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La prima Guerra Mondiale: la 'grande' guerra, Schemi e mappe concettuali di Storia

Le premesse del conflitto L'Italia dalla neutralità all'ingresso in guerra Quattro anni di sanguinoso conflitto I trattati di pace

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

In vendita dal 20/10/2023

DarkEliq
DarkEliq 🇮🇹

4

(2)

48 documenti

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Scarica La prima Guerra Mondiale: la 'grande' guerra e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! CAPITOLO 4: LA PRIMA GUERRA MONDIALE LE PREMESSE DEL CONFLITTO: Al principio del Novecento, la scena europea era carica di tensione per quattro motivi: la Francia manteneva intatto il proprio desiderio di rivalsa sulla Germania, dalla quale era stata umiliata nella guerra 1870-1871 (“revanscismo”); Austria-Ungheria e Russia si fronteggiavano nell’area balcanica, dove ciascuna sperava di trarre vantaggio dalla debolezza dell’Impero ottomano. La Russia, infatti, mirava alla conquista dello Stretto dei Dardanelli per garantirsi uno sbocco sul Mar Mediterraneo, mentre l’Austria aspirava a un ulteriore rafforzamento della sua presenza nella Penisola balcanica. Ciò poneva l’Impero austro-ungarico in contrasto anche con l’Italia, che rivendicava le cosiddette “terre irredente” dell’Alto Adriatico; la Weltpolitik (“politica mondiale”) della Germania, che contendeva al Regno Unito il primato come potenza globale economica e militare, inaspriva le relazioni tra Berlino e Londra; tutte le potenze europee erano in generale in competizione tra l’oro per l’acquisizione di nuove colonie e la conquista dei mercati economici internazionali. Si aggiunga che, in questo quadro, i nazionalismi crescevano vigorosi in ogni Paese, alimentando le rivalità. I reciproci rancori erano sfociati nella costituzione di due alleanze contrapposte: da un lato la Triplice alleanza, che univa sin dal 1882 Germania, Austria-Ungheria e Italia; dall’altro la Triplice intesa, nata nel 1907, che sanciva l’accordo tra Regno Unito, Francia e Russia. Le due alleanze si fronteggiarono per parecchi anni senza porre mano alle armi, mentre gli arsenali crescevano continuamente. Il 28 giugno 1914, l’arciduca ed erede al trono d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando fu ucciso insieme alla moglie mentre si trovava in visita a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina. L’attentatore era Gavrilo Princip, uno studente serbo-bosniaco, nazionalista. L’attentato fece esplodere le tensioni latenti, pertanto una crisi regionale assunse presto dimensioni mondiali, portando allo scoppio della guerra mondiale. L’Austria-Ungheria, infatti, attribuì la responsabilità dell’attentato alla Serbia, che sosteneva le organizzazioni panslaviste nei territori asburgici, e, forte del pieno sostegno della Germania, inviò a Belgrado un durissimo ultimatum. L’ultimatum fu formulato in modo tale da essere sostanzialmente inaccettabile per la Serbia. La Russia si schierò in difesa della Serbia, facendo scattare il meccanismo degli accordi diplomatici contrapposti: la Germania dichiarò guerra ai russi e alla Francia, che aveva annunciato la mobilitazione in difesa della Russia. Di conseguenza il Regno Unito dichiarò guerra all’Austria- Ungheria e alla Germania. Il Giappone si schierò a fianco dell’Intesa e dichiarò guerra alla Germania. La prospettiva del conflitto fu accolta ovunque con manifestazioni di piazza entusiastiche, senza che le opinioni pubbliche si opponessero alle decisioni dei governi belligeranti. L’intervento fu sostenuto soprattutto dai vari movimenti nazionalisti, ma anche da frange rivoluzionarie della sinistra (entrambi con l’obiettivo di combattere lo stato liberale). Allo stesso tempo, si formò nei diversi Paesi quel clima bellicoso di “unione sacra” in cui partiti e gruppi politici opposti di destra e sinistra si schierarono in governi di coalizione nazionale a difesa della patria in pericolo. Gli osservatori dell’epoca agirono aspettandosi una veloce conclusione degli scontri, senza immaginare che la guerra avrebbe sconvolto la civiltà europea. Comparve, infatti, un tipo di guerra totalmente nuova. L’ITALIA DALLA NEUTRALITÀ’ ALL’INGRESSO IN GUERRA: Allo scoppio delle ostilità, l’Italia di Salandra dichiarò la propria neutralità. Pretesto della decisione di Roma fu il fatto che Vienna aveva per prima dichiarato guerra alla Serbia: essendo la triplice alleanza un patto difensivo, il governo non si sentiva obbligato a intervenire. Tra il 1914 e il 1915 crebbero però le pressioni dell’Intesa e degli imperi centrali perché l’Italia si schierasse e scatenò un accesissimo dibattito tra quanti condividevano la scelta della neutralità, i cosiddetti “neutralisti”, e quanti, invece, volevano che il Paese prendesse parte al conflitto in corso, i cosiddetti “interventisti”. La decisione a favore della partecipazione italiana alla guerra fu assunta all’inizio della primavera 1915 da Salandra, appoggiato nel suo interventismo dal re Vittorio Emanuele III e dall’esercito. Fin dal 1914, Sonnino e Salandra avevano avviato contatti segreti con l’Intesa e, dopo trattative infruttuose con Vienna, che si rifiutava di accogliere le richieste territoriali italiane, Roma firmò il Patto di Londra (1915), con il quale si impegnava a sostenere la guerra contro gli Imperi centrali. L’accordo impegnava l’Italia a entrare in guerra, e in cambio, al termine del conflitto, avrebbe ricevuto il Trentino e l’Alto Adige, Trieste, l’Istria e la Dalmazia. Il 24 maggio 1915, Vittorio Emanuele III annunciò agli italiani l’entrata in guerra del Paese a fianco delle potenze della Triplice intesa. QUATTRO ANNI DI SANGUINOSO CONFLITTO: Il Kaiser Guglielmo II e i suoi generali avevano impiegato anni per elaborare un piano che, nel caso di una guerra europea, evitasse alla Germania di combattere su due fronti (Piano Schlieffen). Esso prevedeva un attacco rapidissimo e di sorpresa alla Francia, attraverso il Belgio neutrale, e la caduta di Parigi in appena otto settimane: si trattava della cosiddetta “guerra lampo”, o Blitzkrieg. Si contava sul fatto che a est i russi avrebbero impiegato molto tempo a mobilitare il loro immenso esercito e a muoverlo verso le linee del fronte. Sconfitto il nemico a occidente, sarebbe stato facile abbattere l’avversario anche a oriente. I fatti smentirono presto queste previsioni. I belgi opposero una resistenza maggiore del previsto, e i francesi fermarono l’avanzata dei tedeschi sul fiume Marna, costringendoli a ritirarsi quando erano giunti ormai a poche decine di chilometri da Parigi. Contemporaneamente i russi attaccarono in Prussia e Galizia, assai i anticipo rispetto a quanto sperato dagli Imperi centrali, costringendo Berlino a dividere le sue truppe. I russi strapparono la Galizia agli austriaci, ma in Prussia furono prima fermati dai tedeschi a Tannenberg, e poi sconfitto ai Laghi Masuri. Ma proprio in quel momento la guerra a est conobbe una fine quanto mai inattesa e traumatica: sempre nel 1917, la rivoluzione scosse la Russia e determinò la caduta dello zar Nicola II e la fine della dinastia Romanov. I primi governi rivoluzionari rimasero fedeli all’alleanza con Francia e Regno Unito, ma pochi mesi più tardi, quando presero il potere, i bolscevichi di Lenin abbandonarono la lotta contro Germania e Austro-Ungheria. I russi firmarono l’armistizio a Brest-Litovsk, il quale prevedeva per i russi perdite gravissime: dovettero infatti rinunciare alla Finlandia, ai Paesi baltici, alla Polonia, alla Bielorussia e all’Ucraina. A partire dalla fine del 1917, tedeschi e austriaci poterono dunque destinare agli altri fronti le truppe fino a quel momento impegnare a est. Per quanto riguarda i Balcani, la decisione dell’entrata in guerra dell’Impero ottomano, alla fine de 1914, a fianco dell’Austria-Ungheria e Germania, fu presa dal governo dei Giovani turchi (un gruppo nazionalista con l’obiettivo di promuovere la riunificazione dei popoli turchi e la riforma in senso costituzionale dell’Impero). Su questo fronte l’operazione più importante avvenne nel 1915 durante la Battaglia di Gallipoli, avviata da Francia e Regno Unito per indebolire il nemico ottomano. Tuttavia, la spedizione si rivelò un vero insuccesso e le truppe alleate dovettero ritirarsi. La Serbia, alla quale l’Austria-Ungheria e la Germania intendevano attribuire le colpe del conflitto, fu invasa e sconfitta. Gli ottomani però, dopo la Battaglia di Gallipoli non avevano le forze per dare un valido aiuto alla Germania e all’Austro-Ungheria. Tra il 1915 e il 1916, l’Impero ottomano riprese la pulizia etnica della minoranza armena, già iniziata a fine Ottocento, convinto che le potenze europee impegnate nel conflitto non sarebbero intervenute nelle questioni interne. Gli armeni, di fede cristiana e concentrati soprattutto nella zona nord-orientale della Turchia, erano accusati dai turchi di essere il “nemico interno”, cioè: di tramare contro l’impero; di essere alleati della Russia zarista; di volere l’indipendenza. Così, i primi a essere trucidati furono i soldati armeni arruolatisi nell’esercito ottomano; poi una precisa pianificazione estese la persecuzione al resto della popolazione, che fu deportata in massa, durante le cosiddette marce della morte, in campi di prigionia ai confini desertici della Siria e della Mesopotamia. Il teatro di guerra italo-austriaco si dispiegò tra il Friuli e il Trentino (con larga prevalenza del primo). Le truppe italiane, dislocate lungo il fiume Isonzo e sull’Altopiano del Carso, volsero i loro attacchi, tra il 1915 e il 1917, contro le difese austriache, avendo come obiettivo strategico Trieste. Nel 1916, gli austriaci tentarono di cogliere di sorpresa gli italiani attaccando in Trentino: la cosiddetta Strafexpediction (ovvero “spedizione punitiva”) fu fermata sull’Altopiano di Asiago. Le truppe regie erano guidate dal generale Luigi Cadorna. Formato ai dettami della guerra di movimento ottocentesca, Cadorna era impreparato ad affrontare i problemi della guerra di posizione. Come di versi suoi pari di grado, inoltre, egli esercitava un comando autoritario e imponeva una disciplina inflessibile. Tuttavia, nel 1917 gli austriaci sfondarono il fronte dell’Isonzo all’altezza di Caporetto: spezzarono in due lo schieramento italiano sulla linea dell’Isonzo e si spinsero in profondità alle sue spalle. I soldati italiani furono colti alla sprovvista: l’esercito cedette di schianto all’assalto delle truppe austriache, che riuscirono a penetrare nel territorio italiano per circa 140 chilometri. La gravissima situazione creatasi sul confine produsse un’immediata reazione istituzionale. Le redini del governo furono affidate a Vittorio Emanuele Orlando e Cadorna fu destituito: al suo posto fu nominato il generale Armando Diaz. Un’ondata di patriottismo scosse l’Italia nel momento del maggior pericolo. Sul terreno di guerra l’esercito fu riorganizzato: ai soldati furono promesse riforme sociali e Diaz si mostrò più sensibile alle esigenze delle truppe. Queste, del resto, dimostrarono il loro valore resistendo sul Piave e sul Monte Grappa, dove si stabilizzò la nuova linea difensiva: qui fu fermata l’avanzata austriaca e gli eserciti si fronteggiarono per tutto l’inverno 1917-1918. Il 1917 portò alla guerra due eventi straordinari, che ne influenzarono profondamente le sorti. Il primo fu il crollo della Russia zarista; il secondo fu l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, che si dimostrò ben più decisivo e volse il conflitto a vantaggio di Francia e Regno Unito. L’intervento statunitense fu in buona misura provocato dalla ripresa della guerra sottomarina da parte della Germania. Il presidente Woodrow Wilson riuscì a vincere le forti correnti isolazioniste che animavano il Congresso e così gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Gli Stati Uniti entrarono nel conflitto con una posizione politica e una visione delle relazioni internazionali autonome, bene esposte dai Quattordici punti di Wilson. L’intervento degli Stati Uniti ebbe il potere di restituire entusiasmo al fronte interno di Francia, Regno Unito e Italia, in un momento delicatissimo. D’altro canto, l’intervento americano condizionò pesantemente la strategia della Germania e dell’Austria-Ungheria. Poiché gli statunitensi avrebbero impiegato molti mesi a mobilitare le truppe, equipaggiarle, trasferirle in Europa e schierarle, era necessario che entro questa finestra temporale gli Imperi centrali piegassero la resistenza avversaria. Di conseguenza, Germania e Austro-Ungheria elaborarono nel 1917 azioni di guerra che avrebbero dovuto essere risolutive. L’ultimo attacco tedesco sul fronte occidentale scattò nel 1918. I tedeschi schierarono in battaglia tutte le riserve e avanzarono tenacemente. Come nell’estate 1914, arrivarono alla Marna: qui però si fermarono per mancanza di materiali. Poco dopo iniziò la controffensiva alleata, rafforzata dai soldati statunitensi, e le truppe del Kaiser furono costrette a retrocedere senza sosta. Decisiva, al riguardo, fu la Battaglia di Amiens, che sancì il crollo dell’esercito tedesco. I tedeschi speravano di ottenere una pace onorevole. In effetti, nessuno straniero aveva violato il territorio della Germania. A crollare fu tuttavia il fronte interno, la cui resistenza era allo stremo: la marina si ammutinò e la rivoluzione divampò nelle fabbriche e nelle città di tutto il Paese. Guglielmo II dovette fuggire in Olanda e a Berlino fu proclamata la Repubblica. Due giorni dopo, i tedeschi firmarono l’Armistizio di Rethondes, arrendendosi senza condizioni. L’esercito italiano raccolse allora le forze e lanciò a sua volta una grande offensiva. I soldati di Diaz avanzarono e sconfissero gli austriaci a Vittorio Veneto: l’armistizio fu firmato a Villa Giusti, nei pressi di Padova, mentre gli italiani occupavano Trento e Trieste. L’impero degli Asburgo intanto si dissolveva: Carlo I abbandonò l’Austria, che assunse la forma istituzionale di repubblica. Con l’eccezione degli Stati Uniti e del Giappone, lo sforzo compiuto schiacciò vincitori e vinti, riducendoli a una comune condizione di estrema debolezza. I TRATTATI DI PACE: Nel 1919, a Parigi, ebbe inizio la Conferenza di pace. In Europa erano crollati i grandi imperi e so era formato uno Stato comunista; inoltre era necessario conciliare le ambizioni delle potenze vincitrici con il principio di autodeterminazione dei popoli. Si giunse così alla stipula di cinque trattati, che in alcuni casi crearono i presupposti per nuove tensioni internazionali. In particolare, il Trattato di Versailles impose durissime condizioni alla Germania, che dovette restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia, lo Schleswig del Nord alla Danimarca, Alta Slesia e Posnania alla Polonia, i Sudeti alla Cecoslovacchia; dovette inoltre cedere le colonie extraeuropee, pagare un enorme debito di guerra, ridurre l’esercito e dare alla Francia il controllo temporaneo della riva sinistra del Reno e delle miniere della Saar. Gli altri trattati ratificarono la fine dell’Impero Austro-Ungarico e la nascita della Cecoslovacchia e della Jugoslavia; venne ridotto il territorio della Bulgaria e l’Impero ottomano dovette cedere i suoi possedimenti a Francia e Regno Unito. L’Italia ottenne dall’Austria Trento, l’Alto Adige e Trieste, ma la Dalmazia e Fiume andarono alla Jugoslavia, provocando nel Paese proteste contro la vittoria mutilata.
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