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La prima guerra mondiale e il difficile dopoguerra, Sintesi del corso di Storia

La prima fase della Grande Guerra La Rivoluzione russa e la fine della guerra L'Europa e il mondo dopo il conflitto Il dopoguerra in Italia e l'avvento del fascismo Gli Stati Uniti e la crisi del '29

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 14/04/2021

Valedread92
Valedread92 🇮🇹

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Scarica La prima guerra mondiale e il difficile dopoguerra e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! LA PRIMA FASE DELLA GRANDE GUERRA In seguito all’uccisione a Sarajevo dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando per mano del serbo Gavrilo Princip (28 giugno 1914), l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, protettrice degli irredentisti slavi (28 luglio). Il sistema delle alleanze allargò immediatamente il conflitto: in nome della Triplice Alleanza la Germania entrò in guerra a fianco dell’Austria (imperi centrali) contro la Russia e la Francia, schieratesi con la Serbia. L’esercito tedesco cercò di ottenere una rapida vittoria invadendo il Belgio (neutrale) per prendere alle spalle l’esercito francese (4 agosto 1914). L’Inghilterra entrò in guerra a fianco della Francia, cui la legava la Triplice Intesa. Con l’ingresso di Turchia e Bulgaria a fianco degli imperi centrali e del Giappone a fianco dell’Intesa (Francia, Russia, Inghilterra, Belgio, Serbia) il conflitto assunse un carattere mondiale. La resistenza del Belgi infranse l’illusione della ‘’guerra-lampo’’ e dette ai Francesi il tempo per organizzare una valida difesa sulla Marna e spingere i Tedeschi sull’Aisne, dove si stabilizzò il fronte occidentale. Da una guerra di movimento si passò infatti ad una guerra di posizione, combattuta nel fango delle trincee. Nel frattempo, in risposta al blocco navale imposto da Inghilterra e Francia alla Germania, l’imperatore tedesco aveva scatenato la guerra sul mare, nella quale comparvero per la prima volta i sommergibili, usati per colpire le navi che portavano rifornimenti dall’America. L’Austria aveva inviato l’ultimatum alla Serbia senza informare il nostro Paese, ma aveva anche dato inizio a una guerra offensiva e ciò in aperto contrasto con quanto prevedeva il trattato della Triplice. A buon diritto, dunque, l’Italia il 2 agosto 1914 aveva dichiarato ufficialmente di voler restare neutrale. Da quel momento imperversò nel paese lo scontro tra neutralisti (cattolici, socialisti, liberali e Giolitti) ed interventisti (nazionalisti di estrema destra, irredentisti trentini, democratici, alcuni socialisti). Mentre aumentavano le manifestazioni pubbliche degli interventisti (‘’radiose giornate di maggio’’), alla maggioranza parlamentare neutralista, legata a Giolitti, si opponeva il governo interventista, il cui ministro degli esteri Sonnino firmò un accordo guidata dai soviet e mirante alla creazione di una società comunista (‘’tesi d’aprile’’). Dopo l’atto di forza del generale Kornilov contro il nuovo governo del socialdemocratico Kerenskij e i soviet di Pietrogrado, Lenin decise di passare all’azione e di conquistare il potere: la notte tra il 24 e il 25 ottobre (calendario russo) la ‘’guardia rossa’’ occupò il Palazzo d’Inverno, sede del governo. La rivoluzione d’ottobre portò alla formazione di un governo rivoluzionario, che chiese immediatamente la cessazione della guerra (marzo 1918) e decretò la soppressione dei diritti dei proprietari terrieri. Alla guida del nuovo Stato sovietico (basato sui soviet) venne posto Lenin, che sciolse l’Assemblea costituente da poco eletta e stipulò con Austria e Germania, a durissime condizioni, la pace di Brest-Litovsk. Il ritiro russo rappresentò un duro colpo per l’Intesa, perché gli austro-tedeschi poterono concentrare le proprie divisioni sul fronte occidentale. Sul fronte italiano gli Austriaci riuscirono a sfondare il fronte a Caporetto (23-24 ottobre 1917). Il nuovo ‘’ministero di unione nazionale’’, guidato da Vittorio Emanuele Orlando e il nuovo comandante dell’esercito Diaz riescono a fermare l’invasione straniera. Nell’aprile 1917 gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania, in nome anche degli ideali di libertà del presidente Woodrow Wilson. L’intervento americano fornì all’Intesa un notevole apporto di uomini e di mezzi e mise in crisi Germania e Austria, che scatenarono due offensive: una contro gli Anglo-Francesi (battaglia del Kaiser), annullata nella seconda battaglia della Marna (luglio 1918); una contro gli Italiani, annullata a sua volta sul Piave e seguita da una controffensiva terminata con la disfatta austriaca di Vittorio Veneto (24 ottobre 1918) e la firma dell’armistizio. Sull’onda della sconfitta subita, Germania e Austria dichiararono decaduti i rispettivi regnanti e si trasformarono in repubbliche. L’EUROPA E IL MONDO DOPO IL CONFLITTO La prima guerra mondiale, con quasi dieci milioni di morti e danni materiali immensi, aveva rappresentato un grave trauma per l’Europa. La guerra portò inoltre alla scomparsa di tre grandi imperi, russo, austro-ungarico e ottomano, e rese necessaria una nuova sistemazione territoriale. Il conflitto creò le premesse per una nuova fase della storia mondiale, caratterizzata dall’ascesa sulla scena internazionale degli Usa e dell’Urss da un lato e dall’inizio di un travagliato movimento di emancipazione dei Paesi coloniali dall’altro. Nella conferenza di pace di Parigi (18 gennaio 1919) le quattro potenze vincitrici (Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Italia) si scontrarono su due diversi orientamenti da adottare per la nuova sistemazione dell’Europa: quello democratico, espresso dal presidente americano Wilson nei Quattrodici punti, basato sui principi dell’autodecisione dei popoli e del rispetto delle nazionalità; e quello di Francia e Inghilterra, volto a mettere i Tedeschi in condizione di non poter più nuocere, puntando sull’annientamento non solo militare, ma anche economico della Germania. Per questo le due potenze decisero di imporre pesanti clausole di pace alla Germania (Trattato di Versailles, giugno 1919), che scatenarono sentimenti di rivincita nel popolo tedesco. Nel 1919 venne fondata a Ginevra la Società delle Nazioni, un organismo internazionale preposto a regolare pacificamente le controversie tra gli Stati; guerra mondiale aveva ulteriormente ampliato i suoi possedimenti. Nel frattempo l’Inghilterra era stata costretta a concedere l’indipendenza agli Stati del Commonwealth (al Canada nel 1869, all’Australia nel 1901, al Sud Africa nel 1910 e alla Nuova Zelanda nel 1917) e all’Egitto (1922), dove però mantenne il controllo del Canale di Suez. Particolarmente significativo fu il movimento indipendentista dell’India, guidato da Gandhi, detto Mahatma, secondo il quale l’emancipazione dagli Inglesi doveva essere ottenuta attraverso la non-violenza. L’impero coloniale francese, ingrandito con il possesso delle ex colonie tedesche (Camerun e politica di sfruttamento delle risorse locali. Il Giappone, che dopo il conflitto aveva acquisito le ex colonie tedesche in Asia, potenziò la sua politica imperialistica: nel 1931 occupò la Manciuria, approfittando della confusa situazione politica cinese. Dopo la caduta della dinastia imperiale Manciù (1912) e la proclamazione della repubblica, la Cina si era infatti divisa in due: nel Nord dominavano i reazionari signori della guerra, nel Centro-Sud governava il democratico Sun Chung-Shan. La minaccia giapponese aveva favorito la nascita del Partito nazionalista (Kuomintang), guidato da Chiang Kai-shek: questi, sconfitti i ‘’signori della guerra’’, aveva formato un nuovo governo con capitale Nanchino. In seguito si era aperto lo scontro tra il Kuomintang e il Partito comunista cinese, fondato tra gli altri da Mao Tse-tung, convinto della necessità di conquistare alla rivoluzione le masse contadine. Battuti da Chiang Kai-shek, i comunisti e il loro esercito (l’Armata rossa) si spostarono con la lunga marcia (1934) nel settentrione del Paese, dove fondarono una repubblica comunista. Di fronte però all’avanzata nipponica nella Cina orientale, comunisti e nazionalisti deposero ogni rivalità e adottarono una politica di unità nazionale (1937), alleandosi nella guerra contro il Giappone. IL DOPOGUERRA IN ITALIA E L’AVVENTO DEL FASCISMO Nel dopoguerra l’Italia, che pure era uscita vincitrice dal conflitto, dovette affrontare numerose difficoltà economiche: la riconversione produttiva, la disoccupazione, la crisi finanziaria. Il peggioramento della situazione economica provocò una pesante inflazione e un inasprimento dei conflitti sociali. A questi fattori di malcontento si unirono la delusione per la ‘’vittoria mutilata’’ (cioè priva dei vantaggi sperati a fronte dei sacrifici subiti), che rinfocolò le vecchie polemiche fra interventisti e pacifisti, e il rancore dei reduci di guerra, spesso disoccupati e disillusi per le mancate riforme promesse durante il conflitto, prima tra tutte la riforma agraria. Si vennero così diffondendo forti tendenze autoritarie e antidemocratiche in primo luogo negli organi fondamentali dello Stato (burocrazia, esercito, polizia, magistratura), abituati nel periodo bellico a esercitare un ruolo di primaria importanza e di autonomia nei confronti del Parlamento. In questo difficile contesto il Partito liberale, dominatore della storia italiana dell’800, andava perdendo peso politico, mentre nel 1919 nasceva ad opera di Luigi Sturzo il Partito popolare, con un programma basato sulla riforma agraria, sulle autonomie locali, sull’interclassismo. La fondazione del nuovo partito segnava il definitivo abbandono del non expedit e industriali di reprimere con la forza l’occupazione e firmò un accordo con i sindacati. Ciò, tuttavia, non pose termine alle agitazioni sociali nel paese e, in particolare, nelle campagne. Per poter contare su una solida maggioranza, Giolitti indisse nuove elezioni (maggio 1921), in vista delle quali strinse un’alleanza con i nazionalisti e fascisti, detta ‘’blocco nazionale’’. Gli esiti della consultazione non premiarono però i giolittiani, ma segnarono l’avanzata dei fascisti, che entrarono in Parlamento con ben 35 deputati: tra essi lo stesso Mussolini. Nel corso del Terzo congresso nazionale fascista, tenutosi a Roma nel novembre 1921, veniva fondato il Partito nazionale fascista (Pnf). In questa prima fase il nuovo partito raccolse i consensi soprattutto dei ceti medi e della piccola borghesia, fino ad allora privi di una soddisfacente rappresentanza politica, che da un lato si sentivano trascurati dallo Stato e dall’altro temevano l’eversione ‘’rossa’’. Dopo la patente di rispettabilità ottenuta entrando in Parlamento, il fascismo si sentì autorizzato ad inasprire le violenze antisocialiste attraverso le squadre d’azione. Si trattava di bande armate, finalizzate a farsi giustizia da sé con l’intimidazione e i soprusi (spedizioni punitive ai danni delle sedi del movimento contadino e del partito socialista). Le forze fasciste trovavano valido sostegno economico e morale non soltanto presso i ceti medi, ma anche presso gli esponenti della classe politica liberale, nonché presso gli organi periferici dello Stato (prefetture e questure) e dell’esercito. La mancanza di interventi della forza pubblica contro lo squadrismo e la conseguente impressione di debolezza dello Stato democratico finirono per persuadere gli stessi fascisti e una parte dell’opinione pubblica che essi erano i veri e soli difensori della stabilità politica e dell’ordine. GLI STATI UNITI E LA CRISI DEL ‘29 All’inizio del 1920, mentre l’Europa era alle prese con l’inflazione e con gravi problemi politici e sociali, gli Stati Uniti si andavano affermando come Stato-guida del mondo capitalistico in sostituzione della Gran Bretagna. Il presidente democratico Woodrow Wilson tentò di consolidare questo ruolo attraverso una politica di difesa della libertà, della democrazia e dell’autonomia di tutti i popoli contro i nazionalismi europei (Quattordici punti), ma non ottenne in patria i consensi sperati. Alle elezioni del 1920 – le prime in cui le donne ottennero il diritto di voto – prevalse, infatti, la linea conservatrice del Partito repubblicano e venne eletto presidente Warren Harding. Il nuovo governo adottò una politica isolazionistica, basata sulla non ingerenza nei complicati affari europei; gli Stati Uniti non parteciparono alla Società delle Nazioni. All’isolazionismo politico si accompagnò un isolazionismo economico, volto a difendere i prodotti nazionali con misure protezionistiche. Questo indirizzo portò a una serie di provvedimenti contro l’immigrazione straniera e a un clima di ostilità verso gli immigrati, che raggiunse punte di estrema violenza xenofoba e razzista. Nel 1919 poi fu emanata la legge sul proibizionismo (abrogata nel 1933), che vietava la produzione e la vendita di alcolici e che finì invece per favorirne il traffico illegale. La politica conservatrice di Harding fu proseguita dal suo successore, il repubblicano Calvin Coolidge, il quale favorì le esportazioni verso l’Europa per soddisfare il mondo industriale
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