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La prima crisi di Berlino, Tesine universitarie di Storia dell'Europa Orientale

Paper per l'esame di Storia dell'Europa Orientale (L'Orientale - Napoli)

Tipologia: Tesine universitarie

2018/2019

Caricato il 26/10/2019

emanuele_d_angelo
emanuele_d_angelo 🇮🇹

4.3

(24)

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Scarica La prima crisi di Berlino e più Tesine universitarie in PDF di Storia dell'Europa Orientale solo su Docsity! La prima crisi di Berlino La prima crisi di Berlino 1948-1949 Scenari Sullo sfondo delle conferenze di Yalta e Potsdam, la leadership stalinista concentrava ora le maggiori energie nel rafforzamento della posizione ricoperta dall’Unione Sovietica sul- la scena internazionale e, in particolare, nel controllo sulla sua sfera d’influenza, irrigidito- si per risolvere alcuni problemi strutturali quali garantire la sicurezza del Paese, elevare il suo status negli affari internazionali e, in ultima analisi, evitare un eccessivo consolida- mento degli Stati Uniti e dei britannici nelle loro posizioni. La direzione stalinista cercava di stabilire un controllo completo sulla zona d’occupazione sovietica e rafforzare il suo peso politico nella questione tedesca. Una prima lettura non può ignorare la situazione politico-amministrativa di Berlino all’al- ba del secondo dopoguerra. La città, divisa in settori, era amministrata come un’unica entità economica da una Kommandatura quadripartita affiancata da un’Assemblea citta- dina, le cui elezioni dell’ottobre 1946 videro la SED (Partito di Unità Socialista), la corren- te marxista-leninista nata dalla fusione decisa a tavolino dei membri fuoriusciti dall’SPD con la DKP, il Partito Comunista Tedesco, ottenere uno scialbo 19%. Ma procediamo a ritroso. Bettanin sostiene che da Mosca i vertici guardassero più con rassegnazione che convinzione a una mossa, quella della fusione, resasi necessaria dallo scarso seguito della DKP (F. Bettanin, 2006, p. 252). Diversi autori appoggiano la tesi secondo cui la fusione tra SPD e DKP, in quanto non prevista al di fuori della Soviet Zone, sia stato il primo atto concreto di divisione della Germania, nonostante la dichiarata volontà di Stalin di estendere “al più presto la SED nella Germania occidentale”. Se osserviamo poi che gli alleati vietarono ogni attività del nuovo partito, la SED, nelle loro zone d’occupazione, la divisione pare netta. Tornando al fatto storico, e alle considerazioni sugli scarsi risultati perseguiti dalla SED nelle elezioni provinciali della zona sovietica oltre che, come detto, in quelle della Grande Berlino, i vertici stalinisti bollarono il deludente risultato elettorale come figlio dell’antisovietismo, altamente diffuso tra i tedeschi. !1 Nella moderna storiografia occidentale, così come nella coscienza di massa dei cittadini, una visione unilaterale degli eventi che dalla prima crisi di Berlino hanno portato alla divi- sione della Germania è stata inevitabilmente stabilita. Approfittando di alcune fonti russe, proviamo a ricostruire passaggi chiave, utili ad analizzare il modus operandi sovietico e a carpirne le intenzioni. La prima crisi di Berlino I. Ostilità: la questione monetaria Le tensioni sia interne che esterne alla vita berlinese rallentarono i lavori in seno alla Commissione alleata di controllo. Anche la sessione di Londra del Consiglio dei ministri degli affari esteri nel dicembre 1947 si concluse in completo fallimento. Una sintetica ra- zionalizzazione di quanto accadde la espone H. Schulze, il quale osserva che, come unico risultato, la sessione londinese formalizzò soltanto un netto divario tra le tre potenze oc- cidentali e l’Unione Sovietica (H. Schulze, 2000, p. 195). Invece di approfondire la que- stione, gli ambienti vicini a Mosca preferirono rispolverare, senza tra l’altro basi fondanti, la teoria delle contraddizioni capitalistiche, secondo cui il tentativo degli Stati Uniti di fondere le zone d’occupazione alleate sarebbe stato il “pomo della discordia” tra Gran Bretagna, Francia e gli stessi americani (G Procacci, 1994, p. 242). Come Bettanin lascia notare, l’assenza di un dibattito in merito gettò nell’imbarazzo i vertici sovietici (F. Betta- nin, 2006, p. 246). Tuttavia, è bene notare che Stalin maturò la motivata opinione, per non dire certezza, che Gran Bretagna e Stati Uniti temessero lo sviluppo della Germania, poiché sarebbe diventata un “forte concorrente” in termini commerciali. Quindi, a dispetto delle intenzioni del leader sovietico circa la creazione di una Germania unita, gli alleati ricercavano il federalismo, che significava, nell’interpretazione staliniana, debolezza. È lecito pensare che, come suggerisce Bettanin, i giudizi di Stalin risentissero della visione ideologica radicata nell’esperienza della formazione dell’impero interno so- vietico, nella quale un federalismo debole si rivelò essere l’arma vincente dei bolscevichi nell’imposizione di una forte centralizzazione. Essendo incline a sovrapporre l’interpreta- zione (sua) del quadro internazionale con l’esperienza politica sua e del suo paese, nella visione proposta da Bettanin, Stalin si spinse a credere che i suoi avversari avessero inizia- to a pensare all’attuazione di piani analoghi a quelli attuati da lui in passato (F. Bettanin, 2006, p. 265). Il 19 dicembre Washington decise di fermare le forniture di riparazione all'Unione Sovie- tica. L’obiettivo era quello di dividere la Germania e, in tal modo, preparare il terreno per attuare una riforma monetaria nei settori occidentali senza dover raggiungere ulteriori accordi con i vertici stalinisti. Occorre però ricordare che, già a Potsdam, Stalin aveva ac- cettato di ricevere le riparazioni (quasi) esclusivamente dalla Soviet Zone, oltre che dalle proprietà tedesche nei paesi dell’Europa orientale, a conferma delle reali intenzioni ame- ricane volte non tanto a penalizzare il nemico quanto a perseguire l’obiettivo di riformare il sistema monetario tedesco. A più riprese il Ministro delle Finanze Zverev espresse la preoccupazione che le potenze occidentali potessero utilizzare la mancanza di un accor- do sulla questione del meccanismo di emissione come scusa per realizzare una riforma monetaria separata nei settori occidentali. E ciò avrebbe comportato un ulteriore isola- mento economico della zona sovietica (G.P. Kinin, E. Laufer, 1996, p. 227). !2 La prima crisi di Berlino La leadership sovietica cercò di includere l'intera Berlino nel sistema finanziario ed eco- nomico della zona sovietica per scoraggiare in modo definitivo le ambizioni occidentali, e ciò significò l’inizio di un nuovo round nello sviluppo della crisi. Narinskij è convinto che, nell’eseguire una riforma monetaria separata in Germania e nel tentativo di includere fi- nanziariamente Berlino nella zona d’occupazione sovietica, entrambe le parti andarono coscientemente ad aggravare la situazione (M.M. Narinskij, 2010, p. 166). III. Il Blocco di Berlino Il 20 giugno 1948 le potenze occidentali decisero unilateralmente di passare alla nuova moneta nelle loro zone d’occupazione mentre la zona sovietica continuava a usare le vecchie bollette del Reichsmark. Almeno inizialmente, s’intendeva non coinvolgere Berli- no, ma passeranno solo tre giorni prima che le autorità occidentali decidano di estendere tale riforma ai loro settori berlinesi. I vertici stalinisti si opposero a quel passo in quanto sancì una chiara separazione economica tra le zone d’occupazione che andò, nell’opinio- ne sovietica, contro i principi di Potsdam sulla sovranità collettiva. La gente si ritrovò con un potere d’acquisto superiore. Mentre nei loro settori le tariffe iniziavano a lievitare, nel settore sovietico i tedeschi “occidentali” potevano ancora usare i vecchi soldi per com- prare le merci, così affollarono i settori orientali spazzando via tutto ciò che era offerto nei negozi. L’amministrazione sovietica si ritrovò gioco-forza costretta a interrompere il flusso. Una volta posto il blocco (24 giugno), i dirigenti della SVAG informarono Mosca sulle difficoltà delle potenze occidentali a Berlino. In una nota, Senin osserverà che “le potenze occidentali saranno costrette a ritirarsi” (Senin, 1950, citato in Narinskij, 2010, p. 166-67). Stalin aveva il diritto di “bloccare” Berlino? In una situazione delicata come quella delineatasi, imprescindibile è senz'altro la dimen- sione giuridico-legale di ogni singolo evento. Lo storico tedesco M. Wilke prova a chiari- re tale aspetto: “Formalmente, con l'introduzione del blocco, l'Unione Sovietica non ha violato alcun accordo” (M. Wilke, 2009, p. 128-129). Bettanin pone enfasi sulla circolazio- ne dei rapporti della SVAG in quei giorni, che alternavano notizie positive ad altre netta- mente più allarmanti circa la possibilità, da parte delle potenze occidentali, di mettere in piedi un confronto armato. Stalin non era affatto disposto ad arrivare alle armi, né tanto- meno pensava che lo fossero Stati Uniti e Gran Bretagna. La sua ambizione era esclusi- vamente quella di trattare da una posizione di forza (F. Bettanin, 2006, p. 271). Uno dei pochissimi punti comuni sul quale convergono la storiografia occidentale e quel- la russa è che il tentativo di sfondare la forza del blocco attraverso l’adozione del “ponte aereo” significò una svolta importante nell'escalation del conflitto, minacciando conse- guenze imprevedibili. Il Ministro degli Esteri francese Bidault, in un telegramma, espresse tutta la sua preoccupazione relativa all’evenienza che le truppe alleate potessero restare a Berlino non più di un paio di settimane, a meno che non si fosse verificato un cambia- mento radicale nei rapporti con le autorità sovietiche. Da parte loro, le potenze occiden- tali imposero un divieto al commercio con la zona d’occupazione sovietica e alle conse- gne di riparazioni dalla Germania occidentale all’Unione Sovietica (M.M. Narinskij, 2010, p. 167). !5 La prima crisi di Berlino Nonostante la gravità della crisi politica internazionale attorno a Berlino, Avi Shlaim so- stiene che nessuna delle parti cercasse un conflitto armato. I leader politici e militari ame- ricani, britannici e francesi concordavano nell’opinione che Stalin non fosse pronto per la guerra e non cercasse di scatenarla (A. Shlaim, 1983, pp. 216-232-248). Le azioni della parte sovietica, poi, non sono da identificare come azioni volte a condannare alla fame le persone, in quanto i fatti confutano queste affermazioni: i russi fecero ogni sforzo per al- leviare la situazione dei berlinesi, che si rivelarono essere un involontario ostaggio dello scontro che era sorto. Perché bloccare Berlino? Stalin giocava con il tempo. Tutte le azioni sovietiche erano finalizzate a vedersi garantire concessioni politiche dalle potenze occidentali, con l’aspettativa della loro riluttanza a provocare una guerra. L’errore principale, secondo Narinskij, fu quello di sottovalutare la determinazione delle potenze occidentali nel resistere alla pressione e continuare la poli- tica di attuazione delle decisioni della “Conferenza dei sei”. Come lascia intendere l’autore circa l'unificazione delle tre zone, si osserva che la leader- ship sovietica non era contro questa associazione, ma contro la creazione di un governo separato della Germania occidentale sul territorio della “Trizona”. Tale visione ricalca l’indirizzo seguito da Stalin nell’incontro del 2 agosto 1948 con i rappresentanti diploma- tici di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia: oltre a battersi sulla sospensione delle deci- sioni prese a Londra e sulla questione monetaria a Berlino (la circolazione del Marco “B” ad ovest), pretese l’impegno delle potenze occidentali di non formare un governo della Germania Ovest. “Può essere fatto già domani, pensateci” dirà ai suoi interlocutori (M.M. Narinskij, 2010, pp. 167-68). Citazioni a parte, Narinskij definisce la sua tattica come spinta da motivazioni razionali. È importante osservare che, dal punto di vista di Stalin, se le richieste fossero state accolte, ciò avrebbe comportato (secondo lui) “l’inclusione dell’intera Berlino nel sistema econo- mico e finanziario della Soviet Zone”. In realtà Bettanin, riprendendo il pensiero di Zubok e Pleshakov, sostiene che anche nel caso in cui davvero le potenze alleate avessero cedu- to alla volontà staliniana, ciò non avrebbe consegnato nelle mani dei sovietici la città di Berlino. A fronte di questa impostazione, i due autori di “Inside the Kremlin’s Cold War” ritengono che all’origine del blocco vi fosse l’ostinato rifiuto di Stalin di riconoscere il fal- limento della politica sovietica in Germania (V. Zubok, C. Pleshakov, 1996, p. 52, citato in F. Bettanin, 2006, p. 273). IV. Il peso della Diplomazia In previsione del crollo del ponte aereo e della capitolazione delle potenze occidentali nella crisi di Berlino, la dirigenza sovietica intraprese il percorso verso il trascinamento delle discussioni diplomatiche. Nel frattempo, la situazione politica generale intorno Ber- lino era cambiata. In primis perché le quattro potenze avevano compiuto ulteriori passi per dividere la Germania e, in secondo luogo - e forse questa era la cosa principale - si osservò che il ponte aereo era in grado di funzionare con successo anche in condizioni invernali, ipotesi mai presa in considerazione dalle parti di Mosca. !6 La prima crisi di Berlino La leadership sovietica si ritrovò costretta a riconoscere la sconfitta del suo tentativo di bloccare Berlino. Il fallimento della propaganda politica era evidente. Il blocco di Berlino, da strumento di pressione per elevare lo status dell’Unione Sovietica nella questione te- desca, diventava il simbolo della débâcle. Come notato da Bettanin, l’assenza di memo- rie storiche dei protagonisti, in particolare di Molotov, sia indicativa di come questa crisi rappresenti una pagina nera per la diplomazia sovietica e, aggiunge Bettanin, per Molo- tov in persona (F. Bettanin, 2006, 272). Dinanzi alla magra prospettiva di discutere la questione tedesca in seno al Consiglio dei Ministri degli Esteri, Stalin non vedeva ostacoli nel rimuovere le restrizioni, a patto che analoghe restrizioni sui trasporti e sugli scambi introdotte dalle tre potenze venissero ri- mosse contemporaneamente. Qui, seppur indirettamente, Stalin ammette l’effettiva diffi- coltà riscontrata dai comandi sovietici nella gestione dei problemi derivanti dal contro- blocco, imposto per ripicca dalle tre potenze. In un articolo del 1997 in “Diplomatic History”, W. Stivers enfatizza la questione del con- tro-blocco: mentre tutti gli occhi puntano sul simbolismo dell’Air-lift, meno attenzione viene prestata all’impatto del contro-blocco. Secondo Stivers, “L’economia della Germa- nia Est subì il contraccolpo alleato. […] Solo il commercio con le società del settore occi- dentale di Berlino ridusse il danno delle interdipendenze distrutte ed evitò il collasso in alcuni settori chiave (W. Stivers, 1997, p. 587). In questa prospettiva, Stivers afferma che il blocco aveva un costo sia economico che politico, e che il costo politico non era solo in- ternazionale ma pesava anche in termini di reputazione intra-blocco: ai tedeschi, l’URSS appariva come un amico meno plausibile e la necessità di cercare sicurezza nell’Occiden- te sembrava provata. Considerazioni economiche a parte, l’offerta sovietica e le offerte commerciali - a partire da quella di latte cinque giorni dopo l’inizio del blocco (il “latte di propaganda”) - sembrano tanto degli sforzi fatti per minimizzare la crisi al fine di riparare il danno politico” (W. Stivers, 1997, p. 596). Jessup-Malik Tappa diplomatica fondamentale per la risoluzione della crisi si rivelarono essere le con- versazioni tra Philip Jessup, diplomatico statunitense, e Jakov Malik, delegato sovietico all’Onu. La TASS (Telegrafnoye agentstvo svjazi i soobshchenija) fornì un riassunto: se fos- se stata concordata una data per la convocazione del CME, allora le mutue restrizioni sa- rebbero state annullate prima dell’inizio del Consiglio. Oramai era evidente che, come osserva Mastny, in riferimento alle intenzioni di Stalin di “infliggere una sconfitta diplo- matica agli americani, che avrebbe incrinato la loro credibilità in Europa” (V. Mastny, 1998, pp. 58-64, citato in F. Bettanin, 2006, p. 273), si stava verificando il contrario. Un incontro a NY tra Jessup e i delegati di Francia (Chauvel) e Gran Bretagna (Cadogan), partorì una lettera rivolta a Malik che verteva sulla revoca delle restrizioni per il 9 maggio. Per motivi non troppo chiari, i sovietici preferirono la data del 12 maggio, mentre la riu- nione del Consiglio dei Ministri degli Esteri veniva fissata il 23 maggio (Foreign Relations of the United States, 1949, pp. 749-750 consultato su history.state.gov). Con un comu- nicato congiunto, emesso il 5 maggio, si rendeva nota la revoca del blocco (e del contro- blocco). !7 La prima crisi di Berlino Bibliografia - F. Bettanin, Stalin e l’Europa, Carocci, Roma, 2006 - H. Schulze, Storia della Germania, Donzelli, Roma, 2000 - G. Procacci, The Cominform: minutes of the three conferences 1947-1948-1949, Feltri- nelli, Milano, 1994 - G.P. Kinin, E. Laufer - Sovetskij Sojuz i Germanskij Vopros, 1941-1949. Tom 3, 1996 - E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali: II. Gli anni della Guerra Fredda 1946-50, Laterza, 2015 - M.M. Narinskij, Berlinskij krizis 1948-1949 gg., 2010 - F. Gori, S. Pons, The Soviet Union and Europe in the Cold War 1943-53, Springer, 1997 - Senin, Zapiska po berlinskomu voprosu, 1950 - M. Wilke, Berlinskij krizis 1948 -1949 gg. I iego mesto v istorii «Kholodnoij Voijny». ROSSPEN, Moskva, 2009 - A. Shlaim, The United States and the Berlin Blockade, 1948-1949. A Study in Crisis De- cision-Making. University of California Press, 1983 - N. Naimark, The Russians in Germany. A History of the SZO, 1945-1949, Harvard Uni- versity Press, Cambridge, Massachusetts, 1997 - V. Zubok, C. Pleshakov, Inside the Kremlin’s Cold War. From Stalin to Khrushchev, Har- vard University Press, Cambridge, 1996 - W. Stivers, The Incomplete Blockade: Soviet Zone Supply of West Berlin, 1948–49, Di- plomatic History vol. 21, n. 4, 1997 - V. Mastny, Il dittatore insicuro: Stalin e la guerra fredda, Corbaccio, Milano, 1998 - D. Harrington, The Berlin Blockade Revisited, The International History Review 6, n. 1, 1984, p. 110 - T. Hopf, Reconstructing the Cold War: The Early Years, 1945-1958, Oxford University Press, 2012 - L. Caracciolo, Alba di guerra fredda, Laterza, Roma-Bari, 1986 !10 La prima crisi di Berlino Sitografia - Foreign relations of the United States, 1949, Council of foreign ministers; Germany and Austria, vol. III, V. The diplomacy of the Berlin crisis, A. Participation by the United States in discussions at Geneva, 1949, of the report of the Technical Committee on Berlin currency and trade (the “Neutral Committee”) su history.state.gov/historical- documents/frus1949v03/ch5subch1 - Foreign relations of the United States, 1949, cit., B. The Jessup-Malik conversations, March 15–May 4, 1949 su history.state.gov/historicaldocuments/frus1949v03/d377 - W. Stivers, The Incomplete Blockade: Soviet Zone Supply of West Berlin, 1948–49, Di- plomatic History vol. 21, n.  4, 1997 su onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/ 10.1111/1467-7709.00089 !11
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