della Camera per l’intera legislatura, e perciò non sostituibili dai gruppi, opera secondo un proprio regolamento il quale, x i procedimenti che si svolgono dinnanzi alla giunta delinea forme procedurali garantite, quasi giurisdizionali. L’attività della giunta è un’attività solo preparatoria di decisioni che possono essere rovesciate dall’Assemblea. La giunta per le autorizzazioni è l’organo competente: a valutare se un dato comportamento di un parlamentare rientri tra quelli coperti dalla garanzia dell’insindacabilità; a valutare poi se debbano essere accolte le richieste provenienti dall’autorità giudiziaria in ordine all’esecuzione di provvedimenti coercitivi nei confronti di parlamentari, nonché le richieste di autorizzazione a procedere nel caso di reati ministeriali, di reati cioè compiuti da ministri-deputati, nell’esercizio delle loro funzioni. La giunta è composta da 21 deputati ( il corrispondente organo del Senato da 23 senatori) nominati dal Presidente della Camera e deve entro 30 gg dal momento in cui è stata investita della questione presentare una proposta corredata da una relazione all’Assemblea. 6. Il presidente di Assemblea Come per qualsiasi organo collegiale, anche nelle due Camere il Presidente è l’organo cui spetta regolare i lavori, dirigere e moderare le discussioni. Per l’elezione del Presidente è necessaria, alla camera, nel primo scrutinio, una maggioranza “costituzionale” di 2/3 dei voti dei componenti (al Senato basta invece la maggioranza assoluta); al secondo scrutinio sono richiesti, sempre alla Camera, 2/3 dei presenti (al Senato è sufficiente, al terzo scrutinio, la maggioranza assoluta dei presenti). Dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta dei presenti alla Camera (mentre al Senato si procede al ballottaggio tra i due precedentemente più votati prevalendo, nel caso di parità, il più anziano). Il Presidente viene ritenuto “uomo della Costituzione”, o garante, comunque collocato in una posizione neutrale e super partes, assimilabile a quella del Capo dello Stato. A consolidare questa raffigurazione ha contribuito la pratica, sino al 1994, di eleggere Presidente della Camera un esponente del maggior partito di opposizione. Dalla XII Legislatura l’elezione dei Presidenti è stato invece il primo atto di una divisione netta tra maggioranza e opposizione (nelle ultime 3 legislature leader riconosciuti di partiti minori della maggioranza) Tutta la vita di ciascuna camera passa attraverso le mani del suo Presidente, che esercita funzioni di mediazione e arbitrali innanzitutto nella programmazione dei lavori parlamentari. È proprio il ruolo non notarile, ma profondamente discrezionale nell’elaborazione della proposta di programma e di calendario dei lavori che sembra fare oggi del presidente non un semplice arbitro, ma piuttosto il garante dell’attuazione del programma legislativo della maggioranza. Il Presidente regola lo svolgimento di ogni seduta, cui partecipa senza però votare. Il presidente dà la parola, dirige e modera la discussione, mantiene l’ordine, pone le questioni, stabilisce l’ordine delle votazioni, chiarisce il significato del voto e ne annunzia il risultato. In questa attività il Presidente interpreta e applica il regolamento, consultando nei casi più complessi la giunta per il regolamento. Si tratta di decisioni inappellabili, si pensi alle delicate decisioni sull’ammissibilità degli emendamenti. Il Presidente tutela l’ordine dei lavori e, a tal, fine, dispone di poteri disciplinari nei confronti dei parlamentari, irrogando, nei casi più gravi, sanzioni come la censura o l’esclusione dall’aula per una o più sedute. Più in generale, il Presidente coordina l’attività di tutti i soggetti e organi che operano all’interno di ciascuna camera: a lui spetta assegnare i progetti di legge e ogni altro affare alle commissioni parlamentari e alle giunte, autorizzare le stesse a compiere indagini conoscitive, nonché risolvere eventuali conflitti di competenza tra le medesime. Ma le funzioni del Presidente non si esauriscono all’interno di ciascuna Camera. I due Presidenti sono titolari di funzioni che incidono su alcuni snodi fondamentali della nostra forma di governo. La Costituzione affida al Presidente del Senato funzioni di supplenza del capo dello Stato nel caso di un suo impedimento e parallelamente, per mantenere un equilibrio tra le due figure e i due rami del Parlamento, al Presidente della Camera quella di Presidente del parlamento in seduta comune, essa prevede inoltre che entrambi debbano essere consultati dal presidente della 15 Repubblica in caso di scioglimento delle Camere. Da ciò si evince come i Presidenti hanno sviluppato nel tempo un più generale ruolo di “primi consiglieri” del Capo dello Stato, consultati nei momenti più significativi della vita istituzionale. Ed è proprio in considerazione del particolare ruolo di garanti del buon andamento di ciascuna Camera e al contempo interpreti qualificati degli interessi delle istituzioni parlamentari, che ha indotto il legislatore, tra gli anni ’80 e ’90, ad affidare ai due Presidenti una serie di altre funzioni, anche al di fuori degli ordinamenti delle due Camere: dalle delicatissime attribuzioni in materia di controllo sulla regolarità del finanziamento dei partiti politici, alla nomina o designazione dei componenti o presidenti di una serie di organi, parlamentari e non. I Presidenti nominano, infatti, con atto congiunto, i presidenti di alcune commissioni di inchiesta parlamentare e, soprattutto, i componenti di vari organi esterni al parlamento. Si tratta essenzialmente degli organi di “autogoverno” di alcune magistrature e di autorità indipendenti. Dopo la fine della consuetudine per cui uno dei due presidenti affidato a un esponente dell’opposizione si è messo in discussione l’idea che i Presidenti fossero i soggetti più adatti a operare nomine pubbliche caratterizzate da un alto tasso di indipendenza. E così per le autorità indipendenti create dopo quella data sono stati previsti sistemi di nomina diversi. 7. La Conferenza dei capigruppo Nell’esercitare le sue delicatissime funzioni in tema di programmazione dei lavori, il Presidente di Assemblea non è solo, ma è assistito dalla conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari (conferenza dei capigruppo). Questa è composta, oltre che dal Presidente, che la convoca e la presiede, da tutti i presidenti dei gruppi parlamentari. Alla conferenza dei capigruppo della Camera possono essere invitati i vicepresidenti di Assemblea, i presidenti di commissione e i presidenti delle principali componenti politiche del gruppo misto; a quella del Senato partecipano i vicepresidenti del Senato. In ambedue i rami del Parlamento, il Governo è parte necessaria della conferenza, e può farvi intervenire un proprio rappresentante, che è in genere il ministro per i rapporti con il Parlamento. Inoltre, il Governo è attivamente coinvolto nella fase preparatoria della programmazione dei lavori, essendo tenuto a presentare le sue indicazioni di priorità che saranno tenute in considerazione nel programma e nel calendario dei lavori,. Dunque il Governo è uno dei protagonisti della programmazione dei lavori. Le riunioni della conferenza dei capigruppo non sono pubbliche, di esse è redatto un resoconto che resta però strettamente riservato.. Si è registrato nell’ultimo quindicennio un sensibile enlargement of functions della conferenza dei capigruppo, che è stata in più occasioni chiamata a svolgere funzioni ben diverse dalla programmazione dei lavori. È in conferenza che il Presidente di Assemblea ha modo di manifestare le sue capacità di mediazione e di influenza politica, lungi dal limitarsi a registrare le diverse posizioni presenti sul tappeto. Il ruolo del Presidente è esaltato anche dal fatto che difficilmente in conferenza dei capigruppo si proceda a vere e proprie votazioni:spesso si decide per consensus ossia presupponendo l’unanimità dei presenti. Nei rari casi in cui si vota, o ciò accade all’unanimità dei presenti, o vige comunque un criterio ponderale: nel senso che il voto di ciascun capogruppo pesa in misura pari alla consistenza del gruppo che rappresenta: il consenso dei presidenti di gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari almeno ai ¾ dei componenti della Camera. 8. L’ufficio di presidenza L’ufficio di presidenza (consiglio di presidenza al Senato) è l’organo cui essenzialmente spetta, insieme al Presidente, la conduzione amministrativa della Camera. È composto, oltre che dal Presidente di Assemblea, dai quattro vicepresidenti (che sostituiscono il Presidente nella direzione dei dibattiti), da (almeno) otto segretari (che sovrintendono alla redazione dei verbali e assistono il Presidente nell’accertare il risultato delle votazioni) e dai tre questori. I questori delle camere sono i parlamentari che, collegialmente e sotto la direzione del Presidente dell’Assemblea, curano, da un lato, il buon andamento dell’amministrazione (bilanci, conti consuntivi)e, dall’altro, provvedono al mantenimento dell’ordine nella sede di ciascuna Camera. Esercitano a tal fine, veri e propri poteri di polizia. Vicepresidenti, questori e i primi otto segretari d’Assemblea sono eletti subito dopo l’elezione del Presidente, con un sistema di votazione che permette una rappresentanza delle minoranze. L’ufficio di presidenza, in particolare, delibera il progetto di bilancio e il rendiconto predisposti dai questori; adotta le norme relative all’amministrazione, alla contabilità interna, alla carriera dei dipendenti; nomina il segretario generale, che costituisce l’organo di vertice dell’amministrazione interna di ciascuna Camera. L’ufficio di presidenza svolge però anche un ruolo più marcatamente connesso con l’attività politica delle Assemblee. In particolare, autorizza la costituzione di gruppi in deroga ai requisiti numerici previsti dal regolamento; giudica delle controversie sulla composizione delle commissioni parlamentari; irroga le sanzioni disciplinari più gravi proposte dal Presidente nei confronti dei singoli parlamentari. Da ultimo per combattere l’assenteismo, ai rispettivi uffici di presidenza è stato attribuito il potere di sanzionare le assenze ingiustificate con provvedimenti di riduzione della diaria 9. Le strutture di supporto Lo statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari è sempre stato interpretato a rigorosa tutela dell’autonomia di ciascuna Camera rispeto al governo, alla giurisdizione e anche rispetto all’altra camera Un’autonomia non solo regolamentare, ma anche amministrativa, contabile e giurisdizionale. Corte Cost. Ciascuna Camera gode di un’autonomia che, se si esprime anzitutto sul piano normativo(nel senso che agli organi in questione compete la produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l’assetto ed il funzionamento dei loro apparati serventi) xò non si esaurisce nella normazione, ma comprende il momento applicativo delle norme stesse. In attuazione di questi principi, i regolamenti di Camera e Senato prevedono che servizi e uffici delle due Camere siano ordinati secondo norme approntate dagli uffici di presidenza. Gli apparati di supporto sono diretti dal segretario generale, che ne risponde al Presidente. Si sono così formate due burocrazie tradizionalmente di eccellenza, cui si accede per pubblico concorso, le quali nascono e vivono come corpi separati. Le biblioteche, insieme ai servizi di resocontazione dei palazzi, sono i servizi storicamente nati insieme alle due Camere. Da allora, i compiti delle amministrazioni sono cresciuti con lo svilupparsi delle funzioni parlamentari. E oggi il corpo dei consiglieri svolge funzioni di segreteria tecnica e organizzativa dei vari organi parlamentari, di consulenza e documentazione. Nelle sedute delle camere i consiglieri parlamentari siedono alla sx del presidente. In questa veste redigono i verbali e i resoconti delle sedute, ne seguono lo svolgimento;ciò dopo aver condotto tutto il lavoro di preparazione che precede la singola seduta. Documentazione è quindi una funzione crescente che in taluni settori sta assumendo una marcata autonomia A garanzia dell’autonomia delle Camere, le due amministrazioni godono di un’autonomia giurisdizionale: lacosiddetta giurisdizione domestica, in base alla quale le controversie tra dipendenti delle Camere e amministrazione sono sottratte alla competenza dei giudici ordinari e amministrativi per essere affidate a meccanismi interni di tutela: meccanismi disciplinati da appositi regolamenti, che li hanno avvicinati sensibilmente alle procedure e alle garanzie giurisdizionali, incluso il doppio grado di giurisdizione. 16 Le amministrazioni delle Camere e le Camere nel loro complesso sono dotate altresì di un’autonomia contabile , fondata su una vera e propria consuetudine costituzionale. CAPITOLO 7 – LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO 1. La classificazione delle funzioni parlamentari Sia l’eco del principio della tripartizione dei poteri,sia l’architettura del testo costituzionale italiano,sia l’evoluzione del nostro sistema istituzionale hanno a lungo spinto per un’identificazione pressoché completa delle funzioni parlamentari con quella legislativa. Eppure il Parlamento italiano è titolare di altre funzioni. Al fine di cogliere la ricchezza delle funzioni svolte dal Parlamento si richiama la classificazione di Walter Bagehot con riferimento alla camera dei comuni inglese di metà Ottocento: • funzione principale:elettorale che consiste nell’eleggere il Primo ministro • funzione legislativa • funzione pedagogica: attraverso cui la camera è chiamata a incidere e a modificare la società • funzione espressiva o di rappresentanza che consiste nell’esprimere l’opinione dei cittadini su tutti gli argomenti che le vengono presentati • funzione informativa:informa la nazione su ciò che non va nel paese. 2. Le funzioni di indirizzo politico, legislativa, di controllo, di garanzia costituzionale e di coordinamento Classificazione di Bagehot non può più esser riproposta poiché rapporto tra Parlamento e opinione pubblica si è trasformato essendo ormai condizionato dai partiti politici e dai mezzi di comunicazione di massa tuttavia vanno mantenuti di essa due aspetti molto importanti: -Relativizzazione della funzione legislativa -Le funzioni del parlamento si muovono lungo uno spettro ampio, e devono perciò articolarsi secondo tipologie più . complesse di quelle tradizionalmente considerate Vi sono cinque funzioni parlamentari: a. La funzione di indirizzo politico, intesa come concorso alla determinazione dei grandi obiettivi della politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in specificazione e attualizzazione del programma di governo; b. La funzione legislativa, comprensiva dei procedimenti legislativi “duali”, che vedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di altri soggetti dotati di potestà normativa; c. La funzione di controllo, definita come verifica dell’attività di un soggetto politico in grado di attivare una possibile reazione sanzionatoria; d. La funzione di garanzia costituzionale, interpretata come concorso delle Camere alla salvaguardia delle condizioni di normalità costituzionale; e. La funzione di coordinamento delle autonomie, invero di sempre più difficile esplicazione, in un sistema che nelle sedi di raccordi esistenti a livello sia internazionale che infranazionale tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi. 3. Il principio della polifunzionalità dei procedimenti parlamentari Assai variegata è la gamma dei procedimenti attraverso cui queste cinque funzioni vengono esercitate. Essendo il Parlamento organo costituzionale al tempo stesso collegiale e a struttura complessa, è evidente che la sua attività è fortemente procedimentalizzata, in modo da assicurare un ruolo ai diversi oggetti in campo (vale a dire, alle articolazioni interne delle Camere, ma anche ai soggetti politici, individuali e collettivi, che prendono parte alla vita parlamentare). Le tipologie dei procedimenti parlamentari sono numerose: per es. quelli organizzatori, quelli fiduciari, quelli legislativi, quelli conoscitivi-ispettivi, e quelli di indirizzo. Non sussiste un rapporto biunivoco tra funzioni e procedimenti. È assai frequente, infatti, che attraverso un procedimento le camere svolgano più di una funzione. Si è parlato in proposito di principio della polivalenza dei procedimenti parlamentari rispetto alle funzioni delle Camere. Pricipio che appare coerente con il carattere politico dei soggetti che vi prendono parte e con la natura spiccatamente rappresentativa delle Assemblee parlamentari. 4. La decisione parlamentare: le votazioni 4.1. Le regole sulle votazioni L’esercizio di tutte le funzioni delle Camere presuppone, almeno in potenza, la capacità degli organi parlamentari di assumere una decisione. Per giungere a questa decisione, come in tutti gli organi collegiali, occorre svolgere una o, più spesso, una serie di votazioni. La votazione è, dunque, il procedimento con cui si forma la volontà dell’Assemblea parlamentare. Ogni volta che “decide” l’Assemblea vota (lo stesso dicasi per le commissioni e le giunte, e gli altri organi collegiali). Non solo per approvare le leggi, ma in ogni procedimento parlamentare: x organizzare i propri lavori, concorrere all’attività di indirizzo, negare o concedere autorizzazioni a procedere, disporre inchieste,modificare i regolamenti. 4.2. L’ordine delle votazioni Se vi è una serie di votazioni, dovrà essere chiarito l’ordine con cui si procede alle stesse. Quella di stabilire l’ordine delle votazioni è una delle attribuzioni più delicate della presidenza (dell’Assemblea e delle commissioni), ed è disciplinata da un complesso sistema di regole e prassi riferire prevalentemente al procedimento legislativo, ma spesso applicate anche al di fuori di esso. È’ noto infatti che l’esito di una votazione può essere profondamente condizionato e alterato dall’ordine con cui le diverse alternative sono poste ai voti. Le votazioni si riferiscono necessariamente ad una proposta originaria, ad un testo considerato come base. Il che permette di fissare un ordine per la votazione delle proposte alternative – che sono modifiche (emendamenti) del testo base – che contemperi tre esigenze: l’economia e la coerenza del procedimento deliberativo; la garanzia della libertà della scelta dei parlamentari; e la votazione del maggior numero di proposte. Il contemperamento di queste esigenze motiva l’affidamento al Presidente di un potere che mantiene elevati margini di discrezionalità. Di ordine delle votazioni non si può parlare per un tipo particolare di votazioni: quelle elettive(Presidente Repubblica; 1\3 giudici costituzionali, del CSM…) Non c’è una proposta che comporti un’alternativa secca nella decisione, vi è dunque il problema di individuare l’ordine con cui mettere in votazione le varie proposte poiché la votazione qui non ha ad oggetto un contenuto predeterminato. 17 Dunque, la disciplina vigente nei due rami del Parlamento vede la programmazione dei lavori incentrarsi intorno a tre strumenti: il programma dei lavori (di orizzonte bimestrale al senato, bimestrale o trimestrale alla Camera); il calendario dei lavori (a cadenza mensile al Senato; trisettimanale alla Camera); l’ordine del giorno (spesso detto “di seduta”). L’ordine del giorno è l’unico ad essere determinato in via pressoché esclusiva dal Presidente d’Assemblea, senza il coinvolgimento della conferenza dei capigruppo. L’ordine del giorno di seduta tende a diventare una mera attuazione della programmazione. Il calendario dei lavori è il documento cruciale. Esso fissa il numero e la data delle singole sedute, con l’indicazione degli argomenti da trattare (r.S.); ovvero individua gli argomenti e stabilisce le sedute per la loro trattazione, specificando quali sono i giorni destinati alle discussioni e quelli nei quali l’Assemblea procederà a votazioni (r.C.). In realtà, però, è frequente che il calendario si spinga oltre, fissando cioè anche l’orario di inizio e fine della seduta o delle votazioni, e specificando l’ordine con cui i diversi provvedimenti dovranno essere iscritti all’ordine del giorno. Il programma dei lavori, infine, è il documento di taglio più astratto e generale. In esso ci si limita ad inserire, per ognuno dei due o tre mesi in esso ricompresi, i provvedimenti o gli argomenti che saranno presumibilmente oggetto di trattazione. Il procedimento per la formazione del programma e del calendario dei lavori è abbastanza articolato. Ai fini della formazione del programma sono previste le seguenti fasi: a. Opportuni contatti della presidenza di Assemblea con il Presidente dell’altro ramo del Parlamento e con il governo, in vista della convocazione della conferenza dei capigruppo b. Eventuale convocazione della conferenza dei presidenti di commissione c. Alla camera, comunicazione preventiva delle indicazioni del governo d. Riunione della conferenza dei capigruppo, nella quale, per prassi, il Presidente di Assemblea presenta una bozza di programma, approntata sulla base delle indicazioni del Governo e delle proposte dei gruppi e. In esito alla riunione della conferenza, possono verificarsi due ipotesi: o il programma è approvato (all’unanimità in Senato; con la maggioranza qualificata alla Camera); o, in mancanza di tale approvazione, è definito dal Presidente. f. Il programma è comunicato all’Assemblea e, dopo questa comunicazione, diviene definitivo; solo al Senato, nel caso in cui sia stato predisposto dal Presidente, esso può essere discusso ed, eventualmente, anche modificato. Il procedimento per la formazione del calendario è analogo a quello appena descritto, ma un po’ semplificato nelle fasi preparatorie, non essendo necessari i contratti preliminari. I regolamenti prescrivono poi una serie di vincoli contenutistici alla predisposizione di programmi e calendario. L’obiettivo è quello di garantire tempi congrui per l’esame in rapporto al tempo disponibile e alla complessità degli argomenti: evitando cioè una compressione eccessiva dei tempi di esame, in rapporto alla complessità, tanto tecnico-materiale quanto politica, dei provvedimenti in discussione. Un vincolo ulteriore riguarda il rispetto di un arco temporale minimo per l’esame dei progetti di legge in commissione. Ove programmi e calendari siano approvati dalla conferenza dei capigruppo, il regolamento richiede, inoltre, che il Presidente riservi comunque una quota del tempo disponibile agli argomenti indicati dai gruppi dissenzienti, ripartendola in proporzione alla consistenza di questi. Nel caso in cui, invece, i programmi e calendari siano definiti dal Presidente, il vincolo diviene più preciso: è necessario che il Presidente inserisca nel calendario le proposte dei gruppi di opposizione, in modo da garantire a questi ultimi 1/5 degli argomenti da trattare, ovvero del tempo complessivamente disponibile. Si può quindi parlare di una vera e propria quota riservata all’opposizione. Il regolamento del Senato contiene una previsione in qualche misura analoga, che, in più, cerca di attribuire rilievo anche alle indicazioni provenienti dai singoli senatori. Ogni due mesi almeno 4 sedute sono destinate esclusivamente all’esame di disegni di legge e di documenti presentati dalle opposizioni e da questi fatti propri. La sequenza programma-calendario-ordine del giorno è piuttosto rigida ma non manca, comunque, qualche elemento di flessibilità, che consente di tener conto delle urgenze che regolarmente irrompono nell’agenda politica e, conseguentemente, in quella parlamentare. In primo luogo vi sono alcuni provvedimenti che possono entrare automaticamente nel calendario. Il Senato usa una formula generale: “argomenti che, per disposizione della Costituzione o per regolamento debbono essere discussi e votati in una data ricadente nel periodo considerato dal calendario stesso”. La Camera invece li enumera almeno in parte: disegni di legge finanziaria e di bilancio, disegno di legge comunitaria… In secondo luogo esiste una procedura per l’inserimento di argomenti nuovi all’ordine del giorno in seduta: sono richiesti quorum particolarmente elevati: 2/3 dei presenti al Senato; ¾ dei votanti alla Camera. Inoltre sia il calendario, sia il programma possono essere “aggiornati”, seguendo le medesime procedure previste per la loro approvazione. Inoltre in relazione a situazioni sopravvenute ed urgenti si possono inserire in calendario argomenti nuovi, non presenti nel programma; alla Camera, è sempre la conferenza dei capigruppo a farlo; mentre al Senato è l’Assemblea a decidere, per alzata di mano. Queste integrazioni sarebbero ammissibili, comunque, purché non rendano impossibile l’esecuzione del programma: a questo fine, si potrebbero svolgere anche sedute supplementari. 1.3. Il contingentamento dei tempi Il Parlamento, specie oggi che è ben lungi dall’essere “solo” o “isolato” nello svolgimento delle sue attività, non può certo prescindere dal “fattore tempo”: tanto nella fase della programmazione, quanto nella fase della sua attuazione. La capacità decisionale del Parlamento e la sua idoneità a costituire un’effettiva sede di dibattito pubblico dipendono dall’efficacia e dalla tempestività della sua azione. Il contingentamento dei tempi consiste nella determinazione del tempo complessivo da dedicare ad un certo argomento e nella sua ripartizione tra i diversi gruppi parlamentari, oltre che tra gli altri soggetti e le operazioni che comunque risultino time consuming. Sarà poi ciascun gruppo parlamentare, secondo le proprie regole e procedure, a decidere come distribuire tra i propri membri il tempo ad esso assegnato. In questa chiave, essenziale è la previsione di appositi e non irrisori spazi per i singoli parlamentari, che desiderino intervenire a titolo personale o in dissenso dal proprio gruppo. In caso contrario, risulterebbero infatti non infondati quei dubbi sulla compatibilità con l’art. 67 Cost. di un contingentamento dei tempio che si limitasse a ripartire tra i soli gruppi tutto il tempo disponibile, rimettendo perciò integralmente alla decisione dei gruppi l’effettivo esercizio del diritto di parola del singolo parlamentare. 20 Dunque, con il contingentamento dei tempi si stabilisce di dedicare un certo numero di ore all’esame di un progetto di legge o di un argomento, nel momento in cui questo è iscritto nel calendario dei lavori, eventualmente anche fissando il momento in cui tale esame si concluderà, il più delle volte, con il voto finale. Ribadito il principio generale per cui il tempo assegnato ad ogni argomento deve essere rapportato alla sua complessità, si stabilisce che: a. Dal tempo assegnato totale vengano sottratti i tempi per gli interventi dei relatori, dei rappresentanti di Governo, dei deputati del gruppo misto (che a sua volta è ripartito tra le componenti politiche, in base alla loro consistenza numerica), per i richiami al regolamento, e, infine, per le operazioni di voto b. Del tempo residuo dopo questa sottrazione, 1/5 sia riservato per gli interventi a titolo personale c. I restanti 4/5 siano invece distribuiti tra i gruppi: una parte in misura uguale e un’altra parte in misura proporzionale alla consistenza degli stessi; a ciò si aggiunge la regola per cui, per l’esame dei disegni di legge governativi, va riservato ai gruppi di opposizione un tempo complessivamente maggiore di quello attribuito ai gruppi di maggioranza Il potere di determinare il contingentamento dei tempi spetta, in linea generale, a chi decide il calendario dei lavori: perciò, alla conferenza dei capigruppo, nel caso in cui si raggiunga la maggioranza richiesta; oppure, ove tale maggioranza non si ottenga, al Presidente di Assemblea. Il contingentamento va deliberato all’unanimità della conferenza dei capigruppo quando si tratti di progetti di legge: a. Costituzionale b. Vertenti prevalentemente su una materia su cui è possibile richiedere lo scrutinio segreto, vale a dire relativa a diritti e libertà previsti nella prima parte della Costituzione c. Riguardanti questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale o economica riferite ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione, su richiesta di un gruppo parlamentare. In ogni caso, una volta scaduti i tempi (contingentati) a disposizione dei gruppi parlamentari, si procede solo alle votazioni, che si succedono una dietro l’altra, in un clima un po’ surreale, e anche se il tempo preventivato per la loro effettuazione fosse stato consumato tutto. A meno che il Presidente d’Assemblea non decida di assegnare un tempo ulteriore a ciascun gruppo, o anche solo ai gruppi che hanno esaurito il tempo a loro disposizione. 1.4. I rapporti per la programmazione in Assemblea e in commissione Anche nelle commissioni trova applicazione la programmazione dei lavori, che è affidata, oltre che ai loro presidenti, agli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi: una sorta di mini conferenza dei capigruppo in commissione. Nella prassi tende ad essere prevalente una programmazione a cadenza settimanale: in concomitanza, cioè, con l’invio delle convocazioni settimanali delle commissioni, i cui lavori si devono incastrare negli spazi lasciati liberi dall’Assemblea. A lungo, nell’esperienza parlamentare repubblicana, sono state proprio le commissioni gli organi decisivi, ancor prima che nella definizione dei contenuti della legislazione approvata, ai fini della selezione dei progetti di legge di cui avviare l’esame. Nell’ambito delle centinaia di progetti assegnati a ciascuna commissione, e ricompresi nell’ordine del giorno generale, erano gli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle singole commissioni a decidere quali prendere effettivamente in considerazione =>l’ordine del giorno dell’Assemblea finiva per essere determinato anch’esso dalle scelte operate dalle commissioni. A partire dagli anni ’90, grazie all’operatività della programmazione dei lavori e del contingentamento dei tempi, si è realizzato uno storico spostamento dell’indirizzo e delle priorità della legislazione dalle commissioni all’aula, mediante una valorizzazione della conferenza dei capigruppo. È ora l’Assemblea, attraverso appunto la conferenza dei capigruppo, a decidere, con approccio intersettoriale, quali progetti di legge esaminare prioritariamente condizionando quindi l’agenda delle commissioni. Fino a forzare la conclusione dell’esame dei progetti di legge in commissione. Tale spostamento dalle commissioni all’Assemblea ha originato significativi effetti sia sui rapporti tra Governo e Parlamento sia su quelli tra maggioranza e opposizione: a vantaggio ambedue del primo dei due soggetti:governo e la sua maggioranza hanno molta pi facilità a controllare le dinamiche di un unico centro decisionale di quanta non ne avessero a seguire l’attività di quasi una trentina di centri decisionali poco coordinati tra loro e settoriali. 2. I procedimenti conoscitivi e ispettivi 2.1. L’informazione parlamentare Il Parlamento è dotato di una serie di strumenti conoscitivi per esercitare le sue funzioni. Chi per primo deve soddisfare la “curiosità” delle camere è il Governo e, per suo tramite, l’amministrazione: è questo un necessario canale istituzionale di informazione, per anni tendenzialmente esclusivo. Ma la Costituzione prevede uno strumento autonomo, l’inchiesta, che consente una diretta acquisizione di notizie (art. 82 Cost.) Il legislatore ha ancorato a questo riferimento costituzionale una rete di strumenti conoscitivi che forniscono al Parlamento una massa di informazioni indipendenti: per es. le relazioni annuali al Parlamento della autorità indipendenti e una miriade di altri soggetti. Si è soliti enucleare, nell’ambito della generica attività conoscitiva, un’attività propriamente ispettiva. Ispettiva è l’attività di acquisizione di conoscenze da parte del Parlamento cui corrisponde un obbligo, variamente graduato, di risposta da parte dei soggetti interrogati. Lo strumento ispettivo per eccellenza è l’inchiesta parlamentare, che reca con sé addirittura l’attribuzione dei poteri dell’autorità giudiziaria in capo all’organo che la svolge. Mezzi meramente conoscitivi sono invece le indagini conoscitive, nelle quali i soggetti da ascoltare sono semplicemente invitati a intervenire. Un carattere seppure blandamente coercitivo, e quindi ispettivo, hanno le interrogazioni e le interpellanze, a cui il Governo non può, ma tendenzialmente “deve” rispondere (obbligo prettamente politico). Vi sono poi apposite commissioni parlamentari bicamerali, dette di vigilanza, istituzionalmente dotate di penetranti e particolari poteri ispettivi. Anche le commissioni parlamentari permanenti, nelle materie di competenza per la loro attività legislativa, di indirizzo e di controllo, si possono valere di una serie di strumenti ispettivi. La disponibilità di questo complesso insieme di strumenti conoscitivi e ispettivi e il loro uso mirato e settoriale dovrebbero garantire alle commissioni permanenti che lo desiderino di essere i veri centri di propulsione dell’attività parlamentare: non solo di quella legislativa, ma soprattutto di quella di indirizzo e di controllo. 2.2. Le commissioni di inchiesta 21 Secondo l’art. 82 Cost., ciascuna camera può disporre un’inchiesta su materie di pubblico interesse. se lo intende fare, deve nominare a tale scopo, fra i propri componenti, una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione di vari gruppi parlamentari. La commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. Per procedere a un’inchiesta ci deve essere la decisione di una o di entrambe le camere. Non pare infatti ammissibile l’adozione di un atto avente forza di legge del Governo. L’inchiesta parlamentare è uno strumento di garanzia, oggetto di un’attività radicalmente autonoma rispetto al circuito dell’indirizzo politico. Un’interpretazione rafforzata della norma, questa prevista dal solo regolamento del Senato, che fissa un percorso procedurale accelerato per le proposte di inchiesta sottoscritte da una minoranza (1/10 dei senatori). La prassi sembra avere dimostrato che non solo l’opposizione non può imporre da sola la costituzione di una commissione di inchiesta, ma addirittura che le commissioni di inchiesta possono essere utilizzate come un vero e proprio strumento a favore della maggioranza, in taluni (rari) casi persino contro l’opposizione. La considerazione dell’eccezionalità dell’attribuzione dei poteri dell’autorità giudiziaria dovrebbe poi indurre cautela nell’uso dello strumento dell’inchiesta, spingendo a una lettura rigorosa della previsione costituzionale che limita il ricorso all’inchiesta parlamentare alle sole “materie di pubblico interesse”. Quanto alle finalità dell’inchiesta, queste seguono la varietà delle funzioni parlamentari. Talune inchieste sono strumentali all’acquisizione di informazioni da utilizzare nell’attività legislativa. Altre hanno un carattere più spiccato di controllo e verifica delle responsabilità; alcune commissioni di inchiesta finiscono per affiancare, nei fatti, organi giudiziari inquirenti, assicurando a questi un utile sostegno e stimolo, ma anche provocando discutibili commistioni e interferenze. Quanto all’esito delle inchieste, le leggi prevedono, generalmente, l’obbligo di trasmettere alle Camere relazioni sullo stato dei lavori. In ogni caso la commissione dovrebbe dar conto delle indagini in una relazione conclusiva nella quale formulare proposte destinate all’esame dell’Assemblea, anche allo scopo di garantire un legame dell’attività di inchiesta con le funzioni tipiche del Parlamento. Spesso, però, queste relazioni non sono state discusse ovvero sono state esaminate solo a distanza di anni, senza mai realmente attivare processi di responsabilità politica. Ma vi è anche la prassi virtuosa di commissioni che hanno saputo efficacemente utilizzare questa libertà di azione per svolgere un prezioso ruolo persuasivo, di consiglio, controllo ed indirizzo dei pubblici poteri, valorizzando appieno la centralità del Parlamento nel sistema istituzionale e la sua essenziale funzione di arena di confronto e di discussione politica e sociale. 2.3. Le indagini conoscitive È lo strumento più utilizzato dalle commissioni parlamentari permanenti, insieme alle audizioni, per condurre accertamenti e acquisire notizie e informazioni nelle materie di loro competenza. Ciascuna commissione può deliberare di aprire un’indagine conoscitiva. In quella sede, la commissione parlamentare procede ad acquisire notizie, in particolare attraverso l’audizione di “qualsiasi persona in grado di fornire elementi utili all’indagine” (art. 155 r.C.). Questo strumento permette alle commissioni di ascoltare liberamente, in una sede formale, senza alcuna limitazione e sulla base di un semplice invito, soggetti estranei al Parlamento. Le indagini conoscitive si concludono alla Camera con l’approvazione di un documento che tende a trasformarsi in un atto di indirizzo politico. Più spesso, però, l’indagine conoscitiva è direttamente strumentale all’ordinaria attività delle commissioni. 2.4. Le audizioni Le audizioni dovrebbero essere lo strumento ordinario a disposizione delle commissioni parlamentari per acquisire le informazioni che ritengono necessarie in relazione alle varie questioni da trattare. Tuttavia, il ricorso a questo strumento è condizionato da un pesante vincolo strutturale. Gli unici soggetti che possono essere auditi sono, oltre ai membri del governo, dirigenti e amministratori delle amministrazioni centrali e degli enti sottoposti comunque a controllo ministeriale. Un novero di soggetti che si è andato ulteriormente restringendo con la privatizzazione degli enti pubblici ed economici. Oggi questi strumenti si colorano di una connotazione ispettiva piuttosto che semplicemente conoscitiva. Mentre l’obiettivo di acquisire semplicemente conoscenze viene perseguito attraverso audizioni informali che si svolgono in sede appunto informale, senza pubblicità, o più esattamente senza alcuna forma di resocontazione scritta. A fronte dell’inaridirsi del ricorso allo strumento delle audizioni formali e del proliferale incontrollato di quelle informali, i regolamenti, hanno visto la formalizzazione di strumenti conoscitivi settoriali,che consistono in vere e proprie audizioni, in due campi:la programmazione economica finanziaria e le politiche dell’UE. 2.5. Le interrogazioni L’interrogazione è una semplice domanda che ogni parlamentare può rivolgere al Governo su un fatto determinato, chiedendo informazioni particolari, documenti, notizie o di esprimere la propria posizione politica. Alle interrogazioni il rappresentante del Governo interessato risponde in Assemblea, in commissione o per iscritto, a seconda dell’opzione esercitata dall’interrogante al momento della presentazione. L’interrogante può solo replicare, intervenendo, appunto, in Assemblea o in commissione, dichiarandosi soddisfatto o insoddisfatto, ovvero, nel caso di risposta scritta, accontentarsi delle informazioni ricevute. Una particolare specie di interrogazione è quella “a risposta immediata” con la quale si è cercato di introdurre in Italia il cosiddetto question time . Una volta alla settimana viene riservato uno spazio della seduta dell’aula a interrogazioni presentate da un deputato per ciascun gruppo parlamentare, entro mezzogiorno del giorno precedente. A esse dovrebbero rispondere, alternativamente: il Presidente del consiglio dei ministri o il vicepresidente del consiglio, due volte al mese; e i ministri competenti, una volta al mese. Gli argomenti sono i più disparati, ma sempre conosciuti preventivamente dal Governo. Ciò insieme alla scarsa fantasia degli interroganti, alla sistematica assenza del Premier e alla frequente sostituzione del Ministro competente con quello per i rapporti col Parlamento impedisce di suscitare nelle aule quel clima teso e brillante che caratterizza il question time britannico. 2.6. Le interpellanze Anche l’interpellanza consiste in una domanda formulata al Governo da uno o più parlamentari. Si tratta però, a differenza dell’interrogazione, di una domanda motivata tesa a conoscere i motivi o gli intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti della sua politica. La maggiore rilevanza politica della domanda spiega perché la sua risposta debba aver luogo necessariamente in Assemblea. 22 Ai due suddetti requisiti altrettanti ne aggiunge l’art. 94 comma 5, questi specificamente rivolti alla sola mozione di sfiducia: la necessità che essa sia sottoscritta da almeno un decimo dei componenti della Camera o del Senato; la previsione di un intervallo minimo di 3 giorni tra la sua presentazione e la sua votazione. La fissazione di un quorum più elevato per la presentazione della mozione di fiducia scoraggia l’uso banalizzante o ostruzionistico dello strumento della mozione di sfiducia. L’intervallo di almeno 3 giorni tra presentazione e votazione della mozione di sfiducia è invece diretto ad impedire assalti alla diligenza, ad evitare cioè colpi di mano operanti a sorpresa dall’opposizione. Oltre che per una finalità di tipo operativo-materiale, l’intervallo di tempo può risultare utile anche per una finalità più spiccatamente politica. 4.4. La mozione di sfiducia al singolo ministro I procedimenti fiduciari espressamente disciplinati in Costituzione terminano qui, con le mozioni di fiducia e sfiducia. Le consuetudini costituzionali sono andate arricchendo la gamma di tali procedimenti, costruendone altri due: la mozione di sfiducia al singolo ministro e la questione di fiducia. Nel caso della mozione di sfiducia individuale, la sua disciplina è stata inventata dalla giunta per il regolamento del Senato in un parere del 1984 e codificata poi dal regolamento della Camera, novellato sul punto nel 1986. Prima il Senato e poi la Camera, nel ritenere ammissibili le mozioni volte a chiedere le dimissioni di un ministro, hanno deciso di estendere ad esse il medesimo trattamento procedurale previsto per le mozioni di sfiducia nei confronti dell’intero Governo: dunque, votazione palese per appello nominale; ma anche motivazione, presentazione da parte di almeno 1/10 dei componenti dell’Assemblea e intervallo minimo di tre giorni tra presentazione e votazione. [Unico ministro sfiduciato Mancuso ex ministro di grazia e giustizianonostante approvazione rifiutò di dimettersi sollevando conflitto di attribuzioni nei confronti del Senato, Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica sostenendo che il rapporto fiduciario camera governo nel suo complesso fosse insuscettibile di essere parzializzato e parzialmente revocato a scapito della unitarietà delle funzioni del governo stesso] La Corte costituzionale, con sentenza 7/1996, ha affermato la piena conformità a Costituzione della mozione di sfiducia individuale e la sua idoneità a comportare, per il ministro che ne sia stato colpito, l’obbligo di dimettersi. 4.5. La questione di fiducia Decisamente più rilevante sul piano quantitativo e sul piano sistemico è la questione di fiducia. Con la questione di fiducia è il Governo a dichiarare che dall’esito di una certa votazione parlamentare dipende la sua permanenza in carica: a chiamare a raccolta, cioè, la propria maggioranza su una certa votazione parlamentare, legando i suoi destini al risultato di un voto. La ratio dell’istituto è di tipo “ricattatorio”: con la sua posizione il governo pone l’Assemblea davanti ad un’alternativa netta:o approva il testo voluto dal governo o questo si dimetterà. In Italia la questione di fiducia non è oggetto di disciplina costituzionale. Vi è una vera e propria consuetudine costituzionale, in forza della quale la posizione della questione di fiducia produce essenzialmente tre ordini di effetti (anche in deroga ai principi costituzionali che informano il procedimento legislativo): • Il voto palese per appello nominale • La priorità della votazione su cui è stata posta la fiducia • L’inemendabilità (e l’indivisibilità) dell’oggetto di tale votazione Oggi tale consuetudine è stata in parte codificata, in parte integrata da norme inserite nei regolamenti parlamentari. A queste fanno riscontro, sul versante governativo, due disposizioni legislative: quella secondo cui “il consiglio dei ministri esprime l’assenso all’iniziativa del Presidente del consiglio di porre la questione di fiducia davanti alle Camere”; e quella in base alla quale spetta al Presidente del consiglio “direttamente o a mezzo di un ministro espressamente delegato” porre la questione di fiducia. In Senato, la disciplina regolamentare si limita a vietare la posizione della questione fiducia sulle proposte di modifica del regolamento e, in generale, su quanto attenga alle condizioni di funzionamento interno del Senato. Per il resto, trova applicazione la suddetta consuetudine. Alla camera la ben più diffusa disciplina regolamentare riguarda, oltre il suo ambito di applicazione(più limitato) anche le modalità di votazione(x appello nominale) gli effetti sulla discussione e sull’ordine delle votazioni nonche l’intervallo che deve intercorrere tra la sua posizione e la sua votazione. Le finalità in vista delle quali il Governo decide di porre la questione di fiducia sono in genere ricondotte a due. Anzitutto, vi è lo scopo originario dell’istituto, quello consistente nel cosiddetto “ricompattamento della maggioranza”: mediante la questione di fiducia si vuole ricondurre all’indirizzo politico governativo le posizioni di quei parlamentari delle forze di maggioranza che, altrimenti, su quel voto agirebbero con maggiore libertà. Accanto a questo scopo, vi è quello di tipo antiostruzionistico, che fa leva sugli effetti procedurali che si sono visti essere riconnessi alla posizione della questione di fiducia. Entrambe le finalità tendono ad essere esaltate quando la questione di fiducia è posta su un maxiemendamento La questione di fiducia, proprio perché disciplinata prevalentemente da fonti non scritte, costituisce uno strumento estremamente duttile. Oltre che nel procedimento legislativo, può essere posta anche su atti di indirizzo. 5. Il procedimento legislativo 5.1. L’iniziativa legislativa Il procedimento di formazione delle leggi ordinarie è, nelle sue linee essenziali, regolato dalla Costituzione (artt. Da 70 a 74), la quale rinvia, per una disciplina più puntuale, ai regolamenti parlamentari, così ponendo una “riserva di regolamento parlamentare”. La Costituzione fissa alcuni passaggi ineliminabili: l’iniziativa; la deliberazione delle due camere in momenti distinti e successivi; l’esame in commissione; il voto articolo per articolo e quello finale. Tali passaggi rappresentano tutti anelli necessari di una catena, la cui mancanza origina un vizio di legittimità costituzionale della legge, sindacabile dalla Corte costituzionale. Il primo anello della catena è l’iniziativa legislativa, la redazione cioè di un progetto di legge, composto in articoli e corredato da una relazione illustrativa da parte dei soggetti individuati dall’art. 71 Cost.: Governo; singoli parlamentari; 50 000 elettori; ciascun Consiglio regionale; nonché il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Quando non provenga da singoli parlamentari, l’iniziativa legislativa è a sua volta il risultato di un procedimento. Per l’iniziativa del Governo si prevede un itinerario assai complesso:iniziativa del ministro competente o del presidente del consiglio; il concerto degli altri ministri coinvolti;la delibera del consiglio dei ministri e a chiusura x espressa previsione costituzionale l’autorizzazione del Presidente della repubblica alla presentazione a una delle due Camere. Tre caratteristiche dell’iniziativa legislativa vanno qui ricordate: 25 a. La prevalenza dell’iniziativa legislativa del Governo rileva solo su un piano politico, poiché invece le iniziative legislative sembrano avere tutte, nel sistema voluto dalla Costituzione, uguale valore giuridico. b. Gli emendamenti sono di fatto liberi di modificare il testo pure dei disegni di legge governativi, così potendo aggirare sia tutta la fase endogovernativa, sia l’autorizzazione del Presidente della Repubblica. c. L’iniziativa legislativa è in genere considerata un semplice impulso al procedimento, le Camere non si ritengono obbligate a deliberare su un testo, bensì libere di scegliere o elaborare i testi da approvare. Vi sono tuttavia iniziative legislative “obbligatorie” (anche dette vincolate o doverose), come i disegni di legge di approvazione del bilancio, del rendiconto e dell’assestamento, che devono essere presentati ogni anno e con la medesima cadenza approvati dalle Camere. E iniziative “riservate”, che spettano cioè a uno solo dei soggetti titolari del potere di iniziativa. Ai Presidenti di Assemblea spetta effettuare un generale giudizio sulla ricevibilità dei progetti di legge. Una verifica che dovrebbe limitarsi all’accertamento dell’esistenza dell’atto e della sua regolarità formale; e alla constatazione che un progetto di legge consista in un articolato, sia preceduto da una relazione illustrativa e, ove richiesto, da quella tecnico-finanziaria. 5.2. L’esame in commissione (in sede referente) Il progetto di legge, presentato al Presidente di una delle due Assemblee, viene dal medesimo assegnato a una commissione parlamentare permanente(o a più commissioni riunite, qualora la materia investa la competenza di più d’una delle 14 commissioni permanenti) ; o altrimenti a una commissione “speciale”, costituita ad hoc. La scelta della commissione o delle commissioni competenti è, al Senato, un potere esclusivo del Presidente di Assemblea. Alla Camera questa scelta è sottoposta ad una valutazione dell’aula, che in genere si limita a prendere atto della decisione presidenziale. Al Presidente di Assemblea spetta comunque risolvere eventuali conflitti di competenza insorti dopo l’assegnazione. Nel procedimento normale,o in sede referente, in commissione viene svolto un esame preliminare e istruttorio rispetto alla fase deliberativa, che ha luogo, invece, in Assemblea. Nella fase istruttoria in commissione è ricompresa la formazione del testo che costituirà la base dell’esame da parte dell’Assemblea. Alla commissione spetta innanzitutto svolgere un’adeguata istruttoria. Scegliere la materia e dunque i progetti di legge su cui iniziare a lavorare è un’opzione politica. Solo per pochissime esiste un vero e proprio obbligo d’esame. L’esame in commissione si apre con un’illustrazione preliminare svolta dal presidente o da questi affidata ad un relatore, che è da lui nominato. Se presso l’altro ramo del Parlamento è iniziato l’esame di un progetto di legge su analoga materia i Presidenti delle due Assemblee devono raggiungere intese per evitare lo svolgimento di procedimenti paralleli. Nella prassi il criterio generale è che vada avanti la commissione che ha iniziato l’esame per prima. Si svolge quindi la fase dell’istruttoria propriamente detta: l’acquisizione cioè di “elementi di conoscenza necessari per verificare la qualità e l’efficacia” dell’intervento normativo proposto. Questa fase è regolata con dovizia di particolari dal regolamento della Camera. La definizione dei contenuti dell’istruttoria è poi stata ribadita dallo stesso regolamento ove si è stabilito che nel corso dell’esame in sede referente le commissioni parlamentari sono tenute a prendere in considerazione i seguenti elementi: la necessità dell’intervento legislativo; il rispetto degli altri ambiti di competenza; il rapporto costi-benefici; la corretta stesura del testo Al fine di poter valutare tali elementi, la commissione può utilizzare l’intero strumentario delle procedure informative messe a disposizione dai regolamenti. Al Senato, ove il regolamento dice poco sui contenuti dell’istruttoria, questi approfondimenti sono per lo più svolti in sedi informali. Esaurita questa prima fase, la commissione elabora un testo unificato di mediazione dei vari progetti abbinati, o altrimenti procede alla scelta di uno di questo come “testo base”. È con riferimento a questo testo che si fissa un termine per la presentazione degli emendamenti, che poi sono oggetto di discussione e votazione in commissione. L’esame di articoli ed emendamenti avviene senza un particolare rigore procedurale, non dovendo rispettare un rigido ordine. Sui testi risultanti dagli emendamenti viene sollecitato, alla Camera, e in concreto acquisito il potere delle altre commissioni parlamentari interessate. Fra questi pareri, i più importanti sono quelli delle cosiddette commissioni “filtro” che hanno cioè una competenza trasversale rispetto ai singoli settori, di competenza di ciascuna commissione.(commissione bilancio x verificare la copertura finanziaria delle previsioni di spesa contenute nei progetti di legge; la commissione affari costituzionali x conformità alla Costituzione e coerenza con ordinamento; commissione politiche dell’UE ma anche la commissione giustizia e alla camere la commissione lavoro x gli aspetti concernenti il pubblico impiego previdenza e autonomia contrattuale;per prassi commissione finanze;e infine quella bicamerale x le questioni regionali) Nella “sede referente”, il procedimento in commissione si esaurisce con la votazione del mandato al relatore a riferire all’Assemblea. È questo l’unico voto che la commissione in questa sede è tenuta a dare. Per sostenere il dibattito in aula, la commissione, oltre al relatore di maggioranza e agli eventuali relatori di minoranza, procede altresì alla nomina di un comitato rappresentativo anche delle minoranze, chiamato “comitato dei nove”. Questo rappresenta la commissione nel corso dell’esame del progetto di legge in Assemblea, esercitando quelle funzioni di guida e di sostegno della discussione in aula, oltre che esprimendosi preventivamente su tutti gli emendamenti ivi presentati. Oltre alla relazione di maggioranza, possono essere presentate relazioni di minoranza. 5.3. L’esame in Assemblea Arrivati in assemblea – ma la stesa procedura si segue in commissione in sede “deliberante” o “redigente” – sul testo predisposto dalla commissione si apre una discussione generale. È questo il momento del primo e più ampio confronto pubblico sul testo del provvedimento. Tuttavia, nei fatti, la discussione generale si è ridotta ad un passaggio rituale cui sono dedicati spazi residuali dei lavori parlamentari (essa si svolge x lo più in aule deserte ove deputati e senatori spesso stancamente leggono testi da lasciare agli atti) ; ad ogni modo, essa è in genere oggetto di contingentamento. La discussione può altresì concludersi con la votazione di una questione pregiudiziale o sospensiva. Il procedimento legislativo si interrompe nel caso di votazione di una questione pregiudiziale o anche, al Senato, di approvazione della proposta “di non passaggio agli articoli”. Si tratta di voti che equivalgono al rigetto del provvedimento. Nel caso di approvazione di una questione sospensiva, il progetto di legge risulta solo accantonato. Diverso è, invece, il rinvio in commissione: uno strumento che interrompe l’esame in Assemblea ed è di solito strumentale alla ricerca di un accordo politico in una sede ristretta, ossia nella commissione, in cui la fase referente viene così a riaprirsi. Finita la discussione generale, si passa all’esame degli articoli che compongono il testo e dei relativi emendamenti: ossia delle proposte di modifica, presentate dai singoli parlamentari o dal Governo, a loro volta suscettibili di ulteriori proposte di modifica, dette subemendamenti. 26 Con un emendamento si possono sostituire più articoli, un comma, una parola, anche una sola virgola del testo in esame. Quello di presentare emendamenti è un diritto riconosciuto a ciascun parlamentare, che in genere si presenta come una sorta di proiezione del diritto costituzionale di iniziativa legislativa. Non è un diritto privo di limiti, innanzitutto nei tempi del suo esercizio: i regolamenti dettano termini e modalità per la presentazione degli emendamenti. Sfuggono tendenzialmente ai vincoli temporali il Governo e la commissione(i quali per la loro posizione si fanno portatrici di scelte politiche che si risolvono in aggiustamenti al testo). Non tutti gli emendamenti presentati sono però esaminati. Ai Presidenti è riconosciuto un rilevante potere circa la loro ammissibilità o proponibilità. Non sono ammissibili emendamenti relativi ad argomenti estranei all’oggetto del testo in esame. Al Senato sono espressamente ritenuti inammissibili gli emendamenti “privi di ogni reale portata modificativa”. (alla camera a soluzioni analoghe si perviene in base alla prassi) Sugli emendamenti presentati in Assemblea vanno poi acquisiti i pareri delle commissioni bilancio, per i profili di copertura finanziaria(x i profili di copertura finanziaria) e della affari costituzionali. Diversi sono gli effetti procedurali :solo al Senato il parere contrario della commissione bilancio rende non votabile l’emendamenti a meno che ne facciano richiesta 15 senatori. Alla Camera come al Senato, nessun vincolo nella procedura d’Assemblea è indotto dal parere contrario della commissione affari costituzionali. Gli emendamenti sono illustrati non autonomamente, ma nell’ambito della discussione relativa a ciascun articolo, nella quale ogni parlamentare, anche se presentatore di più emendamenti, può intervenire una sola volta. Sugli emendamenti vengono acquisiti i pareri del Governo e del relatore. Arriva quindi il momento più delicato: quello delle votazioni sugli emendamenti e poi su ogni articolo, come prescritto dalla Costituzione. Gli emendamenti sono messi in ordine e posti in votazione, ove si riferiscano alla stessa porzione di testo, a partire da quelli che più si allontanano dal testo base. Dunque, prima gli emendamenti interamente soppressivi; poi quelli parzialmente soppressivi; quindi quelli modificativi; e, infine, quelli aggiuntivi. I subemendamenti sono invece votati subito prima degli emendamenti cui si riferiscono. Sempre per garantire un risultato coerente delle votazioni, il Presidente non mette in votazione gli emendamenti che dichiara “preclusi”, perché oggettivamente incompatibili con precedenti votazioni, o “assorbiti” dall’approvazione precedente di un testo. Questa è la procedura normalmente seguita; tuttavia, specie qualora ci si trovi di fronte a molti emendamenti – per es., nel caso di ostruzionismo – il Presidente può modificare l’ordine delle votazioni degli emendamenti “quando lo reputi opportuno ai fini dell’economia o della chiarezza delle votazioni”.(r.S) Votati gli emendamenti, si vota ciascun articolo, che può essere approvato o respinto. Uno o più articoli possono anche essere “stralciati”, separati cioè dal progetto di legge: serve qui una decisione dell’Assemblea e la parte stralciata diviene un autonomo progetto di legge, che ha una vita propria. Dopo la votazione degli articoli alla Camera (prima, invece, al Senato) vengono discussi e votati gli ordini del giorno. Il progetto di legge quindi deve essere votato nel suo complesso, con le relative dichiarazioni di voto (anch’esse soggette, di regola, a contingentamento dei tempi). Questa deliberazione avveniva un tempo a scrutinio segreto mentre oggi invece avviene generalmente a scrutinio palese, salva la possibilità di richiederne quello segreto nei soli casi previsti dai regolamenti. Il voto finale è in genere preceduto dal coordinamento formale: ossia dall’introduzione di modifiche esclusivamente di forma, che si rendono in genere necessarie per ovviare ad errori materiali, imperfezioni o contraddizioni. Il coordinamento è oggetto di un’accurata disciplina nei regolamenti parlamentari. Infine, il testo del progetto di legge, come approvato da una camera, per il principio del bicameralismo perfetto, viene trasmesso con il cosiddetto “messaggio” dal Presidente dell’una al Presidente dell’altra Assemblea, al quale spetta, nei modi che si sono visti, attivare il procedimento legislativo presso quel ramo del Parlamento. Il testo viaggerà quindi da palazzo Montecitorio a palazzo Madama (o viceversa), avanti e indietro (la navette): anche più di una volta, fino a che non via sia una deliberazione conforme, sul medesimo testo, di Camera e Senato. I regolamenti prevedono comunque che la Camera che ha approvato per prima il testo debba limitare il suo esame – nel caso non infrequente che l’altra Camera glielo rimandi modificato – alle sole parti modificate. Ne discende l’inammissibilità degli emendamenti che non si trovino in diretta correlazione con le modifiche apportate dall’altro ramo del parlamento. 5.4. I procedimenti in sede legislativa (o deliberante) e in sede redigente L’art. 72 comma 3 Cost. ha aperto la strada all’approvazione delle leggi direttamente in commissione, senza bisogno di passare per l’Assemblea. Tale articolo affida infatti ai regolamenti parlamentari il compito di stabilire in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei progetti di legge sono deferiti alle commissioni, sempreché queste siano composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. La commissione viene denominata “in sede legislativa” alla Camera, e “in sede deliberante” al Senato. Vi è un procedimento che può considerarsi intermedio tra quello in sede referente e legislativa (o deliberante): in sede redigente (alla commissione la redazione del testo; all’Assemblea la sua approvazione finale, senza modifiche). Tali procedure sono circondate in Costituzione da una serie di cautele. Per effetto della c.d. “riserva d’Assemblea” i procedimenti in sede legislativa non possono essere seguiti per i progetti di legge in materia costituzionale, elettorale, di delega legislativa, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, di approvazione di bilanci e dei conti consuntivi; a questo elenco i regolamenti parlamentari aggiungono anche i disegni di legge di conversione dei decreti-legge, i disegni di legge finanziaria e le leggi rinviate al Presidente della repubblica. Per espressa prescrizione costituzionale, poi, il Governo, ma anche le minoranze parlamentari, possono ottenere, in qualsiasi fase del procedimento, il passaggio alla procedura normale (rimessione in Assemblea). La Costituzione ha demandato ai regolamenti parlamentari la determinazione di casi e forme in cui un disegno di legge può essere deferito a una commissione perché lo approvi definitivamente. Il regolamento della Camera afferma che l’assegnazione in sede legislativa può essere proposta dal presidente quando un progetto di legge “riguardi questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale”; ma subito dopo dice che possono essere assegnati in sede legislativa anche i progetti di legge rilevanti, “qualora rivestano particolare urgenza”. La decisione iniziale spetta al Presidente d’assemblea, al momento dell’assegnazione in commissione. Per il trasferimento di sede, invece, occorre oltre all’assenso esplicito del Governo, una richiesta unanime della commissione al Senato; una richiesta di tutti i rappresentanti dei gruppi in commissione o di più dei 4/5 dei componenti della commissione, alla Camera. Si tratta di quorum esattamente speculari rispetto a quelli che la Costituzione richiede per la rimessione in Assemblea. I regolamenti configurano in modo notevolmente diverso la sede redigente. 27 è previsto l’esame abbinato in commissione e in Assemblea, e ai documenti ad essi correlati, originando così una fase specializzata e concentrata dei lavori parlamentari (la sessione di bilancio). Poiché lo scopo primario di tale disciplina era quello di assicurare tempestività all’approvazione delle leggi finanziaria e di bilancio, la sessione di bilancio è stata caratterizzata da due elementi indefettibili: la garanzia dei tempi di decisione, ottenuta mediante l’obbligatoria applicazione del meccanismo del contingentamento dei tempi; e il divieto di adottare deliberazioni su progetti di legge con conseguenze finanziaria quando è in corso l’esame dei disegni di legge finanziaria e di bilancio. Il divieto opera solo nel corso della lettura dei disegni di legge finanziaria e di bilancio presso quello stesso ramo del Parlamento ed è tendenzialmente derogabile con decisione unanime delle conferenza dei capigruppo. La disciplina dei regolamenti parlamentari ha poi avuto bisogno di ulteriori e rilevanti riformatori, essenzialmente ispirati all’esigenza di introdurre le procedure parlamentari per l’esame del DPEF e dei provvedimenti collegati e di assicurare la tenuta dei disegni di legge che compongono la manovra di bilancio rispetto a normative intruse. La più accurata tipizzazione del contenuto della legge finanziaria, legge a contenuto tipi e a competenza limitata, ha portato a rafforzare le difese nei confronti delle disposizioni che rispetto ad esse risultino estranee. Si è configurato uno specialissimo potere di stralcio presidenziale, per effetto del quale il Presidente del ramo del Parlamento cui il disegno di legge finanziaria è presentato per primo, preliminarmente all’assegnazione, “accerta che il disegno di legge non rechi disposizioni estranee al suo oggetto così come definito dalla legislazione vigente in materia di bilancio e contabilità di Stato” e, ove individui ipotesi siffatte, “comunica all’Assemblea lo stralcio delle disposizioni estranee, sentito il parere della commissione di bilancio”. Al fine di evitare modifiche in Parlamento che introducano disposizioni estranee al contenuto proprio del disegno di legge finanziaria, si è previsto uno specifico regime di presentazione e di ammissibilità degli emendamenti . essi devono infatti essere presentati necessariamente in commissione. L’inammissibilità è decisa, in prima battuta, dai presidenti di commissione e, soprattutto, dal presidente della commissione bilancio, con la possibilità, però, di appello al Presidente di Assemblea. Come la legge di approvazione del bilancio, anche quella di approvazione del rendiconto generale dello Stato necessita, ai sensi dell’art. 81 comma 1, di essere deliberata dalle due Assemblee a cadenza annuale, ponendosi a conclusione del ciclo di bilancio. Da ciò l’opzione del regolamento della Camera di garantirne un’approvazione tempestiva attraverso la fissazione di un termine piuttosto breve e l’estensione a tale disegno di legge, da esaminarsi insieme al disegno di legge di approvazione dell’assestamento, e alle relazioni della Corte dei conti sugli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, delle regole dettate per la sessione di bilancio quanto all’assegnazione e all’esame e all’ammissibilità degli emendamenti in commissione e in assemblea. CAPITOLO 9 – IL PARLAMENTO ITALIANO NELL’UNIONE EUROPEA 1. Il primato delle fonti comunitarie Quella europea è diventata una dimensione sempre più pervasiva nell’attività parlamentare. L’Italia, con l’adesione ai trattati comunitari, è entrata a far parte di un ordinamento più ampio, di natura sovranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche con riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei trattati medesimi, con il solo limite dell’intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. La prevalenza del diritto dell’Unione Europea, secondo la giurisprudenza costituzionale, si afferma attraverso lo strumento della non applicazione delle norme interne configgenti(indipendentemente se anteriori o posteriori a quella comunitaria) Tale non applicazione è affidata al giudice comune, garantendosi così la diretta efficacia nell’ordinamento nazionale del diritto comunitario prodotto da tonti, i regolamenti, che sono dotati di effetti obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili.. Per gli atti diversi dai regolamenti (e dalle direttive dettagliate) è necessario, invece, il loro recepimento in atti normativi interni: in fonti, cioè, che risultino adeguate a garantire un pieno dispiegamento degli effetti della normativa comunitaria. La trasposizione fedele, completa e puntuale del diritto dell’Unione Europea è dunque un obbligo previsto dai trattati, ma anche – per effetto dell’art. 11 e dell’art. 117 commi 1 e 5 Cost., esigenza costituzionale. Fra le varie fonti vi sono atti di particolare rilevanza, alcuni di natura quasi costituzionale, che sono adottati con procedure che prevedono l’unanimità degli Stati, e vengono successivamente tradotti in norme di diritto interno con procedure assimilabili in Italia a quella dell’autorizzazione alla ratifica dei trattati. In queste ipotesi, il Governo, prima di impegnarsi a Bruxelles, ha sempre chiesto un preventivo via libera del Parlamento. Lo stesso ha fatto in casi che reputava di grande rilevanza, trattandosi di materie particolarmente delicate. 2. La cosiddetta “fase ascendente”o di formazione del diritto comunitario: la riserva d’esame parlamentare Vi sono strumenti incisivi per controllare e indirizzare l’azione degli esecutivi in seno al Consiglio dei ministri dell’Unione, nel momento della definizione degli atti normativi (e non solo) europei. La materia è regolata oggi dalla legge 11/2005, intitolata appunto “Norme sulla partecipazione dell’Italia all’UE”, dai regolamenti parlamentari, oltre che da una serie di convenzioni e di prassi. Il parlamento italiano ha trascurato tale fase nei primi vent’anni di vita della Comunità. Già nel 1987 con legge Fabbri (previsione ribadita dalla legge Pergola 1989 ) il legislatore aveva previsto un obbligo per il governo di trasmettere tutti gli atti preparatori della normativa europea tuttavia salvo eccezioni mai avuto attuazione dal governo. Solamente con l’entrata in vigore della legge 11/2005 in virtù del rinnovato clima di interesse conseguente approvazione trattato di Lisbona, si è avviata una trasmissione regolare di tutti gli atti preparatori della normativa europea e non solo. Il Governo, segnatamente il ministro per le Politiche dell’Unione Europea, con cadenza tendenzialmente settimanale, trasmette atti e documenti della più varia natura. Questi documenti sono inviati dalle Presidenze di Camera e Senato alle commissioni. Alla Camera è la presidenza ad assegnarli direttamente alle commissioni competenti; al Senato gli elenchi degli atti sono inviati a tutte le commissioni che, ove siano interessate, ne chiedono l’assegnazione. Gli attori della fase ascendente, dunque, secondo i regolamenti delle due Camere, sono le commissioni permanenti. Ciascuna, nelle materie di sua competenza, può sul progetto di atto normativo comunitario “esprimere il proprio avviso”, ricorrendo, alla Camera, a un “documento” finale e, al Senato, ad una “risoluzione”. L’effetto è sempre quello di un atto di indirizzo al Governo. Questi progetti di atti sono assegnati anche alle commissioni permanenti per le politiche dell’Unione Europea, che esprimono “pareri” alla Camera e “osservazioni” al Senato. Il Governo non può “procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti comunitari” prima che si sia concluso l’esame parlamentare. Decorsi 20 giorni, però, il Governo è libero di procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare. 30 Grazie alla “riserva di esame parlamentare”, perciò, un procedimento parlamentare è in grado di esercitare un’incidenza diretta sull’attività del Consiglio dei ministri dell’Unione. Può essere poi il governo in casi di particolare importanza politica economica e sociale ad apporre direttamente in sede di Consiglio dei ministri dell’UE una riserva parlamentare su un testo o su una o più parti di esso chiedendo che su ciò si esprimano entro 20gg le commissioni parlamentari. L’effetto della pronuncia parlamentare è quello proprio degli atti di indirizzo. L’incidenza degli indirizzi è direttamente proporzionale al margine negoziale a disposizione della delegazione italiana nella fase della procedura in cui l’indirizzo interviene margine ovviamente magiore se richiesta l’unanimità! La piena informazione del Parlamento nella “fase ascendente” è condizione essenziale per una piena consapevolezza della natura e della portata degli obblighi che si assumono, stante il vincolo costituzionale ad una loro piena e puntuale trasposizione nell’ordinamento interno. 3. La cosiddetta “fase discendente”(momento di dare agi obblighi comunitari compiuta attuazione disponendo la’adeguamento dell’ordinamento nazionale): la legge comunitaria annuale Lo strumento principale che svolge l’attività di trasposizione del diritto comunitario è la “legge comunitaria” annuale, il cui procedimento, sul modello della legge di bilancio, è disciplinato da una legge ordinaria e da norme dei regolamenti parlamentari, che alle previsioni legislative espressamente rinviano, garantendo così che la priorità logica della medesima si traduca in precisi ed effettivi vincoli al procedimento di formazione della legge comunitaria. La “legge comunitaria”, direttamente, ma per lo più attraverso deleghe legislative e mediante autorizzazioni ad emanare regolamenti, abroga le norme interne incompatibili col diritto comunitario, recepisce direttive e altri atti non direttamente applicabili e predispone tutte le misure di esecuzione necessarie alla piena applicazione in Italia delle norme europee. Il relativo disegno di legge, presentato dal Governo alle Camere entro la fine di gennaio, al termine di una complessa istruttoria in cui sono coinvolti tutti i ministeri e le regioni, viene assegnato in sede referente alla commissione politiche dell’Unione Europea e alle commissioni competenti per materia. Queste hanno 15 giorni per approvare una relazione, nominando un relatore che riferisce alla commissione politiche dell’Unione Europea. Decorsi questi termini, la commissione per le politiche dell’Unione Europea può procedere per concludere i suoi lavori, entro 30 giorni. A queste garanzie di tempi in sede referente non corrispondono tempi certi di esame in Assemblea, rimessi alla calendarizzazione generale dei lavori parlamentari. Sul modello invece della manovra di bilancio vi è anche nei regolamenti parlamentari per la “legge comunitaria” una disciplina rigorosa quanto alla ammissibilità di emendamenti, onde garantire che questa legge mantenga il suo carattere di strumento per il periodico adeguamento agli obblighi comunitari. Insieme alla “legge comunitaria” le Camere esaminano, in genere, la relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario, con cui il Governo è chiamato a dare conto delle attività svolte in sede europea e a preannunziare gli orientamenti che intende assumere per l’anno in corso. Valorizzando questo abbinamento si è rilevata l’esistenza di una sorta di sessione comunitaria 4. I parlamenti nazionali nel Trattato di Lisbona Articolo 12 TUEI parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione: a) venendo informati dalle istituzioni dell'Unione e ricevendo i progetti di atti legislativi dell'Unione … b) vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà .. c) partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi di valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore,… d) partecipando alle procedure di revisione dei trattati .. e) venendo informati delle domande di adesione all'Unione .. f) partecipando alla cooperazione interparlamentare tra parlamenti nazionali e con il Parlamento europeo .. Art 9 il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa. Certo ai Parlamenti nazionali non spetta , nel circuito della democrazia rappresentativa dell’Unione, il ruolo principale, dal momento che,come precisa il medesimo art 9 i cittadini sono rappresentati a livello dell’Unione,nel Parlamento europeo. Questo però non esaurisce le sedi della rappresentanza politica dell’Unione alla luce della natura peculiare della cittadinanza europea, la quale si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. anche i Parlamenti nazionali potranno qualificarsi come organi inseriti nel circuito rappresentativo dell’UE, nel diritto costituzionale dell’Unione. I parlamenti nazionali pur non rientrando formalmente tra le istituzioni comunitarie divengono interlocutori diretti delle istituzioni dell’Unione(rivendicazione della sovranità nazionale, disposizione che colloca i parlamenti nel più ampio sistema dell’Unione al cui buon funzionamento gli stessi contribuiscono.) Ai parlamenti nazionali saranno trasmessi non solo i documenti di consultazione della Commissione ma anche tutti i progetti di atti legislativi dell’Unione. Su questi ciascuna Camera svolgerà una funzione di vigilanza preventiva circa il rispetto del principio di sussidiarietà.(avrà a disposizione 8 settimane x analizzare i progetti e formulare parere). Di questi pareri le istituzioni europee terranno conto nella misura in cui credono ma qualora i rilievi siano condivisi da un certo numero di parlamenti nazionali(1\3) essi produrranno un effetto giuridico nel senso di obbligare un riesame o impedire la decisione(al termine del riesame la decisione di modificarlo, ritirarlo o mantenerlo dovrà essere motivata sul punto) Altra previsione : qualora vi sia una maggioranza semplice dei Parlamenti nazionali che formulino pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo esaminato secondo la procedura legislativa ordinaria , la commissioni potrà mantenere la propria proposta di atto legislativo solo motivandone le ragioni. In tal caso Consiglio e Parlamento europeo dovrano specificatamente valutare la compatibilità della proposta con il p. di sussidiarietà, tenendo conto dei pareri motivati dei parlamenti nazionali e della commissione. Il consiglio potrà a maggioranza del 55% (parlamento a maggioranza semplice)dei propri membri ,bloccare il procedimento . Con la nuova previsione Consiglio e Parlamento europeo potranno imporre il ritiro dell’iniziativa della Commissione ,su impulso della maggioranza dei Parlamenti nazionali. La cooperazione interparlamentare: la COSAC Lo strumento principale della cooperazione e parlamento europeo è , secondo il protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali allegato al trattato di Amsterdam del 1997 la COSAC(conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari)che si riunisce con cadenza semestrale. Alla riunione della CSAC ciascuna Camera invia 3 parlamentari componenti della commissione x gli affari europei. Organo che ha l’ambizione di diventare il luogo in cui si possa pervenire ad un coordinamento delle posizioni nazionali e la tentazione di creare una terza camera che si affianchi al parlamento europeo e al consiglio dei ministri. Tuttavia limiti in ragione della variabile rappresentatività di questo organismo, che vede riuniti i soli delegati delle commissioni x gli affari europei, che soltanto in 31 pochi paesi possono qualificarsi come organi abilitati a esprimere in modo definitivo la volontà del parlamento nelle questioni comunitarie. CAPITOLO 10 – LA PUBBLICITÀ DEI LAVORI PARLAMENTARI: PRINCIPI E STRUMENTI 1. Il principio della pubblicità dei lavori parlamentari Tale principio affermatosi in via consuetudinaria in Inghilterra verso fine 700 e si è poi cristallizzato nella Costituzione americana e nelle rivoluzioni francesi. In Italia il principio x cui le sedute delle Camere sono pubbliche viene fissa nello statuto albertino nel 1848 con un importante temperamento: la pox 10 parlamentari di chiedere che le camere deliberassero in segreto(deroga utilizzata sl in casi eccezionali, di guerra) Il dibattito all’Assemblea costituente forma la tesi della coessenzialità della pubblicità al funzionamento delle istituzioni parlamentari. Il principio affermato all’art. 1 Cost. esclude in via generale che gli organi attraverso i quali il popolo esercita la sovranità possano agire al di fuori di un regime di pubblicità. Per i Parlamenti, dunque, la pubblicità dei lavori non può non essere la regola. Al tempo stesso, e all’estremo opposto, non è nemmeno pensabile che l’attività di decisione politica si svolga sempre ed integralmente in pubblico: esiste inevitabilmente una parte del processo decisionale, quella in genere consistente nella negoziazione e negli accorsi tra le diverse forze politiche, che si svolge in forma privata e, sostanzialmente, segreta. L’opzione normativa può essere quella di tenere fuori dalle sedi parlamentari questa attività, lasciando che si svolga in luoghi del tutto informali; oppure di prevedere alcune sedi parlamentari semiformalizzate, ma prive di resocontazione. Gli esiti dei lavori di queste sedi decisionali non possono considerarsi definitivi, ma devono poi comunque passare per una sede in cui la pubblicità dei lavori è garantita in forma piena. 2. Le forme di pubblicità dei lavori parlamentari: dalle tribune a internet Le forme di pubblicità influenzano le modalità di svolgimento dei procedimenti e il contenuto dei dibattiti che in Parlamento hanno luogo: è per questo che la decisione sulla forma dii pubblicità con cui caratterizzare la seduta è, spesso, una decisione di tipo spiccatamente politico. La pubblicità fu, sin dall’inizio, assicurata in primo luogo mediante l’ammissione del pubblico alle sedute delle Assemblee, con una particolare attenzione ai giornalisti. La diffusione dei lavori parlamentari avviene attraverso i canali satellitari delle due Assemblee e i siti internet di Camera e Senato. Queste forme oramai compiute di pubblicità assorbono e superano, quasi completamente, la possibilità per il Presidente di Assemblea di “disporre” la trasmissione televisiva diretta di sedute o parti delle stesse. La trasmissione televisiva diretta delle sedute dell’Assemblea dedicate alle interrogazioni a risposta immediata (il cosiddetto question time) è invece disposta automaticamente dal Presidente. A fianco di queste forme di pubblicità diretta vi sono gli strumenti di pubblicità cartolare: i resoconti stenografici e sommari. Essi danno una rappresentazione indiretta di quanto si è detto in aula. Un tempo il resoconto sommario svolgeva la funzione di garantire una fonte fresca utilizzabile dai giornalisti. Oggi il livello della sua elaborazione inferiore a quello di tempo. E ciò è accaduto dal momento in cui è stato reso disponibile contestualmente allo svolgimento dei lavori dell’aula dell’altra forma di resoconto ossia quello stenografico(la pubblicazione cioè integrale dei dibattiti parlamentari realizzata con tecniche diverse). Il resoconto stenografico viene reso pubblico oltre che con la stampa anche con la diffusione in tempi estremamente rapidi attraverso i siti internet di Camera e Senato. Il principio della pubblicità dei lavori parlamentari, sancito dall’art, 64, comma 2, è in genere ritenuto applicabile nella sua più completa stringenza alle sole sedute delle due Assemblee, delle quali è garantita una compiuta pubblicità. La pubblicità dei lavori nelle commissioni trova una regolamentazione costituzionale nell’art. 72, comma 3, che si occupa tuttavia, mediante un generico rinvio ai regolamenti parlamentari, della sola sede deliberante, restando silenziosa quanto a tutte le altre sedi. I regolamenti parlamentari escludono la pubblicità diretta, mediante la presenza di pubblico, per i lavori delle commissioni, mentre consentono una ripresa televisiva a circuito chiuso effettuata a beneficio del pubblico e della stampa. Tale forma di pubblicità è disposta su richiesta delle commissioni, previa autorizzazione del Presidente d’Assemblea, e concerne per lo più lo svolgimento di audizioni, specie nell’ambito di indagini conoscitive. La disponibilità dei canali satellitari sta permettendo in misura crescente la pubblicità anche attraverso questo mezzo di comunicazione dei lavori delle commissioni, sempre relativamente alle sedi suddette. Ad ogni modo, l’ordinaria forma di pubblicità dei lavori delle commissioni è quella indiretta assicurata attraverso i resoconti. La resocontazione stenografica è imposta dai regolamenti nel caso di sede deliberante e redigente e al Senato , per lo svolgimento di interrogazioni. È prevista come possibile in tutte le altre sedi salvo quella referente e quella consultiva. La regola generale per i lavori delle commissioni è dunque quella di una pubblicità non troppo intensa. Ciò al fine di garantire flessibilità ai lavori di questi organi e la possibilità di raggiungere in essi accordi e consensi al di fuori di un pieno controllo da parte dell’opinione pubblica. Questa situazione è stata anche oggetto di critiche in dottrina:rivelandosi che così vengono a sfuggire al controllo della pubblica opinione momenti di elaborazione di importanti scelte normative. Anche l’apertura pubblicitaria dei lavori delle commissioni parlamentari non può impedire alle stesse l’uso di strumenti informali, come le riunioni degli uffici di presidenza e dei comitati ristretti, prive di ogni tipo di rendicontazione e quindi di pubblicità La sentenza 231/1975 della Corte costituzionale, nel ribadire il principio della pubblicità dei lavori parlamentari di cui all’art. 64 comma 2, ha rimesso alla valutazione delle Camere la sua concreta applicazione, lasciandole del tutto libere nel decidere di secretare i lavori parlamentari d’aula o delle commissioni. La Costituzione, del resto, sempre all’art. 64 comma 2, prevede tuttora che ciascuna delle due Camere e il Parlamento in seduta comune “possano deliberare di adunarsi in seduta segreta” (e i regolamenti parlamentari individuano le relative procedure). Si ritiene che il procedimento di formazione delle leggi non possa essere oggetto di sedute segrete. Ciò su cui vi è un ampio consenso è l’assenza di un particolare valore probatorio degli atti parlamentari. La dottrina prevalente è nel senso di negare un privilegiato valore probatorio all’uno o all’altro atto parlamentare, ritenendoli tutti strumenti “ordinati al fine di dare pubblicità materiale ei lavori delle camere nella loro realtà storica e fenomenica”. Gli strumenti dello studioso di diritto parlamentare: La disponibilità su internet di pressocchè tutti i lavori del Parlamento rende notevolmente pi agevole per lo studioso e lo studente di diritto parlamentare avere ac cesso al mare magnum degli atti e dei documenti parlamentari. Tuttavia come tutte le simulazioni rischia sempre di risultare si esatta fin nei minimi dettagli ma fredda :priva di quel corredo di gesti, sguardi, battute.. 32
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