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la-proprieta-bianca-riassunto, Sintesi del corso di Diritto Civile

Riassunto del volume la proprieà Di Bianca

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

Caricato il 03/09/2014

lucio.natali
lucio.natali 🇮🇹

3.9

(22)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica la-proprieta-bianca-riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! 1 LA PROPRIETÀ 1. I DIRITTI REALI LA NOZIONE DI DIRITTO REALE Diritti reali sono i diritti che conferiscono un potere immediato e assoluto su una cosa. I diritti reali si distinguono in diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia secondo che conferiscano poteri di godimento o di garanzia:  Diritto reale di godimento per eccellenza è la proprietà, a fronte della quale si collocano i diritti reali su cosa altrui (superficie, enfiteusi, usufrutto, abitazione, uso, servitù)  Diritti reali di garanzia sono il pegno e l’ipoteca CARATTERI dei diritti reali sono:  L’immediatezza, che indica la diretta soggezione della cosa al potere del titolare del diritto reale, nel senso che questi esercita il suo potere senza il tramite di una prestazione altrui.  L’assolutezza, che indica la tutelabilità del diritto nella vita di relazione, e la conseguente esperibilità di esso nei confronti di chiunque lo contesti o lo pregiudichi o sia destinatario dei suoi effetti.  L’inerenza, che designa l’opponibilità del vincolo a chiunque possieda la cosa o vanti un diritto su di essa. I diritti reali hanno per oggetto cose materiali e specifiche, e sotto questo aspetto i differenziano rispetto ai diritti su beni immateriali. POSIZIONI CRITICHE DELLA DOTTRINA e relative obiezioni La nozione di diritto reale è stata oggetto di contestazione da parte della dottrina: 1. La concezione personalistica della dottrina tedesca obiettava che i poteri giuridici possono concepirsi solo nei confronti di persone e non di cose, per cui l’essenza della realità sarebbe piuttosto data dall’assolutezza. MA, l’immediatezza va intesa non nel senso che il bene è il termine di un rapporto giuridico col soggetto, ma semplicemente che esso costituisce l’oggetto su cui cade il potere. Inoltre, tale tesi trascura il lato interno dei diritti reali, in quanto il dovere dei terzi di non ingerenza non determina il contenuto dei diritti reali di godimento, ma li presuppone. 2. La tesi dell’inerenza della dottrina italiana ha individuato come unico carattere essenziale dei diritti reali l’inerenza del potere del titolare rispetto alla cosa, in quanto vi sarebbero diritti reali privi del carattere dell’immediatezza o privi dell’assolutezza, mentre per converso questi caratteri si riscontrerebbero anche in diritti di credito MA, i tipici diritti reali presentano costantemente tali caratteri: l’immediatezza ha puntuale riscontro anche nell’ipoteca e nelle servitù negative, anche se assente nella locazione, mentre l’assolutezza è presente pure nel diritto reale acquistato mediante atto non trascritto, in quanto la mancanza della trascrizione comporta una inopponibilità solo relativa, non incidendo sul dovere di non ingerenza dei terzi. È vero che l’assolutezza non è esclusiva dei diritti reali, ma in essi è carattere necessario, mentre nei diritti reali la tutela extracontrattuale svolge un ruolo secondario e limitato. 3. Altra tesi riduce la categoria dei diritti reali, estromettendo da essa le due figure spurie dell’ipoteca e delle servitù negative, nelle quali non sarebbero riscontrabili l’immediatezza e l’assolutezza, che sono i caratteri propri dei diritti reali. MA, tali caratteri devono ritenersi presenti anche nell’ipoteca e delle servitù negative, in conformità delle indicazioni e della sistematica del codice, che designa il pegno e l’ipoteca come garanzie reali e disciplina la servitù tra i tipici diritti reali. 4. Una più drastica riduzione è proposta da quella dottrina che limita la categoria ai soli diritti suscettibili di possesso e di acquisto a titolo originario. 2 LA CATEGORIA DEI DIRITTI REALI SUL PIANO DELLA DISCIPLINA GIURIDICA Ognuna delle varie figure tipiche dei diritti reali riceva una specifica disciplina, ma ciò non impedisce di ricondurle ad una categoria unitaria: per quanto diversi fra di loro, i diritti reali presentato infatti caratteri comuni e sono soggetti all’applicazione di principi comuni, concernenti la forma, la pubblicità, l’acquisto, la competenza processuale territoriale, ecc. Le previsioni dettate dal codice con riferimento ai diritti reali confermano che diritto reale non è solo una nozione teorica ma anche una denominazione normativa, mediante la quale è indicato l’ambito di applicazione di varie discipline. L’OGGETTO DEI DIRITTI REALI L’oggetto dei diritti reali si caratterizza per la materialità e per la specificità, caratteri connessi a quello della immediatezza, in quanto il potere immediato presuppone che vi sia una cosa su cui esercitarlo e che questa sia concretamente determinata e attualmente esistente: oggetto dei diritti reali sono le cose materiali specifiche ed attuali. Si coglie in tal modo un’altra differenza rispetto ai diritti di credito, che possono invece avere ad oggetto beni generici e beni futuri. Tenendo presente che carattere essenziale dell’oggetto dei diritti reali è la specificità, può intendersi come non esista la proprietà del patrimonio (ma delle singole cose che ne fanno parte), e come il contratto di alienazione avente ad oggetto cose generiche o future possa produrre l’effetto reale solo a seguito della individuazione o la venuta ad esistenza del bene. EVOLUZIONE GIURIDICA DEI DIRITTI REALI Il codice ha abbandonato l’idea della centralità della proprietà nella sistematica dei diritti patrimoniali, e significativo al riguardo è il IV libro, dedicato all’obbligazione, materia che il codice del 1865 aveva collocato nell’ambito dei “modi di acquistare e trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose” (libro III). Importanti elementi di novità sono dati dall’emergenza dell’impresa quale strumento di concentrazione del potere economico e dalla prospettiva della funzione sociale, solennemente sancita dalla Costituzione. IL PRINCIPIO DEL NUMERO CHIUSO DEI DIRITTI REALI Esso indica la tipicità legale necessaria di questi diritti: non è dato ai privati creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge né modificarne il regime. Tale principio non è espressamente sancito dal codice ma si desume dal rilievo che la possibilità di creare figure atipiche è stata prevista solo in tema di contratti, e questo al fine di tutelare la utilizzabilità e commerciabilità dei beni e in quanto altrimenti si andrebbe ad urtare contro il principio di relatività del contratto, che non consente alle parti di incidere negativamente sulla sfera giuridica altrui. I tipici diritti reali su cosa altrui possono ridurre anche pesantemente la sfera di godimento e disposizione spettante al proprietario, ma essi hanno una durata limitata nel tempo o trovano ragione nella permanente utilità di altri beni. Alcuni hanno di recente sostenuto che tale principio non risponde più alle esigenze della moderna economia: d’altro canto va preso atto che nuove esigenze di rilevante interesse sociale hanno potuto essere soddisfatte attraverso una più ampia interpretazione dell’istituto della servitù, e hanno trovato riconoscimento in regole di diritto effettivo che giustificano la costituzione di vincoli sui beni al di là delle strette ipotesi del codice. Di “nuovi” diritti reali si è parlato con riferimento al diritto di cubatura e alla multiproprietà. LE OBBLIGAZIONI REALI Le obbligazioni reali (dette anche ob rem o propter rem) sono le obbligazioni collegate alla proprietà o altro diritto reale su un immobile: questo collegamento identifica nel proprietario dell’immobile o titolare del diritto reale la persona dell’obbligato (es. obbligo dei comproprietari del muro di contribuire alle spese di riparazione e ricostruzione). In quanto le obbligazioni reali sono collegate alla proprietà di un immobile, il debitore può liberarsene per il futuro mediante l’abbandono di esso. 5 PERPETUITÀ. Il diritto di proprietà è perpetuo: non ha limiti di tempo e non si estingue per prescrizione. La legge può certamente prevedere ipotesi di proprietà temporanea, in quanto il limite temporale non verrebbe ad esautorare totalmente il contenuto del diritto: ipotesi di proprietà temporanea sono il fedecommesso (consente l testatore di far obbligo all’erede o legatario di conservare e restituire i beni ereditari alla sua morte: fino a quel momento ne è proprietario per se il suo diritto sia gravemente limitato), la proprietà superficiaria a termine, il legato a termine, e il contratto traslativo della proprietà sottoposto a termine inziale. Queste particolari ipotesi confermano che la proprietà può astrattamente tollerare un limite di durata: vale tuttavia il divieto della creazione di proprietà temporanea per volontà delle parti, divieto che è diretta espressione del principio del numero chiuso dei diritti reali, che preclude ai privati di crearne di nuovi e di alterare il contenuto di quelli tipici. Il divieto non è smentito dalla possibilità di trasferire la proprietà sotto condizione risolutiva, la quale rende precario il titolo dell’acquisto, ma non rende temporalmente limitato il diritto. In ogni caso, solo i contratti di durata tollerano un termine finale, che inciderà quindi non sulla durata del contratto ma sulla durata del diritto attribuito: i contratti di alienazione non hanno una durata perché l’effetto traslativo si realizza interamente e istantaneamente. L’apposizione di un termine finale alla vendita o alla donazione di un bene è infatti nulla per impossibilità giuridica: il proprietario piò avere interesse a riottenere la proprietà del bene, ma la costituzione di un vincolo reale destinato a tal fine è ammissibile solo mediante un patto di riscatto ed entro i limiti inderogabili fissai dal codice, il quale comporta la risoluzione della vendita con effetto retroattivo. L’UNITARIETÀ DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ Nell’ambito del diritto di proprietà rilevano alcune distinzioni riferite alla natura dei beni. Si fa infatti distinzione tra:  Proprietà pubblica e privata  Proprietà immobiliare/fondiaria e mobiliare, secondo che il diritto abbia ad oggetto beni immobili o mobili. La proprietà fondiaria si distingue a sua volta in proprietà terriera ed edilizia, secondo che l’oggetto consista in terreni o edifici. La diversa natura dei beni o la loro particolare destinazione comportano l’applicazione di norme differenti, incidenti sulla disciplina della proprietà: in considerazione di queste differenti regole una parte della dottrina è giunta ad affermare l’avvenuta “frantumazione” dell’istituto della proprietà, la cui unità sarebbe venuta meno dando luogo a figure diverse di proprietà. Tuttavia, la nozione unitaria di proprietà ha un suo riscontro normativo e quella del diritto di proprietà unico ed esclusivo è un’idea profondamente radicata nella realtà socio-economica. L’istituto della proprietà va specificato in relazione al diverso regime dei beni, ma non può dirsi che le differenti regole cancellino l’identità del diritto: esse adattano solo all’poggetto il medesimo rapporto giuridico di appartenenza. La frantumazione della proprietà è stata argomentata anche con riferimento al piano soggettivo, e in particolare alla proprietà “collettiva”, che dal passato rifiorirebbe oggi nella comunione e nella società: tuttavia, la comunione è del tutto estranea agli antichi modelli collettivistici e la società non rappresenta una forma di proprietà “collettiva”, ma una forma di proprietà individuale che fa capo ad un soggetto di diritto (la società).  Le distinzioni normative non danno luogo ad autonome figure giuridiche e neppure a più nozioni di proprietà: si tratta piuttosto di specificazioni dell’unico istituto della proprietà. ESTRANEITÀ DELLA PROPRIETÀ ALLA SFERA DEI DIRITTI FONDAMENTALI La proprietà non è un diritto fondamentale dell’uomo: una simile idea era stata prospettata nell’Inghilterra del 17° secolo e recepita dal pensiero illuministico e dalla Rivoluzione francese. Anche lo Statuto Albertino proclamò l’inviolabilità della proprietà, ma ridimensionata, affermando l’espropriabilità del diritto per pubblico interesse: la “inviolabilità” si traduceva quindi concretamente nel principio di salvaguardia contro le espropriazioni abusive. Tale idea riaffiora talvolta anche nella recente dottrina: il diritto di proprietà diviene allora diritto fondamentale dell’uomo in quanto condizione essenziale per l’esplicazione della sua libertà. 6 PROPRIETÀ E COSTITUZIONE: il principio della funzione sociale della proprietà La Costituzione non include la proprietà tra i diritti “inviolabili” dell’uomo, ma enuncia due basilari principi, quello della garanzia costituzionale e quello della funzione sociale: la Costituzione sancisce infatti che la legge determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti” (422). La nozione di funzione sociale appare più ampia della nozione di interesse pubblico: interessi pubblici sono i bisogni della collettività fatti propri dallo Stato e dagli enti pubblici, mentre la funzione sociale va ravvisata nella sua utilità collettiva.  La proprietà può essere limitata al fine di rendere il bene più vantaggioso per la comunità. Si pone allora il PROBLEMA se la previsione della funzione sociale abbia inciso sulla struttura del diritto di proprietà. Al riguardo la dottrina si è mossa in direzioni opposte:  La tesi secondo cui la Costituzione avrebbe trasformato in senso sociale il contenuto della proprietà non appare rispondente al significato del dettato costituzionale, il quale impone il raccordo tra interesse individuale e interesse collettivi, ma demanda al legislatore ordinario il compito di operarlo.  Non può dirsi che la Costituzione ha “funzionalizzato” la proprietà privata in sé.  D’altro canto, non può neppure condividersi la tesi riduttiva che nega in radice l’idoneità del diritto di proprietà ad essere determinato nel suo contenuto in relazione ad un interesse esterno. Il diritto di proprietà è certamente riconosciuto al titolare in ragione e a tutela del suo interesse, ma esso è suscettibile di essere “limitato”, e la limitazione incide sul suo contenuto. Le limitazioni pubblicistiche, poi, non sono di per sé incompatibili con il diritto del proprietario: l’imposizione di un vincolo per assicurare l’utilità sociale del bene può ben lasciare al proprietario il diritto di godere e disporre di esso nel proprio interesse (es. Il proprietario può essere tenuto per legge a mantenerlo in condizioni di decoro, sicurezza o igiene senza che ciò escluda la posizione di vantaggio in cui si immedesima la sua proprietà). N.B. Durante la redazione del c.c. era stato proposto da parte della Commissione reale di sancire la funzione sociale della proprietà, proposta che non ebbe però seguito. LA GARANZIA COSTITUZIONALE DELLA PROPRIETÀ PRIVATA Pur non includendo la proprietà tra i diritti fondamentali della persona, la Costituzione ne afferma espressamente la garanzia: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge” (422). La garanzia costituzionale della proprietà ha un DUPLICE SIGNIFICATO:  In primo luogo, è garanzia dell’istituto della proprietà privata: qui si è espressa la scelta del costituente verso un sistema politico e sociale che rifiutava l’ideologia comunista e il principio della proprietà pubblica di tutti i beni immobili e dei mezzi produttivi.  Sarebbe incostituzionale una norma che abolisse la proprietà privata  È poi garanzia del diritto di proprietà, cioè garanzia del proprietario: qui è recepito il principio di salvaguardia del diritto contro le espropriazioni abusive, già proclamato dallo Statuto albertino.  La legge può limitare la proprietà per assicurarne la funzione sociale, ma deve pur sempre trattarsi di limitazioni a carattere generale e compatibili col contenuto essenziale della proprietà. 7 LA GARANZIA COSTITUZIONALE CONTRO LE LIMITAZIONI LEGALI ABUSIVE La Costituzione prevede la limitabilità del diritto di proprietà per assicurarne la funzione sociale ma al tempo stesso sancisce il principio di garanzia del diritto contro le limitazioni legali abusive. Tale garanzia attiene:  Al rispetto della riserva di legge: le limitazioni possono essere previste solo in via legislativa  All’indicazione del fine dell’utilità sociale che le limitazioni devono perseguire: sono illegittime le imposizioni non giustificate da tal fine.  Al rispetto del principio di eguaglianza: sono illegittime le limitazioni che, a parità di condizioni obiettive, gravino su taluni proprietari e non su altri.  Alla tutela di un contenuto minimo della proprietà: sono illegittime le imposizioni normative di vincoli della proprietà privata senza indennizzo e senza termine. Il diritto della proprietà non si estingue pur se compresso al massimo. Le limitazioni non possono però spingersi fino al punto di sacrificare sostanzialmente la posizione del proprietario: vi è cioè una soglia che non è dato al legislatore ordinario superare, soglia che è rappresentata dal normale godimento della cosa. L’IPOTESI DI UNA “PROPRIETÀ COSTITUZIONALE” La Costituzione non definisce la proprietà e la dottrina si chiede se accanto alla proprietà civilistica sussista una proprietà costituzionale. La dottrina americana è giunta senz’altro a parlare di una “new property” come oggetto di tutela costituzionale, ma questa ipotesi non si concilia con la nostra Costituzione, in quanto termini e istituti giuridici hanno di massima nella Carta costituzionale il significato tecnico ad essi attribuito nell’ambito dell’ordinamento positivo.  La proprietà tutelata dalla Costituzione è la proprietà definita dal codice civile. L’ACCESSIBILITÀ A TUTTI La legge determina i modi di acquisto, godimento e i limiti della proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale “ e di renderla accessibile a tutti” (422). La dottrina non ha attribuito molta importanza a questa indicazione dell’ “accessibilità della proprietà” quale scopo del legislatore ordinario, sostenendo che la promozione dell’acquisto della proprietà rientra nel più generale impegno dello Stato di realizzare l’eguaglianza sostanziale dei cittadini: certo è, però, che questo impegno si specifica in relazione all’acquisto di beni di particolare valore sociale (es. casa e terra) e l’impegno può essere realizzato mediante interventi agevolati (es. finanziamenti, agevolazioni fiscali, ecc) e mediane “limiti” legali della proprietà (es. limiti quantitativi della proprietà terriera e prelazioni legali di fondi affittati ad uso non abitativo). PROPRIETÀ E IMPRESA Proprietà e imprese sono nozioni non omogenee: l’una esprime un diritto sui beni, l’altra l’esercizio di un’attività. L’esercizio dell’impresa non presuppone la proprietà dei beni produttivi, bastando il possesso dell’azienda. Proprietà e impresa si prestano entrambe a realizzare fini di interesse generale: la proprietà dev’essere disciplinata dalla legge in modo da assicurarne la funzione sociale, mentre l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. L’impresa incontra quindi limiti generali che sono previsti direttamente dalla Costituzione ma hanno contenuto negativo, ed in parte coincidono con i doveri di rispetto altrui sanciti nella vita di relazione. L’indirizzo dell’impresa verso fini sociali può essere promosso mediante programmi e controlli che incentivino l’attivazione o la conversione di determinate attività produttive, ma non mediante divieti ed obblighi legali (es. obbligo di incrementare la produzione). A fini di utilità generali le imprese possono poi essere espropriate dalla legge sempreché si tratti di imprese monopolistiche o afferenti a determinati settori, comunque di preminente interesse nazionale. 10 3. I RAPPORTI DI VICINATO I rapporti di vicinato sono i rapporti che regolano il godimento dei fondi in relazione ai fondi vicini: questi rapporti sono disciplinati dal codice in funzione di un’ordinata coesistenza della proprietà fondiaria. La disciplina dei rapporti di vicinato sancisce limiti alla proprietà fondiaria nell’interesse reciproco dei proprietari, a tutela quindi di interessi privati: le norme di vicinato possono tuttavia rispondere anche a finalità pubbliche, come le norme sulle distanze nelle costruzioni, acquistando così carattere di inderogabilità. I limiti sanciti dalle norme di vicinato consistono in divieti, obblighi e soggezioni: essi però non sono riconducibili né alla nozione dell’obbligazione, in quanto non sono sanciti a favore di soggetti determinati ma esprimono particolari contenuti del dovere legale di rispetto della proprietà altrui o di cooperazione, né alla nozione di servitù (anche se il codice del 65 inseriva la disciplina dei rapporti di vicinato nel capo sulle servitù prediali), la quale è un limitazione specifica costituita su un fondo a vantaggio di un altro fondo determinato che richiede quindi un apposito titolo costitutivo, mentre i limiti legali di vicinato ineriscono al normale contenuto della proprietà. In dottrina si è di recente negato che le norme di vicinato diano luogo propriamente a limiti del diritto di proprietà: ad ogni imposizione fa infatti riscontro un vantaggio derivante dalla reciproca imposizione, per cui globalmente, considerando vantaggi e svantaggi, non potrebbe dirsi che le norme di vicinato riducono il contenuto del diritto di proprietà. Tuttavia, in realtà i limiti non si compensano l’uno con l’altro, e il proprietario è limitato nell’utilizzazione del proprio fondo: il limite, infatti, non viene meno solo perché il proprietario del fondo vicino subisce a sua volta il medesimo limite. Oltre alla generale norma che vieta gli atti emulativi (espressione del più generale divieto di abuso del diritto), il codice detta una serie di specifiche norme di vicinato, quali limiti reciproci delle proprietà immobiliari, aventi ad oggetto, precisamente, le immissioni, le costruzioni, i muri, le opere pericolose o nocive, le piante, le luci e vedute, lo stillicidio, le acque. Norma di vicinato è anche quella che impone al proprietario di permettere l’accesso al vicino che ne abbia particolari necessità. 11 1) LE IMMISSIONI Le immissioni sono propagazioni di fattori disturbanti causate dall’opera dell’uomo. Sono vietate le immissioni sul fondo altrui se superano la normale tollerabilità (844). Il vecchio codice non menzionava tale limite, ma il principio era già riconosciuto da dottrina e giurisprudenza: la sua esplicita previsione nel codice vigente conferma che esso ha acquistato nuova importanza a fronte del progresso industriale, che ha moltiplicato le fonti di disturbo, e a fronte della crescente dannosità di queste per persone e cose. La norma del codice è intesa fondamentalmente a mediare il conflitto tra gli interessi della proprietà e quelli dell’industria, anche se oggi si pone soprattutto il problema del coordinamento della regola proprietaria con i principi di tutela dell’ambiente e della salute. IMMISSIONI E RAPPORTI DI VICINATO La norma sulle immissioni è inserita tra le disposizioni generali sulla proprietà fondiaria, e ciò potrebbe far pensare che essa sia una specificazione del potere di esclusione del proprietario: tuttavia, la disciplina risolve pur sempre conflitti d’uso proprietario, pertanto, pur avendo acquistato nuova e più ampia portata, è comunque riconducibile nell’ambito dei rapporti di vicinato. OGGETTO DELLE IMMISSIONI Le immissioni hanno per oggetto tutte le entità idonee a recare molestia, come fumo, calore, gas, odori, rumori, scuotimenti ed altri simili elementi. Primo requisito dell’immissione vietata è la materialità del suo oggetto, sicché sono escluse dal divieto le c.d. immissioni ideali, consistenti nella esposizione alla vista di cose squallide o terrificanti, attività ripugnanti, ecc. Va però rilevato che le immagini sono pur sempre entità materiali che possono comportare l’invivibilità di un appartamento se si tratta di immagini insopportabilmente sgradevoli. Analoga soluzione dovrebbe ammettersi quando un immobile venga adibito ad attività contrarie al buon costume esercitate in modo manifesto, assoggettando in tal modo il fondo altrui a viste invereconde, schiamazzi, ecc, e quando su un immobile siano predisposte sofisticate apparecchiature che proiettano la loro operatività sul fondo altrui per carpire suoni e immagini. LA DERIVAZIONE DELLE IMMISSIONI DAL FONDO DEL VICINO Requisito delle immissioni vietate è la loro derivazione dal fondo del vicino. Tale requisito implica anzitutto che le immissioni devono avere origine da un fondo o deve trattarsi di immissioni “indirette”, consistenti cioè in “ripercussioni” dell’attività svolta sul fondo altrui, e che le immissioni devono provenire dal fondo di un “vicino”, anche se il riferimento alla vicinanza del fondo imminente ha perso l’antico significato di “prossimità”, dal momento che gli sviluppi della tecnica industriale hanno esposto i fondi ad immissioni anche di remota provenienza. La previsione normativa deve pertanto interpretarsi come semplice indicazione della relazione spaziale che rende un fondo assoggettabile alle immissioni provenienti dall’altro. IL SUPERAMENTO DELLA NORMALE TOLLERABILITÀ Presupposto principale delle immissioni vietate è quello della intollerabilità: sono vietate le immissioni che eccedono la “normale tollerabilità”, cioè la sopportabilità delle immissioni valutata alla stregue della coscienza sociale. Le immissioni vanno valutate dal punto di vista del fondo ricevente, senza tuttavia dare ingresso ad un criterio personalistico, in base dunque ad una valutazione obbiettiva che tenga conto anche della “condizione dei luoghi”, ossia della destinazione d’uso del fondo colpito e dei fondi della zona. La norma privatistica sulle immissioni va tenuta distinta rispetto alle norme di diritto pubblico che fissano limiti massimi di inquinamento a tutela della saluta o dell’ambiente: questi limiti non sono direttamente applicabili ai rapporti proprietari e il loro rispetto non esclude quindi il giudizio di intollerabilità delle immissioni (sicuramente intollerabili invece in caso di violazione di detti limiti). 12 LE IMMISSIONI INDUSTRIALI Quando le immissioni provengono da un’attività produttiva, il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà (8442): ciò vuol dire che le immissioni industriali possono essere consentire pur quando superano il limite della normale tollerabilità, in ragione della grande attenzione che il legislatore del 42 ha dedicato agli interessi dell’industria. Un primo giudizio impone di accertare la prevalenza delle une o delle altre: la prevalenza delle ragioni dell’industria presuppone anzitutto che esse abbiano una sufficiente importanza, ma il giudice può tenere conto, quale criterio sussidiario, della “priorità di un determinato uso”, ossia del fatto che l’attività produttiva sia iniziata pria o dopo che al fondo sia stata impressa la sua destinazione (non basta però aprire una fabbrica per acquisire il diritto di imporre esalazioni intollerabili a carico delle vicine case posteriormente costruite). In ogni caso, le immissioni devono essere vietate (e non inibita l’attività disturbante) quando la loro eliminazione richiede accorgimenti tecnici di costo ragionevole. Accertata la prevalenza dell’industria, il giudizio di contemperamento richiede soluzioni che non sacrifichino interamente l’interesse del proprietario: la giurisprudenza è orientata nel senso di realizzare il contemperamento consentendo di massima le immissioni industriali intollerabili ma imponendo un indennizzo (e non un risarcimento) a favore del proprietario. Tale indennizzo non è previsto dal codice, ma esso si giustifica in applicazione analogica della norma sulle servitù coattive e nel rispetto del principio di tutela economica del diritto di proprietà gravato nell’altrui interesse. La misura dell’indennità deve essere determinata tenendo conto della diminuzione di valore dell’immobile a causa delle immissioni in relazione alla sua attuale destinazione a prescindere dall’eventuale incremento dovuto ad altre cause: se il proprietario abbia provveduto a rendere normalmente utilizzabile il fondo mediante l’erogazione di costi ragionevoli, l’indennità potrà essere commisurata all’importo di tali costi. In quanto consentite dal giudice, le immissioni industriali non hanno carattere illecito. Il diritto di propagare immissioni intollerabili, purché non nocive, può essere costituito per volontà dei proprietari, rientrando allora nello schema delle servitù volontarie. 15 3) I MURI NORME DI VICINATO RIGUARDANTI I MURI: DISTANZE Per quanto attiene alle distanze, i muri che fanno parte di edifici sono soggetti alle norme sulle distanze delle costruzioni, mentre i muri di cinta e gli altri muri isolati no, salvo che abbiano un’altezza superiore ai 3 metri (es. il proprietario può erigere il muro di cinta sul confine anche se il vicino ha costruito a distanza dal confine inferiore ai 3 metri). COMUNIONE FORZOSA DEI MURI I muri di cinta e i muri facenti parte di edifici privati possono essere oggetto di comunione forzosa: il proprietario del fondo limitrofo può chiedere la comunione del muro eretto sul confine per tutta l’altezza o per una sua parte, ma comunque per un’estensione non inferiore a quella del proprio fondo. Per la PREVALENTE DOTTRINA la richiesta attiva l’obbligo legale del proprietario del muro di cedere la quota di comproprietà al richiedente, acquisto che potrà ottenersi altrimenti mediante una sentenza sostitutiva del contratto non concluso: il diritto alla comunione del muro sarebbe dunque il diritto potestativo di obbligare il proprietario vicino a rendere comune il muro o di ottenerne la comunione in via giudiziale. Secondo ALTRA DOTTRINA la richiesta determina direttamente l’effetto acquisitivo della comproprietà del muro mediante una dichiarazione unilaterale di volontà: tale tesi non pare però compatibile col testo normativo che prevede una atto di richiesta. Il proprietario del fondo che esercita il diritto alla comunione deve provvedere al pagamento della metà del valore del muro e del suolo su cui questo insiste: questo pagamento non è un obbligo ma un onere, cioè un presupposto legalmente necessario ai fini della comunione. La sentenza costitutiva della comunione può essere condizionata al pagamento dell’indennità nella misura determinata dal giudice.  Il diritto alla comunione forzosa del muro si specifica come diritto potestativo con onere. La comunione forzosa è prevista anche quando il muro si trovi a distanza minore della metà di quella minima: in tal caso il secondo costruttore può chiedere la comunione del muro solo al fine di fabbricare in appoggio al muro stesso, e avrà gli stessi oneri di pagamento della metà del valore del muro, del relativo suolo e del suolo occupato con la propria costruzione, di preventivo interpello del vicino e di tempestiva costruzione in appoggio al muro reso comune. Il vicino ha la facoltà di paralizzare la domanda di comunione procedendo alla estensione del muro al confine o alla sua demolizione. PRESUNZIONE DI PROPRIETÀ DEL MURO DIVISORIO Il codice definisce divisorio il muro che “serve di divisione tra edifici”. Il muro divisorio si presume comune fino al punto più alto di unione dei due edifici: se uno dei due è di altezza maggiore, la parte superiore del muro si presume appartenere al proprietario dell’edificio più elevato. La presunzione legale comporta che la proprietà comune del muro non ha bisogno di essere provata, ed è opponibile a tutti i terzi, mentre chi si assume di esserne proprietario esclusivo ha l’onere di provare il suo titolo di acquisto. La presunzione di comunione opera anche per i muri divisori di cortili, giardini, ori e campi. Se però si tratta di muri con spiovente o vi siano sporti e vani, si presume che essi appartengano in via esclusiva al proprietario del fondo verso il quale lo spiovente volge o sul quale sporti e vani si mostrano, in quanto tali opere attestano che il muro è stato eretto a vantaggio esclusivo di chi le ha eseguite. Analoghi segni (es. sculture) possono avere lo stesso significato e assumere eguale valore presuntivo. 16 MANUTENZIONE DEL MURO COMUNE La manutenzione e ricostruzione necessarie del muro comune sono a carico dei proprietari secondo la regola della comunione, cioè in misura proporzionale alla quota di comproprietà. Chi però abbia dato causa alla spesa è tenuto per l’intero. Ciascun comproprietario può fare effettuare le riparazioni e ricostruzioni necessarie quando vi sia trascuratezza da parte dell’altro o degli altri comproprietari. Il comproprietario è esonerato dalle spese se rinunzia alla comunione del muro: egli però non può rinunziare alla quota del muro di sostegno del suo edificio, perché rimane necessariamente nella sua sfera di utilizzazione, a meno che non abbatta l’edificio sostenuto dal muro, dovendo però eseguire tutte le riparazioni ed opere necessarie ad evitare che la demolizione arrechi danni al vicino. L’obbligo di contribuzione alle spese necessarie è generalmente qualificato come un obbligo reale o propter rem, in quanto grava su chiunque sia comproprietario del muro: ciò non incide comunque sulla disciplina dell’obbligazione, pertanto la rinunzia alla comunione non comporta la liberazione del debitore dalle obbligazioni già maturate a suo carico. Nell’ipotesi di muri divisori posti in fondi a dislivello negli abitati, le spese sono a carico esclusivo del proprietario del fondo superiore per la parte di muro che va dalle fondamenta fino al livello del proprio suolo, sono a carico di entrambi i proprietari per la restante parte. USO DEL MURO COMUNE Il proprietario può usare del muro secondo la regola della comunione, cioè senza alterare la sua destinazione e senza impedire l’eguale uso da parte degli altri comproprietari. Il comproprietario ha dunque:  La facoltà di appoggiarvi la propria costruzione, di immettervi travi, di attraversarlo con chiavi e catene di rinforzo, ma non di eseguire incavi ed altre opere che mettano in pericolo la stabilità del muro o che lo danneggino  La facoltà di innalzare il muro comune: la parte sopraelevata di muro è di proprietà esclusiva di chi lo ha innalzato, ma il vicino può avvalersi del potere di renderlo comune pagando un’indennità nella misura della metà del suo valore. Tutti i danni prodotti dalla sopraelevazione devono essere indennizzati.  Il potere di fare insistere sul suolo del vicino la porzione di maggior spessore del muro, quando ragioni tecniche impediscano di costruirlo sul proprio suolo: al vicino è allora dovuto un indennizzo pari alla metà del valore del suolo occupato dalla parte eccedente del muro (il suolo occupato diventa quindi comune: ipotesi da inquadrare nella figura dell’accessione invertita). COSTRUZIONE DEL MURO DI CINTA Nelle aree abitate il proprietario può costruire muri di cinta per separare la casa, i cortili e i giardini rispetto alla proprietà confinante e pretendere dal vicino la contribuzione per metà della spesa: questi può esimersi da tale obbligo cedendo la metà del suolo su cui il muro dev’essere eretto mediante atto unilaterali, qualificabile come abbandono liberatorio. In tal caso il muro è di proprietà di colui che l’ha costruito. Nell’ipotesi di fondi a dislivello negli abitati, il muro di cinta dovrà essere costruito per metà sul terreno del fondo inferiore e per metà sul terreno del fondo superiore. 17 4) OPERE PERICOLOSE O NOCIVE DISTANZE delle opere pericolose o nocive Per le cisterne, i pozzi, le fosse di latrina e di concime, ci sia o meno un muro divisorio, la distanza minima dal confine è di 2 metri, mentre per i tubi d’acqua e di gas è di 1 metro. I regolamenti locali possono stabilire diverse distanze, e si ritiene che la norma possa essere derogata dagli stessi proprietari confinanti: tale possibilità viene meno però quando tali opere possono minacciare l’incolumità o la salute delle persone, in quanto in questo caso la minaccia non tocca solamente la persona del proprietario ma tutti coloro che stanno o transitano sul fondo. Per forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, depositi di materie umide o esplodenti o comunque nocive, impianti di macchinari potenzialmente pericolosi, non è fissata una data misura, ma è prescritta l’osservanza della distanza che di volta in volta risulti sufficiente a salvaguardare i fondi vicini, ferme sempre le disposizioni dei regolamenti locali. Per i canali e i fossi la distanza dal confine dev’essere non inferiore a quella della loro profondità, in quanto qui il pericolo è rappresentato dalle frane che tali opere possono causare a danno dei fondi vicini. RIMEDI CONTRO LA VIOLAZIONE DELLE NORME SULLE DISTANZE La violazione delle distanze minime di opere nocive o pericolose legittima la domanda di risarcimento del danno e della rimessione in pristino, quali rimedi tipici a tutela della proprietà. Esperibili sono poi le azioni possessorie di manutenzione, di nuova opera e di danno temuto. PRESUNZIONE DI COMPROPRIETÀ DEI FOSSI I fossi che si trovano tra due fondi si presumono di proprietà comune: se però servono allo scolo delle acque di un proprietario, si presumono appartenere a quest’ultimo. Similmente, essi si presumono appartenere al proprietario del fondo sul quale è stata gettata la terra di scavo o sul quale per un triennio sono stati deposti gli spurghi. 5) LE PIANTE DISTANZE delle piante Con riguardo alle piante sono i regolamenti e gli usi locali che ne stabiliscono le distanze minime dai confini. In mancanza, devono essere osservate le distanze fissate dal codice, che indica distanze diverse in relazione ai diversi tipi di piante:  3 metri per gli alberi di alto fusto  ½ metro o più per viti, arbusti e siepi  1 metro per gli alberi di non alto fusto  ½ metro per piante da frutto Non sono prescritte distanze minime in presenza di un muro divisorio, se le piante non ne superano l’altezza. Il vicino ha il diritto di mantenere le piante a distanza minore, ma in questo caso il rimpiazzo delle piante morte o tagliate va fatto con l’osservanza delle distanze legali, salvo che si tratti di alberi facenti parti di filari sul confine. RIMEDI CONTRO LA VIOLAZIONE DELLE NORME SULLE DISTANZE La violazione delle norme sulle distanze può dar luogo al rimedio della rimessione in pristino mediante l’estirpazione delle piante, se non vietata dai regolamenti o usi locali. RAMI E RADICI Il proprietario ha diritto di pretendere in ogni tempo il taglio dei rami che si protendono sul suo fondo e di tagliare egli stesso le radici che vi si addentrano, per il principio dell’accessione che attribuisce al proprietario del fondo la proprietà delle radici in questo incorporate, salvo che diversamente stabiliscano i regolamenti e gli usi locali. A seguito dell’intimazione del proprietario leso, il mancato adempimento dell’obbligo del taglio dei rami può dar luogo al rimedio processuale dell’esecuzione coattiva in forma specifica. I frutti naturalmente caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono a quest’ultimo, salvo che gli usi locali dispongano diversamente. PRESUNZIONE DI COMPROPRIETÀ DI SIEPI E DI ALBERI Le siepi poste tra i due fondi si presumono comuni, salvo che vi sia termine di confine o altra prova contraria (es. uno dei due fonti è recinto). Gli alberi sporgenti dalla siepe comune “sono comuni” e quindi vanno tagliati con il consenso di entrambi; quelli posti sul confine “si presumono comuni”, salvo titolo o prova contraria. 20 DETERMINAZIONE DELLE QUOTE E CONCORSO NEI VANTAGGI E PESI In tema di condominio vale il principio di determinazione delle quote in proporzione al valore delle proprietà esclusive: i valori proporzionali delle proprietà esclusive devono essere “precisati” dal regolamento mediante una tabella che esprima tali valori in millesimi, la c.d. tabella millesimale, un atto di valutazione la cui revisione può essere chiesta in caso di errore o di notevole mutamento dello stato dei luoghi. Oltre ad essere misura dell’appartenenza delle parti comuni, la quota è misura della partecipazione dei condòmini ai vantaggi e pesi del condominio. IL DIRITTO DEI CONDOMINI SULLE PARTI COMUNI I condòmini hanno la facoltà di godimento delle parti comuni: tale facoltà, rientrando nel diritto di comunione, può essere esercitata liberamente purché non alteri la destinazione delle cose e non ne impedisca il pari godimento da parte degli altri condomini. L’uso delle cose comuni può essere particolarmente disciplinato dal regolamento per assicurarne il migliore godimento a tutti i condomini. Il godimento separato di uno dei beni comuni o di una parte del bene comune non dà luogo a usucapione, salvo che si sia tradotto in una situazione di vantaggio esclusivo. IL DIRITTO DI SOPRAELEVAZIONE Una posizione preferenziale è attribuita dalla legge ai proprietari dell’ultimo piano o del lastrico solare, i quali possono costruire in sopraelevazione, salvo che il titolo disponga altrimenti e sempreché la sopraelevazione non pregiudichi la sicurezza statica dell’edificio o il suo aspetto architettonico o diminuisca notevolmente l’aria e la luce degli altri piani. La sopraelevazione comporta il pagamento di un’indennità corrispondente al valore dell’area occupata, spettante a ciascun condomino in ragione della sua quota millesimale. Il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare ha, nella sostanza, un diritto legale di superficie, con l’obbligo di pagamento dell’indennizzo differito al momento dell’esercizio. Il diritto di sopraelevazione può essere alienato ad un terzo e può riservarselo il venditore dell’ultimo piano o il costruttore-venditore dell’edificio mediante apposita clausola contenuta nei singoli atti di vendita. GLI ATTI DI DISPOSIZIONE Come nella comunione legale, i condomini hanno di massima la libera disponibilità delle proprie quote, mentre non sono legittimati ad alienare le parti comuni dell’edificio né a costituire su di esse diritti reali. 21 OBBLIGHI DEI CONDOMINI Come nella comunione legale, i condomini sono obbligati a contribuire alle spese di amministrazione, cioè alle spese occorrenti per la conservazione e il godimento delle cose comuni e la prestazione di servizi comuni, sempreché siano legittimamente deliberate o erogate. Le spese sono a carico dei condomini in proporzione alle loro quote, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo. Nell’ipotesi in cui le parti comuni siano utilizzabili in misura diversa da parte dei condomini la ripartizione delle spese deve tenerne conto (es. spese di riscaldamento). Se poi le cose comuni interessano esclusivamente una parte dell’edificio, le relative spese di manutenzione gravano solo sui condomini che possono utilizzarle. Ad esempio, le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale gravano sui condomini in ragione, per metà, del valore dei piani o degli appartamenti e, per l’altra metà, in proporzione all’altezza di ciascun piano. Per i lastrici solari di cui uno o più condomini abbiano l’uso esclusivo invece sono suddivise per 1/3 a carico dei condomini utilizzatori esclusivi, e per 2/3 a carico proporzionale dei condomini dei piani sottostanti. La rinunzia del condomino alla proprietà delle cose comuni lo esonera dall’obbligo di contribuire alle spese per il loro godimento e alle spese deliberate dalla maggioranza, non a quelle necessarie per la loro conservazione. I criteri di ripartizione delle spese non possono essere modificati dall’assemblea con delibere di maggioranza. I condomini sono inoltre solidamente responsabili per i danni derivanti a terzi dall’edificio, ferma restando nei rapporti interni la ripartizione proporzionale alle quote, e assoggettati agli obblighi di buon vicinato condominiale imposti dal regolamento. L’ASSEMBLEA L’assemblea è l’organo collegiale del condominio competente per gli atti di straordinaria amministrazione: essa ha la medesima natura dell’assemblea della comunione, ma le attribuzioni sono più specificamente indicate dal codice e distinte rispetto a quelle dell’amministrazione. ATTRIBUZIONI. L’assemblea adotta il regolamento, delibera le innovazioni e le opere di manutenzione straordinarie, nomina e conferma l’amministratore, ecc. CONVOCAZIONE. L’assemblea dev’essere convocata annualmente in via ordinaria dall’amministratore, ma può essere convocata anche in via straordinaria quando l’amministratore lo reputi necessario o quando ne facciano richiesta 2 condomini. A pena di nullità delle delibere, va convocata con congruo anticipo mediante avviso inviato a tutti i condomini e contenente l’ordine del giorno. COSTITUZIONE. Per la regolare costituzione dell’assemblea occorre la presenza di almeno 2/3 dei condomini, titolari di almeno 2/3 di quote millesimali, ma, se l’assemblea non si costituisce per insufficienza del numero dei condomini, in seconda convocazione basta la presenza di 1/3 dei condomini, rappresentanti 1/3 del valore dell’immobile. DELIBERAZIONE. Le delibere sono approvate dalla maggioranza dei condomini presenti, titolari di almeno la metà delle quote millesimali, anche se in seconda convocazione è sufficiente una maggioranza ridotta: almeno 1/3 dei condomini che abbiano 1/3 delle quote millesimali. Non tutte le delibere possono tuttavia essere prese a maggioranza ridotta. Alcune delibere, poi, richiedono sempre la maggioranza qualificata, cioè il voto della maggioranza dei condomini presenti, rappresentanti almeno 2/3 del valore dell’edificio. VERBALIZZAZIONE. Le delibere sono verbalizzate e trascritte in un registro ma si ritiene che l’inosservanza di tali oneri non incida sulla validità degli atti. IMPUGNAZIONE DELLE DELIBERE ASSEMBLEARI. Le delibere possono essere impugnate dinanzi al tribunale per irregolarità procedimentali e per vizi sostanziali: si applicano al riguardo le norme dettate per la comunione ordinaria.  Le norme sulla convocazione, costituzione e funzionamento dell’assemblea sono inderogabili. 22 L’AMMINISTRATORE L’amministratore è l’organo preposto alla gestione ordinaria del condominio. A differenza dell’amministrazione della comunione, la cui nomina è facoltativa, l’amministratore del condominio è un organo necessario quando i condomini siano più di 4. L’amministratore ha inoltre una propria competenza conferitagli dalla legge e, nell’ambito della sua competenza, rappresenta legalmente il condominio. L’amministratore è nominato dall’assemblea per la durata di un anno e, se questa non provvede, dal giudice. L’assemblea può anche conferire mandato per il compimento di singoli atti di straordinaria amministrazione e limitare le competenze dell’amministratore, sostituendosi a questo nelle decisioni ed esecuzione di singoli atti di gestione ordinaria: i singoli condomini possono anche proporre reclamo all’assemblea contro gli atti dell’amministratore. L’assemblea non può però esautorare l’amministratore, spettando a questo il normale svolgimento dell’attività di gestione. L’amministratore ha anche la rappresentanza processuale e la legittimazione attiva, che spetta anche ai singoli condomini, per le azioni volte ad esercitare diritti e pretese attinenti all’ordinaria gestione e quelle dirette a salvaguardare i diritti inerenti alle parti condominiali. Ha inoltre la legittimazione passiva per tutte le azioni, giudiziarie e amministrative, proposte contro il condominio relative a parti comuni dell’edificio: se la causa esorbita dalle sue attribuzioni deve darne pronta notizia all’assemblea affinché questa decida se resistere in giudizio e, in caso positivo, nomini il suo rappresentante nel processo. Il potere del singolo condomino di concorrere nella gestione del condominio sono regolate dalle norme dettate in tema di comunione ordinaria. SCIOGLIMENTO DEL CONDOMINIO Le parti condominiali sono indivisibili in conformità della regola che esclude il diritto di divisione relativamente alle cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate: la particolare importanza sociale della casa rafforza peraltro tale limite. L’indivisibilità delle cose comuni preclude lo scioglimento del condominio per delibera assembleare o per domanda giudiziale. Resta ovviamente ferma l’ipotesi di scioglimento per accordo di tutti i condomini. Una particolare ipotesi di scioglimento del condominio è poi quella che concerne edifici o gruppi di edifici suscettibili di essere divisi in parti aventi le caratteristiche di edifici autonomi, cioè di edifici dotati delle parti e delle pertinenze necessarie per il normale godimento delle unità abitative: se la divisione richiede opere di modifica delle parti comuni lo scioglimento può essere deliberato solo dall’assemblea a maggioranza qualificata. Se a seguito della divisione rimangono alcune parti in comune sorge la fattispecie del supercondominio. Altra ipotesi di scioglimento del condominio prevista dal codice è quella del perimento del totale o di almeno 3/4 dell’edificio: in tal caso ciascuno dei condomini può domandare giudizialmente che siano venduti all’asta il suolo comune e i materiali. Se la distruzione colpisce l’edificio per meno di 3/4 del suo valore, l’assemblea può deliberare la ricostruzione delle parti comuni con il contributo di ciascun condomino in proporzione alla sua quota di comunione: il condomino che non vuole contribuire è obbligato legalmente a cedere agli alti condomini i suoi diritti sulle parti comuni e sulle porzioni dell’edificio di sua proprietà esclusiva. 25 5. LA SERVITÙ La servitù è il peso imposto sopra un fondo (detto servente) per l’utilità di un altro fondo (detto dominante) appartenente a diverso proprietario. Si tratta vincolo specifico, ossia specificamente creato da un titolo negoziale, giudiziale o amministrativo, e va perciò distinta rispetto ai limiti della proprietà che hanno fonte diretta nella legge e che gravano su categorie generali di beni. Sotto l’aspetto della posizione attiva correlativa al vincolo, essa può essere definita come il diritto reale limitato che attribuisce al titolare determinate facoltà di utilizzazione del fondo vicino a vantaggio del proprio fondo. La servitù rientra nell’ambito dei diritti reali di godimento su cosa altrui, dovendosi intendere per diritto di godimento il diritto di trarre da una cosa l’utilità che questa può dare. Il diritto di servitù crea infatti sulla cosa una posizione di vantaggio che tutti devono rispettare (assoluta), alla cui tutela sono predisposti i rimedi propri dei diritti reali, e conferisce al fondo dominante un vantaggio che il titolare della servitù percepisce in via diretta (immediato), senza la mediazione della prestazione altrui. Vi sono però servitù in cui il titolare non ha alcun potere sul fondo servente, e sono le c.d. servitù negative: esse comportano un dovere di non ingerenza da parte di chiunque possegga o si trovi a qualsiasi titolo nel fondo servente (es. il proprietario della servitù di non sopraelevazione può agire nei confronti di chiunque voglia costruire in spregio al suo diritto). Si conferma così in ogni caso l’assolutezza del diritto di servitù, anche quando si tratti di servitù negativa. La nozione di servitù quale diritto reale su cosa altrui comporta che la servitù non può essere costituita o sussistere su cosa propria. L’OGGETTO La servitù ha per oggetto beni immobili (da ciò l’appellativo di servitù prediale). Altra particolarità è data dalla duplicità dell’oggetto: essa si presenta infatti come vincolo inerente a due beni immobili, il fondo gravato dal vincolo (fondo servente) e il fondo a vantaggio del quale il vincolo è costituito (fondo dominante). La servitù può essere reciproca, cioè posta a carico di più fondi a loro reciproco vantaggio: in tal caso il medesimo fondo è al tempo stesso servente e dominante. Anche se reciproche, le servitù restano tuttavia distinte. Oggetto della servitù sono i fondi servente e dominante nella loro interezza, ma il vantaggio o il peso del vincolo possono concretamente localizzarsi su una parte dell’immobile (es. la servitù di veduta avvantaggia la parte dell’edificio che fronteggia il fondo vicino): si parla allora di localizzazione nell’esercizio della servitù. La distinzione tra servitù che interessano l’intero fondo e servitù localizzate su una parte di esso è rilevante nei casi di divisione e vendita parziale dell’immobile. I fondi servente e dominante sono generalmente contigui o vicini, ma la contiguità o vicinanza non è un requisito necessario della servitù, semmai dell’utilità che essa deve apportare al fondo dominante. L’UTILITÀ L’utilità è l’elemento funzionale della servitù che spiega l’inseparabilità del diritto dal fondo dominante: essa è data infatti dal vantaggio obiettivo, socialmente apprezzabile, che il fondo trae dalla servitù, e che si traduce in una sua qualità giuridica. Chi gode del vantaggio è il proprietario del fondo dominante, che è il titolare del diritto, ma l’utilità inerisce al fondo in quanto ne rende più ampio il godimento: funzione della servitù è il soddisfacimento di un interesse fondiario, che può consistere anche nella maggiore comodità o amenità (es. usare il percorso più breve), ma non del proprietario (es. passeggiare sul campo del vicino). La servitù irregolare, a vantaggio di una determinata persona, è senz’altro esclusa: la sua costituzione è nulla per contrarietà al principio del numero chiuso dei diritti reali, ma è suscettibile di convertirsi in un contratto obbligatorio. 26 LE SERVITÙ INDUSTRIALI L’utilità può riguardare la destinazione industriale del fondo, rendendo più agevole l’attività connessa a tale destinazione (es. servitù di passaggio per il trasporto delle merci prodotte). Si rende così ammissibile la costituzione di servitù industriali o aziendali, le qual richiedono comunque che l’utilità risulti dall’imposizione di un vincolo su un fondo a vantaggio dell’altro. Si ammette la costituzione di una servitù di non concorrenza che vincoli il proprietario del fondo servente a non utilizzare il proprio fondo nella stessa attività cui è destinato l’uso del fondo vicino, ma va osservato che l’obbligo di non concorrenza è ammesso entro precisi limiti imperativi di contenuto e di tempo, non lecitamente superabili ricorrendo alla servitù. SERVITÙ PER UTILITÀ FUTURA La servitù può essere costituita anche per assicurare al fondo un vantaggio futuro (es. una servitù di presa d’acqua può essere costituita a favore di un fondo incolto, suscettibile di avvantaggiarsi della servitù a seguito della sua bonifica). La costituzione di servitù per un vantaggio futuro ha effetto immediato: se però il vincolo dipende da un evento che renda utile il fondo servente, si reputa che l’atto costitutivo sia sottoposto a condizione sospensiva e che la servitù sorgerà a seguito del suo avverarsi. SERVITÙ A VANTAGGIO DI IMMOBILE FUTURO La servitù può essere costituito anche a vantaggio di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare: tuttavia, mancando l’oggetto, l’effetto costitutivo e reale del vincolo avrà luogo solo a seguito della costruzione dell’edificio o dell’acquisto del fondo. La giurisprudenza riconosce al contratto effetti meramente obbligatori ma, in ragione della difficoltà di ravvisare un obbligo diretto alla costituzione della servitù, si è piuttosto prospettata la sua costruzione quale contratto legalmente condizionato. LA PERPETUITÀ Quale vantaggio obbiettivo del fondo l’utilità è tendenzialmente perpetua e giustifica la generale perpetuità del vincolo: diversamente da quanto affermano le fonti romani, può però ammettersi che essa sia costituita per un tempo limitato. IL CONTENUTO Il contenuto è determinato dalla volontà dei privati in relazione alle varie utilità che di volta in volta la costituzione del vincolo è intesa a soddisfare. Il vincolo deve conferire al fondo un’utilità obiettiva, socialmente apprezzabile, e non deve comportare obblighi positivi a carico del proprietario del fondo servente, fatta eccezione per quelli meramente strumentali alla conservazione dello stato dei luoghi, al fine di salvaguardare l’integrità e la libertà della proprietà immobiliare. PRESTAZIONI ACCESSORIE a carico del proprietario del fondo SERVENTE A carico del proprietario del fondo servente possono essere imposte prestazioni positive accessorie, strumentali alla conservazione dello stato dei luoghi, anche sotto forma di obblighi di pagare le spese necessarie per l’uso o la conservazione delle servitù. Il proprietario del fondo servente può liberarsi dai suo obblighi accessori rinunziando alla proprietà del fondo a favore del proprietario del fondo dominante: la liberazione del proprietario del fondo servente comprende le prestazioni scadute e quelle che siano state oggetto di una sentenza di condanna. PRESTAZIONI A CARICO DEL PROPRIETARIO DEL FONDO DOMINANTE L’imposizione di prestazioni pecuniarie perpetue a carico del proprietario del fondo dominante può essere prevista sotto forma di corrispettivo della cessione del diritto o di corrispettivo dei singoli atti di esercizio della servitù. Il primo caso configura la costituzione di una rendita perpetua atipica, mentre nel secondo caso è ravvisabile non un obbligo, bensì un onere connesso all’esercizio di un diritto: il proprietario del fondo dominante sarà di volta in volta tenuto a pagare il corrispettivo se deciderà di compiere atti di esercizio della servitù (es. prelievo dell’acqua). 27 FACOLTÀ ACCESSORIE La servitù comprende le facoltà accessorie necessarie, cioè le opere e le attività funzionali all’esercizio del diritto (la dottrina distingue tra facoltà che condizionano l’esercizio della servitù, e quelle che condizionano il normale esercizio della servitù). Le facoltà accessorie necessarie sono comprese per legge nel contenuto della servitù: il titolo potrebbe tuttavia determinare una loro più ampia estensione, ovvero restringere il contenuto della servitù quale risulta secondo i criteri legali, ma non può escludere quelle facoltà accessorie indispensabili per l’esercizio della servitù (si manifesterebbe infatti una volontà contraria alla concessione della servitù). L’ESERCIZIO DELLA SERVITÙ L’esercizio della servitù consiste nell’attuazione del potere di godimento che rientra nel contenuto del diritto. La servitù dev’essere esercitata in conformità del titolo: il codice precisa “del suo possesso”, ma tale ipotesi va riferita al caso della servitù acquistata per usucapione (estensibile alla servitù acquistata per destinazione del padre di famiglia), in quanto in tale ipotesi è il possesso della servitù che ne determina il contenuto. Le determinazioni del titolo o del possesso sono integrate dalle norme del codice (compatibili). Le norme del codice sanciscono: 1. LA REGOLA DEL MINORE AGGRAVIO DEL FONDO SERVENTE, che richiede che la servitù sia esercitata nella misura e nei modi che consentano di soddisfare il bisogno del fondo dominante col minore sacrificio possibile del fondo servente. È questa una regola specifica di contemperamento degli opposti interessi dei proprietari: essa è ribadita con riguardo alle opere da porre in essere sul fondo servente per l’esercizio delle servitù (es. canale per lo scarico dell’acquia). 2. IL DIVIETO DI AGGRAVAMENTO DEL FONDO SERVENTE, che impone al proprietario de fondo dominante di non fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente, che cioè amplino il contenuto della servitù risultante dal titolo (es. ampliamento del canale di scarico dell’acqua). Il proprietario del fondo servente può chiedere giudizialmente l’eliminazione dell’aggravio. 3. IL DIVIETO DI AGGRAVAMENTO O DIMINUZIONE DELL’ESERCIZIO DELLA SERVITÙ, che vieta al proprietario del fondo servente qualsiasi innovazione o attività che renda più difficoltoso o incomodo l’esercizio della servitù o ne diminuisca il contenuto (es. chiusura del fondo: dev’essere lasciato al titolare della servitù un ingresso libero e comodo). 4. IL DIVIETO DI SPOSTAMENTO DELLA SERVITÙ, che impone al proprietario del fondo servente di non trasferire l’esercizio della servitù in luogo diverso da quello in origine stabilito: il proprietario del fondo dominante non può però rifiutare una diversa localizzazione del vincolo se essa (1) non rende più gravoso l’esercizio della servitù e (2) consente al proprietario del fondo servente di evitare un sopravvenuto aggravio, o di fare lavori, riparazioni o miglioramenti che altrimenti risulterebbero impediti o di conseguire un notevole vantaggio. Tali indicazioni del codice sono espressione del generale principio di buona fede, principio per il quale è anche prevista la concessione giudiziale del cambiamento del luogo di esercizio della servitù su istanza del proprietario del fondo dominante, quando il cambiamento gli sia di notevole senza recare pregiudizio al fondo servente. 30 SERVITÙ TIPICHE E ATIPICHE Sono TIPICHE le servitù il cui contenuto è previsto e regolato dal codice, ma anche quelle che sono state tipizzate dalla consuetudine conformemente alla prassi e alle fonti romane. Sono ATIPICHE le servitù che non appartengono ai modelli legali e consuetudinari: esse possono essere liberamente costituite, sempreché non comportino prestazioni di fare e siano finalizzate all’obbiettiva utilità di un fondo. LE SERVITÙ TIPICHE SI DIVIDONO IN TRE GRUPPI: servitù di acque, servitù di passaggio e servitù relative a limiti legali. IN MATERIA DI ACQUA, SERVITÙ VOLONTARIE TIPICHE sono:  La servitù di presa d’acqua, che conferisce al proprietario del fondo dominante il diritto di derivare periodicamente dal fondo servente una determinata quantità di acqua.  La servitù attiva di scolo o degli scoli, che conferisce al proprietario del fondo dominante il diritto di ricevere l’acqua defluente dal fondo servente. Dalla servitù attiva di scolo va distinto l’obbligo legale concernente lo scolo naturale posto in capo al proprietario di un fondo limitato o attraversato da acqua corrente non pubblica di restituirne le colature e gli avanzi dopo averla utilizzata per le necessità del proprio fondo o della propria industria. La servitù attiva di scolo va poi distinta rispetto alla servitù passiva di scolo, che conferisce al proprietario del fondo superiore il diritto di riversare sul fondo inferiore il sopravvanzo dell’acqua utilizzata: diversamente dalla servitù passiva, la servitù attiva di scolo è costituita a vantaggio del fondo inferiore e il titolare di essa ha quindi l’onere di porre in essere le opere necessarie per la raccolta e lo scolo dell’acqua. Servitù tipiche in materia di acqua sono poi le SERVITÙ COATTIVE di acquedotto, di chiusa, di somministrazione d’acqua. Altre servitù non menzionate dal codice ma TIPIZZATE DALLA CONSUETUDINE sono:  La servitù diretta di stillicidio, che impone al proprietario del fondo servente di ricevere lo scarico delle acque piovane convogliate dai terreni del fondo dominante  La servitù inversa di stillicidio, che conferisce al proprietario del fondo dominante il diritto di ricevere tali acque  La servitù di attingere acqua dal fondo vicino Le SERVITÙ DI PASSAGGIO sono regolate dal codice come servitù coattive, e comprendono la servitù di passaggio propriamente detta, che conferisce il diritto di transito a persone e mezzi, e la servitù di teleferica. Servitù tipiche relative ai LIMITI LEGALI sono le servitù che, a vantaggio del fondo dominante:  Riducono i limiti legali in materia di distanza, consentendo al titolare di non rispettarle  Aggravano i suddetti limiti a carico del fondo servente: tra queste va ricordata la servitù di non sopraelevare, che impone al proprietario del fondo servente di non costruire oltre una certa altezza.  Consentono o escludono l’immissione di sostanze disturbanti Nuove figure di servitù nel settore edilizio sono quelle di mantenimento dello stato dei luoghi per la valorizzazione di complessi residenziali (es. divieto di tagliare gli alberi). In giurisprudenza si segnala anche la servitù di luce e d’aria, mentre scarso risconto pratico hanno le tradizionali servitù di presa di materiali (creta, ghiaia, ecc). 31 SERVITÙ COATTIVE E VOLONTARIE Secondo che siano costituite coattivamente o volontariamente, il codice distingue tra:  Servitù coattive, aventi fonte in un atto autoritario (sentenza o atto amministrativo)  Servitù volontarie, aventi fonte in un atto negoziale legalmente non dovuto o in un fatto idoneo a costituirle in conformità della legge. Le SERVITÙ COATTIVE si caratterizzano per la loro inderogabile necessità e per la stretta dipendenza dai presupposti di legge (es. fono intercluso, mancanza d’acqua, ecc): il venir meno dei presupposti in base ai quali il vincolo è costituito ne comporta infatti l’estinzione. Per il resto la servitù è assoggettata alla disciplina del codice, in quanto compatibile. In presenza dei presupposti di legge, il proprietario del fondo ha il diritto di ottenere “da parte del proprietario di un altro fondo” la costituzione della servitù: tale diritto implica un obbligo legale di contrarre a carico del proprietario del fondo destinato ad essere servente.  La servitù ha carattere coattivo quando è costituita in attuazione dell’obbligo di legge. La servitù coattiva è pur sempre un diritto reale su cosa altrui, e il titolo costitutivo è soggetto a trascrizione: soggetta a trascrizione, in particolare, è la sentenza, che fa stato nei confronti degli aventi causa delle parti. A favore del titolare del fondo servente è dovuta un’indennità commisurata al pregiudizio derivante dall’imposizione del vincolo, non un corrispettivo in quanto non trovano applicazione la norme che tutelano la parte nei contratti a prestazioni corrispettive: rimedio simile all’eccezione d’inadempimento è però quello che legittima il proprietario del fondo servente ad opporsi all’esercizio della servitù finché l’indennità non sia pagata. MODI DI COSTITUZIONE DELLE SERVITÙ COATTIVE Se il proprietario del fondo cui è richiesta la costituzione della servitù, non può o non vuole aderire, l’interessato può ottenere la costituzione della servitù mediante sentenza: a tal fine deve essere proposta domanda giudiziale, a seguito della quale s’instaura un ordinario giudizio contenzioso. Parti del giudizio sono i proprietari dei fondi a vantaggio e a carico dei quali è chiesta la costituzione della servitù: legittimato attivo e passivo è anche l’enfiteuta, mentre solo legittimato attivo è l’usufruttuario e in alcuni casi eccezionali anche il conduttore. Se si tratta di fondi in comunione la legittimazione attiva e passiva spetta ai comproprietari congiuntamente. L’effetto costitutivo della servitù è prodotto dalla sentenza di primo grado: la servitù deve stabilire il contenuto, le modalità di esercizio della servitù e l’importo dell’indennità dovuta al proprietario del fondo servente, contemperando gli opposti interessi della maggiore convenienza per il fondo dominante e del minore aggravio per il fondo servente. L’imposizione di una servitù per atto amministrativo a vantaggio di un determinato fondo è ammissibile quando l’utilità di quel fondo corrisponda ad una pubblica utilità. È controverso se le servitù coattive siano suscettibili di acquisto per usucapione, ma sembra doversi riconoscere natura volontaria alla servitù acquisita per usucapione in presenza dei presupposti per l’imposizione coattiva del vincolo. 32 LE SINGOLE SERVITÙ COATTIVE Il codice prevede le seguenti servitù coattive: 1. LA SERVITÙ DI ACQUEDOTTO, che consente al proprietario del fondo dominante di far passare attraverso il fondo servente l’acqua che ha diritto di utilizzare (anche temporaneamente). Il titolare della servitù ha l’onere di dimostrare i presupposti che ne stanno a fondamento e di costituire un’apposita conduttura, salvo che il proprietario del fondo servente conceda il passaggio dell’acqua nei propri acquedotti. 2. LA SERVITÙ DI SCARICO COATTIVO, che consente al proprietario del fondo dominante di far transitare l’acqua sovrabbondante del suo fondo attraverso il fondo vicino, anche al fine di renderne possibile il prosciugamento o la bonifica. Trattandosi di acque impure, occorre adottare tutte le misure idonee ad evitare pregiudizio al fondo servente. 3. LA SERVITÙ DI APPOGGIO E DI INFISSIONE DI CHIUSA, che consente al titolare di appoggiare o infiggere una chiusa sulle sponde di corsi d’acqua o bacini al fine di derivarne l’acqua alla quale vi abbia diritto. 4. LA SERVITÙ DI SOMMINISTRAZIONE DI ACQUA, che consente al proprietario di una casa o di un fondo agricolo di dedurre l’acqua di sopravanzo del fondo vicino necessaria rispettivamente per gli usi domestici o per l’irrigazione del proprio fondo. 5. LA SERVITÙ DI PASSAGGIO, che consente al proprietario del fondo dominante il transito di persone e mezzi attraverso il fondo servente (o più fondi serventi, se necessario): non può però essere costituita su case, cortili, giardini e aie pertinenti. Presupposto della costituzione coattiva di questa servitù è l’interclusione del fondo, che cioè il fondo non abbi accesso sulla via pubblica e non sia possibile procurarlo senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa). Il passaggio coattivo dev’essere localizzato sul fondo servente in modo che il tragitto sia il più breve e arrechi il minor danno possibile. Altra ipotesi di servitù coattiva di passaggio è quella prevista a favore del fondo dotato di passaggio insufficiente e non ampliabile: qui il passaggio può essere concesso per soddisfare esigenze dell’agricoltura e dell’industria. Altra ipotesi è quella in cui l’interclusione assoluta sia l’effetto di alienazione a titolo oneroso o di divisione: la servitù si costituirà a seguito di concessione negoziale o di sentenza, senza che sia dovuta alcuna indennità (per la giurisprudenza tale diritto ad ottenere il passaggio è personale e soggetto a prescrizione decennale). 6. LA SERVITÙ DI ELETTRODOTTO, che impone al proprietario del fondo servente il passaggio di condutture elettriche. È controverso se il “peso” delle condutture sia propriamente qualificabile come servitù in ragione della difficoltà di identificare il fondo dominante, trattandosi di un servizio esercitato nel pubblico interesse e non a vantaggio di un determinato proprietario. 7. LA SERVITÙ DI TELEFERICA, che impone a carico del fondo servente il passaggio di funicolari aeree per il trasporto di materiali a scopi agrari o industriali: la servitù ha la durata di 20 anni, e comprende l’esecuzione di opere, meccanismi e occupazioni del fondo servente necessarie per l’esercizio dell’impianto. 8. LA FUNIVIA PUBBLICA è oggetto di concessione amministrativa, nella quale può ravvisarsi l’atto costitutivo del vincolo avente la natura di servitù, e precisamente servitù di passaggio dei cavi aerei sui fondi privati. 35 TUTELA PETITORIA DELLA SERVITÙ Al titolare della servitù compete l’AZIONE CONFESSORIA. Essa è diretta all’accertamento del diritto contro chi lo contesta, e alla conseguente cessazione delle molestie, alla remissione in pristino e al risarcimento dei danni. Presupposto dell’azione confessoria è la contestazione della servitù, consistente in atti dichiarativi o in comportamenti contrastanti con il contenuto della servitù, tenuti sulla base della pretesa negatrice del diritto. Altrimenti, se i comportamenti prescindono dalla contestazione del diritto si ricorrerà ad un’azione di responsabilità extracontrattuale: rispetto a questa, l’azione confessoria differisce per la diversità dei presupposti che l’attore ha l’onere di provare (dolo o colpa nella prima; titolarità del diritto di servitù nella seconda) e per i rimedi (risarcimento nella prima; cessazione delle molestie, rimessione in pristino e risarcimento nella seconda). Legittimati attivi sono il proprietario del fondo dominante, l’enfiteuta e l’usufruttuario, ma anche il nudo proprietario, che rimane comunque titolare del diritto di servitù. Se il fondo dominante è oggetto di comproprietà, la prevalente opinione ritiene che l’azione possa essere proposta anche separatamente dai singoli comproprietari, essendo però l’efficacia del giudicato limitata al rapporto attore-convenuto. Legittimato passivo è il proprietario del fondo servente, ma lo sono anche l’enfiteuta e l’usufruttuario, il possessore in nome proprio e il locatario (o analogo detentore), il quale però avrà diritto ad essere estromesso dalla causa a seguito dell’indicazione del locatore.  Dall’ambito della legittimazione passiva rimangono esclusi coloro che non hanno un rapporto attuale col fondo, e che non assumono quindi una posizione giuridica di contrasto col diritto di servitù. TUTELA POSSESSORIA DELLA SERVITÙ Al possesso di servitù compete anche la tutela possessoria che copre indistintamente il possesso di tutte le servitù (apparenti e non, continue e non, positive e non, ecc). Secondo che ricorra la fattispecie dello spoglio o delle molestie sarà esperibile l’AZIONE DI REINTEGRAZIONE o l’AZIONE DI MANUTENZIONE. Ciò che rileva ai fini della qualifica dell’azione confessoria è che l’attore assuma la lesione del diritto di servitù, dovendo quindi provare di esserne titolare: tali azioni sono invece dirette a tutelare una situazione possessoria e quindi prescindono dall’esistenza e dall’accertamento di un diritto reale. Occorre però dare prova del possesso, avendo riguardo, per la sua estensione nel tempo, alla “pratica” dell’anno precedente (o all’ultimo godimento se si tratta di servitù esercitabili ad intervalli più lunghi). 36 SERVITÙ PUBBLICHE Servitù pubbliche sono le servitù costituite a vantaggio di beni del demanio o del patrimonio indisponibile. La servitù pubbliche hanno il loro modello nella nozione privatistica del diritto di servitù, e sono regolate dalle norme del codice in quanto compatibili: come la servitù privata, l servitù pubblica è un vincolo specifico che grava su un determinato fondo, e che si differenzia quindi rispetto ai limiti legali della proprietà, e non può imporre prestazioni di fare, salvo che si tratti di prestazioni accessorie. Esempio tradizionale di servitù pubblica, anche se a ben vedere si tratta di una limitazione legale della proprietà, è indicato nell’obbligo dei proprietari di terreni confinanti con corsi d’acqua navigabili di lasciare libera una striscia di terreno per permettere il rimorchio dei natanti e il suo utilizzo come banchina (c.d. servitù di alzaia). La servitù pubblica può essere costituita su fondi privati e su fondi pubblici: il suo contenuto è determinato dal titolo e, in mancanza, dalle norme del codice. Essa è costituita mediante atto amministrativo, rientrante nella categoria degli atti di espropriazione per pubblica utilità, e al proprietario del fondo da asservire è dovuto pertanto un indennizzo: può essere costituita anche nei modi previsti per le servitù private. Rilevano poi i modi di estinzione delle servitù private, ma occorre tener presente che la rinunzia al diritto deve aver luogo nelle forme previste per la dismissione dei beni dal demanio o dal patrimonio indisponibile. Nell’ambito delle servitù pubbliche vanno annoverate anche le servitù militare, costituite per la difesa nazionale a carico dei fondi situati in vicinanza di opere militari (es. divieto di aprire strade, di fabbricare muri o edifici, ecc): sono invece limiti della proprietà le imposizioni gravanti sui proprietari di fondi che ricadono nelle zone di confini e altre zone classificate come militarmente importanti (es. divieto di eseguire determinate attività). Mentre è certo che si possono costituire servitù su beni pubblici o privati a vantaggio di beni pubblici, è problematico se possano costituirsi servitù su beni pubblici a vantaggio di fondi privati:  I beni demaniali non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge: nella forma della concessione l’Amministrazione può vincolare i beni demaniali a favore dei privati con contenuti analoghi a quelli delle servitù, senza però che ciò comporti l’acquisto di un diritto perfetto di servitù in capo al concessionario, il quale sarà quindi tutelato alla stregua dei diritti di servitù solo rispetto ai terzi (rispetto all’Autorità concedente la posizione del privato è governata dai principi di diritto pubblico). Si reputa tuttavia che diritti di servitù in favore di privati possano essere costituiti nello “stato formativo della demanialità” (ipotesi di donazioni con riserva di servitù in capo al donante).  Con riguardo ai beni del patrimonio indisponibile, l’attribuzione di diritti di servitù in favore di privati deve ritenersi ammissibile in quanto non alteri la destinazione di tali beni. 37 SERVITÙ DI USO PUBBLICO Rispetto alle servitù pubbliche, quali servitù prediali costituite a vantaggio di beni del demanio o del patrimonio indisponibile, vanno distinte le servitù di uso pubblico, quali diritti collettivi d’uso di beni privati. La servitù d’uso pubblico non rientrano nella nozione propria di servitù: non si tratta infatti di vincoli costituiti a servizio di determinati immobili, ma di particolati limitazioni della proprietà privata nell’interesse generale. Essi sono riconducibili ad un’autonoma categoria di diritti reali parziari, la cui base normativa sarebbe offerta principalmente dalla previsione codicistica dei diritti demaniali sui beni altrui. Sebbene si tratti di limitazioni suscettibili di essere imposte attraverso il procedimento espropriativo, le servitù di uso pubblico hanno normalmente la loro fonte nel fatto stesso dell’uso pubblico del bene messo dal proprietario a disposizione della collettività. Quale elemento costitutivo della fattispecie la giurisprudenza richiede quindi l’atto di messa a disposizione del bene, consistente anche nella consapevole tolleranza. La giurisprudenza ammette pure la costituzione per effetto dell’immemoriale. Analogamente a quanto rilevato circa l’uso dei beni pubblici, può ritenersi che la servitù d’uso pubblico conferisca ai singoli privati un diritto soggettivo tutelabile in via giudiziaria: legittimati sono i singoli aventi diritto nonché gli enti esponenziali degli interessi delle collettività locali (es. Comuni). I casi ricorrenti di servitù d’uso pubblico riguardano le vie, i beni di interesse culturale o ambientale, ma anche i luoghi di culto di proprietà privata. GLI USI CIVILI Gli usi civili sono diritti spettanti a determinate collettività locali e aventi a contenuto specifiche forme di godimento di terre, boschi o acque. La categoria degli usi civili è strettamente contigua a quella delle servitù di uso pubblico. Si tratta tuttavia di una categoria a sé stante, autonomamente caratterizzata dalla fonte consuetudinaria, dalla titolarità collettiva e dal contenuto esteso al godimento dei frutti. La titolarità collettiva fa sì che i singoli non abbiano un diritto individuale di uso civico, ma una facoltà esercitabile in quanto membri della comunità locale: legittimati a farne valere la tutela sono gli enti rappresentativi della comunità. La giurisprudenza appartiene al commissario liquidatore. Gli usi civici sono avviati ad estinzione attraverso procedure di accertamento e di liquidazione in via amministrativa. 40 IL TITOLO VIZIATO Il requisito della sussistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà circoscrive l’operatività della regola possesso vale titolo in favore dell’alienatario che vanti un valido titolo di acquisto, la cui efficacia traslativa sia impedita solo dalla mancanza di legittimazione dell’alienante.  La regola possesso vale titolo non copre i vizi dell’atto e non può esser invocata in presenza di un contratto nullo o inefficace. Non può essere invocata neppure in presenza di un titolo annullabile o rescindibile, in quanto il contratto invalido per annullabilità o rescindibilità è intanto efficace e come tale idoneo a trasferire la proprietà: non potrà dunque parlarsi di acquisto dal non proprietario. In questi casi la buona fede dell’acquirente non potrà impedire che l’alienante esperisca i rimedi contrattuali nei suoi confronti, essendo questi parte del contratto: la regola gioverà invece al subacquirente, che non fosse già tutelato dalla disciplina del contratto. IL RAPPORTO ALIENANTE-ALIENATARIO La possibilità che l’alienatario opponga al rivendicante la propria buona fede non toglie che il venditore sia inadempiente in quanto l’interesse del compratore non è stato integralmente soddisfatto: il suo acquisto è infatti fondato su un elemento, la buona fede, di non sicura verifica processuale. Il compratore potrà tenere fermo l’acquisto, ma in tal caso dovrà versare al proprietario espropriato il prezzo non ancora pagato al venditore: nel conflitto col venditore abusivo è infatti prevalente l’esigenza di tutela del titolare sacrificato. L’OGGETTO DELL’ACQUISTO La regola possesso vale titolo concerne cose mobili suscettibili di possesso. Ne rimangono pertanto esclusi:  I beni immateriali  I crediti, ma non quelli incorporati in titoli di credito, in quanto la loro circolazione è tutelata alla stregua dei beni mobili  Le università di mobili, per la loro normalmente maggiore importanza socio-economica  I mobili iscritti in pubblici registri, il cui sistema di pubblicità (che implica la loro registrazione) conferma la loro estraneità a quell’esigenza di celerità e certezza.  I beni del patrimonio indisponibile e degli enti pubblici, ma non i beni destinati all’esercizio pubblico del culto. IL CONFLITTO TRA PIÙ ACQUIRENTI Nell’ipotesi di conflitto tra più acquirenti di un bene mobile prevale chi per primo ne consegue in buona fede il possesso diretto, anche se il suo titolo sia posteriore a quello degli altri acquirenti (art 1155). Nel nostro sistema il contratto di alienazione di un bene mobile specifico ne trasferisce la proprietà a prescindere dalla consegna: chi aliena lo stesso bene ad un secondo acquirente non è quindi più proprietario e il secondo acquirente ne acquista la proprietà in virtù della regola possesso vale titolo.  La regola possesso vale titolo è quindi elevata a criterio di soluzione del conflitto tra più acquirenti, con la conseguenza che il primo acquirente perde la proprietà, e l’alienante recupera la sua legittimazione: l’acquisto effettuato in virtù del possesso vale titolo si converte pertanto in acquisto a titolo derivativo, implicando con ciò l’intera conservazione dei diritti reali altrui gravanti sulla cosa. 41 6. L’USUCAPIONE L’usucapione è il modo di acquisto della proprietà e di altri diritti reali di godimento che si realizza mediante il possesso continuato del bene per il tempo stabilito dalla legge (1158). Questo modo di acquisto risponde all’esigenza, anticamente e universalmente avvertita, di attribuire definitività e certezza giuridica alla pacifica utilizzazione del bene protrattasi nel tempo. Elementi costitutivi dell’usucapione ordinaria sono il possesso e il tempo, mentre non sono requisiti necessari la buona fede e il titolo astrattamente idoneo all’acquisto derivativo della proprietà. IL POSSESSO Ai fini dell’usucapione il possesso dev’essere PACIFICO E PALESE: il possesso conseguito in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata. La violenza e la clandestinità (occultamento del possesso) precludono l’usucapione in quanto rendono riprovevole il possesso e fanno venir meno la ragione della preferenza del possessore rispetto al proprietario. Non può parlarsi di possesso in relazione ad attività compiute con la tolleranza del proprietario: l’intento del possessore di usucapire il bene posseduto è del tutto irrilevante. Il possesso deve poi essere “CONTINUATO”: la continuità designa in termini positivi il costante esercizio del possesso. La continuità non sussiste se il possesso viene esercitato in modo occasionale o saltuario. Il requisito della continuità non esige una prova specifica, essendo compreso nella presunzione legale di possesso intermedio. Ai fini dell’usucapione occorre che il possesso, oltre che continuo, sia anche NON INTERROTTO, che cioè non abbia subito un’interruzione, per fatto del terzo o eventi naturali, durata per più di 1 anno. L’interruzione del possesso può essere:  Naturale, quando il possessore viene privato del possesso. La privazione del possesso può derivare da atto lecito o da spoglio: lo spoglio non interrompe il possesso se il possessore provvede entro l’anno a proporre azione contro colui che abbia preso il bene e ne ottiene la restituzione.  Civile, che ha luogo a seguito di un atto avente efficacia giuridica interruttiva del decorso dell’usucapione (es. domanda giudiziale, fondata, proposta contro il possessore dal precedente possessore o dal proprietario). Trovano applicazione sia le norme sull’interruzione della prescrizione, che sulle cause di sospensione, in quanto compatibili. NB. Se un titolo di acquisto è sottoposto a condizione sospensiva la consegna anteriore al verificarsi della condizione non rende l’acquirente possessore del bene ma semplice detentore e non gli gioverebbe, quindi, ai fini dell’usucapione: a seguito dell’avverarsi della condizione il compratore può però avvalersi dell’efficacia retroattiva dell’acquisto e computare a suo favore il possesso del bene fin dal giorno della consegna. 42 IL TEMPO Altro requisito dell’usucapione è il tempo, ossia la continuazione del possesso per il tempo stabilito dalla legge: il tempo occorrente per usucapire la proprietà degli immobili e degli altri diritti reali immobiliari, e delle universalità di mobili è di 20 ANNI. Sempre 20 anni occorrono per usucapire le cose mobili se il possessore è in mala fede, altrimenti bastano 10 anni. Il tempo utile per l’usucapione decorre dal primo giorno successivo all’inizio del possesso e matura col compimento dell’ultimo giorno. Al fine del computo del tempo l’attuale possessore può sommare il tempo del proprio possesso col tempo del possesso dei precedenti danti causa a titolo particolare (accessione del possesso):  Il successore a titolo universale si giova del tempo maturato fin dall’inizio del possesso trasmessogli in successione.  Il legatario ha l’onere di domandare all’onerato il possesso della cosa legata, ma, essendo un successore a titolo particolare, può unire al proprio possesso quello del defunto e quello dell’erede. La nullità o l’annullamento del titolo di acquisto escludono che si abbia continuazione o accessione del possesso in quanto escludono che si abbia successione. OGGETTO DELL’USUCAPIONE Oggetto di usucapione sono i diritti e precisamente i diritti di proprietà e comproprietà e gli altri diritti reali di godimento. USUCAPIBILI, in particolare sono:  L’enfiteusi, l’usufrutto, la superficie, l’uso  Le servitù, fatta eccezione per quelle non apparenti e quelle coattive  I titoli di credito, anche se non manca in dottrina qualche voce contraria  Tutte le universalità di fatto, anche se comprensive di beni immobili  L’azienda, intesa come l’insieme unitario delle sue componenti. NON USUCAPIBILI sono invece:  Le universalità di diritto (es. l’eredità: usucapibili sono piuttosto i singoli beni ereditari)  I diritti personali di godimento (locazioni, concessioni, ecc)  I diritti di società e i diritti reali di garanzia  I diritti sui beni immateriali  I beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali  Beni che sono insuscettibili di autonoma proprietà (es. albero): tra questi è menzionato lo spazio aereo sovrastante. NATURA ORIGINARIA e AUTOMATICITÀ DELL’ACQUISTO L’acquisto per usucapione è a titolo originario: l’acquisto del diritto non è infatti subordinato alla posizione del precedente titolare, ma al ricorso dei presupposti di legge (possesso e tempo). Chi abbia un titolo derivativo può comunque avvalersi della sopravvenuta usucapione. L’effetto acquisitivo dell’usucapione avviene per legge. È comunque interesse dell’acquirente far risultare il suo acquisto in via giudiziale: il relativo giudizio è di accertamento e la sentenza ha valore dichiarativo. 45 LA RINUNZIA Dottrina e giurisprudenza ammettono la rinunziabilità dell’usucapione, mediante atto scritto se relativa ad immobili, o anche mediante comportamento concludente. La rinunzia ha per oggetto non la proprietà ma il titolo di acquisto, pertanto essa comporta la reviviscenza del precedente diritto di proprietà. Si reputano al riguardo applicabili le norme sulla rinunzia alla prescrizione, tra cui quella che legittima i terzi interessati ad opporre la prescrizione, anche se rinunziata. ECCEZIONE DI USUCAPIONE E ACCERTAMENTO DELL’ACQUISTO L’usucapione non può essere rilevata d’ufficio: il convenuto non può pertanto sollevare l’eccezione di usucapione in gado di appello. Oltre che in via di eccezione o in via riconvenzionale l’usucapiente può promuovere autonomamente la dichiarazione giudiziale mediante azione di rivendica o mediante azione di accertamento da proporsi nei confronti del precedente proprietario. La sentenza che accerta l’usucapione immobiliare è soggetta a trascrizione, avente però unicamente funzione di pubblicità-notizia. L’IMMEMORIALE L’immemoriale (o immemorabile: non menzionato dal codice vigente) è un titolo di presunzione di legittimità di situazioni della cui origine nel tempo non si ha più memoria. Si ritiene generalmente che tale figura abbia rilevanza solo nei rapporti di diritto pubblico e, in particolare, in tema di beni demaniali e di beni privati destinati ad uso pubblico: i possessori di un bene demaniale, o colo che vi esercitano una servitù da tempo immemorabile, non possono avvalersi dell’usucapione, stante la inusucapibilità del demanio, ma il loro possesso è presunto legittimo come avente titolo in un atto di concessione dell’Amministrazione. Si parla al riguardo di presunzione relativa, che dovrebbe ammettere la prova contraria. Sfugge tuttavia alla prova dell’inizio illegittimo un possesso la cui origine si sia perduta nel tempo: sembra piuttosto corretto ravvisare nella “presunzione di legittimità” dell’immemoriale una forma di legittimazione del possesso. 46 7. AZIONI A TUTELA DEL POSSESSO Le azioni possessorie sono i rimedi processuali specifici a tutela del possesso (regolate dal c.p.c. e dal c.c). Tali sono: l’azione di spoglio (o di reintegrazione) e l’azione di manutenzione: in corrispondenza alle azioni possessorie è possibile identificare il diritto del possessore a non subite spoglio e molestie nel possesso. Dette azioni si differenziano per l’oggetto o petitum (oggetto dell’azione di spoglio è la reintegrazione del possesso, oggetto dell’azione di manutenzione la cessazione della molestia), la legittimazione attiva (l’azione di manutenzione non compete al detentore) e per i presupposti oggettivi (l’azione di manutenzione richiede che l’attore abbia un possesso annuale). Azioni a tutela del possesso sono anche le azioni di nuova opera e di danno temuto, al tempo stesso azioni a tutela anche della proprietà. Sul piano processuale le azioni possessore non appartengono alla categoria delle azioni reali in quanto non fanno valere un diritto reale e non sono neppure personali in quanto non fanno valere una pretesa creditoria: esse costituiscono piuttosto un’autonoma categoria di azioni, caratterizzate da una propria causa petendi e da una propria disciplina. 1. L’AZIONE DI REINTEGRAZIONE (o di spoglio) L’azione di reintegrazione è l’azione volta a reintegrare nel possesso del bene chi sia stata vittima di spoglio violento o clandestino. Il possesso o la detenzione qualificata del bene e lo spoglio costituiscono i presupposti dell’azione e sono oggetto di prova a carico dell’attore, il cui onere probatorio non è soggetto a particolari restrizioni: tale azione è quindi più agevole e spedita rispetto all’azione di rivendica, che impone all’attore la difficile prova del diritto di proprietà. LO SPOGLIO Lo spoglio è la privazione totale o parziale della cosa o, più in generale, il fatto che impedisce durevolmente al possessore l’esercizio del possesso (es. chiusura con un cancello del fondo impedendo il transito al titolare della servitù di passaggio). Non rientra nella nozione di spoglio la distruzione della cosa. Caratteri dello spoglio sono la violenza e la clandestinità:  Violento è lo spoglio consumato mediante atti di forza o minacce: anche la minaccia di far valere un diritto integra gli estremi della violenza quando è volta a conseguire un vantaggio ingiusto, non però se posta in essere al fine di recuperare una cosa che spetta al minacciante (es. la vittima dello spoglio minaccia di esercitare l’azione possessoria se lo spogliatore non gli restituisca la cosa sottrattagli). La nozione di spoglio violento è stata intesa in senso ampio dalla giurisprudenza, che ormai definisce come violenta qualsiasi azione che produca la privazione totale o parziale del possesso contro la volontà espressa o presunta del possessore.  Lo spoglio clandestino è quello attuato senza atti di forza o minacce, ma in maniera occulta che non consente alla vittima di percepirlo all’istante (es. lo spogliatore s’impossessa furtivamente dei titoli di credito custoditi dalla vittima in un mobile di casa). ILLICEITÀ DELLO SPOGLIO Lo spoglio è un atto illecito, in quanto volto a ledere una posizione giuridicamente tutelata nella vita di relazione. Mentre l’azione di spoglio deve concedersi pure in presenza di elementi personali di responsabilità, essa è invece preclusa in presenza di esimenti oggettive. Al riguardo si è posto il problema concernente l’esperibilità dell’azione nell’ipotesi di spossessamento attuato in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria: la risposta dev’essere però negativa, in quanto l’esecutore esegue un ordine dell’Autorità, e per ciò la sua attività esula dalla nozione di spoglio. L’annullamento della sentenza comporterà la illegittimità dello spoglio ma non potrà creare un fatto originariamente insussistente. In dottrina si ritiene che lo spoglio sussista nei casi di frode o di dolo, cioè di atti giudiziali o amministrativi ottenuti fraudolentemente o dolosamente posti in essere a danno di privati. 47 IMPOSSESSAMENTO E ANIMUS SPOLIANDI L’impossessamento del bene da parte dello spoliatore è una conseguenza normale dello spoglio, non un elemento della fattispecie: il fatto dello spossessamento violento o clandestino sussiste infatti a prescindere dal fine che si vuole conseguire, posto che è possibile che lo spoglio sia attuato per far pervenire il bene direttamente ad un terzo (es. ti costringo con le minacce a consegnare il tuo cane ad un amico). Requisito dello spoglio, secondo la giurisprudenza e parte della dottrina, anche se non menzionato dal codice, sarebbe la volontà dello spossessamento, cioè la volontà di depredare la vittima (cd. Animus spoliandi). Il convincimento dello spoliatore di esercitare un proprio diritto, e quindi di agire lecitamente, non fa venir meno la fattispecie dello spoglio. LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA Legittimati attivi all’azione di reintegrazione sono anzitutto i possessori, diretti o mediati, i possessori minori (a titolo di usufrutto, servitù, ecc), i nudi possessori nonché i compossessori. A differenza di quanto previsto per l’azione di manutenzione, legittimati sono altresì i detentori qualificati, siano essi detentori autonomi (cioè nel proprio interesse; es. affittuari, comodatari, ecc), o detentori non autonomi (cioè nell’interesse altrui; es. curatori fallimentari). Non sono invece legittimati i detentori per ragioni di servizio o di ospitalità: tra questi non vanno confusi i congiunti, che vantano un diritto proprio ad abitare nella casa familiare (e che sono quindi detentori autonomi) e i conviventi di fatto. Detentori qualificati sono anche i soci, i compartecipi di impresa familiare e i componenti di analoghe strutture associative. L’azione di spoglio nei confronti del possessore deve escludersi quando il detentore sia tenuto a restituire la cosa a semplice richiesta del possessore stesso (es. precarista). L’azione di spoglio è concessa a prescindere dalla durata o dall’origine del possesso o della detenzione: anche chi abbia conseguito il possesso in modo illegittimo è quindi tutelato. La tutela del possessore violento o clandestino incontra tuttavia dei limiti nei confronti del precedente possessore: la vittima di uno spoglio violento può infatti riprendersi il bene anche con la violenza, in applicazione del tradizionale principio di autotutela. La dottrina fa richiamo alla figura della legittima difesa, per cui la reazione deve avvenire con immediatezza, altrimenti la ripresa violenta del bene rappresenta un nuovo episodio di spoglio. Il nuovo spoglio non cancella tuttavia il vecchio, per cui il precedente possessore o detentore che si riprende il bene con la violenza o clandestinamente può essere convenuto con l’azione di spoglio ma in via riconvenzionale può agire a sua volta per lo spoglio sofferto.
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