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La prospettiva come forma simbolica, E. Panofsky RIASSUNTO, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto completo del saggio "La prospettiva come forma simbolica". Esame Storia dell'arte medievale, prof Lollini.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 03/06/2020

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Scarica La prospettiva come forma simbolica, E. Panofsky RIASSUNTO e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! LA PROSPETTIVA COME FORMA SIMBOLICA, Erwin Panofsky I Per Durer: “perspectiva” parola latina che significa “vedere attraverso”. Per Panofsky si parla di intuizione “prospettica” dello spazio quando non solo singoli oggetti sono rappresentati “di scorcio” ma intero quadro si configura come “finestra” attraverso cui si ha impressione di guardare lo spazio, cioè superficie materiale pittorica o in rilievo su cui appaiono forme singole viene negata come tale e si trasforma in “piano figurativo” su cui si proietta spazio unitario visto attraverso di esso e comprendente tutte le singole cose – ciò indipendentemente da che questa proiezione sia costruita in base a impressione sensibile immediata (empirica) o con costruzione geometrica più o meno “corretta”. Costruzione geometrica “corretta” è quella che fu scoperta nel Rinascimento: rappresentazione del quadro come intersezione piana della “piramide visiva”, determinata punto del centro visivo che si connette a singoli punti della forma spaziale che si vuole raffigurare. Nel procedimento di costruzione prospettica si tracciano pianta e alzato del sistema per determinare figura che appare su superficie d'intersezione. • ortogonali e linee di profondità si incontrano in ”punto di vista”, la cui posizione è determinata da perpendicolare che va da occhio a piano di proiezione • parallele hanno punto di fuga comune; se sono su piano orizzontale il punto di fuga è sull'orizzonte • grandezze uguali diminuiscono verso il fondo secondo certa progressione Si definisce questa “prospettiva centrale”: spazio razionale, infinito, costante e omogeneo. Presuppone che si osserva con un solo occhio e immobile e che sezione piana di piramide visiva valga come resa adeguata della nostra immagine visiva = si tratta però di astrazione della realtà. Questo spazio infinito costante omogeneo, matematico, ha struttura antinomica a spazio psicofisiologico. “La percezione ignora il concetto d'infinito”. Lo spazio geometrico si dice omogeneo su base della relazione tra le posizioni dei suoi punti che al di là di questa relazione non hanno alcun contenuto autonomo – espressioni di relazioni ideali – omogeneità = identità strutturale per comunanza della loro funzione logica, della loro determinazione ideale e del loro significato ideale. Lo spazio omogeneo non è mai lo spazio reale ma quello costruito. Ogni luogo ha peculiarità e valore propri. Spazio visivo e spazio tattile: anisotropi e non omogenei. • Costruzione prospettica astrae radicalmente da struttura dello spazio psicofisiologico: no differenze tra davanti e dietro, destra e sinistra, tra corpo e elemento interposto (spazio libero)... si fonda su idea di unico “quantum continuum”. • Prospettiva centrale non considera forma sferoide del nostro campo visivo; non considera “immagine visiva” psicologicamente condizionata; non considera che nell'immagine retinica forme sono proiettate non su superficie piana ma su superficie concava – anche a questo livello prepsicologico c'è discrepanza tra “realtà” e costruzione (per questo hanno luogo “aberrazioni marginali”). • Discrepanza sia quantitativa sia formale: movimento degli occhi e configurazione sferica della retina: prospettiva piana proietta linee rette come rette, nostro organo visivo le percepisce come curve. (Notano questo psicologi e fisici di fine XIX sec e astronomi e matematici di inizio XVII sec) Panofsky nota difficoltà della modernità di accettare curvatura della nostra percezione visiva per via dell'abitudine alla costruzione prospettica piana. Non era così per l'Antichità classica, che vedeva in prospettiva ma non piana: antichi erano consapevoli di questo fenomeno ottico: linee rette danno nel nostro occhio impressione di curvatura – per questo la necessità dell'entasi nelle colonne, per non apparire curve: epistilio e stilobate per non avere impressione di flessione vengono costruiti curvi. Ottica antica contraria a prospettiva piana, era più conforme a effettiva impressione visiva soggettiva. Altra teoria era questa: grandezze visive non sono determinate da distanza degli oggetti dall'occhio ma da ampiezza dell'angolo visivo, per cui i loro rapporti si devono esprimere soltanto mediante gradi angolari o archi di cerchi, non con misure lineari (>problema dell'ottavo teorema di Euclide). Contraddizione tra dottrina di “perspectiva naturalis” o “communis” che cerca di formulare matematicamente solo leggi della visione naturale e dottrina di “perspectiva artificialis” che cerca di formulare sistema praticamente applicabile a rappresentazione artistica. II Problema sull'ipotesi che Antichità abbia elaborato un procedimento geometrico-prospettico. Un procedimento che Panofsky ipotizza: costruzione approssimativa che ha come punto di partenza sfera di proiezione, archi di cerchio sono sostituiti da corde sottese, cosa che avrebbe reso approssimazione di grandezze dell'immagine a quelle angolari – pittura antica di epoca tardo-ellenistico-romana pare incorporare questa costruzione. Panofsky recupera passo di Vitruvio dai Dieci libri sull'architettura: “Scenographia” = rappresentazione prospettica di un'immagine tridimensionale sul piano ha per fondamento “omnium linearum ad circini centrum responsus” Spesso gli studiosi hanno interpretato il “circini centrum” come il “punto di vista” della prospettiva moderna, ma questo in realtà non può alludere a un cerchio. È possibile che Vitruvio parlando di “centrum” non pensasse a punto di fuga sul quadro ma a centro di proiezione rappresentante occhio dell'osservatore, che immaginasse questo centro come centro di un cerchio. Questo cerchio interseca i raggi visivi come in prospettiva moderna la retta che rappresenta superficie del quadro. Se si segue costruzione con simile cerchio di proiezione si ha esito in qualcosa che coincide in punto essenziale con dipinti conservati: prolungamenti di linee di profondità non convergono in un punto ma si incontrano convergendo in più punti che giacciono su asse comune = impressione di “lisca di pesce”. Difficile sapere se passo vitruviano va interpretato come quest'ipotesi di costruzione prospettica fondata sul cerchio; ma è manifesto che in rappresentazione antica dello spazio il principio determinante era quello di un asse di fuga, in parte in forma di leggera convergenza, in parte in forma schematica di tracciato più o meno parallelo a linee oblique di profondità. • Differenze rispetto a rappresentazione moderna: indeterminazione e mancanza di consequenzialità. • Impossibilità di raffigurare verosimilmente cose come superficie a scacchiera: riquadri centrali diventano troppo grandi o troppo piccoli rispetto a quelli vicini – consapevolezza e tentativi di occultare il problema con decorazioni o figure. Panofsky non considera prospettiva come qualcosa che determina valore artistico: è un “momento stilistico”; da Cassirer riprende idea che si tratta di “forma simbolica” attraverso cui “particolare contenuto spirituale viene connesso a concreto segno sensibile e intimamente identificato con questo”. >Non un'unica prospettiva ma diverse prospettive. L'arte classica è pura arte di corpi, l'oggetto dell'arte è non solo visibile ma anche tangibile; i singoli elementi non sono connessi pittoricamente in un'unità spaziale, ma sono fusi plasticamente in un insieme di gruppi. Nell'ellenismo si comincia a considerare il valore dell'inanimato, del brutto pittorico, dello spazio che circonda i corpi solidi, ma la raffigurazione artistica è ancora così legata a cose singole che lo spazio non è qualcosa capace di circoscrivere e risolvere la contrapposizione tra corpi e non-corpi, ma ciò che rimane tra i corpi. >Figure disposte una sull'altra o una dietro l'altra in modo incontrollato. >Arte ellenistica romana rappresenta interni e paesaggio reale, ma il mondo non appare unificato: i corpo e gli intervalli vuoti in mezzo non sono differenziazioni/modificazioni di un “continuum” superiore. Non c'è modulo determinato per rappresentare intervalli in profondità (immissione di figure sproporzionate); ortogonali convergono ma non verso orizzonte né centro unitario. Panofsky avvicina audacia della rappresentazione di forma e colore dei corpi in quest'arte all'orientamento del moderno impressionismo; ma la luce non è mai unitario, spazio è spazio di aggregati, non ciò che modernità imporrà, ossia spazio sistematico. Nell'Antichità manca una superiore unità: aumento di ordine della spazialità si paga con diminuzione nell'ordine della corporeità: “lo spazio sembra vivere a spese delle cose”. Finchè arte antica non si “accorge” dello spazio tra i corpi, finchè non lo rappresenta, appare più armonica di quella moderna, ma con l'introduzione nella raffigurazione dello spazio esso diventa irreale, contraddittorio, chimerico. Prospettiva antica = espressione di una caratteristica intuizione dello spazio, radicalmente diversa da quella moderna, un'altra visione del mondo. Per questo la loro rappresentazione ingenua dell'impressione spaziale rimase tale per tanti secoli: quel sentimento dello spazio che vediamo nell'arte antica non esigeva spazio sistematico: gli artisti non lo conoscevano né i filosofi potevano pensarlo. Nessuna teoria filosofica antica definisce lo spazio come un sistema di relazioni tra altezza, larghezza, con i Van Eyck si realizza coscientemente orientamento unitario di tutti i piani, anche verticali; c'è anche tentativo di liberare spazio tridimensionale da vincoli che lo legavano a superficie del quadro. Infatti in passato spazio era rappresentato così che sul davanti apparisse limitato da superficie del quadro: in Madonna nella Chiesa di Jan van Eyck inizio dello spazio non coincide con limite del quadro: superficie del quadro è disposta nello spazio, il quadro è diventato “frammento della realtà”, spazio immaginato procede in tutte le direzioni oltre quello raffigurato; la finitezza del quadro fa avvertire infinità e continuità dello spazio. Matematicamente però prospettiva ancora scorretta: ortogonali convergono verso unico punto di fuga nell'ambito del piano ma non nell'ambito dell'intero spazio. Problemi pittorici spaziali non erano universalmente né durevolmente indagati dagli artisti nel Nord; è Durer che introduce la teoria matematica italiana della prospettiva e da allora comincia ad essere seguita con certo rigore la costruzione prospettica. In Italia la via empirica venne abbandonata per intraprendere la teoria matematica che portò nel 1420 all'invenzione della “costruzione legittima”. Difficile sapere se fu veramente Brunelleschi il primo a elaborare prospettiva piana matematicamente esatta. Già la Trinità di Masaccio è costruita esattamente e unitariamente. Una delle mancanze dei Lorenzetti era stata la misura precisa degli intervalli in profondità delle trasversali; Leon Battista Alberti pone definizione che diventa fondamentale “il quadro è un'intersezione piana della piramide visiva”; con questa piramide visiva può determinare su perpendicolare di intersezione gli intervalli di profondità cercati e trasportarli in sistema di ortogonali orientate verso punto di fuga. Entrambi i procedimenti di Alberti e Brunelleschi hanno in comune di fondarsi sul principio della “intersecazione della piramide visiva”; rendono possibile costruzione di interni, scenografie paesaggistiche, corretta “distribuzione” e misurazione delle cose da disporre in esse. Rinascimento: razionalizzazione matematica dell'immagine spaziale che esteticamente era già stata unificata con progressiva astrazione da struttura psicofisiologica e rifiuto delle concezioni antiche. = Immagine spaziale unitaria, non contraddittoria, di estensione infinita, immagine spaziale in cui corpi e intervalli costituiti da spazio libero erano uniti secondo determinate legge al “corpus generaliter sumptum”. Prospettiva è espressione concreta di ciò che viene scoperto da filosofia teoretica e della natura: rottura con visione aristotelica del mondo, rinuncia a concezione di cosmo costruito attorno a centro della terra, cioè attorno a centro assoluto, sviluppo del concetto di un'infinità non solo prefigurata in Dio ma realizzata in realtà empirica. Infinità in atto, per Aristotele inconcepibile e per scolastica esistente solo in onnipotenza divina, ora assume forma della natura naturata – concezione del mondo deteologicizzata e spazio considerato “quantitas continua”. Impressione visiva soggettiva è razionalizzata al punto da costituire fondamento per costruzione di mondo empirico saldamente fondato eppure infinito. Passaggio da spazio psicofisiologico a spazio matematico: obiettivazione della soggettività. IV Prospettiva una volta formulata nella sua definitiva costruzione matematica si pone come problema artistico. Essa crea strutture e significati nell'arte che possono configurarsi in sensi differenti: • crea distanza tra uomo e le cose, ma elimina questa distanza riducendo nell'occhio dell'uomo il mondo di cose autonome che esiste innanzi a lui • riduce fenomeni artistici a regole ben definite, ma che dipendono nella loro impostazione dall'individuo perchè si riferiscono a condizioni psicofisiche dell'impressione visiva (posizione, “punto di vista” soggettivo) Quindi allo stesso tempio: trionfo del senso della realtà obiettivante e trionfo della volontà di potenza dell'uomo che tende ad annullare ogni distanza, per consolidamento e sistematizzazione del mondo esterno e per ampliamento della sfera dell'io. Metodo ambivalente che può produrre e manifestare espressioni e sensi diversi. Ad es. presto si pone il problema se è l'osservatore a doversi collocare nel punto di vista che impone la prospettiva o è il disegno che deve immaginare da dove verrà osservato > all'istanza dell'oggettivo si contrappone quella del soggettivo. La prospettiva viene interpretata in modo diverso, tra Barocco e Rinascimento, tra Italia e paesi del Nord: per questi è centrale il suo significato soggettivo, in Italia quello obiettivo. >Es. Studio di San Gerolamo di Antonello da Messina: distanza, costruzione come vista dall'esterno; lo stesso soggetto rappresentato da Durer dà impressione di includere l'osservatore, distanza minore, punto di vista con posizione eccentrica crea effetto di “intimità”. Complessità di come la prospettiva modifica la concezione dello spazio nei moderni. Diverse interpretazioni e attuazioni in pittura: “spazio in altezza” per gli affreschi italiani, “spazio vicino” nella pittura olandese del Seicento, “spazio obliquo”... forme di raffigurazione in cui si manifesta convinzione che spazialità della raffigurazione artistica è determinata nelle sue caratteristiche dal soggetto; ma in contraddizione questa è anche l'epoca in cui spazio come rappresentazione in data concezione del mondo viene purificato del tutto da contaminazioni soggettive. […] Prospettiva viene rifiutata da fronti diversi: • per Platone l'intuizione prospettica era un male perchè deformava le vere misure delle cose e poneva arbitrio e apparenza soggettiva al posto di realtà e nomos • teorie artistiche moderne la considerano strumento di razionalismo limitato e limitante Antico Oriente, Antichità classica, Medioevo e soggetti artistici arcaizzanti come Botticelli la rifiutano perchè sembra trasferire in mondo extra-soggettivo momento individualistico e contingente; espressionismo la rifiuta perchè pone residuo di obiettività che già impressionismo aveva sottratto a volontà figurativa individuale. Polarità che è duplice aspetto di un'unica cosa: concezione prospettica, interpretata in senso di razionalità e obiettivismo o in senso di casualità e soggettivismo, si fonda su volontà di costruire spazio figurativo a partire da elementi e secondo schema dello spazio visivo empirico; prospettiva matematizza questo spazio visivo, questo e non altro, costituisce un ordine che è solo ordine dell'immagine visiva. Trasponendo oggettività artistica in campo del fenomenico, concezione prospettica impedisce rappresentazione in arte religiosa del magico (opera che compie miracolo) del dogmatico, del simbolico (opera che testimonia miracolo); apre invece alla regione del visionario, in cui miracolo diventa esperienza immediatamente vissuta dallo spettatore, perchè eventi soprannaturali irrompono nello spazio visivo apparentemente naturale imponendo essenza soprannaturale; e alla regione dello psicologico in senso alto, in cui miracolo è nell'anima dell'uomo raffigurato nell'opera d'arte. Concezione prospettica trasforma essenza in fenomeno, appare ridurre divino a contenuto della coscienza umana, ma insieme amplia la conoscenza umana sino a renderla capace di accogliere e contenere il divino. Concezione infatti che si impone due volte in storia dell'arte; come segno di una fine, dell'antica teocrazia, come segno di un inizio, della moderna antropocrazia.
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