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La radio del papa. Propaganda e diplomazia nella seconda guerra mondiale, Sintesi del corso di Storia della Chiesa

Riassunto integrale del libro di testo di Raffaella Perin: La radio del papa. Propaganda e diplomazia nella seconda guerra mondiale.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 19/05/2020

giubo
giubo 🇮🇹

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Scarica La radio del papa. Propaganda e diplomazia nella seconda guerra mondiale e più Sintesi del corso in PDF di Storia della Chiesa solo su Docsity! 1 LA RADIO DEL PAPA PROPAGANDA E DIPLOMAZIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE Capitolo primo LA NASCITA DI RADIO VATICANA 1. Il progetto di una stazione radiotrasmittente in Vaticano 1896  anno in cui Guglielmo Marconi deposita la domanda di brevetto per la sua invenzione di telegrafia senza fili. Da quell’anno le ricerche e le scoperte sulla radio sono molte a livello internazionale. Durante la 1GM la rete wireless, che prima veniva usata solo per operazioni militari marittime, venne usata per raggiungere le colonie e le comunicazioni sui campi di battaglia. Al termine della guerra i due modelli di radiodiffusione erano: - Quello statunitense caratterizzato dalla libera concorrenza; - Quello britannico, e poi adottato dalle potenze europee, basato sul monopolio e la vigilanza statale. Negli anni 20 la concorrenza tra le diverse corporation spinse ad un rapido sviluppo delle telecomunicazioni, con la costituzione di gruppi che cercavano di accaparrarsi il controllo delle emissioni: - Negli Stati Uniti la Radio Corporation of America (RCA) che a sua volta creò la National Broadcasting Company; - Nel Regno Unito la British Broadcasting Corporation (BBC); - In Francia la Compagnie générale de TSF; - In Italia l’Unione radiofonica italiana, che divenne poi l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR). - In Germania la radiodiffusione fu inizialmente ostacolata dalla clausola del Trattato di Versailles, e la prima trasmissione andò in onda nel 1923. Mentre si andavano costituendo i principali network radiofonici, si decise di stabilire in Europa un regime di regolamentazione dello spettro delle frequenze che assegnasse a ciascuna stazione una specifica lunghezza d’onda. La chiesa cattolica non rimase indifferente davanti a questo crescente potere universale delle telecomunicazioni, tuttavia l’interesse suscitato per la radiodiffusione fu inizialmente accompagnato dalla tradizionale diffidenza per il “nuovo”. 23 dicembre 1926  l’arcivescovo di Praga, monsignor Kordac, aveva rivolto alla Suprema Congregazione del Sant’Uffizio un quesito circa la liceità di trasmettere via radio la messa solenne. In Boemia alcuni sostenevano che si sarebbe incorsi in una profanazione, in quanto i non credenti 2 ascoltando la celebrazione avrebbero potuto irriderla, altri al contrario lo trovavano utile per chi non poteva recarsi a messa. 26 gennaio 1927  il Sant’Uffizio rispose con un parere negativo, per volere del papa stesso. 24 febbraio 1928  l’ordinario di Praga tornò a chiedere se fosse possibile trasmettere canti e musiche religiose come si faceva già in altre città, ma il Sant’Uffizio, richiamandosi alla risposta dell’anno precedente negò il consenso, aggiungendo che chiunque lo stesse facendo si trattava di un abuso. L’episcopato lombardo, con la lettera collettiva de 1927 vietò l’istallazione di apparecchi radio nelle case dei sacerdoti, negli istituti religiosi e nei luoghi di raduno delle associazioni giovanili, perché era un lusso sconveniente. Ciò nonostante la Santa Sede non si era opposta alla partecipazione attiva dei predicatori cattolici alla radio. Nell’incontro della cultura cattolica con la società di massa all’inizio del 1900, anche la Chiesa dovette far fronte ai cambiamenti sociali cercando alternative ai tradizionali metodi di apostolato. Si trattò di una modernizzazione del proselitismo, che passava attraverso un aggiornamento dei suoi strumenti, anche tecnologici, mantenendo il conservatorismo ideologico. Pio XI si era reso conto che le audizioni radiofoniche erano un potentissimo mezzo di divulgazione, utile per istruzione ed educazione. L’idea di dotare la Santa Sede di una propria stazione radio nacque dalla necessità di rendere le comunicazioni del papa e della Curia romana indipendenti dalle autorità italiane, attraverso le quali, prima della Conciliazione, doveva passare il traffico telefonico e telegrafico del Vaticano. A tale scopo nel 1918 venne contattato Marconi tramite l’allora segretario di Stato di Benedetto XV, Pietro Gasparri. A causa della particolare condizione dei rapporti tra Santa Sede e Stato italiano, il progetto venne ripreso solo nel corso degli anni 20. Lo studio dell’istallazione della stazione radio alla Specola Vaticana venne affidato: - al padre gesuita Giuseppe Gianfranceschi, allora presidente della Pontificia Accademia della Scienze; - all’ingegnere Luigi Respighi, addetto alla direzione delle Comunicazioni; - a Guglielmo Marconi. Dopo la ratifica dei Patti Lateranensi Marconi compì il primo sopralluogo. Solo la nuova situazione giuridica della Santa Sede poteva finalmente favorire la nascita della stazione radio. Il Trattato assicurava che l’Italia avrebbe garantito il collegamento direttamente anche con gli altri Stati dei servizi telegrafici, telefonici, radiofonici, radiotelefonici e postali del nuovo Stato Città del Vaticano. 12 febbraio 1931  si tenne la cerimonia di inaugurazione. Per l’occasione Pio XI tenne un discorso con saluto e benedizione Urbi et orbi ai religiosi, ai laici, agli infedeli e ai dissidenti, ai governanti, ai sudditi, ricchi e poveri. Fu la prima volta che la voce del papa veniva percepita simultaneamente su tutta la superficie della terra. 5 - erano previsti almeno 2 locutori per ciascuna lingua, in modo da poter alternare le voci e garantire una preparazione più coscienziosa delle trasmissioni, dando anche la possibilità, qualche volta, di recarsi nel paese del suo uditorio. - Il numero delle trasmissioni doveva essere di 3 al giorno, di un quarto d’ora ciascuna. - La messa sarebbe stata trasmessa quotidianamente, ad eccezione della domenica che aveva una palinsesto speciale. - Quanto al contenuto: si prevedevano 3 grandi rubriche: pensieri religiosi, notiziari e conferenze. - La mattina si poteva mirate alla formazione religiosa attraverso la meditazione e il fervorino, a mezzogiorno il notiziario e alla sera le conferenze (su dogmatica, Bibbia, morale, storia della Chiesa, arte e liturgia, lezioni su Roma, sulla sua ricchezza spirituale e monumenti antichi; rubrica sulle uscite librarie). - Le conferenze dovevano essere bene elaborate, in stile parlato, moderne e parlate al microfono con una certa perfezione. - Inoltre il documento si concludeva con una precisazione: Radio Vaticana ha soltanto in due casi carattere ufficiale ossia quando si legge il testo di documenti papali (solo il testo, non i commentari) e quando il locutore dice “Ufficialmente si comunica”, tutto il resto ha carattere non ufficiale. Durante la 2GM la questione della sua ufficialità o meno costituirà un nodo importante nelle relazioni tra la Santa Sede e le ambasciate dei Paesi belligeranti (soprattutto tedesca, inglese e in misura minore italiana). Come si vedrà, dichiarare nel contesto bellico che RV non era organo ufficiale della Santa Sede fu un modo per difendersi dalle lamentele e dagli attacchi dei rappresentanti diplomatici sul contenuto delle trasmissioni. Ma è evidente che il problema è sentito fin dagli albori e rimanda alla questione della responsabilità di ciò che veniva trasmesso. Il mezzo radio era più difficilmente controllabile della carta stampata. Ammessa la gerarchizzazione delle funzioni, chi vigilava sui testi che venivano letti nelle diverse lingue? Da chi erano scritti, curati e rivisti prima della messa in onda? Il documenti rivela ancora qualche incertezza di fronte alle molteplici potenzialità del nuovo mezzo. L’eventualità che un’incauta gestione della radio si rivelasse controproducente suggerì di adottare un profilo che tutelasse la Santa Sede sul piano internazionale. 3. L’avvio della radiodiffusione e le trasmissioni tra il 1936 e il 1937 Pio XI aveva dato il proprio consenso per lo sviluppo dell’attività di radiodiffusione di RV per promuovere e difendere gli interessi cattolici sul piano internazionale. Per lo stesso motivo l’emittente venne iscritta a due organi internazionali: l’Union Internationale de Radiodiffusion (UIR) e il Bureau Catholique International de Radiodiffusion (BCIR). L’UIR, fondato intorno alla metà degli anni 20, aveva lo scopo di riunire gli enti radiofonici presenti nei vari Paesi e di discutere gli schemi preparatori dei regolamenti internazionali. Nel marzo 1936 RV, non facendo radiodiffusione interna al proprio Stato, fu accolta nell’Union come membro a titolo speciale. Da quel momento le venne riconosciuto il diritto di esercitare attività radiofonica senza alcuna limitazione geografica. 6 Il BCIR, formato dai responsabili dei programmi religiosi dei vari Paesi, vedeva nella radiofonia un modo per “servire la causa civilizzatrice dei cattolici” e “per neutralizzare le trasmissioni che ne ferivano i sentimenti”. L’iscrizione all’UIR accordò a RV una certa attenzione a livello internazionale, soprattutto nel corso del 1936, perché si cercò di far inserire nella Convention Internationale concernant l’emploi de la radiodiffusion dans l’intéret de la pai, siglata dalla Società delle Nazioni, una clausola che impedisse emissioni radiofoniche lesive dei sentimenti religiosi dei popoli. L’obiettivo era di contrastare la propaganda antireligiosa dell’Unione Sovietica  una preoccupazione tale da spingere la Santa Sede allo sviluppo di RV. Il riconoscimento della sconfinata potenza della radiodiffusione garantiva la possibilità di difendere gli interessi della Chiesa e rafforzare la contropropaganda cattolica anticomunista. In seno al BCIR era sorta una discussione attorno all’idea di costruire una stazione radio di portata mondiale che servisse la causa cattolica. 9 dicembre 1936  anche monsignor Valerio Valeri, nunzio in Francia, scrisse a monsignor Pizzardo, dietro suggerimento di d’Herbigny, sulla possibilità di costruire una stazione radio cattolica dove intensificare la lotta contro la propaganda comunista. 31 luglio 1937  padre Soccorsi scrive a Pizzardo e riconosce che RV aveva le caratteristiche ideali per questa funzione, tanto più che essa “si trovava in una posizione privilegiata per la sua indipendenza e per la portata mondiale potrà avere nuove istallazioni”. La missione moralizzatrice della radio cattolica venne definitivamente affidata a RV che sarebbe dovuta diventare “un mezzo potente di educazione e di elevazione morale”. La prospettiva di usare RV nella campagna anticomunista non fu l’unico stimolo a consolidare la sua presenza nel campo della radiotrasmissione. L’altra importante molla fu le trasmissioni dirette alla Germania, perché costituivano un mezzo di propaganda per l’area germanofona, dopo che la soppressione della stampa cattolica e l’esclusione dei cattolici dalle radio di regime l’avevano privata di notizie dal mondo ecclesiastico. Padre Muckermann aveva cominciato i suoi interventi in tedesco a RV con alcune lezioni che prendevano spunto dalle encicliche, in modo che l’autorità delle parole del pontefice fornisse loro una base indiscutibile. Si rese conto ben presto che non era questo il tipo di emissioni radiofoniche attese dal pubblico  pensò allora di abbreviare le conferenze e di trasmettere più notizie sulla vita della Chiesa (come le lettere pastorali dei vescovi, che in Germania non sempre potevano essere conosciute dai fedeli). In più occasioni l’episcopato tedesco espresse il desiderio di vedere aumentare il numero delle trasmissioni dell’emittente vaticana. Come in un colloquio tenutosi a Riedenburg nell’agosto del 1937, tra padre Robert Leiber, segretario particolare di Pacelli, Conrad Grober, arcivescovo di Friburgo, e Albert Hackelsberger, esponente dello Zentrum, dove si sottolineava la necessita che RV non si interessasse solo di questioni religiose ma anche di notizie di attualità. L’interesse del pubblico per le trasmissioni di RV venne notato anche dal regime. Un rapporto del capo dell’Ufficio di Sicurezza delle SS del maggio-giugno 1934 osservava che i cattolici tedeschi ascoltavano le radio estere per avere notizie che non riguardassero esclusivamente l’ambito religioso, entro il quale erano stati costretti i mezzi di comunicazione cattolici in Germania, e che 7 compravano ricevitori a onde corte soprattutto per ricevere RV. Lo stesso rapporto rivela la preoccupazione del governo nazionalsocialista che sotto il pretesto di diffondere notizie di natura religiosa si nascondesse l’intento di fare propaganda per il cosiddetto cattolicesimo politico. Dimostrazioni di interesse per RV arrivano a Roma anche da altre parti del mondo: Sud America, in particolare Argentina, dall’Uruguay e dalla Colombia. Dall’India monsignor Mathias, arcivescovo di Madras, propose di creare nella sua diocesi un’agenzia cattolica per la stampa, e il padre gesuita De Staercke suggerì che la RV divenisse uno strumento per la diffusione di tali notizie. L’idea di far diventare RV una sorta di “agenzia papale”, che, come le altre agenzie Wolff e Reuter, potesse servire l’intera stampa, era stata concepita da un gruppo di editori tedeschi, che tra gli anni 20 e 30 si erano confrontati sul problema di avere la necessità di avere da parte della Santa Sede un resoconto di ciò che avrebbe potuto fare notizia nei loro giornali.  un promemoria steso in Curia nel dicembre 1936 contenente alcune proposte sulle attività che RV avrebbe potuto svolgere, rappresenta in qualche modo una risposta alle richieste. Il progetto prevedeva: - che RV prendesse contatto diretto e giornaliero con le grandi agenzie cattoliche in America e in Europa, come la Kipa; - che si costituisse un ufficio informazioni che diffondesse notizie raccolte esclusivamente ai giornali abbonati, che con i loro abbonamenti avrebbero sostenuto le spese; - tale servizio avrebbe completato anche quello di radiodiffusione perché, raccogliendo notizie cattoliche da ogni parte del mondo, si avrebbe avuto materiale per arricchire i notiziari radio, e questi a loro volta avrebbero fornito alla stampa ulteriori notifiche, smentite o rettifiche. 14 marzo 1937  l’iniziativa venne proposta a Pio XI che rispose “si studi bene la cosa in modo che si possa venire ad una attuazione del programma”. Il 18 luglio padre Edward Coffey venne autorizzato dal papa a recarsi negli Stati Uniti per prendere contatto con i centri americani di stampa cattolica e nel maggio dell’anno successivo fu presentato il progetto completo al papa. Il gesuita Delaney assunse la direzione del centro di raccolta, selezione e diffusione delle notizie a Roma. Compì viaggi in Europa per procurarsi collaboratori e così fece padre Ortiz de Urbina in Spagna. I programmi di radiodiffusione vennero perfezionati e le emissioni nelle lingue principali divennero da settimanali a bisettimanali. Il materiale ai locutori era procurato da Delaney mentre per le trasmissioni tedesche, che avevano particolari esigenze, fu chiamato, con l’approvazione del papa, Alfredo Lutterbeck. I contenuti delle trasmissioni di RV tra il 21 settembre 1936 e il 1 dicembre 1937 sono noti attraverso il servizio di ascolto organizzato dal regime fascista, che controllava la radio vaticana. Il monitoraggio eseguito su RV, oltre che controllare ciò che la radio diffondeva, + potrebbe essere stato eseguito anche per un riutilizzo dei contenuti delle trasmissioni anticomuniste da parte del regime. Non è da escludere che l’emittente fosse stata coinvolta nel coordinamento anticomunista tra Chiesa e regime. Fino allo scoppio della guerra civile spagnola c’era una distinzione tra ideologia comunista e Stato sovietico. Dopo la fase filorussa, che aveva condotto una serie di intese politiche ed economiche, nel 1936 l’opposizione al bolscevismo divenne centrale nel disegno politico fascista  e il colloquio nel 1936 tra padre Ledit, responsabile del Segretariato contro l’ateismo, e Guido Leto, addetto alla direzione generale della Pubblica Sicurezza, ci fa pensare, dato 10 scopo di sottolineare la differenza tra i due regimi, con una valutazione più positiva del fascismo rispetto al nazionalsocialismo. Del resto, al di là dei malumori del papa per la guerra di Etiopia espressi in via riservata, il consenso dei cattolici italiani al fascismo aveva raggiunto in quegli anni dei picchi che non toccherà più in seguito. Il mondo cattolico diede il proprio sostegno al conflitto italo-etiopico: l’euforia popolare e l’adesione dell’episcopato non furono osteggiati dai vertici vaticani non solo per simpatie reali verso il mondo fascista ma anche perché la politica curiale prevedeva di celare un eventuale dissenso nei confronti del governo di Mussolini per garantirsi un supporto contro la politica anticlericale di Hitler. Era da poco stato firmato il patto di amicizia tra Germania e Italia (Asse Roma-Berlino, 24 ottobre 1936), che suggellava un accordo politico tra i due Paesi. Le conseguenze di un’eccessiva sintonia ideologica tra i due regimi avevano cominciato a preoccupare la Santa Sede. Queste trasmissioni in italiano forse servivano più a far sapere ai fascisti in ascolto che agli italiani, la contrarietà della Chiesa ad un avvicinamento che avrebbe messo in pericolo i cattolici in Italia. Tra l’altro padre Soccorsi aveva lamentato il disturbo di queste trasmissioni proprio per le notizie sulla situazione religiosa in Germania. Fin dai suoi esordi di radiodiffusione RV trattò con una certa sistematicità la persecuzione dei cattolici da parte del regime nazionalsocialista. Nei mesi immediatamente precedenti l’emanazione dell’enciclica Mit brennender Sorge (14 marzo 1937), con la quale la condanna di alcuni aspetti del regime hitleriano avrebbero assunto carattere ufficiale, in molte trasmissioni vennero date diverse notizie sul mancato rispetto degli accordi sulle scuole confessionali, circa la situazione critica dei cattolici “a causa delle teorie neopagane” e sulla violazione dei loro diritti. Fu anche temuta una revisione del Concordato del 1933: “Il Concordato garantisce piena libertà alla chiesa e non deve essere violato. Le violazioni sono all’ordine del giorno. È necessaria una revisione. La lotta contro la chiesa ha assunto in Germania vaste proporzioni e si può dire che si organizza un’offensiva generale contro la chiesa cattolica con lo scopo di distruggere la fede per ordine dei liberi pensatori, e vi è pericolo che la Germania diventi una seconda Spagna”. RV sottolinea, probabilmente per parole di Muckermann, che alla protesta dei cattolici si era unita quella dei protestanti. Muckermann sollecita l’unione di protestanti e cattolici in fronte unico contro il nazismo. Il fatto che RV abbia continuato a denunziare la situazione del cattolicesimo in Germania nel corso del 1938 è confermata nel rapporto annuale delle SS della primavera del 1939 dove viene messa in luce l’equiparazione che in ambito cattolico si cominciava a fare tra l’ideologia nazionalsocialista e comunista. 4. Papa Ratti e la radio Quanto a fondo Pio XI avesse compreso la potenzialità della radio si nota: - Dal primo radiomessaggio che, ascoltato in tutto il mondo simultaneamente, si rivolge anche “agli infedeli e dissidenti”, ruppe non solo le barriere fisiche della comunicazione ma anche quelle confessionali, permettendo al papa di raggiungere anche il mondo non cattolico. - In un’altra occasione Ratti definisce la radio “un apostolato così imponente, operante in mezzo all’umanità”. 11 La radio favoriva l’opera di evangelizzazione, portava la parola del papa in tempo reale in regioni lontanissime da Roma e la sua voce dove non era mai stata sentita. Tutto ciò ebbe come riflesso non secondario il potenziamento della sovranità pontificia e il consenso attorno alla figura del papa, due dinamiche che affondano le radici nella centralizzazione ordita dai suo predecessori, ma che trova uno sviluppo inedito nel nuovo mezzo di comunicazione. Il 1938 fu un anno di svolta per RV. Il 6 luglio la Segreteria di Stato scrisse all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede che “le esigenze della radiodiffusione internazionale richiedono più circuiti, affinché la Stazione RV possa attuare collegamenti simultanei ed indipendenti non solo dall’EIAR ma anche dalle Stazioni di radiodiffusione di altri Stati”. A tale scopo vennero approvate modifiche tecniche e il 5 aprile 1939 fu firmato “l’Accordo Addizionale tra la Santa Sede e l’Italia in materia di servizi radiofonici” dall’ambasciatore Bonifacio Pignatti Morano di Custoza e dal segretario di Stato Luigi Maglione. Intanto il servizio di raccolta delle informazioni coordinato da padre Delaney, entrato in vigore nel 1938, trovò la collaborazione di molti padri gesuiti. Durante la Congregazione Generale della Compagnia di Gesù di quell’anno si riorganizzò la nuova redazione e il servizio di informazioni. Si pensava di diffondere notizie di RV nei Paesi più lontani da Roma. 2 diventeranno le assi portanti dell’attività dell’emittente: - Le conversazioni chiamate “Apologeticae”. - I notiziari (nuncios de vita catholica)  necessari per la caratteristica propria della radio, ossia di essere rapida nella divulgazione. - Non veniva abbandonata la funzione originaria di comunicazione istantanea tra Santa Sede e nunziature. - Le trasmissioni di “argumenta apologetica” avrebbero trattato questioni sociali, morali, dogmatiche, catechetiche e liturgiche; avrebbero fornito descrizioni storiche e artistiche o commentari su fatti di attualità; celebrato centenari. - Gli argomenti sarebbero stati decisi in base anche alla regione a cui erano destinati, e si sarebbero evitate polemiche politiche. - Il nuovo regime doveva entrare in vigore entro il mese di ottobre 1938. 21 ottobre  monsignor Montini chiese a padre Soccorsi di dargli notizie circa i programmi di RV. Poche settimane prima erano riprese le trasmissioni regolari verso i diversi Paesi ed era cominciato un programma speciale per gli Stati Uniti. + venne annunciato che l’anno seguente la stazione vaticana avrebbe offerto emissioni bisettimanali in inglese, francese, tedesco, russo, polacco, danese, spagnolo e italiano. + altri programmi speciali sarebbero andati in onda verso l’India, il Congo Belga, il Sud Africa e le Filippine. Il pontefice era tenuto al corrente dell’attività di RV con regolarità. Controllando il numero di udienze papali concesse a Soccorsi risulta che nell’arco del 1938 esse ebbero luogo due volte al mese, ad eccezione di tre in aprile e ottobre. In Curia però esistevano diverse posizioni riguardanti l’emittente  come dimostra l’episodio dell’episcopato austriaco, che aveva espresso apprezzamento per i risultati ottenuti dal 12 nazionalsocialismo e aveva invitato i cattolici a votare a favore dell’annessione nel referendum che si sarebbe tenuto il 10 aprile 1938. Oltre alla nota pubblica, il 1 aprile ne “L’Osservatore romano”, con cui la Santa Sede aveva preso le distanze dalla posizione dei vescovi, RV aveva mandato in onda una trasmissione in tedesco in risposta all’articolo del settimanale delle SS “Schwarze Korps”, polemico nei riguardi del cattolicesimo politico. Nel testo il locutore accusava a sua volta il nazionalsocialismo di mettersi sulla stessa linea dottrinale delle ideologie che diceva di combattere, ossia il comunismo. La parte che indispose maggiormente il governo tedesco fu: il rimprovero all’episcopato austriaco e dire che non era in grado di riconoscere il lupo travestito da agnello + non spettava all’autorità ecclesiastica fare dichiarazioni sui successi economici, politici, sociali e popolari di un governo + nessun fedele era obbligato ad approvare questi giudizi.  l’autore del testo era padre Gustav Gundlach, anche se non fu lui a leggerlo ai microfoni della radio. La trasmissione provocò le rimostranze degli ambasciatori tedesco e italiano. In un appunto monsignor Tardini, segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, riferisce di una telefonata con l’ambasciatore Pignatti, che minacciava che se “L’Osservatore romano” non avesse smentito l’autorizzazione della Segreteria di Stato alla trasmissione radio, tutti avrebbero pensato che essa ne fosse responsabile e che anzi fosse stato il papa a redigere la comunicazione. + nel pomeriggio dello stesso giorno anche il consigliere dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede aveva chiesto spiegazioni; la risposta fu che tale radiodiffusione non aveva né carattere ufficiale né ufficioso e che la Segreteria di Stato ignorava tale testo. L’esistenza di un collegamento tra la nota de “L’Osservatore romano” del 1 aprile e la trasmissione di RV venne smentita: l’iniziativa della radio era puramente privata e la Segreteria di stato è del tutto estranea a quanto trasmesso. Ma il contenuto della trasmissione aveva provocato diverse reazioni in Curia: Tardini scrisse in via confidenziale all’ambasciatore Pignatti che la radio “aveva agito sempre come sua iniziativa e che per le comunicazioni ufficiali si servivano solo dell’Osservatore romano”. La dissociazione di Tardini avvenne anche in un appunto interno + uguale distacco si ebbe da Orsenigo, nunzio a Berlino, che scrisse a Pacelli che tale trasmissione aveva avuto un effetto negativo, perché aveva aumentato il panico da una parte e i propositi di vendetta dall’altra. Il 4 aprile arrivò la smentita pubblicata da “L’Osservatore romano”. Tuttavia il pontefice non l’aveva trovata così sbagliata. Nei fogli di udienza di Pacelli, il segretario di Stato scrisse che il papa, nonostante avesse dato l’ordine di smentita a “L’Osservatore romano”, non sconfessava o rettificava nulla del contenuto della trasmissione. In una nota Gundlach aveva addirittura sostenuto che “il cardinale segretario di Stato Pacelli, che aveva corretto e approvato l’intervento, fu interamente coperto da Pio XI”. 15 Il 1 ottobre 1940 monsignor Montini scrisse al generale Ledòchowski che il papa aveva pensato che fosse opportuno rimettere alla Segreteria di Stato tutti i testi delle trasmissioni di RV andate in onda il giorno precedente. In questo modo la Santa Sede sarebbe sempre stata al corrente di quanto veniva trasmesso. Sono anche attestati casi in cui Pio XII incaricava l’emittente di diffondere alcune notizie e di tacerne altre. La linea generale di RV era dunque dettata da coloro che ne monitoravano l’andamento: Ledòchowski, Soccorsi e il direttore dei programmi in carica. Da un certo momento in avanti iniziò la supervisione della Segreteria di Stato e dello stesso papa, pronti a intervenire in caso l’avessero ritenuto opportuno. Si tratterà allora di capire quali messaggi si volevano inviare attraverso la radio ai diversi Paesi coinvolti nella guerra o rimasti per il momento neutrali. 2. Pio XII, Radio Vaticana e i primi mesi di guerra Il 24 agosto 1939 Pio XII affidò ai microfoni di RV un appello alle potenze mondiali per la salvaguardia della pace, su suggerimento del ministro britannico presso la Santa Sede, Francis d’Arcy Osborne, avanzato per conto del suo segretario di Stato, lord Halifax. Il governo inglese aveva riposto nel papa la speranza di evitare l’uso delle armi. In quell’occasione Pacelli ambiva ad una trattativa che contentasse tutti i Paesi coinvolti: “Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra”. Pio XII, attraverso un messaggio pubblico, esercitava quello che egli sentiva come un suo preciso dovere pastorale: celebrare e favorire in ogni modo la pace. Ma l’escalation verso l’attacco tedesco alla Polonia non si arrestò e, nonostante le pressioni dell’ambasciatore francese presso la Santa Sede François Charles-Roux, Pio XII non ritenne opportuno prendere parola pubblicamente conto il Reich, perché, come Tardini scrisse in una nota del 28 agosto, il papa non voleva 40 milioni di cattolici tedeschi alle rappresaglie cui sarebbero stati sottoposti in seguito a una presa di posizione della Santa Sede in favore della Polonia. Il timore di aggravare la situazione dei cattolici in Germania fu una delle preoccupazioni maggiori e una delle ragioni usate per giustificare la decisione di Pio XII di non intervenire pubblicamente contro la politica nazista. L’imparzialità che il papa volle tenere di fronte al nuovo conflitto non fu intaccata neanche dai tentativi di farlo parlare compiuti dal cardinale Hlond, primate di Polonia e arcivescovo di Poznane e di Gniezno, in udienza a Roma il 21 settembre. È noto l’intervento di Hlond a RV il 28 settembre 1939 in cui invitava i suoi connazionali a non disperare nonostante la situazione.  La versione italiana del testo venne pubblicata da “L’Osservatore romano”: oltre dispiacersi per la situazione, evitò ogni esplicita condanna all’aggressione tedesca. Secondo alcuni Hlond avrebbe insistito che Pio XII denunciasse la persecuzione dei cattolici polacchi, al punto che l’enciclica Summa pontificatus del 20 ottobre avrebbe recepito quanto richiesto dal primate di Polonia nella lettera al papa del 7 ottobre. Ma prima dell’uscita dell’enciclica, “L’Osservatore romano” aveva pubblicato un articolo, approvato e corretto dal papa, che spiegava la posizione della Santa Sede a chi l’aveva accusata di indifferenza di fronte alla tragedia polacca. Al papa era richiesta l’imparzialità nell’esercizio dell’autorità in quanto padre universale della Chiesa, un atteggiamento questo che si distingueva necessariamente da quello delle 16 gerarchie nazionali e che faceva emergere una contraddizione rimasta irrisolta già durante la 1GM. L’idea di nazione che ispirò il governo di Pio XII durante la 2GM richiamava quella che aveva indotto all’imparzialità il suo predecessore Benedetto XV (1914-1922) allo scoppio della 1GM. Papa Giacomo Della Chiesa aveva riconosciuto il diritto all’esistenza di ciascuna nazione e allora non si era sbilanciato con un giudizio netto sulla partecipazione delle nazioni alla guerra, per non rischiare di compromettere l’unità della Chiesa universale e per scongiurare eventuali ritorsioni sulle istituzioni ecclesiastiche all’interno di ciascuno Stato. Pio XII a sua volta ripropose lo schema ormai consolidato secondo il quale le ragioni del conflitto andavano ricercate nell’allontanamento dell’uomo dalla Chiesa e nell’aver rigettato i principi cristiani nella costituzione del consorzio civile. L’assunzione di queste generiche motivazioni impedì, come nel 1914, lo schierarsi della Santa Sede da una parte o dall’altra, consentendo di mantenere una linea di riservo, ma permettendo anche a ciascuna delle Chiese nazionali di legittimare la partecipazione dei fedeli al conflitto. Nei primi drammatici mesi della guerra gli organi di stampa ufficiosi della Santa Sede (“L’Osservatore romano” e “La civiltà cattolica”) seguirono la sospensione del giudizio del papa, evitando di additare la Germania come responsabile o di criticare la sua politica nei territori occupati, pur con qualche eccezione. L’indicazione di massima era comunque quella di limitarsi a richiamare obbedienza all’autorità. La posizione di RV va iscritta in questo quadro, ma con alcune sfumature significative. Per l’analisi di questo periodo possediamo le trasmissioni integrali italiane di padre Francesco Pellegrino. Egli alternava i notiziari alle conversazioni di argomento religioso, le quali però finivano per contenere sempre qualche riferimento alla situazione presente. Il primo testo è andato in onda il 5 ottobre 1939, dedicato a Francesco d’Assisi, proclamato patrono d’Italia con Caterina da Siena il 18 giugno 1939. La figura del santo era esaltata come simbolo di pace. A differenza dell’uso che ne faceva il frate Vittorino Facchinetti, che usava la figura di Francesco per legittimare dal punto di vista religioso la partecipazione dell’Italia al conflitto + esaltarne le qualità di italiano in senso nazionalistico. Senza richiamare esplicitamente Benedetto XV e nemmeno la rivista “San Francesco d’Assisi” che ne aveva fatta propria la linea, Pellegrino metteva in luce le virtù pacifiche di Francesco e sottolineava l’importanza del suo lato umano per un ritorno “all’epoca di amore e di pace”. Lontano dai toni trionfalistici del santo fascistizzato, veniva esaltata la povertà e l’umiltà di Francesco. E proprio questo discorso di Pellegrino era in sintonia con la linea di Pio XII, che ne sottolineava il ruolo pacificatore, quasi a volere incoraggiare il governo italiano ad assumere una posizione analoga nella difficile situazione internazionale. In generale padre Pellegrino cercò di far passare il messaggio della necessità del ripristino dei principi cristiani per un ritorno alla pace.  nella rassegna stampa del 9 ottobre il gesuita indicava tra i movimenti di preghiere per la pace organizzati all’estero il pellegrinaggio della diocesi di Friburgo, in Svizzera, a Notre-Dame de Marches guidato dal vescovo Besson. + oppure la trasmissione del 26 ottobre, in occasione della festa di Cristo Re, fu interamente dedicata al tema della pace e della guerra. Facendo riferimento all’enciclica di Pio XI Quas primas del 1925 affermava che “in questo ottobre di fuoco e sangue la festa di Cristo Re doveva essere celebrata”, che Cristo non è soltanto sovrano del cielo ma anche delle cose terrene; inoltre invitava gli uomini a riavvicinarsi alla Chiesa e alle sue leggi, ma entrò in merito anche delle cause della guerra, non mancando di riferirsi concretamente alla realtà politica. 17 Sia padre Pellegrino come speaker di RV sia la “Civiltà Cattolica” pochi mesi prima, avevano ricercato le responsabilità della guerra. Pellegrino pur non abbandonando in linea di principio la teoria della guerra giusta, solleva un dubbio, senza scioglierlo, su quale potesse essere la guerra giusta. Di sicuro afferma che Dio vuole la pace per il suo popolo però è anche in grado di difendere i suoi sudditi dagli attacchi avversari. Sulle cause invece, senza riferimento diretto ai personaggi politici o Paesi specifici, Pellegrino disse che “le cause sono: l’odio, l’ambizione, gli egoismo, le ingiustizie, le menzogne, sete sfrenata dei beni terreni, oppressione dell’altrui libertà, oltraggio degli altrui diritti. In linguaggio moderno, questi delitti contro l’umanità, assumono il nome di: esagerato nazionalismo, febbre di egemonia commerciale e politica, arbitraria rottura della parola data, monopolio delle materie prime, avversione dei popoli, dispotismo, uso della violenza, lotta di classe”.  qui si possono riconoscere alcune ideologie politiche che avevano caratterizzato gli ultimi decenni della storia europea, più volte denunciate come pericolose dal pontefice precedente.  come “l’esagerato nazionalismo” per esempio, era un sintagma ormai entrato nel discorso cattolico sul nazionalismo a partire dagli articoli di Enrico Rosa ne “La Civiltà Cattolica” e ripreso da Pio XI nell’enciclica Ubi arcano, distinguendo tra “giusto amor di patria” e “immoderato nazionalismo”. Nel corso degli anni 30 papa Ratti aveva cominciato a dubitare che gli Stati totalitari avrebbero saputo assumere il punto di vista cattolico. L’enciclica Humani generis unitas, rimasta inedita, arrivava a condannare in toto i principi nazionalistici, bollati come una vera perversione dello spirito. Così come Pio XII non aveva emanato una loro condanna, anche il padre incaricato delle trasmissioni italiane di RV indicò solo nell’eccessivo nazionalismo una delle cause della guerra. Altri temi dell’enciclica “nascosta” furono ripresi nell’enciclica programmatica Summi pontificatus: la preoccupazione per i fondamenti dell’unità del genere umano e il rispetto dei diritti di tutti gli uomini. Pio XII ribadiva che la dottrina cristiana approvava la promozione da parte di ciascun popolo della “prosperità e degli interessi legittimi” della propria patria, a patto di non perdere di vista che anche gli altri partecipavano dello stesso diritto. Ricordava inoltre che la formazione religiosa preparava la gioventù ai doveri di patriottismo. RV dedicò molto spazio alla diffusione e al commento della Summi pontificatus dandone lettura in varie lingue. Padre Pellegrino dedicò alla lettera 3 trasmissioni, in ciascuna delle quali discusse un tema diverso affrontato nel documento papale. Nella prima, incentrata sulla concezione dello Stato criticata da Pio XII, spiegava come la guerra e i disagi economici e sociali fossero sorti dal “disordine e sovvertimento del pensiero umano”, dall’assoluta autonomia che il potere civile aveva rivendicato rinunciando ai principi della legge naturale e della coscienza cristiana. Era sorprendente che questo tipo di Stato moderno avesse avuto bisogno, per farsi accettare, di “postulati ideologici come l’unione nazionalistica, l’unità di razza, l’unione del proletariato”. “L’agnosticismo” era alla base dello Stato “assolutista”, ma “se gli uomini fossero lasciati liberi di pensare, essi vedrebbero che lo stato moderno non ha compiuto la sua missione naturale”. Voleva anche dimostrare che lo “spirito laico” aveva dato origine ai mali odierni, che la guerra era il risultato del “laicismo”. Nella trasmissione successiva, con un dotto excursus tra la filosofia e la letteratura di fine Ottocento, Pellegrino intese portare altri esempi di come l’uomo era arrivato alla rovina in cui si trovava. Commentò ciò che l’enciclica di Pio XII diceva a proposito della consacrazione del genere umano al Sacro Cuore, proclamata da Leone XIII nel 1899, utilizzandola come un’occasione per 20 funzioni di culto e il trattamento inumano a cui erano sottoposti i polacchi. + seguiva un elenco di deportazioni inumane con indicazione precisa di date e città e numero di persone deportate. Il 24 e 26 gennaio andarono in onda una trasmissione francese e una in spagnolo per l’America Latina con gli stessi contenuti. L’emissione diretta alla spagna fu completamente disturbata e per la prima volta RV veniva disturbata. Ma nella trasmissione in inglese per il Nord America il locutore incaricato, forse padre Coffey, aggiunse particolari inediti sulle persecuzioni. Il testo fu pubblicato nel “New York Times” e nel “Times” di Londra. L’aspetto interessante, oltre il dire che le persecuzioni erano peggiori di quelle comuniste, fu il paragone tra le barbarie commesse dai tedeschi contro i polacchi e le persecuzioni contro gli ebrei. Il testo inglese del 21-22 gennaio fu rilanciato moltissimo. Dopo le trasmissioni sulla situazione in Polonia, e la loro diffusione nel mondo anglosassone, il consigliere dell’ambasciata di Germania presso la Santa Sede, Menshausen, portò le rimostranze del suo governo presso la Segreteria di Stato per le trasmissioni di RV. Chiese a monsignor Montini che si evitassero trasmissioni che avrebbero potuto avere ripercussioni negative sulla Germania, ma lui rispose che “RV, sebbene attinga qualche informazione dalla Segreteria di Stato, non dipende e non è controllata dalla medesima, la quale ha conosciuto il testo della radiotrasmissione dopo l’accaduto”.  è vero che probabilmente la Segreteria non fosse a conoscenza del testo letto, ma sappiamo che era stato proprio il papa a dare l’ordine di parlare della Polonia. Nel rimettere i testi delle emissioni a Montini, padre Soccorsi dice che la radio inglese li aveva più volte citati ma aggiungendo cose che loro non avevano detto. Il dubbio verte soprattutto sul riferimento agli ebrei che compare solo nella versione inglese e ci fa capire che le trasmissioni in inglese di RV, dirette soprattutto al Nord America, erano più audaci. È certo che qualche mese più tardi anche nelle trasmissioni in italiano viene denunciata la deportazione di polacchi, ucraini ed ebrei. Dopo le proteste dell’ambasciata tedesca, prima il segretario di Stato il cardinal Maglione, e subito dopo il papa diedero ordine a RV di sospendere le trasmissioni sulle condizioni della Polonia. Forse per questo padre Coffey cercò di ribadire l’estraneità della Santa Sede dicendo che “la Santa Sede condanna le ingiustizie in guerra da entrambe le parti e non sarebbe giusto attribuire preferenze politiche al Vaticano che deve rimanere imparziale”. Successivamente in due identiche trasmissioni, in tedesco e in italiano, vennero comparati gli intenti della politica sovietica con quella nazionalsocialista. Lo scopo dell’alleanza russo-tedesca era di combattere ogni ideologia cristiana. L’opposizione sovietica contro la religione sarà ispirata dalla teoria marxista, mentre l’opposizione tedesca si basa sulla teoria razzistica. + Germania e Russia erano giunte ad accordarsi nel coordinamento della loro azione nella questione giudaica. Scorrendo i contenuti delle trasmissioni in altre lingue non si può non notare che le informazioni riguardanti la Polonia vertevano solo su quelle provenienti dalla zona russa: tutte erano riferite alla zona governata dai sovietici, eppure le persecuzioni da parte dei tedeschi non erano di minore intensità. 21 Le altre stazioni radio e la stampa internazionale prendevano le informazioni sulla creazione dei ghetti e sulla deportazione degli ebrei da RV, ma questa taceva l’estensione delle leggi di Norimberga (del 15 settembre 1935) a tutte le nuove conquiste del Reich e in generale la vera entità delle misure restrittive. Allo stesso tempo però non mancavano trasmissioni, soprattutto in tedesco e polacco, che denunciavano la persecuzione della Chiesa cattolica in Germania.  ci si deve dunque chiedere perché il papa demandò a RV il compito di denunciare la situazione della Chiesa nella Polonia occupata dai tedeschi e perché diede ordine di sospendere tali trasmissioni subito dopo le rimostranze del rappresentante del Reich, mentre poterono invece continuare quelle sulla situazione della Chiesa in Germania. Pio XII si era rifiutato fino a quel momento di parlare in modo chiaro e ufficiale dell’occupazione polacca da parte della Germania (delle vessazioni di cui era vittima la popolazione e le difficoltà del clero di esercitare le funzioni pastorali nelle rispettive diocesi). Non potendo sperare nelle prediche dell’episcopato tedesco direttamente dal pulpito contro il regime, scelse un mezzo più fluido. Si decise di non usare “L’Osservare Romano” perché troppo riconosciuto come organo ufficiale per gli atti della Santa Sede, anche se non era così. Inoltre l’OR aveva già pubblicato articoli sul trasferimento di ebrei senza però definirla una “deportazione”. Si decise di utilizzare RV perché aveva una capacità di penetrazione maggiore e durava solo il tempo della messa in onda. Pio XII non si aspettava che la trasmissione, che doveva essere solo in tedesco secondo il suo ordine, fosse ripresa dalla stampa nelle varie traduzioni, fino oltre oceano, e provocasse le lamentele del governo tedesco, portate da un diplomatico alla Segreteria di Stato. In ultima analisi è possibile sostenere che Pacelli e il suo entourage cominciassero ad accorgersi del livello di incisività della RV solo in questi mesi di guerra. Nel corso del 1940 dovette prendere coscienza che RV non era solo ascoltata ma anche monitorata dai governi degli opposti schieramenti e utilizzata dalle opposte propagande. + a partire dalle trasmissioni del gennaio 1940 presso il Ministero degli Affari Esteri del Terzo Reich si cominciarono a riconoscere le potenzialità di RV e l’importanza di monitorarla.  L’avevano capito molto prima gli inglesi, che prendevano notizie che difficilmente avrebbero potuto acquisire altrimenti. Il Sonderdienst Seehaus cominciò a monitorare sistematicamente RV solo alla fine del 1940, dopo che il Reichssender Stuttgart Sonderdienst Landhaus – il servizio di monitoraggio con base a Stoccarda, più modesto di quello costituito in seguito nel Wannsee – intercettando le emissioni per l’estero della BBC si rese conto di quanto il network britannico riprendesse proprio le trasmissioni di RV. Ne è un primo esempio la diffusione del messaggio sulla situazione nella Polonia occupata dai tedeschi, promossa dalla BBC, che lo ritrasmise tredici volte in due giorni, dal 22 al 24 gennaio, in inglese, tedesco, ceco e polacco. Sulla base di queste intercettazioni il ministero degli Esteri diede ordine all’ambasciatore von Bergen di chiedere spiegazioni alla Segreteria di Stato di Pio XII. Sulle trasmissioni che denunciavano invece la situazione della Chiesa in Germania, è lo stesso papa che in una lettera dell’aprile 1940 al vescovo di Berlino Konrad von Preysing spiega il motivo per cui aveva ritenuto necessaria la loro messa in onda: “ sia perché un silenzio completo della Santa sede avrebbe potuto far perdere coraggio ai cattolici tedeschi, sia perché altrimenti fuori dalla Germania si poteva pensare che la situazione della Chiesa fosse normale o migliorata”. 22 Ma erano arrivati appelli di aiuto da parte dei vescovi, per le rappresaglie degli avversari a causa delle notizie date da RV. Il 24 febbraio 1940 infatti, anche il nunzio Cesare Orsenigo aveva comunicato alla Santa Sede che il governo tedesco si era lamentato per le emissioni di RV. Per questo motivo, proseguiva il pontefice nella lettera a von Preysing, aveva dato ordine di sospendere queste trasmissioni “fino a che non avremmo potuto valutare con sicurezza i pro e i contro”. Chiedeva dunque al prelato tedesco la sua opinione su questa delicata questione. Von Preysing gli rispose il 1° maggio: “La Santa Sede non può rinunciare a portare a conoscenza del pubblico mondiale i fatti religiosi, anche quelli che accadono in Germania”.  Seguendo il consiglio del vescovo di Berlino le trasmissioni proseguirono. Pio XII dunque, attraverso alcuni passi compiuti ora attraverso i mezzi di comunicazione ora mediante diplomatici, stava cercando di capire in che modo la Santa Sede potesse mantenere la sua imparzialità senza rinunciare alla difesa dei diritti dei cattolici. 4. Una diversa valutazione della guerra nelle trasmissioni in inglese Le ragioni dell’imparzialità della Santa Sede di fronte alla guerra sono: - La volontà di evitare mali peggiori - di diventare preda delle opposte propagande - e la paura dell’eventuale inasprimento delle persecuzioni della Chiesa in Germania. RV fino allo scoppio delle ostilità, sembrò riflettere la posizione di Pio XII sul conflitto in corso, evocando il ritorno ai principi cristiani e alle linee guida fornite dalla Chiesa per il ristabilimento della pace. Nonostante i soprusi e le violenze non si fossero fermati in Germania e anzi si fossero estesi ai territori occupati dai tedeschi con un inasprimento che convinse il pontefice a una denuncia esplicita tramite i microfoni di RV, l’imparzialità verso i contendenti venne lodata nuovamente in una trasmissione in italiano di padre Pellegrino nel febbraio 1940: parlava dell’imparzialità politica della Santa Sede perché in quanto cristiana, ovvero non italiana, tedesca o francese, poteva garantire la tutela della pace e la collaborazione dei popoli. Questa imparzialità però non doveva essere intesa come neutralità morale tra il bene e il male, il diritto e l’ingiustizia. Però padre Pellegrino non si spinse a chiarire che cosa questo comportasse in termini pratici rispetto alle scelte della Santa Sede. Tuttavia c’è almeno un caso in cui la posizione del pontefice sulla guerra e quella di RV non collimano. In seguito all’invasione tedesca di Belgio, Olanda e Lussemburgo, Pio XII inviò 3 telegrammi di solidarietà ai rispettivi sovrani, che furono pubblicati su “L’Osservatore romano”, il quale per questo fu costretto a diminuire le tirature e a sospendere la pubblicazione dei comunicati di guerra dei belligeranti. 13 maggio 1940, nel corso dell’udienza concessa all’ambasciatore italiano Dino Alfieri, dopo che questi aveva portato le rimostranze di Mussolini per l’iniziativa che gli era sembrata una mossa contro la sua politica, Pio XII aveva: - sottolineato che i messaggi non contenevano parole offensive contro la Germania - e anzi chiedeva all’ambasciatore di fare da intermediario e inviare a Hitler e a von Ribbentrop un messaggio che manifestasse la sua disponibilità ad un accordo sulla situazione religiosa tedesca. Il papa voleva evitare qualsiasi rottura col Reich. 25 20 giugno  la radio francese trasmette il discorso del vescovo di Bordeaux, monsignor Feltin, e il secondo appello ai francesi di Pétain, con il quale informa il popolo che aveva chiesto agli avversari di porre fine alle ostilità. Il discorso di Feltin riportava un’invocazione alla Madonna di Lourdes. Il discorso dell’arcivescovo venne pubblicato in Francia da diversi giornali. “L’osservatore romano” il 21 giugno scrisse sulla situazione francese e scrisse che il Presidente del Consiglio, il Maresciallo Pétain, aveva invitato tutti i francesi a chiedere alla Madonna di Lourdes aiuto. In realtà Pétain non aveva fatto nessun riferimento a Lourdes. L’errata informazione fu ripresa dallo speaker inglese di RV per le trasmissioni verso il Nord America e le Filippine. Lo speaker anglofono riprese la notizia da “L’Osservatore romano”, una pratica abituale di RV, mentre sembra non essercene traccia in nessun giornale francese. Può essersi trattato di uno scambio accidentale di nomi dati del giornalista incaricato della rubrica: l’articolo verteva principalmente sull’attività di quelle ore dei ministri a Bordeaux, e stando al diario di d’Ormesson, i discorsi di Feltin vennero radiodiffusi insieme. Dalle ricerche condotte non si è riusciti a risalire a discorsi pubblici nei quali Pétain si fosse rivolto a Lourdes per chiedere intercessione per la Francia e i francesi. In ogni caso se anche ciò fosse avvenuto, la stampa cattolica francese non sembra aver dato peso al fatto. La sostituzione del vescovo con il maresciallo da parte del giornale vaticano, perpetuata in seguito da RV, potrebbe essere letta come una sorta di inconscia sovrapposizione in giorni nei quali si stava profilando in Francia un rovesciamento politico e ideologico che, fin dalle prime battute di Pétain, sembrava volgere a favore della Chiesa francese. Pétain acquisirà di lì a poco l’epiteto di homme providentiel, colui cioè che sarebbe stato capace di riunire la nazione sulla base di principi cattolici, dai quali la Francia si era allontanata durante la Terza Repubblica. Per quanto riguarda l’appello ai popoli belligeranti del 28 luglio 1915, richiamato nella trasmissione in inglese di RV del 25 giugno 1940, Benedetto XV in quella circostanza aveva detto: “Depongasi il mutuo proposito di distruzione: riflettasi che le Nazioni non muoiono”. I cattolici nazionalisti, a qualsiasi nazione appartenessero, lessero nell’allocuzione una benedizione delle loro idee. Fu però con quelle stesse parole che il papa ammise l’impossibilità di governare la contrapposizione che divideva le Chiese nazionali nelle circostanze di un conflitto mondiale. Nell’economia del discorso dello speaker di RV, invece, la frase “Le nazioni, le nazioni cattoliche soprattutto, non muoiono” serviva a rilanciare l’idea di una nazione cattolica francese che, nonostante la recente sconfitta, poteva ritrovare proprio nella cattolicità il motore per la ricostruzione. L’avrebbe ribadito qualche giorno più tardi in un’altra trasmissione per le Filippine: “La Francia non cristiana è destinata a passare [...] Ma la vera Francia – la Francia dei grandi santi – [...] non morirà mai”. Il 16 luglio, questa volta in una trasmissione verso l’India e Ceylon, il locatore inglese avrebbe avvalorato il motto “La Francia cristiana non morirà mai, e solo la Francia cristiana”, plaudendo agli sforzi del governo di Pétain di ricostruire il Paese su ideali e principi cristiani. In generale le informazioni sulla Francia in inglese sembravano veicolare il messaggio che soltanto con il ritorno alle direzioni impartire dalla Chiesa cattolica si sarebbe potuto raggiungere la pace. 26 6. Le trasmissioni in francese sul regime di Vichy Le trasmissioni in francese sul regime di Vichy andate in onda nell’estate del 1940 e curate dal padre gesuita belga Emmanuel Mistiaen sono più complesse di quelle rivolte alla Spagna o ai Paesi anglofoni. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Mistiaen andò a risiedere in Vaticano dove conobbe d’Ormesson. L’ambasciatore scrisse sul suo diario che padre Mistiaen era il suo unico punto di riferimento in Vaticano e che le sue conferenze alla radio, tenute due volte a settimana, erano sempre eccellenti perché aggiungeva sempre coraggiose e dirette allusioni. Il coraggio di padre Mistiaen aveva impressionato molto l’ambasciatore francese tanto che ne scrisse nel rapporto di congedo al ministro degli Esteri Paul Baudoin, definendo padre Mistiaen “francofilo”. L’ambasciatore francese non fu l’unico a considerare eccezionali le conversazioni radiofoniche di padre Mistiaen. Anche altri cattolici in Francia le recepirono come messaggi di conforto e speranza in un momento di grave difficoltà per la nazione, tanto da trascriverle e diffonderle clandestinamente. Il primo commento di padre Mistiaen dopo l’armistizio fu teso a ridare forza alla nazione francese travagliata dagli avvenimenti bellici. Nella successiva trasmissione il locutore invitava i suoi ascoltatori a non disperare e a cominciare con pazienza il lavoro di ricostruzione. Le parole che il padre gesuita belga ripeteva erano “fiducia, coraggio, forza, perseverare”. Un riassunto delle trasmissioni di questi giorni venne pubblicato da “Le Figaro” ripreso dal “Tablet”, che assicurò la diffusione anche in ambito anglofono delle parole di Mistiaen.  si metteva in luce quanto il gesuita aveva sostenuto a proposito del sentimento patriottico, che doveva superare i confini politici e razziali, fondarsi sull’amore del passato e della terra e non sulla sopraffazione di una razza su un’altra. Sul tema del patriottismo Mistiaen tornò in seguito, senza allusioni specifiche al nuovo regime, mentre il primo e unico riferimento esplicito a Pétain fu fatto nella trasmissione del 6 luglio.  Mistiaen mise in luce il compito che gravava su Pétain, il quale, con l’eroismo che lo contraddistingueva, si era preso la responsabilità di un terribile armistizio e dell’occupazione tedesca della parte più ricca della Francia. Non si sbilanciò in un supporto esplicito a Pétain ma cercò di infondere fiducia ai francesi e disse loro di credere nel disegno di Dio. Sulla figura del “capo” il locutore francese tornò successivamente, senza nominare il maresciallo. Un personaggio storico spesso nominato da Mistiaen nelle sue trasmissioni era Goffredo di Buglione: il conte che guidò la prima crociata era assunto ad esempio di buon capo.  il gesuita non esprimeva un giudizio politico sulla situazione attuale della Francia ma indicava un esempio da seguire per i reggitori dello Stato francese. Infatti, il filo rosso che sembra accomunare le trasmissioni francesi nei primi mesi di regime è il legame tra patriottismo e cristianesimo. Se è vero che il ritorno alla “Francia nazione cattolica” era stato l’auspicio espresso anche dagli altri locutori di RV, lo stile adottato da Mistiaen sembra molto meno trionfalistico, più vicino alla predica che alla propaganda radiofonica. 27 Nel tentativo di esortare i francesi a “ricominciare”, il gesuita belga ricordava che “in una patria ben fatta, il cristianesimo vivrà per sempre”. Dopo aver “restaurato in noi l’uomo cristiano”. La libertà cristiana, già evocata in una precedente trasmissione, e ripresa anche successivamente, era il punto di approdo cui Dio avrebbe dovuto condurre la patria. Nella trasmissione del 27 luglio Mistiaen spiegò quale doveva essere la strada da percorrere per ricostruire la fede e la patria. Innanzitutto bisognava partire dall’uomo libero che può edificare la patria. Il cristianesimo forniva la cifra del vero patriottismo e per risollevarsi la Francia doveva guardare al suo passato cristiano e proseguire con una considerazione rispettosa dei precetti cristiani. Nei mesi di agosto e settembre Mistiaen alternò due tipi di trasmissioni: uno di carattere più esortativo, caratterizzato da contenuti più speculativi, per infondere forza agli ascoltatori francesi, e l’altro con riferimenti più concreti, anche se solo in alcuni casi puntuali, alla situazione presente.  Una delle più esplicite a questo riguardo fu quella del 21 agosto: Mistiaen nominò per la prima volta “l’occupante”, “lo straniero” attraverso le parole di Léon Gambetta pronunciate in un momento altrettanto grave della storia di Francia, quello successivo alla sconfitta contro la Prussia nella battaglia di Sedan. Egli cercava di offrire una soluzione per sopportare l’immane difficoltà dell’occupazione e per sopprimere il desiderio di vendetta impraticabile. La Radiodiffusion nationale non era certamente ancora entrata a regime. L’armistizio aveva imposto la cessazione delle emissioni radio e, sebbene Vichy avesse ottenuto rapidamente l’uso delle stazioni nella zona sud, la riorganizzazione della radiodiffusione di Stato in senso antiliberale avvenne lentamente e subì un rilancio solo tra il 1941 e il 1942. La Propaganda Abteilung invece, creata il 18 luglio 1940 e i cui uffici centrali furono stabiliti a partire da dicembre all’Hotel Majestic di Parigi, aveva messo al suo servizio tre radio di Stato e due private conosciute con la sigla Radio Paris, che nei quattro anni di occupazione divennero il principale strumento di propaganda tedesca. Era forse da attribuire a Radio Paris il riferimento fatto da Mistiaen alla radio che “gracchia e grugnisce”. Del resto anche verso la fine della trasmissione il locutore sembra alludere nuovamente a coloro che si trovano a vivere nella zona occupata. A partire dal mese di settembre le accuse alla propaganda nazionalsocialista di attaccare la Chiesa cattolica si fecero sempre più frequenti. In una maniera ancora piuttosto velata, il 18 settembre il gesuita denunciava che “un certo numero di popoli cristiani”, di fede profonda e intangibile, era stato privato dei leader intellettuali attraverso i procedimenti più violenti, per annientarli, per fare in modo che la verità venisse alterata per mancanza di un supporto intellettuale, per mezzo di una “propaganda diabolica”. Ma da una accusa forte e tuttavia poco precisa quanto alla identificazione dei destinatari, Mistiaen passò a citare ed ad attaccare Radio Paris per la sua propaganda anticlericale. La radio parigina, posta sotto la tutela tedesca, aveva mandato in onda una trasmissione in cui si scagliava energicamente contro l’abrogazione della legge del 1904 e contro il governo di Vichy, per quanto riguardava il suo avvicinamento alla Chiesa cattolica. A quanto pare il giornalista di Radio Paris ironizzava sulle manifestazioni di fermento religioso in Francia al punto da chiedersi se Vichy aspirasse a diventare un governo teocratico. Egli pretendeva, continuava Mistiaen, di suggerire ai buoni cattolici che era meglio se la Chiesa non si fosse immischiata nelle faccende politiche. Il 30 La vicenda riguardante la trasmissione del 15 ottobre trovò il suo epilogo a fine mese: in un colloquio tra Tardini e padre Soccorsi fu spiegato che le frasi incriminate erano autentiche, ma non appartenevano alla trasmissione del 15 ottobre in inglese per l’Europa ma a quella del 17 ottobre per gli Stati Uniti. Il giorno dopo Tardini scrisse a Menshausen per chiarire e gli fece portare il testo. Il gesuita incaricato McCormick aveva aggiunto dei commenti al testo. Ormai ogni volta che RV trasmetteva qualche notizia sulla situazione religiosa in Germania o nei territori occupati dai tedeschi ci si aspettava una reazione da parte dell’ambasciata. Negli stessi giorni il generale dei gesuiti Ledòchowski aveva riferito a Tardini che RV aveva risposto al giornale spagnolo “Ya” smentendo alcune notizie che aveva riportato: - che dopo la Conferenza annuale di Fulda la gerarchia cattolica aveva ordinato preghiere per il Fuhrer; - che i giornali cattolici erano riapparsi in Germania e potevano liberamente parlare di religione, politica e economia; - che i vescovi tedeschi avevano protestato per la distruzione delle Chiese da parte della RAF, e che stavano organizzando un viaggio a Roma nella speranza di un riavvicinamento tra papato e regime nazista; - che anche nella Polonia occupata stava rifiorendo il cattolicesimo. - Tuttavia Ledòchowski disse a Tardini: “che prevede una levata di scudi. Inoltre che non c’è altro mezzo di difesa che la radio + che i nazisti hanno paura della verità più che del cannone + che anche se la trasmissione è disturbata in una nazione, nelle altre si sente”. In un successivo colloqui tra Ledòchowski e Menshausen si cerca di stabilire nuove norme e di far rispettare con maggior rigore quelle che l’emittente si era già detta.  dal resoconto dell’incontro si evinse che: - sotto lo stretto controllo di Ledòchowski si volevano sfruttare le trasmissioni in spagnolo e portoghese per le notizie riguardanti la situazione religiosa in Germania e nei territori da essi occupati perché attraverso la ricezione in America Latina sarebbero state diffuse negli Stati Uniti e nelle altre nazioni. - Invitando invece ad essere più cauti per le trasmissioni in inglese. - Ledòchowski aveva ricevuto direttive per le trasmissioni in lingua spagnola e portoghese: ci si doveva limitare a riferire i fatti senza commenti e la messa in onda doveva avvenire solo dopo che lui aveva ricevuto il testo. A questo si era sempre attenuto anche se per le trasmissioni in inglese aveva lasciato più liberi i padri incaricati. Per le trasmissioni quindi ci si doveva attenere al testo spagnolo + per le trasmissioni in inglese solo con argomenti senza aggiungere quelli scottanti: queste erano le norme. Ma l’incidente sulla trasmissione in inglese su Alsazia e Lorena aveva avuto altre conseguenze. Nel documento in cui Tardini chiariva l’equivoco del 17 ottobre, egli aveva annotato che quello stesso giorno padre Soccorsi aveva ricevuto ordine prima da Maglione e poi da Pio XII di “limitarsi ai fatti veramente accertati senza commenti nelle trasmissioni”. Da una lettera di Ledòchowski al segretario di Stato si comprende che prima la situazione era più drastica ossia una riduzione del numero delle trasmissioni di RV ma a questa soluzione Ledòchowski aveva risposto difendendo il 31 lavoro dell’emittente e rassicurando che in futuro avrebbero fatto maggiore attenzione. La drastica decisione era stata presa da Pio XII in seguito alle continue lamentele dell’ambasciata tedesca nel corso del 1940. Nonostante l’ulteriore controllo della Segreteria di Stato le lamentele non si erano arrestate e infatti il nunzio Orsenigo il 19 ottobre aveva inviato un messaggio alla Santa Sede che metteva in evidenza il fatto che il governo tedesco realizzava il monitoraggio di RV. A seguito di ciò il papa aveva optato per la riduzione delle trasmissioni. Allo stesso tempo però Ledòchowski aveva scritto a Maglione evidenziando che il papa conosceva l’importanza delle trasmissioni in spagnolo per la diffusione delle notizie e dell’orientamento del Vaticano. Ledòchowski era stato convincente tanto che si decise di continuare purché le trasmissioni fossero ben riviste. Ma pochi giorni dopo Menshausen portò un nuovo reclamo per una trasmissione di RV contro Hitler andata in onda il 6 ottobre, contenente una critica a una lettera pastorale di monsignor Rarkowski nella quale il vescovo tedesco aveva difeso il governo nazista dall’accusa di essere il solo responsabile della guerra. Della questione si interessò anche il papa, perché sembra che le parole suonassero davvero fortemente critiche verso il Terzo Reich. Dai controlli fatti da Tardini però, il testo incriminato non si trovava: esisteva dunque una pseudo RV, una stazione radio clandestina, sulla quale Tardini invitava Menshausen a far luce, perché era chiaro che voleva “turbare le relazioni tra la Santa Sede e il Governo tedesco”. Ad ogni modo, scrisse Tardivi a Ledòchowski, l’importante era che RV “continuasse serenamente le sue trasmissioni: limitarsi ai fatti accertati e lasciar da parte frasi troppo forti, ma parlare. Tacere sarebbe venir meno ad un dovere verso la verità e l’onestà”. I documenti ad oggi disponibili attestano posizioni lievemente diverse tra i protagonisti di questo confronto su RV. Da una parte Ledóchowski e Soccorsi, che difendevano il lavoro dei padri incaricati e sottolineavano l’importanza che le trasmissioni proseguissero, per l’estrema capacità di diffusione delle notizie che la radio possedeva; dall’altra Maglione e Montini con atteggiamenti più neutrali; Tardini ancora poco fiducioso, con qualche slancio in cui ne riconosceva l’utilità. In un colloquio successivo con Menshausen, Tardini avrebbe detto: “io non ascolto RV (me ne guardo e me ne guarderò sempre)”. Il papa a sua volta tentennava, indizio che ancora alla fine del 1940 non si aveva una strategia chiara su come utilizzare RV. Fu l’ennesimo reclamo da parte dell’ambasciata tedesca a far decidere per la sospensione delle trasmissioni sulla situazione religiosa del Terzo Reich. Il 3 aprile 1941 Menshausen si recò da Tardini con una segnalazione del suo governo circa la replica in tedesco, da parte della BBC, di una trasmissione in francese del 30 marzo di RV. Il locutore francofono era padre Mistiaen. Dopo la protesta di Menshausen per la trasmissione del 30 marzo, il generale Ledóchowski ebbe un’udienza con il segretario di Stato, in seguito alla quale si vide costretto a radunare i padri incaricati per comunicare loro che nelle trasmissioni non si facciano accenni alla persecuzione della Chiesa in Germania come aveva ordinato il papa. A quest’ordine RV si stava già attenendo da due giorni, e la notizia di qualche cambiamento in atto era già arrivata alle agenzie di stampa. “La Corrispondenza” del 23 aprile scriveva infatti che erano stati attuati “opportuni provvedimenti atti ad impedire che alcune trasmissioni di RV, per la troppa libertà lasciata a qualche oratore, contrastino con l’assoluto riserbo che, in materia politica, il Vaticano giustamente si era imposto e dal quale non intendeva uscire”. Ma il papa aveva anche espresso “l’augusto desiderio che le trasmissioni, per quanto era possibile, si riducessero”, e per questo motivo Ledòchowski aveva 32 cercato di convincere Maglione a non ridurre il numero di trasmissioni, ma una nota di Maglione apposta sulla lettera di Ledóchowski permette di conoscere la soluzione adottata: “Germania in nessun modo nessuna notizia fino a nuovo ordine”. 2. La reazione dei governi europei alla censura vaticana Nel corso del mese di maggio gli ambasciatori presso la Santa Sede di Polonia, Germania e Inghilterra, e i rispettivi governi, erano venuti a sapere che “le autorità superiori avevano ordinato a RV di non parlare della Germania”. Il segretario di Stato aveva negato e Tardini si chiedeva se la diffusione di questa notizia avrebbe giovato alla Santa Sede. Il maggior rammarico venne dal governo inglese  il delegato apostolico a Londra, William Godfrey, dapprima inviò un telegramma a Maglione che gli rispose che “non c’è stato alcun accordo su RV tra Santa Sede e potenze dell’Asse. + sostiene che la Santa Sede voleva continuare con la sua politica di indipendenza e di imparzialità”. Poi scrive una lettera a Maglione in cui spiega che il Foreign Office si lamentava che “dopo il 26 aprile RV era rimasta silenziosa riguardo alla persecuzione della religione in Germania ed in alcune zone occupate dai tedeschi”, tanto che la BBC fino ad allora aveva ritrasmesso regolarmente le radiodiffusioni di RV. Tuttavia pochi giorni dopo il ministro Osborne, consegnò a Pio XII un memorandum da parte del suo governo per protestare contro l’interruzione delle trasmissioni di RV sulla Germania  “è spiacevole che il Vaticano abbia deciso di cedere a questa pressione da parte delle autorità tedesche”. Essendo noto che i principi del cristianesimo erano incompatibili con l’ideologia nazionalsocialista era difficile comprendere come avesse potuto il Vaticano fare un passo per promuovere le ambizioni di Hitler. “Non c’è dubbio che con l’aiuto degli Stati Uniti la causa degli Alleati prevarrà e l’ideale cristiano trionferà sulla brutalità pagana”. Il papa rispondeva alle proteste inglesi continuando a dire che non c’erano accordi con l’Asse ma le rappresaglie contro i cattolici e i religiosi da parte del governo tedesco, a causa delle trasmissioni di RV, non potevano essere ignorate dalla Santa Sede. Le minacce infatti si erano fatte sempre più esplicite. Il 10 maggio il Ministero degli Affari Esteri tedesco aveva invitato alla propria ambasciata presso la Santa Sede istruzioni che furono trasmesse il 26 maggio da Menshausen in Vaticano: si legge che nonostante le rimostranze le trasmissioni di RV continuavano ad essere usate dalla propaganda nemica e quindi, per ragioni di sicurezza, il governo tedesco si era visto costretto a intervenire contro la Chiesa cattolica nei territori del Reich. Se RV non avesse smesso la propaganda contro la Germania, la Chiesa ne avrebbe risentito. Ma la decisione presa da Pio XII portò scompiglio e preoccupazione in altri ministeri del governo inglese. Fin dall’inizio del 1941 il capo dell’Unità di Intelligence del Press Censorship Bureau, John de la Vallette, in contatto con la BBC, aveva preso accordi affinché le notizie ricavate dal monitoraggio di RV venivano utilizzate e quando vennero sospese le notizie sulla Germania ci fu grande disappunto. A quel punto si pensò di denunciare il silenzio di RV da parte della BBC e della stampa. A tale scopo venne stesa una bozza in cui si asseriva che Mussolini era stato convinto da Hitler a forzare RV a chiudere o a evitare di essere critica verso le misure anticristiane tedesche in favore del paganesimo nazista. Queste linee guida furono quelle che dettarono la stesura del 35 italiana”. Secondo Attolico, la stampa avrebbe dovuto sottolineare anche uno dei punti centrali del pensiero e dell’ideologia di Pio XII, accennato già nell’omelia del 24 novembre, ovvero la necessità che a tutti gli Stati fossero forniti i mezzi per garantire il sostentamento ai propri cittadini. Inoltre, nell’omelia aveva ribadito quanto detto in settembre in occasione dell’adunata dell’Azione cattolica, e il commento di Attolico fu: “Il Santo Padre ha dunque parlato da Papa in quanto Papa, ma senza che le Sue parole potessero minimamente ledere i legittimi interessi di Cesare”. Il discorso di Natale di Pio XII, invece, non aveva convinto del tutto gli inglesi. Il Foreign Office scrisse a Osborne che l’intervento del papa non meritava un apprezzamento da parte del governo, infatti l’enfasi sul “nuovo ordinamento” sarebbe stato di certo sfruttata dalla propaganda dell’Asse, come di fatto accadde. Si decise dunque di dire una parola di approvazione solo se si fosse stati certi che questa avrebbe stimolato il papa a compiere ulteriori sforzi utili agli inglesi. Una trasmissione in inglese di RV diretta ai cattolici statunitensi fece eco alle parole del pontefice sull’uso legittimo della forza, spiegando che, sebbene la guerra fosse una maledizione, a volte poteva anche essere un dovere. Mandata in onda poco tempo dopo i due discorsi di Roosevelt che lasciavano intendere che gli Stati Uniti non solo non sarebbero rimasti neutrali di fronte al conflitto ma che se necessario avrebbero partecipato attivamente alla guerra, sembrava dare sostegno a questa possibilità. Il testo lo possediamo nel riassunto del Monitoring Service della BBC. L’autore, probabilmente padre McCormick, sosteneva che di fronte all’aggressione di doveva denunciare la violazione del diritto ad opera della nazione nemica perché non farlo corrispondeva a lasciare i tiranni impuniti e condannare l’umanità alla schiavitù: questa denuncia non solo era in accordo coi principi cristiani ma lo stesso spirito cristiano la imponeva. Questo tipo di messaggi diretti al Nord America non era nuovo, infatti l’anno precedente ce n’erano stati simili dai contenuti meno prudenti rispetto alle posizioni ufficiali della Santa Sede. Le trasmissioni in inglese per il continente americano continuarono, fino ad aprile, a condannare il nazionalsocialismo. In quella del 7 febbraio veniva data lettura di alcuni passaggi di una lettera pastorale dell’episcopato olandese, che proibiva ai cattolici l’appartenenza all’NSB, il partito nazionalsocialista olandese. Fu ritrasmessa il 26 marzo in spagnolo e il 25 aprile in tedesco pochi giorni prima dell’ordine di Pio XII di non parlare più della Germania, e ripresa dal “Tablet” il 3 maggio:  (Si deve constatare che il movimento nazionalsocialista non solo mette a rischio la Chiesa nel libero esercizi della sua missione, ma costituisce anche un pericolo per tutti coloro che appartengono a questo movimento perché impedisce loro di adempie ai loro doveri cristiani.) Qualche giorno dopo vennero richiamate le encicliche di Pio XI che condannavano le “influenze insidiose, atee e decristianizzanti” in Messico, Russia e Germania. Ma a testi più politicamente esposti si alternavano letture vicine alla gerarchia vaticana. A partire da metà febbraio una serie di trasmissioni, pur continuando a denunciare i soprusi dei tedeschi, affrontarono con una certa frequenza il tema della neutralità della Santa Sede, dando sostegno alla posizione del papa. La Chiesa non poteva scegliere quale tipo di ordinamento politico fosse migliore e il papa non poteva prendere le parti di alcun contendente, perché era padre comune di tutti gli uomini. A supporto di questa tesi, in un’altra trasmissione venivano diffuse le parole del vescovo di Losanna- Ginevra-Friburgo, Marius Besson, che sosteneva che la Chiesa non poteva lasciarsi coinvolgere dai problemi politici dei vari Stati, non poteva essere vincolata da alcuna speciale forma di governo, ma lasciava invece liberi i popoli di scegliere quella che rispettasse meglio la legge di Dio. In politica la 36 Chiesa aveva dovere di obbedire alla legge morale, di rispettare le tradizioni, le istituzioni e le autorità civili del Paese, e di cooperare con quelle militari.  Nella stessa trasmissione si dava anche una notizia, tratta da “L’Osservatore Romano”, che a causa delle misure prese in Germania e nei territori occupati, anche recentemente, contro i vari ordini religiosi e le istituzioni, erano state oppresse dieci abbazie benedettine ed evacuate altre sei. Lo stesso accadde in un’altra trasmissione verso il Nord America. Prima venivano elencate tutta una serie di affermazioni dei ministri del lavoro e del culto del Reich: non era desiderabile che gli abili al lavoro entrassero negli ordini religiosi o nei conventi; non era più possibile lasciare il lavoro per entrare a far parte di Congregazioni religiose; le autorità tedesche avevano il potere di assegnare a chiunque qualsiasi tipo di lavoro, agricolo o industriale. Immediatamente dopo però, la stessa trasmissione diffondeva l’omelia pronunciata dal cardinale Faulhaber, in occasione dell’anniversario dell’incoronazione di Pio XII, sulla neutralità della Santa Sede. Sulla base dei cinque punti elencati dai papa nel discorso di Natale del 1940 e della sua preoccupazione espressa a più riprese per i prigionieri di guerra tedeschi si affermava che: “il papa è imparziale ma non può essere neutro nel senso di indifferente a discernere il giusto dall’ingiusto”. L’omelia era ritenuta di così grande importanza al punto che nella trasmissione dell’11 aprile venne letto l’articolo di commento pubblicato qualche giorno prima da “L’Osservatore romano”. Da queste trasmissioni si mette in luce la posizione della Santa Sede. In primo piano la preoccupazione per la persecuzione della Chiesa nei territori occupati dai tedeschi; alcune addirittura sembravano dar voce all’auspicio che gli Stati Uniti potessero assumere un ruolo più attivo nel conflitto; rimaneva comunque chiaro che il papa non si sarebbe mai sbilanciato ad appoggiare alcun contendente, secondo la tradizionale distinzione tra l’imparzialità in campo politico e l’impossibilità di rimanere neutrale di fronte al destino dell’umanità. Ci furono dunque diversi elementi che concorsero a delineare la scelta dei testi da mandare in onda verso il Nord America. Il primo si può identificare nella figura del gesuita responsabile per le trasmissioni in inglese padre McCormick. La sua posizione e la sua nazionalità gli permettevano di essere in collegamento sia con gli ambienti romani e curiali, sia con quelli diplomatici statunitensi: grazie al suo ruolo a RV, e in quanto rettore della Gregoriana e assistente della provincia dell’America del Nord della Compagnia di Gesù, era a stretto contatto con tutti i gesuiti di primo piano; in quanto anglofono e statunitense traduceva i discorsi di Pio XII e teneva strette relazioni sia con Taylor sia con Tittmann, chargé d’affaire durante l’assenza da Roma del rappresentante di Roosevelt. Durante la guerra lavorò per raccogliere e diffondere documenti che attestassero l’opposizione della Chiesa al nazionalsocialismo: dal suo diario emerge che dal 1942 gli sarebbe risultato sempre più difficile giustificare la neutralità della Santa Sede. In una lettera di risposta a Taylor del marzo 1940, che gli chiedeva come avrebbe potuto Roosevelt evitare che la guerra si allargasse, McCormick aveva scritto che il presidente avrebbe dovuto rendere chiaro al mondo che l’America non avrebbe guardato con indifferenza alla vittoria della Germania e dell’Unione Sovietica, e che sarebbe stato ancora meglio se «tutte le Americhe» si fossero unite a questa dichiarazione. La decisione di trasmettere alla radio testi che in un certo senso sembravano approvare una eventuale entrata in guerra degli Stati Uniti e allo stesso tempo denunciavano i soprusi dei tedeschi sui cattolici, passò probabilmente attraverso di lui. 37 Ma se a queste date i testi da leggere alla radio non erano ancora preselezionati dalla Segreteria di Stato e toccava al generale dei gesuiti, vuol dire che la linea adottata per le trasmissioni verso il Nord America era stabilita o almeno condivida anche da Ledóchowski. Gli indizi che inducono a questa ipotesi sono molteplici. L’opposizione di Ledóchowski al nazionalsocialismo è segnalata al governo fascista già nell’estate del 1939 dall’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Pignatti, che notò come sotto di lui l’ordine dei gesuiti fosse diventato estremamente antinazista. Ne è testimone anche Tittmann, il quale, il 2 maggio 1941, inviò un telegramma al segretario di Stato Cordell Hull, in cui diceva di aver avuto una lunga conversazione con Ledóchowski, che riassumeva in questo modo: “il sangue polacco … naturalmente incrementa la sua ostilità verso i Nazisti ma in generale l’attitudine battagliera dei gesuiti sembra in contrasto con l’atmosfera in Vaticano”. Il gesuita disse che era pronto ad affrontare il martirio per la sua opposizione all’Asse, ma Tittmann cercò di rassicurarlo che gli Stati Uniti erano determinati a concludere con successo la battaglia. Ciononostante Ledóchowski era preoccupato per l’esistenza di una “quinta colonna (un’organizzazione militare che opera clandestinamente all’interno di una nazione per favorire il nemico) ovunque ma specialmente negli Stati Uniti e in America Latina”. Per lui la gerarchia americana “su questo non era libera da colpe” e in particolare il cardinale William O’Connell, arcivescovo di Boston, e John Timothy McNicholas, arcivescovo di Cincinnati, non sembravano rendersi conto che Hitler stava distruggendo la Chiesa. Il clero tedesco e americano “erano altrettanto tiepidi”. Il telegramma di Tittmann conferma l’avversione di Ledóchowski per il nazismo, almeno per quanto riguardava la sua politica persecutoria nei confronti della Chiesa in Polonia, e chiarisce anche la sua difesa di RV davanti alla Segreteria di Stato e al pontefice dall’autunno del 1940 fino all’aprile del 1941. Nel colloquio del 28 ottobre con Tardini e nelle lettere a Maglione aveva ammesso che le trasmissioni in inglese azzardavano denunce più aperte, che i padri incaricati per quelle emissioni erano stati lasciati più liberi, ma che avrebbe provveduto a controllarle maggiormente. Ritrovare ancora nel 1941 testi sulla guerra del tutto simili a quelli dell’anno precedente induce a ritenere che Ledóchowski non ne ostacolò la messa in onda. Il riferimento ai due prelati statunitensi, O’Connell e McNicholas, capifila di quel gruppo di ecclesiastici americani isolazionisti rispetto alla politica che gli Stati Uniti avrebbero dovuto tenere nei riguardi della europea, fa supporre che le trasmissioni di RV avessero uno scopo propagandistico presso i fedeli e soprattutto presso l’episcopato: mostrare la terribile situazione dei cattolici in Germania, ribadire la necessità di neutralità della Santa Sede ma allo stesso tempo incoraggiare gli Stati Uniti a non rimanere inermi. Infatti i cattolici americani non erano compatti nel loro atteggiamento verso la guerra: la maggior parte era schierata contro un eventuale intervento degli Stati Uniti, in parte perché indifferente, ma in parte anche perché simpatizzante per i regimi fascisti. Il fatto che tra aprile e maggio del 1941 O’Connell, McNicholas e monsignor Michael Curley, arcivescovo di Baltimora, si fossero espressi apertamente contro l’intervento in guerra, e l’ambigua posizione tenuta dal National Catholic Welfare Council, indussero Tittmann a scrivere a Hull che “in alcuni ambienti ecclesiastici non vaticani di Roma vigorosamente contrari a Hitler è diffusa l’opinione secondo cui un forte gruppo della gerarchia cattolica degli Stati Uniti non sia sufficientemente convinto che una vittoria nazista significhi la distruzione della religione quanto 40 apostolica romana: si individuava nel legame con Roma la disgrazia della Chiesa slovacca, che in questo modo non aveva potuto sostenere il nazionalismo slovacco al pari delle altre Chiese nazionali dei Paesi slavi-ortodossi, in cui la questione nazionale e la confessione religiosa si sovrapponevano. Nel mostrare come i tedeschi incitavano all’allontanamento dalla comunione con Roma, RV in spagnolo denunciava la politica persecutoria del nazismo nei confronti della Chiesa cattolica in tutti i territori occupati. Un altro intervento di rilievo fu quello del 26 marzo, nel quale venne dato un riassunto della pastorale collettiva dell’episcopato olandese del 13 gennaio 1941, letta anche in inglese per il Nord America, in tedesco e ripresa dal “Tablet”. In spagnolo venne trasmessa la denuncia della lotta contro Cristo: la lettera esponeva quali fossero i principali attacchi di cui la fede soffriva in quel momento; citava le parole dei vescovi olandesi volte a dimostrare come Dio fosse il padre comune e come solo Gesù Cristo potesse salvare tutti senza distinzione. La Chiesa non si interessava di questioni politiche, ma se usa mezzi legali per estendere in terra il regno di Dio o si oppone alle dicerie che minacciano la sua esistenza, allora sta svolgendo un dovere che Dio le ha imposto. Tra fine marzo e inizio aprile venne letto in diverse lingue un sunto della lettera pastorale dell’arcivescovo di Friburgo (Baden-Wurttenberg), monsignor Conrad Grober. Della lettera di Grober veniva ripreso, in spagnolo, che solo chi era cristiano era veramente tedesco, mentre era del tutto taciuta la parte in cui ripeteva la tradizionale accusa agli ebrei di essere i responsabili della morte di Gesù e che la loro maledizione ricadeva tutt’oggi su di loro. Riportando la pastorale RV voleva smentire quanti sostenevano che la religione cattolica in Germania fosse rispettata (Grober infatti dice che in Germania ci sono stati grandi cambiamenti, restrizioni e rovine per l’Azione Cattolica e lo stato delle cose è tanto più doloroso per l’affluenza di principi opposti al cattolicesimo). Ma nelle trasmissioni in spagnolo non ci si limitava a criticare la politica religiosa del regime nazista; esse servivano anche a riproporre i modelli più giusti per le necessità di una società cristiana, che nel caos dell’Europa in guerra era ben rappresentata dalla Spagna franchista. Proprio ai microfoni di RV il papa, nel radiomessaggio del 16 aprile 1939, aveva espresso le sue felicitazioni per la sua vittoria. Durante la guerra civile l’evidente contrasto tra l’impossibilità di praticare il culto cattolico nella Spagna governativa, quando non si traduceva in persecuzione, e il favore accordato alla Chiesa nella Spagna nazionale attirarono verso quest’ultima l’appoggio della Santa Sede, che nel maggio 1938 inviò un nunzio apostolico per riconoscere il governo di Salamanca. Dopo la fine della guerra civile, il ruolo che la Chiesa fu chiamata a giocare nel regime di Franco nell’ambito delle istituzioni, dell’educazione nelle attività quotidiane del popolo spagnolo, nell’influenza sui costumi nel segno del tradizionalismo, non poté non trovare l’approvazione della Santa Sede, che suggellerà la presenza cristiana nella società spagnola con il Concordato del 1953. Durante la guerra le trasmissioni in spagnolo avevano esaltato l’idea di nazione cattolica, auspicandone la realizzazione nella Francia non occupata, e rilevandone gli aspetti positivi in Spagna e in Portogallo. Anche nel corso del 1941, accanto alle numerose denunce della persecuzione della Chiesa cattolica da parte dei tedeschi, i padri spagnoli incaricati non smisero mai di contrapporvi l’ideale condizione di ordinamento interno agli Stati. Il 18 giugno venne data lettura 41 della Convenzione firmata tra la Santa Sede e il governo spagnolo, che regolava la nomina dei vescovi e che prevedeva la stipula di un Concordato per tutte le materie concernenti i rapporti tra Chiesa e Stato. Nel giorno dell’Immacolata Concezione lo speaker spagnolo colse l’occasione per sottolineare che la Spagna aveva ristabilito la Chiesa militante e che altre nazioni l’avrebbero seguita. Gli elogi per la situazione spagnola si alternavano a notizie riguardanti la Francia, il Portogallo o altre nazioni, attraverso le quali era possibile dimostrare che la pace regnava laddove fossero state rispettate le aspettative ecclesiastiche. Venne perciò letto e commentato per intero il discorso di Salazar tenuto di fronte alla nazione in festa per il suo 52° compleanno, nel quale aveva sostenuto che la Chiesa cattolica era l’organizzazione più grande e combattiva del mondo; venne messo in rilievo quanto il governo vichista stava facendo contro la massoneria e a favore delle istituzioni cattoliche; si insistette sul carattere cattolico della Francia, guidata dalla Vergine di Lourdes; si usarono parole di encomio per il Cile “grande nazione cattolica”; si esaltò il tentativo del governo portoghese di “ricristianizzare il Natale” attraverso la sostituzione dell’abete, decorazione natalizia importata dalla Germania, con la scena della natività. I motivi che spinsero Pio XII e i suoi collaboratori a ritenere importante che RV desse, nelle sue trasmissioni verso la Spagna e l’America Latina, notizie riguardanti la situazione della Chiesa nel Terzo Reich appaiono chiari. In una nota del novembre 1940, Tardini, abbozzando alcune considerazioni a proposito di un promemoria inglese sulla propaganda nazionalsocialista: “Sarebbe utile far conoscere la vera e reale situazione religiosa in Germania e nei paesi occupati, perché si sappia che la Chiesa è perseguitata […] sia attraverso la Radio, sia attraverso le rappresentanze pontificie di Spagna, Portogallo, Stati Uniti e America Latina”. Nei paesi neutrali, tra cui appunto la penisola iberica e il Sud America, la propaganda nazionalsocialista era molto diffusa e tendeva soprattutto a favorire la loro entrata in guerra a fianco delle potenze dell’Asse e a sostenere che nei territori del Terzo Reich ci fosse piena libertà religiosa. Il 29 novembre 1940 il cardinal Maglione scrisse al nunzio a Madrid, Gaetano Cicognani, per segnalargli che i giornali “Ya” e “Arriba” avevano usato espressioni di benevolenza verso Hitler e la sua politica. Cicognani rispose che il governo tedesco svolgeva una intensa campagna fra il popolo spagnolo, lasciando però libertà ai cattolici, anche se esige l’osservanza di leggi per il buon ordine e disciplinari. Si dilungava poi a raccontare i dettagli della propaganda tedesca a Madrid, attraverso la stampa e la creazione di un ufficio apposito nella capitale spagnola. I giornalisti che subivano l’influsso tedesco, secondo il nunzio, non erano pochi, anche tra quelli cattolici. Non mancavano inoltre forti pressioni al governo di Franco affinché si schierasse con l’Asse. Lo stesso giorno Maglione aveva preparato un’altra minuta per Cicognani nella quale si lamentava ancora del giornale “Arriba”, che aveva continuato a pubblicare notizie che “fuorviano e falsano l’opinione pubblica”. La propaganda che tentava di instillare nella Spagna franchista i valori del nazionalsocialismo era proseguita dagli anni della guerra civile fino ad allora. RV fu uno dei mezzi utilizzati dalla Santa Sede per scongiurare questo pericolo, assieme alla diffusione di opere che ceravano di informare la popolazione sul reale atteggiamento del Terzo Reich verso la Chiesa. 42 5. Il nemico più pericoloso: nazionalsocialismo o comunismo? L’accostamento tra comunismo e nazionalsocialismo fu compiuto in tempi diversi a vari livelli nella Chiesa: dai papa, dai vescovi, dagli organi di stampa cattolici, da RV, con sfumature sempre diverse a seconda di quanto stesse accadendo in quel momento nel mondo. Prima dell’avvento del Terzo Reich il comunismo era stato condannato a varie riprese dai papi dell’800 dal punto di vista dottrinale; bollato poi dalla stampa cattolica come il male peggiore che potesse abbattersi sulla società moderna, le cui origini erano fatte risalire agli attori del complotto immaginato per cancellare l’influenza della Chiesa cattolica sul consorzio umano (gli ebrei, i protestanti, i massoni); considerato infine l’ispiratore di un pericoloso sistema di governo che dalla Russia tentava di espandersi in Occidente e che andava contenuto con ogni mezzo, dopo che i tentativi intrapresi dalla Santa Sede negli anni 20 per giungere ad un accordo con l’Unione sovietica erano falliti. L’atteggiamento verso l’ideologia nazionalsocialista aveva seguito un percorso contrario a quello del comunismo: fino all’ascesa al potere di Hitler nel 1933 i vescovi tedeschi l’avevano ostacolata, proibendo ai fedeli l’iscrizione alla Nsdap, ma, in seguito alla dichiarazione da parte del nuovo cancelliere del Reich di voler difendere i valori cristiani e combattere il bolscevismo, la Chiesa tedesca e la Santa Sede cercarono un accomodamento. Lo stesso Pio XI pronunciò alcune espressioni di gradimento nei confronti di Hitler per la sua lotta al comunismo. La difficoltà di riconoscere fino in fondo la pericolosità del nazionalsocialismo e la reticenza nel condannarlo erano dovute alla convinzione che fosse possibile una collaborazione con il regime hitleriano, oltre che in chiave anticomunista, anche per la sua dichiarata opposizione alla tradizione liberale democratica. Gli organi di stampa cattolici più vicini alla Santa Sede, “L’Osservatore romano” e “La Civiltà cattolica”, nel corso degli anni 30 avevano da una parte enfatizzato la paura della diffusione del comunismo a livello internazionale, ma dall’altra avevano spesso messo sullo stesso piano bolscevismo e nazionalsocialismo. Fu dopo lo scoppio della guerra di Spagna che la bilancia della pericolosità cominciò a pendere dal lato del primo, considerando il secondo un male minore. Dalle due encicliche del marzo 1937, Mit brennender Sorge e Divini Redemptoris, emerge la differente attitudine del magistero nei confronti dell’ideologia nazionalsocialista e comunista, obiettivi della condanna papale. Mentre la prima enciclica, pacelliana, condannava gli errori dottrinali del nazismo, senza per altro mai nominarlo esplicitamente, lasciando aperta la possibilità di un ravvedimento, la seconda, alla cui stesura parteciparono un gruppo di gesuiti insieme con padre Ledéchowski, ma che godette anche dell’apporto di Pio XI, individuava nel comunismo ateo il principale pericolo per la Chiesa cattolica e con lui nessuna collaborazione era possibile. Con la pubblicazione delle due encicliche la Chiesa prendeva le distanze sia dal nazionalsocialismo sia dal comunismo. Tuttavia dalla seconda metà degli anni 30 il papa aveva cominciato ad allontanarsi dal regime nazista e a paragonarlo, in pubblico e in privato, al comunismo. Nonostante su questo punto Pio XI non avesse trovato supporto nel suo entourage e nei vescovi tedeschi, alcuni membri dell’episcopato italiano giunsero alle medesime conclusioni. Anche parte della stampa diocesana, nei suoi commenti alla Mit brennender Sorge, equiparò l’eresia nazista a quella comunista. Lo 45 RV, che dalla seconda metà di giugno in avanti fu strettamente controllata dalla Segreteria di Stato, rifletté in modo abbastanza contrapposto l’atteggiamento della Santa Sede: nessuno sbilanciamento da una parte o dall’altra, nel senso che non ci fu una presa di posizione netta contro o a favore di uno dei contendenti nella campagna di Russia. I padri incaricati erano probabilmente consapevoli che nel confronto bellico tra Unione Sovietica e Germania, in nessun caso la vittoria di uno dei due avrebbe significato la salvaguardia dei diritti dei cattolici, e quindi che la denuncia dei soprusi dell’uno avrebbe potuto far sembrare che RV spalleggiasse l’altro. Tuttavia, non si può non notare anche che le condanne erano pronunciate in modo più chiaro nei confronti dei comunisti e solo attraverso perifrasi nei riguardi dei nazisti. Ciò rivela la difficoltà in cui i locutori si trovarono tra il prestar fede all’impedimento posto dal pontefice in aprile e la necessità di non far apparire i nazisti come i paladini dell’antibolscevismo e della libertà religiosa. Vediamo qualche esempio. Nel mese di agosto una trasmissione in tedesco e una in spagnolo parlarono della minaccia del comunismo: in quella in tedesco veniva ricordato che il papa invitava a pregare per la “conversione degli atei e dei laicisti”, perché molti studenti venuti dall’est a studiare nelle università europee, una volta qui si erano convinti che il cristianesimo fosse obsoleto, e una volta tornati in patria diventavano i “campioni del comunismo senza Dio”; in quella in spagnolo invece, con riferimento al conflitto in Unione Sovietica, diceva che i preti cattolici, parlando ai popoli dei Paesi in guerra, si rallegravano di sapere che tutti, da buoni cattolici, fossero convinti che i “rossi” dovevano essere puniti da Dio. In ottobre, sempre in una trasmissione diretta alla Germania, si parlò della sopravvivenza dello spirito religioso nella popolazione russa, che, nonostante i tentativi del governo di estirparlo, in realtà non era mai venuto meno. La conversazione si apriva con la citazione di uno scrittore georgiano che descriveva l’attitudine irreligiosa dei popoli in Europa e in America, asserendo che stavano lasciando morire Dio, mentre in Unione Sovietica veniva condotta una vera battaglia contro di lui. Secondo la dottrina promossa dai bolscevichi, stava nascendo un uomo nuovo in Russia, con un unico dovere, quello di servire la patria. Tutti i suoi sentimenti sarebbero stati subordinati a questo scopo. Dopo aver descritto come si era tentato di eliminare il culto religioso, il locatore si chiedeva se alla fine si fosse riusciti a creare una società senza Dio, constatando che la risposta era negativa. L’occupazione delle potenze dell’Asse aveva rivelato quanto il popolo russo fosse in realtà ancora segretamente religioso. La trasmissione si chiudeva riconoscendo che non Nietzsche, che parlava di un Dio morente, ma Dostojevski, che riconobbe che la religione non si poteva eliminare completamente nell’anima dell’essere umano, stava avendo la meglio. Il 5 novembre venne letto in francese, italiano, tedesco, inglese, spagnolo e olandese un articolo de “L’Osservatore romano”, a sua volta tratto dai due articoli di padre Pellegrino sulla propaganda antireligiosa in Unione Sovietica pubblicati ne “La Civiltà Cattolica”. Attraverso la citazione di articoli della “Pravda” e di altri periodici russi come “Antireligioshnik” e “Bezboshnik”, si ribadiva che la libertà religiosa proclamata dalla Costituzione sovietica del 1936 era continuamente sconfessata da nuovi proclami inneggianti all’ateismo. Vennero letti però anche altri articoli de “L’Osservatore romano”, raccolti sotto la rubrica Documentazioni: il primo, dal titolo Il Reich come missione, su un opuscolo che invitava il popolo tedesco a perseverare verso la liberazione dai valori superati del cristianesimo, e il secondo, tratto dal settimanale “Nordland”, organo dei Gottglaubige 46 Deutsche, che riassumeva una specie di catechismo nazionalsocialista dei membri della Deutsche Glaubensbewegung, un’associazione che ripudiava la concezione ebraico-cristiana di Dio basata sulle profezie, sostituendola con una concezione naturalistica. Nei caso di questi articoli riguardanti il Terzo Reich non seguiva alcun commento da parte dei giornalisti de “L’Osservatore romano” o dei locutori di RV, che cercavano di attenuare la denuncia della persecuzione religiosa, evitando di esporsi alle rimostranze del governo tedesco. I riferimenti alla Germania dunque non mancarono, ma furono caratterizzati da una maggiore prudenza. In una trasmissione in polacco veniva celebrato l’anniversario della battaglia di Chocim, combattuta nel 1621 dalla Confederazione polacca contro i turchi, in seguito alla quale Gregorio XV scrisse al re Sigismondo III  ricordare la frase di Gregorio XV che celebrava la protezione polacca della nazione germanica, in una situazione in cui era la Germania a costituire una minaccia per i cattolici polacchi, poteva essere accolto come una sorta di denuncia dell’occupazione tedesca della Polonia Un’altra conversazione che alludeva alla politica antireligiosa nazionalsocialista, trasmessa non a caso in tedesco e spagnolo, metteva a confronto il dogma cattolico e una Weltanschauung che voleva sostituire Cristo come fondamento di civiltà. Infine il 30 dicembre una trasmissione in spagnolo di padre Jesus Iturrio denunciava l’invasione della Spagna da parte della filosofia nichilista tedesca di Nietzsche e Heidegger, mentre gli spagnoli avrebbero dovuto ispirarsi ai filosofi cristiani. Non si era dunque abbassata la guardia nei confronti del comunismo, ma il nazismo era ormai percepito come un pericolo analogo se non del tutto equivalente. 6. L’avversione per la “collaborazione” Padre Emmanuel Mistiaen non aveva dubbi che comunismo e il nazionalsocialismo meritavano la stessa vergogna. Infatti, nelle sue trasmissioni dall’autunno del 1940 alla primavera del 1941, non risparmiò aperte critiche e condanne al regime hitleriano e agli effetti nefasti del bolscevismo. Di quest’ultimo condannava soprattutto la volontà di fare una rivoluzione senza Dio. La situazione della Francia però, era peculiare rispetto a quella degli altri Paesi. Vichy fu guardata con favore dalla Santa Sede almeno fino al 1942 (la sottomissione della Francia di Vichy i tedeschi si accentuò nella primavera del 1942 quando Pétain affidò il governo a Laval, la cui accondiscendenza verso la Germania non servì ad evitare che, dopo lo sbarco in Nord Africa alla fine del 1942, i tedeschi occupassero anche la parte meridionale del paese ponendo fine a ogni indipendenza). Basti ricordare l’appoggio che il Vaticano avrebbe accordato all’eventuale creazione di un “blocco latino” comprendente Francia, Italia, Spagna e Portogallo, o meglio ancora la vicenda legata alla stesura dei Principes de la Communauté, per i quali Pétain aveva chiesto il parere della Santa Sede. Si trattava di una lista di 16 tesi che dovevano costituire la base ideologica dell’ordine nuovo inaugurato dalla Rivoluzione nazionale. Pétain consegnò la prima bozza, firmata il 14 gennaio 1941, all’arcivescovo di Lione, Pierre-Marie Gerlier, e questi a sua volta a monsignor Jean- Arthur Chollet, segretario della Commissione permanente dell’Assemblée de cardinaux et archévéques (ACA), affinché ne controllasse la congruenza con i dogmi cristiani. Questi stese due 47 rapporti, uno più lungo per l’ACA e uno più breve per Pio XII, nei quali metteva in luce alcuni errori dottrinali. La bozza dei Principes e la relazione di Chollet furono attentamente esaminati dal papa che, tramite Maglione, fece sapere che desiderava che i punti in questione venissero corretti e che la Santa Sede fosse tenuta al corrente sulla pubblicazione del documento. La buona opinione che si aveva in Vaticano di Vichy era alimentata dai rapporti del nunzio Valeri, che non nascondeva la propria fiducia nel regime. Egli aveva provato sollievo per lo scampato pericolo di fronte all’attacco delle truppe inglesi e gaulliste a Dakar; aveva realizzato descrizioni delle buone riforme sociali del governo del Maresciallo; aveva espresso il proprio consenso per il moderato statuto antiebraico, e si era compiaciuto per le riforme in tema di religione. La fiducia rimase immutata anche dopo gli accordi di Montoire. Gli incontri nel piccolo villaggio sulla Loira tra Laval e Hitler prima (il 22 ottobre 1940) e tra Hitler e Pétain poi (il 24), avvenuti dopo le pressanti richieste dei mesi precedenti da parte francese all’occupante tedesco, sancirono ufficialmente la collaborazione tra il regime di Vichy e quello nazionalsocialista. Sebbene nessun documento fosse stato firmato dalle controparti, Laval poté annunciare pubblicamente che erano stati presi i primi contatti con le autorità tedesche, e Pétain poté confermare. Il Maresciallo cercava in questo modo di far fronte alle esorbitanti indennità di guerra, agli approvvigionamenti, al ritorno delle popolazioni e al ricongiungimento delle famiglie, ostacolati dalla divisione del territorio francese. Il nunzio Valeri riferì al segretario di Stato Maglione il contenuto del colloquio che aveva avuto con Laval, dopo l’incontro di Montoire. Il ministro degli Esteri di Vichy ebbe un’impressione positiva del Fuhrer; quanto alla sostanza delle conversazioni “Laval mi fece comprendere che si era trattato soprattutto delle linee generali di una collaborazione tra Francia e Germania”. Parlava inoltre di alcuni rumori, che erano parsi, alla luce delle parole di Laval, “esagerati”. In un incontro con François Darlan, vicepresidente dei Consiglio dei Ministri, nel giugno dell’anno seguente, Valeri apprese che Pétain considerava la collaborazione l’unica “via di scampo” per la Francia. Mentre in generale l’episcopato francese preferì mantenere il silenzio di fronte alla nuova politica collaborazionista di Vichy, alcune personalità, tra le quali il vescovo di Arras, monsignor Henri- Edouard Dutoit, l’abate Daniel Bergey a Bordeaux e altri esponenti del clero locale, dichiararono apertamente la loro posizione favorevole. Padre Mistiaen parlò in modo esplicito della collaborazione in una trasmissione del 24 febbraio 1941, molto disturbata e ad un certo punto del tutto coperta da altre radio. Il termine “collaborazione” ricorreva in realtà poche volte, mentre venivano utilizzati termini come “integrazione” o “integrarsi”, meno compromettenti. Pierre Limagne, il giornalista de “La Croix”, scrisse nelle sue Ephémérides che la censura non aveva gradito la scelta di RV di pubblicare questa trasmissione: il gesto era stato letto come un affronto personale a Pétain e il caso sarebbe stato portato alla censura centrale.  Né il regime di Vichy né quello hitleriano furono nominati esplicitamente, ma quello di Hitler era già da alcuni mesi sotto attacco da parte di Mistiaen. Il 13 novembre 1940, poco dopo che Pétain aveva reso noto l’esito dell’incontro di Montoire (24 ottobre 1940 tra Hitler e Pétain), il gesuita belga inaugurò una nuova serie di conferenze domenicali, dal titolo Cattolicità, nelle quali affrontò spesso il tema delle persecuzioni. La prima fu 50 momento in avanti alcune trasmissioni non avrebbero più avuto luogo.  L’impiegato della BBC aggiungeva che l’annuncio, dato con tono esitante e triste, non fu disturbato. Non lo fu nemmeno il servizio in tedesco che lo aveva preceduto. “La Croix” dedicò all’annuncio un breve trafiletto nel quale veniva pubblicata la frase originale in francese detta da Mistiaen: “La voce deve tacere. [La voix doit se taire]”. Le trasmissioni che seguirono l’annuncio ebbero come tema principale “il silenzio”, un argomento non nuovo, dato che l’anno precedente, nei primi mesi dopo l’armistizio, era stato elogiato dal padre belga di fronte ai proclami nebulosi della propaganda vichista e nazionalsocialista. Ora, in un clima ancora più tetro, Mistiaen tornava con insistenza sul tema, mettendo in rilievo gli aspetti positivi del “non dire”. Da questo momento in avanti i testi di Mistiaen terminarono tutti con l’espressione “Coraggio, fiducia, Dio vi custodisce [Courage, confiance, Dieu vous garde]”. La censura interna voleva imporre la soppressione di questa frase considerata “un incoraggiamento ribelle alla resistenza”. In un primo momento gli interventi del cardinal Maglione, di Lecióchowski e di padre Leiber fecero sì che Mistiaen potesse continuare a pronunciare l’esortazione finale, almeno fino a quando il censore, monsignor Testa, non riuscì ad imporsi. Il gesuita belga confidò a Tittmann che “mi hanno detto che si doveva, per provare che il papa non era libero, fare delle trasmissioni: «incolori, insipide, inodori»!” Il giorno successivo Mistiaen spiegava come entrare nel regno del silenzio. Il silenzio per “rimettere l’uomo in ordine” era l’argomento della trasmissione seguente, nella quale riprendeva un altro tema già affrontato un anno prima, quello della “persona umana”. Il “centro del silenzio”, Dio, fu l’oggetto di un’altra trasmissione, quando Mistiaen ricordava che tutti gli uomini si sarebbero trovati un giorno davanti a Cristo. L’insistenza sul silenzio, sebbene colto nei suoi aspetti positivi, non faceva che sottolineare la mancanza di libertà di espressione del locutore. Dal 12 maggio andarono in onda una serie di emissioni dal titolo Gli incontri nel regno del silenzio, poco o per nulla allusive alla realtà, ciascuna dedicata ad una caratteristica che il silenzio esprimeva. Significativo è il fatto che nelle trasmissioni di questi mesi i finali fossero accompagnati da pezzi musicali. Nel corso del mese di giugno la cornice delle trasmissioni in francese divennero Le prospettive del silenzio, e anche in questo caso, come nei precedenti, ogni giorno Mistiaen affrontava un tema diverso riconducibile al silenzio. Al termine di questa serie ne iniziò una sui santi. In generale, i testi proposti in questi mesi avevano lo scopo di infondere coraggio e forza ai fedeli, come quelli dell’estate del 1940. Tuttavia, la censura vichysta non dovette trovarle così neutre: infatti Limagne scrisse che una riflessione su queste trasmissioni estive, “considerevolmente edulcorate” rispetto alle precedenti, non fu accettato dalla censura, che lo rimandò indietro con l’annotazione: “Rifiutato da Vichy, che dice di applicare la consegna n°75”. 51 7. Precetti per la vita quotidiana, spiritualità e musica classica nelle trasmissioni in francese (settembre 1941 - aprile 1942) “La Voix du Vatican”, che aveva sospeso le sue pubblicazioni a maggio, ricomparve a settembre con il bollettino numero 15. Limagne scrisse sul suo diario che RV ricominciava a dire “non poche verità”. Era stata inaugurata una nuova rubrica, Qualche piccolo precetto a uso della vita quotidiana, che forniva consigli utili ai fedeli per sopravvivere alle avversità della vita quotidiana. Le trasmissioni dei primi giorni di settembre sollecitavano gli ascoltatori a comprendere bene gli avvenimenti, senza farsi abbindolare dalla propaganda subdola.  sono parole che ricordano le trasmissioni dell’anno precedente, dirette ai cattolici francesi affinché non si facessero un’opinione attraverso i giornali “addomesticati”. Tuttavia Mistiaen non rispettò la regola del silenzio da lui stesso inaugurata, quando il 15 settembre mandò in onda la rettifica di un articolo di “La Croix”, che celebrava la rinnovata consacrazione della città di Lione a Notre-Dame de Fourvière. L’articolo, scritto da Antoine Lestra, avvocato e giornalista appartenente alla corrente monarchica e antidemocratica del cattolicesimo intransigente, attribuiva a Pétain il merito di aver permesso che venissero rinnovati i voti che le autorità civili di Lione avevano offerto alla Vergine di Fourvière. Il gesuita di RV disapprovò la commistione tra faccende religiose e politiche praticata dall’articolista de “La Croix”, smentendo di fatto la celebrazione del Maresciallo. Allo stato attuale non siamo in grado di sapere se la critica fosse stata commissionata dai suoi superiori, anche se sembra improbabile visto l’appoggio accordato dalla Santa Sede a Pétain. Al contrario, dato il tenore delle trasmissioni che seguirono fino a buona parte del mese di ottobre, si potrebbe supporre che Mistiaen fosse stato rimproverato per l’attacco a “La Croix”. Infatti, furono affrontati argomenti per lo più di carattere religioso spirituale, come la spiegazione dei Vangeli o il racconto delle vite dei santi. Quasi tutte le emissioni di questo periodo erano accompagnate da intermezzi musicali. Quelle di metà ottobre riproducevano ciascuna un movimento della quinta sinfonia di Beethoven. Composta tra il 1807 e il 1808, quest’opera era il simbolo della lotta dell’uomo contro il destino, e proprio durante la 2GM le sue prime note divennero famose perché aprivano le trasmissioni di Radio Londra. Il redattore del “Tablet”, forse Michael Derrick, notò l’inusuale utilizzo della musica a RV. Le prime quattro note del primo movimento della Quinta sinfonia riproducevano la successione “breve-breve-breve-lunga” che nell’alfabeto Morse indica la lettera “v”. In questo modo Radio Londra apriva le sue trasmissioni richiamando l’idea di “vittoria”. Così, il giornalista del “Tablet”, sottotitolando la notizia riguardante RV “V per Vaticano”, con un gioco di parole associava la scelta di Mistiaen alle trasmissioni di Radio Londra indirizzate alla resistenza europea. Beethoven fu uno dei più trasmessi anche nei mesi successivi. Il 30 ottobre venne fatta eseguire la sinfonia numero tre, dopo una conversazione sull’importanza di saper sorridere alle avversità, trasmessa non solo in francese, ma anche in olandese, italiano, tedesco, spagnolo e inglese. Forse anche la scelta dell’Eroica da parte di RV non fu casuale. Inizialmente dedicata a Napoleone, poi dopo la sua incoronazione Beethoven non volle più che si facesse cenno al Bonaparte. Resta l’interrogativo se colui che aveva programmato l’emissione della sinfonia fosse a conoscenza di questi fatti e ne fosse stato in qualche modo ispirato. In ogni caso 52 l’utilizzo della musica fu dovuto anche alla necessità di non interrompere la trasmissione del segnale radio, per evitare che la frequenza venisse occupata dai segnali di disturbo. Le conversazioni garbate e poco impegnative (causeries) di carattere eminentemente religioso in francese di fine ottobre però non furono tenute da padre Mistiaen, come scrive Limagne nel suo diario. Il 29 ottobre, infatti, era andata in onda una stessa trasmissione nelle diverse lingue, nella quale veniva letto il discorso del cardinal Suhard al ritiro pastorale del clero parigino. L’arcivescovo di Parigi disse ai suoi sacerdoti che: doveva essere praticato un lealismo sincero verso il potere stabilito, riconoscere l’autorità nei rappresentanti del potere, come tradizionalmente faceva la Chiesa; l’obbedienza non solo favoriva l’unità del Paese ma era anche un omaggio a Dio, lui stesso fonte di autorità. Le indicazioni di Suhard non dovettero suonare nuove al clero francese, perché non facevano che ripetere le deliberazioni della prima assemblea dei vescovi e cardinali dell’agosto precedente. Nell’ascoltare le parole dell’arcivescovo, Limagne annotò che “come qualche mese fa RV doveva tacere, così quella sera sembrava che dovesse di nuovo tacere”. Infatti la scelta di trasmettere il messaggio di Suhard non era stata, con tutta probabilità, di Mistiaen. A novembre, tornando ad occuparsi soltanto di questioni religiose, il gesuita belga inaugurò una nuova rubrica dedicata alle beatitudini. Il disturbo delle trasmissioni continuava e rendeva necessario un cambio della lunghezza d’onda, che passò dai 48.47 metri ai 49.96. Forse il brouillage veniva operato non solo dai tedeschi ma anche da Vichy. Limagne riferisce il caso di un libraio cattolico di Lione, un certo Crozier, accusato di diffondere pubblicazioni clandestine, in particolare le conferenze di RV. Le trasmissioni apparentemente neutre, erano lette da alcuni “come l’opera di avversari alla restaurazione del Maresciallo”. Queste erano le parole del vescovo di Aix-en-Provence nella “Semaine religieuse” di novembre nel quale metteva in guardia i diocesani dagli autori dell’opuscolo clandestino “La voix du Vatican”, accusati di dare direttive all’opinione pubblica attraverso la pubblicazione di “cosiddette trasmissioni vaticane” ispirate da gaullismo e da anglofilia. Sarebbe bastato che monsignor du Bois de Villerabel ascoltasse anche solo una volta RV per accorgersi che il foglio, nonostante non rispettasse l’ordine cronologico delle trasmissioni, era del tutto fedele al testo letto a Roma. È anche probabile che invece ne fosse consapevole ma, in disaccordo con lo speaker, difendesse come gran parte dell’episcopato francese l’operato di Pétain. C’è un altro indizio che induce a pensare che Vichy avesse cominciato a preoccuparsi delle trasmissioni di RV: tra le carte del capo del Gabinetto civile, André Lavagne, riguardanti la politica religiosa, è conservato il testo dattiloscritto di una trasmissione della fine del 1941. Non sappiamo se ci sia stato un seguito a questa segnalazione, non sappiamo se ci furono delle proteste da parte di Vichy, ma senza dubbio le opinioni espresse da Mistiaen non sostenevano la politica religiosa del regime, tanto meno l’avvicinamento all’occupante tedesco. Tuttavia il contenuto delle trasmissioni dei mesi seguenti ritornò ad essere per lo più religioso. Padre Mistiaen ripeteva in che modo si dovesse difendere la presenza della Chiesa nella società, senza sbilanciarsi mai con riferimenti al presente. Quando lo faceva, si parava dietro articoli de “L’Osservatore romano”, senza commenti, come fece per la situazione religiosa in Germania 55 Capitolo quarto RADIO VATICANA E LA SHOAH 1. Radio Vaticana di fronte all’antisemitismo Si studia la stampa cattolica e l’antisemitismo nella prima metà del ‘900 per capire le reazioni che il mondo cattolico aveva avuto di fronte alla diffusione delle legislazioni razziali che hanno colpito soprattutto gli ebrei in molti Stati europei. In generale, a parte alcune eccezioni, il denominatore comune che ha caratterizzato gli articoli delle testate cattoliche era la persistenza dell’antigiudaismo teologico che, quando non contribuiva ad alimentare il moderno antisemitismo, impediva una sua totale condanna. Gli organi di stampa, diretti da ecclesiastici, promuovevano una spiegazione la cui linea però era spesso dettata da opportunità politiche. In molti casi questi articoli usavano l’antisemitismo come mezzo per criticare ad esempio la società moderna, più che come fine; invece altre volte erano carichi di pregiudiziali antiebraiche a causa del direttore o dei giornalisti antisemiti. Tuttavia dallo studio dei settimanali diocesani italiani emergono stereotipi e frasi comuni, come se fosse tutto eseguito meccanicamente senza una previa riflessione da parte dei redattori. Anche RV per certi aspetti ebbe la stessa attitudine verso l’antisemitismo che ebbero i fogli cattolici, ma per altri la sua particolare natura la portò a compiere scelte diverse. Una prima cosa è che negli autori dei testi delle trasmissioni mancava l’odio antisemita che caratterizzava i padri della “Civiltà Cattolica”. Anche se talvolta venivano riproposti tradizionali stereotipi antisemiti, nelle trasmissioni di RV c’era spazio anche per la condanna al neopaganesimo razzista, proclami di benevolenza e senso di protezione della Chiesa verso gli ebrei. Emerge che RV non si fosse occupata della questione negli anni Trenta, ma è possibile che qualche notizia sia stata data senza che noi abbiamo tracce. Ad oggi dunque non è possibile una comparazione tra radio e stampa su questo tema per quanto concerne il pontificato di Pio XI. È invece più facile il confronto negli anni della guerra, anche se scarseggiano gli studi sulla stampa cattolica di questo periodo. Un articolo di Susan Zuccotti a proposito de “L’Osservatore romano” ha permesso un raffronto tra i due mezzi di comunicazione più vicini alla Santa Sede. La studiosa americana ha messo in luce i limiti della denuncia del quotidiano sulla situazione degli ebrei nei territori controllati dai tedeschi. Negli articoli che comparvero a partire dall’invasione tedesca della Polonia fino ai primi mesi del 1940, “L’Osservatore Romano” forniva qualche informazione circa la deportazione degli ebrei polacchi, senza per altro usare questo termine, ma le notizie non erano accompagnate da commenti e non si accennava alla violenza usata dai nazisti contro gli ebrei. A gennaio del 1940 RV trasmette la notizia, ampiamente ripresa dalla radio e dalla stampa inglese, che in Polonia, nei territori occupati dai tedeschi, gli ebrei erano stati deportati e rinchiusi nei ghetti. Anche se la radio usava termini come “deportazioni inumane”, mentre “L’Osservatore romano” no, informazioni di questo tipo non venivano date frequentemente, e l’antisemitismo fu un argomento presente nelle trasmissioni con notizie e commenti talvolta contraddittori. Sembrava che i locutori si pronunciassero a seconda della propria sensibilità e non seguendo una linea predeterminata 56 dell’emittente, dando voce alla comune preoccupazione per la popolazione cattolica, alla tradizionale teologia sull’ebraismo, a stereotipi consolidati da una certa tradizione, ma pure, in alcuni casi, provando a condannare l’antisemitismo. Qualche esempio aiuta a chiarire il quadro. Gli interventi ecclesiastici sull’antisemitismo avevano come scopo di attenuare gli effetti delle legislazioni razziali sugli ebrei convertiti al cattolicesimo, come accadde in Ungheria. L’arcivescovo di Kalocsa, monsignor Zichy, nel giorno di Natale del 1939, aveva invitato la diocesi a non abbandonare i fratelli cattolici colpiti dalla Seconda Legge sugli ebrei. Si faceva riferimento agli ebrei convertiti perché la chiesa non poteva dimenticare il precetto divino che comandava la carità verso tutti. A questo scopo l’episcopato ungherese aveva creato un comitato di assistenza, la Holy Cross Society fondata nel 1939, per prestare soccorso morale e materiale a coloro che fossero stati colpiti dalla legislazione antiebraica. La notizia della creazione di questo comitato fu data dai padri Francesco Pellegrino e Francis Joy, incaricati delle trasmissioni rispettivamente in italiano e in inglese. La Seconda Legge sugli ebrei, promulgata dal parlamento ungherese il 5 maggio 1939, restringeva al cinque per cento (rispetto al venti della Prima Legge del 1938) la percentuale degli ebrei che poteva ricoprire cariche di governo, esercitare determinate professioni e attività commerciali. Le leggi erano state approvate entrambe ma si lamentava il fatto che esse definivano come ebrei anche coloro che erano stati battezzati dopo il primo agosto 1919, dunque di fatto dei cattolici. Il progressivo aggravarsi della posizione degli ebrei ungheresi dal 1938 al 1941 (anno in cui l’Ungheria in seguito all’entrata in guerra contro la Russia a fianco della Germania promulgò un’altra serie di provvedimenti antiebraici) aveva visto le Chiese impegnate in una strenua difesa solo dei cristiani toccati dalle leggi. Ciò finì per determinare chi sarebbe stato destinato alla discriminazione e alla distruzione, quando nel 1944, i confini politici ungheresi, unici garanti della sopravvivenza della popolazione ebraica, sarebbero venuti meno di fronte all’occupazione tedesca. Il problema delle relazioni tra ebrei e cattolici fu affrontato in altre trasmissioni, soprattutto per i disagi che l’arrivo dei rifugiati ebrei in un Paese avrebbe creato alla popolazione cattolica. Il gesuita italiano, padre Pellegrino, parlando della situazione di Leopoli occupata dai sovietici, si preoccupava perché “alle persecuzioni dei bolscevichi contro i cattolici si aggiungono le rappresaglie dei giudei”. Il gesuita inglese, Francis Joy, descrivendo invece la situazione dei cattolici ucraini, prevedeva l’aggravarsi delle loro sofferenze a causa del numero di ebrei in arrivo dalla Polonia “che sono sempre stati fortemente ostili ai cattolici”. Lo ribadiva anche qualche mese più tardi, citando un articolo cattolico, in cui si invitavano ebrei e cattolici a collaborare per una convivenza pacifica. Allo stesso tempo però, non rinunciava ad alcuni stereotipi che erano stati alla base delle legislazioni razziali che avevano colpito gli ebrei negli anni 30. Per una convivenza pacifica tra cattolici, non-cattolici ed ebrei, bisognava che gli uni rinunciassero all’antisemitismo e gli altri all’anticattolicesimo. Tuttavia era possibile che a causa dell’alto numero di rifugiati ebrei l’influenza ebraica aumentasse nei Paesi cattolici. 57 Il gesuita utilizza una delle classiche accuse antisemite agli ebrei cioè che controllassero l’economia, in un contesto però contrario per stimolare i cattolici a rinunciare all’antisemitismo. Il medesimo intento era stato di padre Joy lo stesso giorno, qualche ora prima, riprendendo un articolo dal “Rabbinical Assembly Bulletin”, che lodava la resistenza cristiana al neopaganesimo del Terzo Reich. Secondo il provost del Jewish Theoretical Seminary of America, le critiche più severe al regime furono mosse da Pio XI e Pio XII, e gli ebrei lo avrebbero ricordato. Riportando le parole del rettore del seminario rabbinico, il gesuita metteva in luce l’inclinazione dei papi medievali verso gli ebrei come esempio di comportamento che i cattolici avrebbero dovuto tenere. Tuttavia, il desiderio di una pacifica convivenza e la gioia per l’aiuto dei cattolici verso gli ebrei erano accompagnati dal timore per convinzioni sedimentate nell’immaginario collettivo e dalla situazione di emergenza per il trasferimento forzato di intere popolazioni, che la Chiesa, assieme ai governi, doveva affrontare. Una trasmissione in spagnolo commentava l’influenza dei rifugiati ebrei prendendo spunto da un articolo irlandese: gli irlandesi non erano antisemiti e gli ebrei che risiedevano in Irlanda da molto tempo erano dotati delle migliori qualità; altra cosa era però il loro predominio nell’industria e nel commercio, in particolare quello dei tessuti. Erano le stesse riserve del gesuita inglese: lo stereotipo antisemita veicolato da RV non era legato a forme di antigiudaismo religioso, ma riguardava la pericolosità sociale degli ebrei, intesi come popolo, che avrebbero potuto tenere comportamenti nocivi in una società che invece avrebbe dovuto reggersi secondo principi cristiani. I padri italiano e spagnolo analizzarono anche una particolare forma di immigrazione ebraica, quella in Palestina, contro la quale, secondo i gesuiti, cristiani e musulmani avrebbero dovuto unire le proprie forze. L’intreccio tra le ragioni teologiche e quelle politiche dell’antisionismo cattolico è noto, ma in questo caso si metteva in rilievo la convergenza di interessi geopolitici tra cristiani e musulmani che aveva portato ad una, seppur precaria, alleanza antiebraica. Lo speaker tedesco, particolarmente votato ad affrontare questioni teologiche, in una delle sue trasmissioni cercò invece di dare un’interpretazione positiva all’antico legame tra Dio e il suo popolo, sottolineando il ruolo giocato dagli ebrei nel gettare le basi degli insegnamenti di Cristo. In un’altra, dedicata al peccato di Adamo, aveva ricordato che le verità cattoliche non includevano alcuna teoria razziale. Tuttavia, colui che si distinse maggiormente fu il locutore francofono, padre Emmanuel Mistiaen. - Dopo soli 12 giorni dall’investitura come capo dell’État français, il maresciallo Pétain e il suo governo, con la legge del 22 luglio 1940, istituirono una commissione incaricata di rivedere tutte le naturalizzazioni accordate dal 1927 e di ritirare la nazionalità francese a coloro che fossero stati giudicati indesiderabili. In questo modo 6.000 ebrei persero la nazionalità. - Il 27 agosto fu abrogato il decreto-legge Marchandeau, emanato il 21 aprile 1939, che puniva tutti gli attacchi per mezzo della stampa contro gruppi di persone appartenenti a una determinata “razza” o religione. - Il 3 ottobre venne approvato lo Statuto degli ebrei che definiva chi fosse ebreo secondo lo stato francese (secondo norme ancora più rigorose delle leggi di Norimberga), escludendolo dall’esercizio di qualsiasi impiego che potesse influenzare l’opinione pubblica 60 loro disposizione. L’arcivescovo era stato attaccato perché si era dichiarato ripetutamente contrario alla sterilizzazione per le sue conseguenze nefaste. RV non diffuse invece la pastorale di protesta contro la deportazione degli ebrei, preparata dai vescovi cattolici e dai rappresentanti delle Chiese riformate olandesi, che venne letta dai pulpiti il 26 luglio 1942. Il testo fu inviato a Pio XII solo il 9 ottobre dall’internunzio all’Aja, monsignor Giobbe, insieme ad un’altra lettera dell’arcivescovo di Utrecht e dei vescovi olandesi contro la deportazione degli ebrei cristiani. Il 28 luglio il papa era stato informato in modo vago dal nunzio a Berlino, che in Olanda erano cominciate le deportazioni dei “non ariani”, ma che una lamentela congiunta degli evangelici e dei vescovi cattolici aveva scongiurato che tra essi vi fossero anche “non ariani cattolici”. Il 3 agosto Giobbe aveva inviato un altro rapporto in Vaticano, di cui però non conosciamo il contenuto. Potrebbe darsi che nemmeno RV avesse avuto informazioni più dettagliate sulla pastorale del 26 luglio, quando andò in onda la notizia riguardante la presa di posizione del cardinal de Jong sulla sterilizzazione. Tuttavia non si può escludere che il testo fosse giunto in redazione in quei giorni, o anche successivamente, e che si sia scelto intenzionalmente di non diffondere la pastorale in difesa degli ebrei. La sua lettura dai pulpiti in Olanda aveva infatti provocato la rappresaglia delle autorità germaniche, che ordinarono la deportazione di tutti gli ebrei, compresi quelli convertiti, che erano stati precedentemente esclusi grazie a un accordo raggiunto tra le Chiese cristiane e il Reichskommissar. (Il titolo di reichskommissar venne conferito nella Germania nazista durante la 2GM ai governatori dei territori occupati dai tedeschi) La trasmissione più rilevante è senza dubbio quella andata in onda in francese il 14 settembre 1942. Il monitor della BBC cercò di trascriverne il testo ma la ricezione era disturbata. Tratta il simbolismo della croce, sulla base del quale “ogni individuo aveva gli stessi diritti e privilegi”. In seguito il disturbo si fece più forte, ma, forse per compensare la perdita del contenuto, il monitor descrisse il tono della voce dello speaker vaticano  “la voce assume un tono di rabbia e indignazione”. Fortunatamente possediamo l’intero testo che fu diffuso dai resistenti francesi. La trasmissione era dedicata all’esaltazione della Croce festeggiata appunto il 14 settembre, una croce spesso attaccata, e nella parte che la BBC non era riuscita a captare il gesuita francese faceva riferimento agli ebrei come al “popolo eletto” che diede i natali a Gesù. Le parole e il tono utilizzati da Mistiaen nei riguardi del popolo ebraico veicolavano un messaggio positivo che trovavamo altre volte nelle trasmissioni di RV, ma che raramente non era accompagnato da riserve. Seguiva il richiamo all’amore di Dio per tutti gli uomini e del riconoscimento della loro pari dignità. E concludeva invitando i fedeli a fare di più per i perseguitati. Il gesuita belga parlava ad una Francia che nei mesi immediatamente precedenti aveva subito dei cambiamenti importanti a livello politico con risvolti tragici sul destino degli ebrei francesi. Nella zona libera nel corso del 1941 erano state prese nuove misure antisemite: il 2 giugno era stato emanato il secondo Statuto sugli ebrei, che allargava maggiormente il numero di coloro da discriminare, e da luglio gli ebrei erano stati esclusi da qualsiasi impiego statale, con l’istituzione del numero chiuso nelle scuole e nelle professioni liberali. Dalla zona occupata, dal campo di concentramento di Drancy, il 27 marzo 1942 partì il primo convoglio per Auschwitz, che 61 trasportava gli ebrei arrestati a Parigi tra l’agosto e il dicembre 1941. Il 16 e 17 luglio ebbe luogo la “grande retata del Velodromo d’Inverno”, ovvero l’arresto e la concentrazione nel velodromo del XV arrondissement di Parigi, di (previsti) 28.000 ebrei tra apolidi o stranieri. Nel frattempo, ad aprile, Laval era tornato al potere come capo del governo di Vichy e aveva rafforzato la sua alleanza con la Germania. Ai primi di luglio, assieme a Pétain, diede l’assenso per la deportazione degli ebrei stranieri dalla Francia di Vichy. Qui la grande operazione di rastrellamento e deportazione verso Drancy, e da lì verso est, ebbe luogo tra il 26 e il 28 agosto. Le operazioni dell’estate del 1942 determinarono un cambiamento decisivo nell’opinione pubblica francese, fino a quel momento generalmente poco preoccupata della gestione franco-tedesca della “questione ebraica”. Il tono di rabbia e indignazione di Mistiaen nel leggere il suo testo alla radio riflette lo stato d’animo di un religioso che, consapevole di cosa stava avvenendo in Francia e non solo, tentava di far intendere agli ascoltatori la tragicità degli avvenimenti. Le parole di Mistiaen stridono con la linea di prudenza adottata anche in questo frangente sia dalla Santa Sede, sia dalla gerarchia cattolica di Francia. Il nunzio Valeri informò il cardinal Maglione dell’internamento al Vél’ d’hiv’ e della decisione dei cardinali e arcivescovi di non rendere pubblica la loro protesta, ma di far scrivere al cardinal Suhard una lettera riservata a Pétain. Lo stesso nunzio però rassicurò la Santa Sede che si trattava di “una protesta piuttosto platonica”. Ai primi di agosto Valeri dovette informare Roma che le deportazioni erano cominciate anche nella zona libera. Alcuni vescovi francesi condannarono dai pulpiti quanto avvenuto. Le parole più accorate vennero da monsignor Jules-Géraud Saliège, diffuse dai sacerdoti nelle parrocchie della diocesi di Tolosa. Anche il vescovo di Montauban, Pierre-Marie Théas, il 30 agosto fece leggere una lettera di vigorosa protesta per le deportazioni. Le parole, i concetti, lo stile di Mistiaen erano molto vicini a quelli dei due vescovi francesi, ma al momento non è possibile chiarire se il gesuita belga fosse a conoscenza dei loro testi. La differenza sostanziale però rimane: la trasmissione di RV non fece alcun riferimento preciso alle deportazioni che avevano avuto luogo. La decisione, presa evidentemente a più alti livelli aveva a che fare con i rapporti della Santa Sede con Vichy. Non si voleva rompere con Vichy, non era in discussione il lealismo nei confronti di Pétain, che infatti, fu pienamente riconfermato dalle gerarchie ecclesiastiche tra settembre e ottobre. 2. Radio Vaticana e il razzismo Se le limitazioni del rapporto tra ebrei e cristiani esercitavano ancora un peso sulla valutazione dell’antisemitismo, più netta sembra essere la presa di posizione di RV contro il razzismo. La Chiesa cattolica, in tutte le sue componenti, si era dovuta confrontare con questo tema a partire dalla fine del XIX secolo. La risposta dottrinale, alle scienze naturali che indagavano la corrispondenza tra tratti somatici dei gruppi umani e tratti spirituali, poi all’eugenetica (l’insieme delle teorie e delle pratiche che mirano a migliorare la qualità generica di una certa popolazione) e infine alle teorie razziste del nazionalsocialismo, fu la rivendicazione del “monogenismo”, ossia l’unità originaria del genere umano in quanto discendere da un unico primo uomo, Adamo, secondo la teoria sostenuta dalla teologia cattolica. Pio XI si era espresso più volte sulla questione condannando la limitazione volontaria delle nascite e la sterilizzazione nell’enciclica Casti Connubii (1930), l’eugenetica con il decreto del Sant’Uffizio del 21 marzo 1931, e infine l’esaltazione della razza a valore fondamentale 62 della comunità umana e la sua divinizzazione come un culto idolatrico nella Mit brennender Sorge (1937). Nel corso del 1938, in diversi discorsi, tra cui quello del 28 luglio di fronte agli allievi di Propaganda Fide, aveva chiarito l’inconciliabilità tra l’idea di fratellanza universale della dottrina cattolica, il razzismo e il nazionalismo. Nell’aprile del 1938 inoltre, il segretario della Congregazione dei seminari e delle università Ernesto Ruffini, dietro ordine del papa, aveva firmato una sorta di sillabo antirazzista composto da 8 tesi da confutare. La bozza dell’enciclica sul razzismo e l’antisemitismo, rimasta sul tavolo di Pio XI assieme al discorso per l’anniversario dei Patti Lateranensi, scomparve poche ore dopo la morte del pontefice. La Humani generis unitas non fu edita dal successore, ma qualche passaggio confluì nella sua prima enciclica, la Summi pontificatus. Nel primo documento magistrale del pontificato di Pacelli non c’era però alcun accenno esplicito al razzismo, mentre nel frattempo la rivista dei gesuiti italiani, “La Civiltà Cattolica”, per mano dei padri Barbera e Messineo, aveva continuato a pubblicare (e lo fece fino al 1943) articoli che mostravano la possibilità di un compromesso tra il governo italiano e la Santa Sede sulle leggi razziali. A livello dottrinale, nel 1940 il Sant’Uffizio condannò la sterilizzazione e l’eutanasia con il decreto del 24 febbraio. RV dedicò al razzismo molte trasmissioni nelle diverse lingue, apparentemente senza particolari proteste. Le trasmissioni avevano come obiettivo la dimostrazione, sulla base della dottrina cristiana, che il razzismo era un errore. - In una trasmissione in spagnolo lo speaker cercava di spiegare come non fosse possibile combattere le false teorie politiche escludendo il cristianesimo, perché l’errore poteva essere sconfitto solo con la verità: “La verità cattolica esclude tutti gli errori, siano essi il razzismo o il comunismo, il liberalismo o la statolatria”. La condanna del razzismo era accompagnata da quella di altre ideologie, perché tutte frutto della modernità anticristiana. - Una trasmissione in francese diretta alla Francia prima dell’invasione tedesca, descriveva la cerimonia della benedizione delle candele, ad opera del papa verso i rappresentanti della Chiesa del mondo, del 2 febbraio 1940, e voleva sottolineare l’universalità della Chiesa “contro gli apostoli dell’ineguaglianza delle razze, che avrebbero visto le loro teorie vanificarsi”. Anche nelle emissioni in tedesco l’argomento venne spesso discusso. - All’interno di una serie Chiesa e società, si dichiarava che in una comunità che negava l’uguaglianza del genere umano, introducendo leggi diseguali, distinzioni tra razze e civilizzazioni superiori ed altre inferiori, non poteva esserci un vero diritto - Nel febbraio del 1941 veniva spiegato che tutti gli uomini erano figli della Chiesa, senza distinzioni, in nome della legge dell’unità e della solidarietà umana. Dio aveva decretato la divisione dell’umanità in gruppi diversi ma li aveva uniti nella fedeltà in Lui; tutti gli uomini avevano gli stessi diritti in quanto figli della Chiesa, senza distinzione tra pagani ed ebrei, schiavi e liberi. E ciò non era in contraddizione con l’amore di ciascuno per la propria patria. Il locutore tedesco, che da questo momento si può identificare in padre Ambord, dopo aver diffuso il decreto del Sant’Uffizio contro la sterilizzazione, lesse la traduzione di un articolo di padre Mariano Cordovani, uscito su “L’Osservatore romano”, che commentava la recente condanna 65 3. La denuncia delle leggi razziali in Croazia Quando fu proclamato il 10 aprile 1941 lo Stato Indipendente di Croazia (NDH) contava circa 6.5 milioni di abitanti a maggioranza cattolica: della parte restante 30% era costituito da serbi ortodossi e lo 0.6% da ebrei. Il principio fondamentale della ideologia degli ustaša era “il richiamo all’unità etnica croata cattolico-islamica contro i serbi balcano-asiatici”, un nazionalismo razziale corroborato di antisemitismo. Dopo soli 20 giorni dalla nascita del nuovo Stato guidato da Ante Pavelic col titolo di Poglavnik, furono promulgati due decreti razzisti: quello sull’appartenenza razziale e quello sulla protezione del sangue e dell’onore ariano del popolo croato. Se per quanto riguarda la minoranza serbo-ortodossa era difficile porre la questione in termini di identità razziale, per gli ebrei e i rom il compito era più facile perché bastava ispirarsi alle leggi di Norimberga. Il primo decreto legge prevedeva che un individuo fosse da considerarsi “ariano” se poteva provare di avere un ascendente “ariano” mediante un certificato di nascita, di battesimo o di matrimonio dei suoi antenati di prima e seconda generazione. Lo stesso decreto stabiliva chi dovesse essere considerato di “razza ebraica”, ovvero chi avesse avuto almeno tre nonni ebrei. Un secondo provvedimento proibì i matrimoni tra “ariani” e “non ariani”. La cattura e la deportazione degli ebrei nel campo di concentramento di Jasenovac, organizzate direttamente dagli ustaša, cominciarono nel maggio del 1941. L’arcivescovo di Zagabria, Aloysius Stepinac, intervenne inviando al ministro dell’Interno, Andrija Artukovic, diverse lettere in difesa degli ebrei convertiti al cattolicesimo colpiti dalle leggi razziali, e per chiedere la soppressione dell’obbligo per gli israeliti di portare la stella di David. La Conferenza episcopale croata, riunitasi dal 17 al 20 novembre 1941, rivolse una petizione al Poglavnik, fatta recapitare alla Santa Sede da Stepinac assieme a un breve resoconto della riunione. Nell’appello i vescovi croati chiedevano che le libertà personali e civili degli ebrei convertiti al cattolicesimo, che per questo motivo non potevano essere considerati ebrei, fossero protette insieme alle loro proprietà. Prima che migliaia di ebrei croati fossero deportati ad Auschwitz nell’agosto del 1942, Stepinac cercò di nuovo di far desistere il governo dal procedere con il massacro. Oltre alla persecuzione degli ebrei, la regione fu teatro di deportazioni e di massacri di serbi e rom. I serbi residenti in Croazia furono obbligati a spostarsi nella Serbia occupata dai tedeschi; chi rimase fu forzato a convertirsi al cattolicesimo o internato nei campi di concentramento. La Santa Sede aveva inviato come visitatore apostolico in Croazia l’abate benedettino Giuseppe Ramiro Marcone, per tenere le relazioni con il governo ustaša. - Il segretario di Stato Maglione rivolse a Marcone la risposta alla lettera di Stepinac che lo informava di quanto deliberato dalla Conferenza episcopale, lodando la cura dei vescovi croati verso gli ebrei, e la rivendicazione del diritto di occuparsi delle conversioni al cattolicesimo, che non dovevano essere forzate. - Qualche mese dopo, Maglione, in una lettera all’arcivescovo di Belgrado, rinnovò l’importanza del libero ritorno degli ortodossi alla Chiesa cattolica, senza pressioni esterne. - La stampa internazionale aveva parlato di “conversioni forzate” che avevano luogo in Croazia, perciò RV fu incaricata di dissociare la Chiesa cattolica da questa accusa. In una trasmissione in inglese venne assicurato che le autorità civili ed ecclesiastiche non esercitavano pressioni sulle conversioni al cattolicesimo. RV, impiegata per rispondere alla propaganda anticattolica sulla situazione religiosa, sostenne che nell’antico conflitto tra 66 cattolici e ortodossi la parte delle vittime e dei carnefici fu giocata alternativamente da entrambi, per cui bisognava essere cauti nell’accusare la Chiesa. Per quanto concerne la “questione ebraica”, il 30 marzo 1943 Maglione chiede a Marcone di rivolgersi al governo perché fermi la deportazione degli ebrei battezzati che rimanevano in Croazia. Questa richiesta era stata sollecitata da un telegramma del delegato apostolico a Washington, Amleto Cicognani, che aveva inviato una supplica di alcuni rabbini al papa, per richiedere un suo intervento per fermare le deportazioni degli ebrei. Il 2 aprile Maglione scrisse di nuovo a Marcone per informarlo che la propaganda serbo-ortodossa stava accusando i cattolici, e in particolare l’episcopato croato, di non aver protestato contro i maltrattamenti del governo croato contro la popolazione serba, ma anzi di essere conniventi. Il segretario di Stato mise in guardia il visitatore che queste accuse potevano intaccare il prestigio del nome cattolico, e gli chiedeva di parlarne con l’arcivescovo di Zagabria per mettere in luce la mancanza di fondamento di queste asserzioni, e voleva che raccogliessero degli elementi da poter illuminare opportunamente l’opinione pubblica. I documenti a nostra disposizione non specificano chi fosse responsabile della propaganda anticattolica, se il governo yugoslavo in esilio, i cetnici (il movimento di resistenza panserbo) o i partigiani comunisti di Tito. L’8 maggio 1943 Marcone, in risposta a Maglione, inviò in Segreteria di Stato una nota sull’atteggiamento del clero cattolico nei confronti dei serbi ortodossi (l’episcopato aveva protestato contro l’interferenza del governo nelle conversioni degli ortodossi + aveva reclamato la giurisdizione sull’evangelizzazione dei popoli nel rispetto della libertà di coscienza) e l’arcivescovo di Zagabria, in visita a Roma dal 28 maggio al 4 giugno, aveva portato le prove di quanto la Chiesa croata aveva fatto in favore delle minoranze serba ed ebraica. La Segreteria di Stato fu così in grado di preparare una lista di 34 documenti presentati da Stepinac. Nel frattempo RV cominciò ad essere sempre più coinvolta negli affari croati. Il 12 maggio 1943 fu trasmesso in tedesco l’intervento di protesta di Stepinac del 6 marzo, per le discriminazioni razziali operate dal governo anche verso gli ebrei convertiti al cattolicesimo. Le dichiarazioni dell’arcivescovo erano riferite al tentativo di deportazione dei restanti ebrei croati nella zona occupata dai tedeschi. Stepinac si era rivolto a Pavelic per impedire l’annullamento dei matrimoni misti, per chiedere di garantire il diritto alla vita di tutti i convertiti al cattolicesimo, sia dall’ebraismo sia dal cristianesimo ortodosso, e di non permettere altre deportazioni di persone innocenti. Il 14 marzo pronunciò una omelia nella quale affermò che “ogni uomo, di qualsiasi razza o nazione, [...] porta ugualmente in se stesso lo stampo di Dio il Creatore e possiede diritti inalienabili di cui non può essere privato”. Stepinac ottenne che le mogli ebree con i loro figli non fossero arrestate e mandate nei campi di concentramento. Nel luglio 1943 RV, sempre in tedesco, tornò sulla questione del razzismo, presentando lo zelo di Stepinac come modello della lotta ingaggiata dalla Chiesa cattolica contro la violazione dei diritti umani. La trasmissione riportava che “uno dei più noti combattenti per i diritti dell’uomo e la libertà morale è l’arcivescovo di Zagabria”. E continuava con la lettura dell’omelia di Stepinac per la festa di Cristo Re del 25 ottobre 1942, il cui testo apparteneva a quella serie di documenti portati a Roma 67 e presentati al pontefice il 30 maggio 1943, comprovanti le attività della Chiesa cattolica croata a favore di ebrei e serbi. Il locutore di RV spiegò che Stepinac aveva pronunciato questa omelia quando un decreto del governo ustaša aveva ordinato la registrazione di tutti gli ebrei, con l’obbligo di indossare un segno distintivo, la confisca delle loro proprietà e il loro internamento. In realtà il decreto citato risaliva all’aprile 1941 mentre l’anno successivo, tra luglio e ottobre 1942 era cominciata la prima fase di deportazioni verso Auschwitz. Nell’agosto Maglione, venuto a conoscenza delle reclusioni a Jasenovac iniziate qualche settimana prima, aveva scritto a Marcone “di invitare alla moderazione nei confronti degli ebrei sul territorio croato, ma di farlo in modo molto discreto per preservare l’impressione di una leale collaborazione con le autorità civili”. La cronologia degli eventi non corrisponde a quella indicata da RV, che non solo attese due anni prima di pronunciarsi sulle leggi razziali croate, ma alterò la veridicità delle notizie non accennando alle deportazioni. Per quanto ne sappiamo le trasmissioni del 1943 furono le uniche che denunciarono le leggi razziali in Croazia. Probabilmente c’è una connessione tra le voci relative alle responsabilità dei cattolici riportate da Maglione a Marcone, i documenti portati a Roma da Stepinac e le trasmissioni di RV. Queste ultime potrebbero essere state ordinate dimostrare quanto l’episcopato croato aveva fatto a difesa delle minoranze sotto il regime ustaša, per dimostrare l’infondatezza della propaganda anticattolica. Se nell’estate del 1941 Pio XII non aveva voluto compromettere il rapporto con il regime di Pavelic e l’anno successivo, pur essendo a conoscenza dei crimini degli ustaša, aveva lasciato che fosse Stepinac ad occuparsene, nel 1943 probabilmente decise che non fosse più del tutto inopportuno levare una voce da Roma, anche se mediata attraverso la radio, che a sua volta rendeva noto l’operato del vescovo croato. Rimane da capire perché si decise di trasmettere questi testi nelle trasmissioni in tedesco, fatto indubbiamente significativo. Innanzitutto, se queste trasmissioni erano dirette ai Balcani, si deve considerare che RV non trasmetteva in serbo-croato, e forse la lingua straniera più comprensibile in quei territori era ancora il tedesco, dato il lungo dominio dell’Impero asburgico. In alternativa, se l’intenzione delle trasmissioni era di colpire la propaganda della resistenza serba, nella quale il governo inglese poteva essere coinvolto, la lingua tedesca era ancora la migliore da impiegare perché da una parte rispondere in inglese sarebbe stato un modo troppo diretto, che poteva essere letto come una excusatio non petita, e dall’altra il Vaticano sapeva perfettamente che la sua emittente era monitorata dagli inglesi, che potevano facilmente captare e tradurre le trasmissioni in tedesco. In effetti la BBC, così come Radio New York, ritrasmisero in serbo-croato il 7 e 8 luglio l’emissione del 6 luglio in tedesco di RV. Inoltre, mostrare l’azione dell’arcivescovo Stepinac sfidando il disturbo operato dai nazisti o le loro lamentele rinforzava la contropropaganda della Chiesa cattolica agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. D’altra parte c’è un’implicazione che induce a fare una ulteriore considerazione sull’utilizzo di RV. Dopo il telegramma di Cicognani di fine marzo 1943, in cui il delegato apostolico domandava che cosa potesse fare la Santa Sede per impedire la deportazione degli ebrei, il cardinal Maglione scrisse una nota in cui fece una lista delle nunziature da coinvolgere per ottenere informazioni. Nell’appunto il segretario di Stato si chiedeva se fosse vantaggioso menzionare esplicitamente l’interessamento della Santa Sede nei telegramma di risposta a Cicognani e decise che “un accenno aperto non sembrerebbe conveniente”. 70 L’anno 1942 cominciava per gli ascoltatori tedeschi con due trasmissioni sul coraggio. Nella seconda veniva letto il messaggio di Capodanno dell’arcivescovo di Friburgo, monsignor Grober, il quale impiegava la metafora della luce e del buio per esprimere la speranza di giorni più felici, senza parlare di vittoria o di pace. Di Grober venne letta anche la lettera pastorale del 27 gennaio. Il monitor della BBC voleva far sapere che il senso delle parole di Grober era quello di difendere la Chiesa dall’accusa di non sostenere il popolo tedesco nella guerra, ovvero da quel disfattismo che era alla base della leggenda della pugnalata alla schiena. Grober, uno dei presuli maggiormente citati da RV, era passato da un’iniziale adesione al nazionalsocialismo ad essere uno dei più convinti sostenitori della necessità di denunciare pubblicamente la persecuzione religiosa in Germania. Ma egli era anche un patriota e come tale cercò di sostenere il morale dei soldati e delle loro famiglie. Altre pastorali furono lette per rinsaldare il legame tra cristianesimo e germanesimo, come quella di August von Galen, vescovo di Munster, sull’educazione religiosa, rivolta soprattutto ai genitori cattolici affinché educassero cristianamente i figli, specialmente oggi che la scuola non se ne fa più carico come una volta. Per festeggiare i 50 anni dalla sua ordinazione sacerdotale nonché il giubileo d’argento come arcivescovo di Monaco, il cardinal Faulhaber scrisse una pastorale, ripresa da RV e dal “Tablet”, nella quale sottolineava l’impegno dei seminaristi della sua diocesi nel servire la patria. Il giubileo episcopale del papa fu l’occasione per i vescovi tedeschi, riuniti in conferenza a Bonn, per rivolgere una lettera ai loro fedeli affinché facessero un pellegrinaggio “in spirito” a Roma per rafforzare la loro fede e la loro obbedienza al papa. Il testo, diffuso da RV, conteneva un panegirico di Pacelli sul periodo in cui era nunzio a Monaco e a Berlino. Veniva esaltato non solo come promotore di pace, ma soprattutto per il suo attaccamento alla Germania, e proprio per il suo amore per il popolo tedesco, il papa non poteva desiderare la sua sconfitta. Il 18 settembre venne letto un altro documento dei vescovi tedeschi, riunitisi in conferenza plenaria a Fulda tra il 18 e il 20 agosto 1942. Anche questa volta, grazie alla radio, il settimanale cattolico inglese poté darne ampia eco. I presuli sottolinearono la loro vicinanza ai soldati che combattevano e morivano per la loro nazione; ricordarono infatti che obbedire agli ordini delle autorità era un dovere religioso legato alla salvezza eterna, secondo un tema ormai divenuto classico della dottrina cattolica, riproposto in diversi discorsi anche dallo stesso Pio XII. Un pensiero fu rivolto poi ai sacerdoti rimasti a casa, un pensiero alle suore, alle madri, ai fratelli e alle sorelle che avevano perso i figli, i padri, i mariti per chiedere a Dio la pace. L’ultimo sermone di un vescovo tedesco del 1942 diffuso da RV il 21 dicembre, prima delle trasmissioni dedicate ai commenti del discorso di Natale di Pio XII, fu quello del vescovo di Fulda, Johannes Schmidt, pronunciato il 25 ottobre per la festa di Cristo re. Monsignor Schmidt si rammaricava che in Germania ci fosse ancora tanta propaganda contro la fede cristiana. Contro questo pericolo il vescovo enfatizzava la natura assoluta della verità, per cui non era possibile che gli Stati incarnassero ciascuno una loro propria verità in contrasto con essa. Nonostante non mancassero trasmissioni in tedesco sotto forma dell’abituale conversazione radiofonica, tra il 1942 e il 1943 prevalse, rispetto al biennio precedente, la lettura delle pastorali e 71 delle omelie dell’episcopato tedesco, cui si aggiungono quelle di ordinari diocesani di altre nazioni significative per gli ascoltatori in Germania. Un esempio per quest’ultimo caso può essere la diffusione, attraverso il programma tedesco di RV, di un discorso del patriarca di Venezia, Adeodato Piazza, del gennaio 1942. Il tema del neopaganesimo razzista veniva in questo modo affrontato dal locutore tedesco mediante le parole del cardinal Piazza: così esse venivano fatte conoscere ai tedeschi senza che il governo nazionalsocialista potesse protestare contro l’episcopato nazionale, il quale invece dimostrava, secondo i documenti scelti da RV, di non aver mai smesso di sostenere il suo popolo in battaglia, senza al contempo rinunciare ad indirizzare la nazione verso il rispetto dei principi cristiani. Altri due documenti significativi diffusi in tedesco furono la lettera pastorale del patriarca di Lisbona, Manuel Gonçalves Cerejeira, sulla Chiesa e il cosiddetto “nuovo Stato” portoghese, – tema tipico anche della propaganda nazista – e il discorso del cardinal Serédi, primate di Ungheria, sulla libertà dell’uomo e della Chiesa. In particolare quest’ultimo aveva descritto la libertà come il più prezioso dei diritti dell’uomo, per il quale nel corso della storia si erano resi necessari innumerevoli sacrifici. La Chiesa fin da principio aveva stabilito la libertà dei figli di Dio, combattendo la schiavitù; trascurava le differenze di razza e nazionalità, e guardava solo alle qualità e alla dignità personale degli uomini. Il primate infine enfatizzava la libertà della Chiesa nell’esercizio della religione, nel diritto di nominare i suoi rappresentanti, nell’aprire scuole, nella libertà di stampa; la libertà degli Stati senza che ledesse l’etica cristiana; il rifiuto della Chiesa delle rappresaglie contro persone innocenti. Va precisato che non si trattava ovviamente di adottare le “libertà moderne” proposte dagli Stati liberal-democratici (che comunque non sarebbero state viste di buon occhio nella Reggenza guidata da Horthy), ma quelle i cui contenuti erano determinati e avallati dalla Chiesa stessa. Tuttavia anche in questo caso la scelta di pubblicare concetti adattabili perfettamente alla situazione tedesca, ma espressi da ordinari di altri Stati, – per altro alleati della Germania e quindi più accreditati agli orecchi degli ascoltatori tedeschi – sembra collimare con la strategia utilizzata spesso in questi anni da RV. Come poc’anzi anticipato, diverse trasmissioni vennero dedicate al commento del radiomessaggio natalizio di Pio XII del 1942, testo diffuso da RV in tutte le lingue. Il discorso contiene un passaggio nel quale il papa alluse allo sterminio degli ebrei senza però nominarli esplicitamente, e perché da quel momento in avanti varie anime del cattolicesimo italiano cominciarono a riorganizzarsi come alternativa al regime. I Laureati Cattolici ne discussero nel loro congresso del gennaio 1943, a partire dal quale sorsero a Milano altre iniziative. Padre Agostino Gemelli diede incarico a monsignor Carlo Colombo di stendere una guida alla lettura del radiomessaggio e di organizzare dei seminari di studio interni alla Università Cattolica con l’ausilio di professori della Facoltà Teologica e di persone impegnate nella vita pubblica. Il gruppo milanese si era chiesto se Pio XII avesse inteso condannare le dittature e promuovere forme democratiche di vita politica. Per chiarire questo ed altri punti, Gemelli scrisse una lettera alla Segreteria di Stato il 29 aprile 1943, alla quale rispose con un documento rivisto personalmente dal papa, che interpretava in senso riduttivo l’apertura che il radiomessaggio aveva lasciato intendere. Ci sarebbero voluti ancora quasi due anni prima che Pio XII desse apertamente il suo consenso all’ordinamento giuridico democratico. Il locutore tedesco di RV cercò di togliere qualsiasi ombra dal discorso del papa. Secondo lo speaker nessuno animato di buone intenzioni poteva dire che Pio XII era rimasto in silenzio, anche se non si era schierato per questo o quel belligerante. Ma non si poteva nemmeno 72 asserire che fosse neutrale quando si trattava delle leggi di Dio, della Chiesa o della dignità umana, perché egli condannava tutti i falsi sistemi che le contraddicevano. Lo sforzo di difendere le scelte di Pio XII da parte dell’emittente vaticana sembrava essere una risposta alle continue pressioni provenienti dalla diplomazia alleata, ma al contempo, nella generalità della condanna (“il papa condanna i falsi sistemi ovunque si trovino se contraddicono la legge di Dio”), pareva voler smentire che la Santa Sede si fosse schierata apertamente contro l’Asse. Se il 1942 era stato teatro di notevoli sconvolgimenti, chiudendosi con la decisiva sconfitta delle Potenze dell’Asse in Nord Africa, il nuovo anno non fu meno portatore di rivolgimenti sui campi di battaglia e di conseguenza a livello politico, a cominciare dal decisivo punto di svolta costituito dalla resa dei tedeschi a Stalingrado. Le trasmissioni in tedesco continuarono ad occuparsi di temi caldi come il nuovo ordine, l’unità dei popoli, la libertà, senza un esplicito riferimento alla Germania, adottando una tattica che era già stata propria del locutore francese, padre Mistiaen, il quale evitava di accennare a situazioni concrete cercando però di far passare comunque il suo messaggio. Un primo esplicito riferimento all’ora attuale fu fatto il 3 marzo 1943, quando venne letto un discorso dell’arcivescovo di Colonia, Josef Frings, che cercava di spiegare ai fedeli la caduta di Stalingrado. L’arcivescovo chiese speciali preghiere e servizi per la nazione tedesca e ordinò la celebrazione del Requiem in tutte le chiese per gli uomini caduti a Stalingrado. Il 27 aprile 1943, giorno della celebrazione di Pietro Canisio, chiamato il secondo apostolo di Germania, il locutore tedesco colse l’occasione per istituire un parallelo tra le persecuzioni della Chiesa che il santo aveva dovuto combattere e quelle attuali. In precedenza, verso la fine del mese di marzo, in una trasmissione sui doveri dei cattolici tedeschi, il locutore, dopo aver dichiarato che il popolo germanico aveva un posto particolare nella civiltà cristiana occidentale, lo aveva messo in guardia dal ripudiare le sue radici e aveva richiamato le parole dell’enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge. Papa Ratti aveva esortato i fedeli tedeschi alla vigilanza perché il concetto di religione cristiana era stato manipolato dai loro governanti. Non fu l’unica trasmissione in cui veniva espressamente citata l’enciclica di Pio XI sulla situazione della Chiesa in Germania, che nel 1937 aveva suscitato tanto scalpore. In una messa in onda in diverse lingue, tra le quali il tedesco, nel maggio 1943 venne riassunta una trasmissione di Radio Paris che accusava la Santa Sede di aver continuamente attaccato la Germania al punto che Goring si era visto obbligato a dare ordini contro l’attività politica del clero. Il locutore tedesco, e in seguito anche quello inglese, polacco e olandese, replicava che l’atteggiamento della Chiesa verso il nazionalsocialismo come filosofia era noto già dai tempi dell’enciclica Mit brennender Sorge. E aggiungeva che tutto il mondo era a conoscenza dei “fatti circa il destino della Chiesa cattolica in Germania” perciò le insinuazioni di Radio Paris, fatte con intenti propagandistici, non meritavano altre confutazioni. Per concludere, le scelte operate dall’incaricato delle trasmissioni in lingua tedesca corrisposero al desiderio del papa di far parlare, durante questa fase del conflitto, soprattutto gli episcopati nazionali. Il compito affidato a RV fu evidentemente di dare a quelle voci la massima diffusione possibile, quindi oltre i confini nazionali, scegliendo però gli argomenti e i testi che meglio corrispondessero alla politica internazionale vaticana e non soltanto alle esigenze locali. 75 2.2. Inglese Per quanto riguarda le trasmissioni in inglese, dirette principalmente al Regno Unito e all’Irlanda, occorre mettere in luce la scelta operata dal locutore anglofono, pare padre Francis Joy, di tradurre e leggere ai microfoni di RV un certo numero di articoli de “L’Osservatore romano” riguardanti la ricostruzione post-bellica, in modo particolare quelli di Guido Gonella. Non era una preoccupazione separata da quelle della Santa Sede. Un riassunto della conversazione che ebbe luogo il 25 settembre 1942 tra il segretario di Stato e Myron Taylor dimostra che il problema della ricostruzione del dopoguerra era qualcosa a cui si era già cominciato a pensare. Nei primi mesi del 1943 si susseguirono trasmissioni in inglese su questo argomento con letture e commenti di articoli de “L’Osservatore romano”. - Venne presentato il dibattito in corso in Gran Bretagna intorno all’impossibilità di ristabilire lo stato delle cose preesistente al conflitto e alla necessità di rinunciare al liberalismo a favore di una maggiore solidarietà economica e sociale verso i cittadini. - Un altro intervento indicava nel comunismo, la cui teoria era sorta in Occidente e che la Russia non aveva fatto che applicare, uno dei mali della società moderna, e nell’Europa cristiana l’unica vera salvezza. - Venne letto anche un articolo sulle linee guida della ricostruzione, fondate sulla legge morale, per trovare una soluzione politica al posto dei conflitti armati, in armonia con “la legge naturale della giustizia, della pace, della cooperazione umana, una soluzione politica conciliatrice della eguaglianza di tutti i popoli grandi e piccoli”. Guido Gonella, dal 1933 assiduo collaboratore de “L’Osservatore romano”, tra il 1942 e il 1943 pubblicò sul giornale una serie di articoli per spiegare e commentare i messaggi natalizi di Pio XII pronunciati durante la guerra, che finirono per diventare un punto di riferimento della cultura cattolica antifascista nell’elaborazione di una prospettiva democratica post-bellica. La pubblicazione dei suoi scritti non tardò a provocare reazioni da parte del governo italiano. Il 17 maggio 1943 il nunzio in Italia, Borgongini Duca, scrisse a Maglione che in mattinata si era recato da Bastianini, sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri, e che questi, di ritorno da un’udienza con Mussolini, gli aveva riferito che gli era stata segnalata la formazione di un partito sociale democratico cattolico, tra i cui aderenti spiccava il nome di De Gasperi. Di fronte alla negazione di rito da parte del nunzio dell’esistenza di un tale partito, Bastianini obiettò che gli articoli di Gonella avevano invece dato l’impressione di “un programma politico vero e proprio”. Il nunzio rispose che si trattava di semplici commenti ai discorsi di Pio XII, ma il sottosegretario aggiunse “che l’azione politica di Gonella ci dispiace”. Nei mesi durante i quali questi articoli vennero diffusi si stava già profilando la caduta del fascismo. In Vaticano si incrociavano le lettere di coloro che si proponevano come sostituti del Duce e i messaggi e gli incontri della diplomazia anglo-americana che avvertivano che i bombardamenti su Roma sarebbero stati evitati solo con la caduta di Mussolini. Allo stesso tempo, dopo la resa dei tedeschi a Stalingrado, le preoccupazioni della Santa Sede si rivolsero alla possibile diffusione del comunismo fuori dai confini dell’Unione Sovietica, già prospettata a Maglione dal nunzio a Berna, monsignor Bernardini, in un rapporto dell’11 febbraio 1943. 76 È in questo contesto che si deve situare la scelta del locutore anglofono di tradurre e leggere alla radio gli articoli di Gonella a commento del messaggio di Natale di Pio XII del 1942. Essi fornivano le coordinate per raggiungere un equilibrio tra l’ordine interno degli Stati e l’ordine internazionale; spiegavano l’origine divina del potere e del diritto come garanzia della libertà dell’uomo dall’arbitrio degli altri uomini e dalla tirannia del principe; ricordavano che lo Stato aveva il dovere di controllare, aiutare e ordinare l’economia privata, con l’obiettivo di rafforzarla e non di eliminarla, ma avendo sempre come fine il bene della persona. Si può interpretare la decisione di RV in due modi, uno che privilegia l’aspetto più formale, propagandistico, l’altro quello contenutistico. Nel primo caso voleva essere una dimostrazione ai governi Alleati che in ambito cattolico, e soprattutto negli ambienti vicini alla Santa Sede, esisteva un certo impegno per ripensare la ricostruzione post-bellica che escludeva un accordo con i fascismi; nel secondo, gli articoli di Gonella, assieme agli altri de “L’osservatore romano”, proponevano un’alternativa al liberalismo e al comunismo, quest’ultimo concreta minaccia agli occhi del Vaticano. Nel contesto delle relazioni tra la Santa Sede e gli Alleati angloamericani la traduzione e la diffusione degli articoli del futuro democristiano rispondevano all’eccessiva fiducia dei due governi britannico e americano che l’Unione Sovietica non avrebbe imposto il suo dominio ideologico nel dopoguerra. Nei mesi durante i quali era in corso la pubblicazione e la messa in onda dei testi di Gonella, la Legazione Britannica aveva inviato un memorandum alla Segreteria di Stato con lo scopo di rassicurare la Santa Sede sulle buone intenzioni dell’Alleato russo. Per tutta risposta Maglione aveva fatto recapitare a Osborne un appunto circa la situazione dei cattolici nei territori occupati dai russi. Come spiegò in seguito Tardini al ministro inglese, che si era chiesto come mai la Santa Sede mandasse un appunto sulla Russia mentre nulla sulla persecuzione religiosa in Germania, “quanto alla Germania siamo d’accordo. Quanto alla Russia, il governo inglese ha mandato un appunto benevolo quindi è doveroso mettere in risalto la realtà della situazione religiosa nell’URSS”. Seguì un altro memorandum, ad opera del Ministero Esteri, sul medesimo argomento e sulle prospettive alla fine della guerra, a cui rispose Tardini con un appunto al segretario di Osborne, Montgomery. Il timore per l’espandersi del comunismo in Europa era tra le priorità della Santa Sede, al punto da costituire uno dei motivi per i quali non avrebbe potuto schierarsi con gli Alleati, pena la perdita della possibilità di dirigere le negoziazioni tra i contendenti. Il lavorio diplomatico fu affiancato da un altro degli strumenti che la Santa Sede aveva a disposizione: RV, che anche nelle trasmissioni in inglese cercò di spalleggiare la politica di Pio XII. 2.3 Russo Il 19 aprile 1943 andò in onda la prima trasmissione in russo diretta all’Unione Sovietica di RV, inserita nel palinsesto ogni lunedì alle 20.45. Il responsabile fu il padre Urusof e il chierico del Russicum padre Tanaef. Il locutore spiegava che il servizio era stato organizzato per volere dello stesso papa. Dopo aver dato lettura di un messaggio di Pio XII al cardinal Maglione, il pontefice chiedeva di rivolgere speciali preghiere alla Madonna nel mese di maggio per invocare la sua intercessione per la pace, il locutore spiegò quali sarebbero stati i contenuti delle trasmissioni in russo: notizie sulla vita religiosa dei cattolici russi, informazioni di carattere generale, sociale e scientifico, 77 commemorazioni dei momenti più importanti della storia religiosa russa. Inoltre, gli ascoltatori che desideravano dare la loro opinione sulle trasmissioni russe potevano scrivere a RV. Nella seconda trasmissione andata in onda il lunedì dell’Angelo venne fatto un resoconto delle celebrazioni della Pasqua nella Chiesa russa a Roma. In seguito a queste due prime trasmissioni di collaudo, il “Tablet” scrisse che un ascoltatore russo aveva individuato non pochi problemi. Il primo era legato alla difficoltà di ascoltare queste trasmissioni, perché in Unione Sovietica tutte le radio private erano state confiscate con lo scoppio della guerra e sostituite con altoparlanti in luoghi pubblici controllati dal governo. Inoltre, il linguaggio utilizzato da RV era troppo teologico perché potesse essere compreso dal popolo. Le trasmissioni però continuarono: a maggio una veniva dedicata alla vita dei santi Cirillo e Metodico con un commento del locutore che li indicava come esempi per il mondo odierno pieno d’odio, e un’altra alla spiegazione dell’enciclica Rerum novarum. La conversazione radiofonica si apriva con l’affermazione che la proprietà privata stava alla base del diritto naturale dell’uomo e che non poteva essere negata. L’impossibilità di possedere una proprietà, spiegava ancora il locutore, intaccava anche la vita familiare perché un padre non poteva garantire un futuro ai propri figli. Sulla questione sociale RV tornò in una successiva trasmissione, nella quale spiegava il diritto degli uomini al giusto guadagno, e la necessità di eliminare le disuguaglianze tra il ricco e il povero. Ciò sarebbe stato possibile solo se gli insegnamenti cristiani avessero prevalso, condizione necessaria affinché i conflitti terminassero. Anche attraverso un lungo excursus sulla storia del cristianesimo in Russia, che metteva in evidenza soprattutto il legame con Roma, RV tentava di illustrare agli ascoltatori la dottrina cattolica. Come testimoniato nel promemoria di padre Soccorsi del marzo 1939, nelle trasmissioni in lingua russa si erano sempre evitati sia argomenti politici sia controversie con i cristiani ortodossi. Se si escludono le trasmissioni sulla Rerum novarum e sul diritto di proprietà privata, anche nelle emissioni che cominciarono nel 1943 si ebbe la stessa accortezza, probabilmente per evitare che venissero disturbate. 2.4. Francese Nel novembre del 1942 le truppe tedesche invasero il sud della Francia sottomettendo al controllo del Reich tutto il territorio francese e riducendo il governo di Vichy ad una istituzione formale senza poteri reali. Una riunione straordinaria dell’Assemblea dei cardinali e arcivescovi, a cui poterono partecipare soltanto sette prelati, deliberò la necessità di rimanere fedeli al governo di Laval e al maresciallo Pétain, i quali rappresentavano ancora l’autorità legittima. Ai primi di gennaio del 1943 il cardinal Suhard per la prima volta dall’inizio della guerra si recò dal papa, che lo ricevette due volte in udienze da 90 minuti. Confermando la sua stima per il maresciallo, Pio XII gli consigliò di non chiedere l’impossibile al governo e di accontentarsi del ragionevole. Vichy non gli sembrava votato ad una grande stabilità, e il papa sperava che fossero evitate compromissioni. 80 libertà più che di diritti, Mistiaen sembrava trascendere i significati canonici dei termini per tentare di chiarire che cosa la Chiesa non potesse (più) accettare. I concetti di “dignità della persona umana”, diritti e libertà non vennero mai portati alle estreme conseguenze e fatti coincidere con quelli di ispirazione liberal-democratica, e vennero impiegati sempre all’interno de limite della legge divina e naturale, ma nelle trasmissioni francesi, oltretutto nella particolare circostanza in cui vennero mandate in onda (quella dell’istituzione dei servizio di lavoro obbligatorio), acquisirono un valore su cui fondare l’opposizione allo sfruttamento e all’oppressione dell’uomo da parte dei regimi dittatoriali. 3. L’estate del ‘43 Nella primavera del 1943, mediante uno scambio di lettere tra il pontefice e il presidente degli Stati Uniti, la Santa Sede prendeva atto che un’operazione aerea alleata sopra la città di Roma non si sarebbe potuta evitare. L’impegno di rispettare gli edifici di culto e di mirare esclusivamente a obiettivi militari, ribadito da Roosevelt il 10 luglio mentre avveniva lo sbarco in Sicilia, non servì a tranquillizzare il papa. Il 19 luglio l’aviazione americana, nel tentativo di far saltare lo snodo ferroviario a nord di Roma, distrusse la basilica di San Lorenzo fuori le mura. Com’è noto, in quell’occasione Pio XII uscì dal Vaticano per recarsi nel quartiere di San Lorenzo a contemplare le rovine e portare conforto alla popolazione colpita. L’episodio è ricordato soprattutto per la reazione che la gente ebbe alla vista del pontefice, prova dell’estremo attaccamento e fiducia che il popolo aveva per l’unica autorità di statura sovranazionale su cui potesse contare. La cronaca della visita ai luoghi bombardati fu fatta da “L’Osservatore romano” in un articolo che venne letto ai microfoni di RV in italiano e in inglese la sera del 20 luglio. Si metteva in risalto il carattere improvviso e privato dell’iniziativa del pontefice, accompagnato soltanto da monsignor Montini. La straordinarietà dell’evento stava nel fatto che il papa non usciva dai confini del suo piccolo Stato dal maggio 1940 e dal pallore del papa di fronte alle macerie. - Al contrario, la notizia sul momento non fu accolta con particolare rilievo dallo speaker tedesco, che la inserì tra le altre nel notiziario della sera. - In spagnolo si preferì un commento posto in calce ad una trasmissione che ricordava come fin dall’inizio della guerra Pio XII avesse pregato i belligeranti di deporre le armi. Lo speaker spagnolo sosteneva che il gesto del papa evidenziava ciò che aveva nel cuore e che in quelle rovine vedeva le macerie del mondo intero. Il giorno seguente veniva diffusa tramite RV anche la lettera del pontefice al cardinal vicario, Francesco Marchetti Selvaggiani, in cui ricordava che Roma era la “città santa del cattolicesimo” e la speranza di veder preservata Roma era andata delusa. RV continuò a parlare dell’accaduto. In una trasmissione in italiano vennero lette alcune delle lettere rivolte dai vescovi da ogni parte del mondo al proprio clero diocesano. L’arcivescovo di Buenos Aires, per esempio, chiedeva ai sacerdoti argentini di raddoppiare le loro preghiere per le sofferenze inflitte ai civili di Roma; anche l’episcopato statunitense aveva condannato apertamente gli attacchi a Roma, continuava il locutore italiano; il cardinal Bertram aveva indirizzato una lettera al pontefice e l’arcivescovo di Milano, Schuster, aveva chiesto ai suoi fedeli di pregare per il papa. 81 Il notiziario terminava con alcuni dettagli sull’aiuto che la Chiesa stava dando all’opera di ricostruzione nel quartiere Tiburtino. L’emittente era diventata, in questa situazione di emergenza, anche un tramite per diffondere le richieste di aiuto. La risposta alla lettera del 10 luglio di Roosevelt da parte di Pio XII ebbe una gestazione di una decina di giorni, durante i quali Roma era stata bombardata. Qui veniva ribadita la neutralità del Vaticano e il fatto che non si potesse attaccare Roma senza infliggere una perdita al patrimonio della religione e della civiltà, fu consegnata a Tittmann il 27 luglio per essere recapitata negli Stati Uniti, anche se in realtà portava la data del 20. La notizia dell’invio di una personale lettera di protesta al presidente Roosevelt da parte di Pio XII e di un’udienza dell’incaricato d’affari americano con il segretario di Stato vaticano la sera stessa delle incursioni aeree venne diffusa dalla stampa, ma smentita prontamente da RV in tedesco  entrambe le asserzioni, diceva lo speaker, non avevano alcun fondamento, perché le uniche iniziative prese dal papa dopo il bombardamento furono la visita dei luoghi colpiti e la pubblicazione della lettera al vicario generale di Roma. Aggiungeva che San Lorenzo non era stata distrutta come alcuni giornali avevano riportato e il danno non era stato intenzionale. In questo modo si voleva evitare una facile strumentalizzazione dei due gesti del papa (la lettera a Roosevelt e la visita a San Lorenzo) da parte della propaganda nazionalsocialista. Non ci fu cronaca dei rivolgimenti politici che ebbero luogo in Italia nel luglio 1943 nelle trasmissioni di RV, che riprendeva articoli dalla stampa cattolica per poi diffonderli nelle diverse lingue. Da questo momento in avanti la Santa Sede scelse anche per i mezzi di comunicazione la neutralità. La Segreteria di Stato era stata però interpellata più volte dai protagonisti delle vicende italiane. - Il 17 luglio Mussolini aveva inviato il sottosegretario degli esteri Giuseppe Bastianini dal cardinal Maglione con un documento da sottoporre al papa, nel quale chiedeva di intercedere presso l’Inghilterra e gli Stati Uniti per far siglare all’Italia una pace separata senza l’allontanamento del duce. - Ma il 25 luglio Montini fu chiamato da monsignor Celso Costantini, segretario di Propaganda Fide, perché raggiungesse il palazzo della Congregazione dove lo attendeva Alberto de Stefani, membro del Gran Consiglio del Fascismo, perché durante la notte Mussolini era stato destituito da capo del governo. L’ex ministro delle finanze espose al sostituto della Segreteria di Stato vaticana la sua opinione circa le trattative che si sarebbero dovute portare avanti: una con la Germania, affinché acconsentisse a far ritornare l’Italia un Paese neutrale, e l’altra con gli Alleati, per sapere come si sarebbero comportati se l’Italia fosse uscita dal conflitto. Chiedeva quindi che la Santa Sede interrogasse gli Stati Uniti e l’Inghilterra sulle loro eventuali intenzioni. Montini dichiarò subito l’indisponibilità da parte vaticana. La stessa risposta fu data all’ambasciatore di Germania. Nel frattempo Mussolini era stato arrestato e si era costituito un nuovo governo con a capo il maresciallo Pietro Badoglio. Prendendo atto delle crescenti tensioni tra l’Italia e la Germania, il 31 luglio il cardinal Maglione decise di convocare gli ambasciatori di Portogallo, Spagna, Argentina e Ungheria per chiedere loro di esprimere a Ernst von Weizsacker, nuovo ambasciatore tedesco, la 82 fiducia che nel caso di una rottura con l’alleato italiano la Città del Vaticano, in quanto Stato neutrale, sarebbe stata rispettata. Divisioni tedesche avevano valicato le Alpi e occupato il Brennero, Bolzano e l’Alto Adige. Come spiegò Maglione, “la Santa Sede continua ad agire con la consueta prudenza, evitando tutto ciò che potesse offrire un pretesto ai tedeschi per attaccarla” e per questo motivo si era rifiutata di fare da tramite con gli Alleati per conto del governo italiano. Il resoconto di Tardini si concludeva con la manifestazione del tradizionale timore per il comunismo. Nei 45 giorni tra la caduta del fascismo e la firma dell’armistizio la Santa Sede cercò di limitare i danni della guerra alla città e alla popolazione di Roma, e di contrastare il vuoto di potere per evitare il disordine civile e un’adesione massiccia al comunismo. La reazione del Vaticano alla caduta del fascismo fu “perplessa, prudente, cauta sul piano diplomatico”. RV rifletté ancora una volta la prudenza della diplomazia vaticana. Nei notiziari in italiano si cercò di mettere in luce il lavoro assistenziale del clero. In Sicilia, dove stava avendo luogo la battaglia per la liberazione dell’isola, l’arcivescovo di Palermo aveva deciso di rimanere a sopportare i suoi sacerdoti. Con lo scopo di raggiungere gli ascoltatori italiani in modo più efficace vennero lanciati nuovi programmi sperimentali. Il 14 ottobre RV annunciò che stava provando la lunghezza d’onda media a 531 metri, che in Italia era stata usata per molti anni dall’Eiar e per un breve periodo da Radio Palermo, dopo l’occupazione della Sicilia da parte degli Alleati. L’apporto di RV all’Ufficio Informazioni Vaticano (UI) è stato messo in luce in anni recenti. L’Ufficio era stato creato all’inizio della guerra per ricevere e smistare le richieste di informazioni sui dispersi, militari e civili, servendosi della rete internazionale di collegamenti costituita soprattutto da delegazioni e nunziature apostoliche. La Sezione radio, che fu istituita nella seconda metà del 1940, trasmetteva in giorni e orari stabiliti liste di nominativi di prigionieri e dispersi e le notizie captate dalle nunziature, dalle delegazioni o dalle curie diocesane, venivano poi inoltrate alle famiglie. A partire proprio dall’agosto 1943, il ruolo di RV divenne di grande importanza. Il governo britannico e gli Stati Uniti però, si opponevano all’operato della Santa Sede nei confronti sia dei civili dell’Italia meridionale sia soldati imprigionati, perché temevano che il servizio di RV potesse involontariamente aiutare l’attività di spionaggio nemico. Per questo motivo la ricezione di RV in quelle zone, pur ostacolata, divenne in questi mesi fondamentale. Pur non dando notizie precise sulla situazione italiana, RV aveva cercato di rassicurare che i recenti eventi in Italia non avevano influenzato la normale attività in Vaticano. Il locatore tedesco, inoltre, prendeva dal quotidiano cattolico di Milano, “L’Italia”, alcuni commenti sull’atteggiamento della Chiesa rispetto ai recenti cambiamenti: ribadiva che le attività liturgiche non subivano modifiche e chiedeva a ciascuno di rimanere al suo posto “con dignità e disciplina e di assistere il governo appena formato nello stabilire un ordine durevole”. Il commentatore italiano decise di diffondere gli estratti di recenti interventi di alcuni prelati, poi pubblicati da “L’Osservatore romano” perché la gerarchia cattolica invitava i fedeli a pregare e a rimanere uniti nel rispetto dell’autorità. Era lo stesso locutore italiano a tirare le fila in una successiva trasmissione: l’episcopato invitava “all’obbedienza all’autorità costituita”. Il nuovo governo italiano aveva avuto in eredità la guerra e sebbene tutti sperassero nella pace, nessuno poteva desiderarla senza onore e giustizia. Era perciò necessario aspettare con pazienza, nel sacrificio e nella collaborazione, per preparare un futuro migliore. 85 stessero rispettando la Santa Sede e che avrebbero continuato a farlo. Si era parlato infatti della possibilità che nazisti occupassero il Vaticano e rapissero il papa. Successivamente, nessun accenno venne fatto alla retata degli ebrei romani. Il riserbo sulla notizia del bombardamento su Roma del 5 novembre: RV interruppe le trasmissioni verso le 20:10. In seguito trasmise in tutte le lingue un comunicato de “L’Osservatore romano” che descriveva l’attacco aereo. Gli opposti schieramenti si rimpallarono la responsabilità dell’accaduto, senza che la Santa Sede puntasse il dito contro una parte o l’altra. Il pontefice, nel suo discorso di Natale al Sacro Collegio, si riferì “all’anonimo volatore” e lo definì il segno più evidente della decadimento morale e spirituale dell’umanità. Altro silenzio da parte di RV aleggiò intorno alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana nel nord della penisola. In una nota del 27 settembre, Maglione, sulla questione del riconoscimento del nuovo governo rispondeva che la Santa Sede non riconosceva come legittimo alcuno Stato formatosi durante la guerra. Al clero venne ordinato di mantenersi prudente e di non compromettersi. Un documento significativo della gerarchia episcopale venne pubblicato nel maggio 1944 sotto forma di Notificazione della Conferenza episcopale triveneta. I vescovi asserivano di non volersi intromettere in questioni politiche, ma reclamavano il diritto del magistero ecclesiastico di tendere una mano a “tutte le anime, senza distinzione e discriminazione”. Condannavano la guerra e i delitti contro la vita umana. Il governo repubblichino proibì la diffusione dai pulpiti del documento, che non fu naturalmente ripreso da RV. Più sorprendente invece è la mancata lettura da parte dell’emittente di un precedente testo. La Carta costituente della RSI, stesa durante il primo e ultimo congresso del PNF, tenutosi il 14 novembre a Verona, al settimo punto affermava che gli “appartenenti alla razza ebraica” erano considerati stranieri e quindi di “nazionalità nemica”. Due settimane più tardi il ministro dell’Interno, Buffarini-Guidi, diede l’ordine che tutti gli ebrei residenti nel territorio della Repubblica Sociale fossero internati in campi di concentramento e che tutti i loro beni venissero confiscati. Un articolo de “L’Osservatore romano” del 3 dicembre condannò l’ordinanza, per la quale non veniva addotta alcuna motivazione. A dare diffusione internazionale all’articolo ci pensarono il corrispondente a Zurigo di un giornale svedese, il “Dagens Nyheter”, ripreso dal “Tablet” di Londra. Tenuto conto che RV si serviva quotidianamente degli articoli de “L’Osservatore romano”, i quali negli ultimi mesi costituivano la maggior parte del suo palinsesto, stupisce che il pezzo sulla campagna razziale della RSI sia passato sotto silenzio. La decisione non è pienamente decifrabile per mancanza di fonti. Si può ipotizzare che, contrariamente a quanto avvenne, non si intendesse diffondere il commento oltre i confini nazionali, se non addirittura romani, data la ridotta diffusione del quotidiano in quel momento. Una tale scelta si può spiegare alla luce del silenzio della radio e de “L’Osservatore romano” sulla razzia degli ebrei romani dell’ottobre precedente: l’atteggiamento dell’emittente rimaneva quello della più stretta prudenza nei confronti dell’occupante tedesco, mentre la critica del giornale, per altro rivolta al governo della RSI e limitata al circuito nazionale della sua diffusione, poteva indicare una presa di distanza non eccessivamente compromettente e tale da non suscitare eccessive preoccupazioni per la libertà della Santa Sede. 86 5. Dai bombardamenti alla liberazione di Roma A partire dalla seconda metà del 1943 i servizi di monitoraggio esteri di RV fotografarono l’attenzione dell’emittente per la situazione italiana e in particolare per Roma. Il fatto stesso che la gran parte delle trasmissioni si basassero su articoli de “L’Osservatore romano” non poteva che imprimere un carattere essenzialmente “italo-centrico” alle emissioni. L’Italia era di nuovo teatro di scontri tra gli eserciti, ma l’interesse della Santa Sede per Roma e l’Italia era da sempre speciale. RV, nonostante la sua naturale vocazione internazionale, fece da megafono alla preoccupazione del papa per Roma. La neutralità andava salvaguardata a tutti i costi, come rivela il comportamento di Pio XII di fronte alla retata degli ebrei romani o l’ordine di allontanare i rifugiati nascosti nei locali ecclesiastici nel febbraio del 1944, ma rimanevano alcune prerogative sulle quali la Santa Sede poteva ancora far leva per difendersi dai soprusi dell’occupante. Il noto caso della violazione dell’extraterritorialità dell’Abbazia benedettina di San Paolo fuori le mura da parte della polizia della RSI nella notte tra il 3 e 4 febbraio, che portò all’arresto di decine di rifugiati e il conseguente ordine di non dare più asilo ai perseguitati aveva potuto rimbalzare sulle cronache dei giornali esteri grazie alla diffusione che ne diede RV. I Patti Lateranensi erano ancora validi, perciò il territorio, godendo della territorialità vaticana, non poteva essere violato. Sono le note di Tardini a svelarci i dubbi e le remore nei riguardi di eventuali trasmissioni radiofoniche su questo e su altri avvenimenti. Il 4 febbraio annotava che RV doveva dare notizia della violazione dell’extraterritorialità e l’avvenuta protesta della S. Sede. Ma, aggiungeva, se quanto avvenuto alla basilica di San Paolo non fosse stata che una prova per qualcosa di più grosso che avrebbe potuto succedere, forse era meglio non fare troppa pubblicità all’accaduto per evitare reazioni di maggiore violenza, e quindi non far parlare RV ma limitarsi all’attività diplomatica. Nei giorni seguenti il cardinal Maglione, con l’approvazione di Pio XII, incaricò Tardini di stendere un progetto di nota per il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e una protesta da inserire ne “L’Osservatore romano” il 7 febbraio e da leggere ai microfoni di RV dichiarando la violazione dell’extraterritorialità di San Paolo ad opera della polizia repubblicana. Il “Tablet” pubblicò la versione inglese presa da RV. I bombardamenti sulle proprietà della Santa Sede furono l’altro argomento affrontato nei primi mesi del 1944 da RV. Anche in questo caso, riportando le notizie da “L’Osservatore romano”, sugli attacchi a Castegandolfo e all’Abbazia di Monte Cassino, non si fecero commenti circa i responsabili. Sono ancora le note del sostituto della Segreteria di Stato che aiutano a comprendere la posizione di RV. Le considerazioni formulate in quell’occasione mostrano una certa insofferenza per il comportamento degli Alleati e soprattutto, per quello di Roosevelt, il quale “getta tutta la colpa sui tedeschi”. Annotò quindi Tardini: “Io mi domando se non sarebbe opportuno che anche RV cominciasse un po’ a dire qualcosa”, riferendosi alla necessità di indicare i responsabili dei bombardamenti. Ma quando l’ennesima granata fu lanciata sulla Città del Vaticano, l’emittente evitò di nuovo di indicare i colpevoli. Nel frattempo però Tardini aveva fatto studiare l’idea di far conoscere tramite RV la vera situazione di Roma e la responsabilità degli Alleati per i bombardamenti sulla città. Il 24 marzo monsignor Egidio Vagnozzi, allora funzionario di Curia, gli rimise un memorandum dal titolo Propaganda 87 governativa e opinione pubblica agli Stati Uniti d’America circa i bombardamenti di Roma e d’Italia. Il documento non è stato pubblicato, ma Tardini lo commentò per iscritto. Dalle sue note si capisce che non era del tutto d’accordo con la linea che si era deciso di far tenere a RV. La sua soluzione era di preparare dei testi da mandare in onda qualora si avessero avuto notizie certe. Inoltre aggiunse che l’idea di far ricominciare le trasmissioni il 1 aprile era stata abbandonata ma pensa sempre che se avessero avuto qualche news potevano prepararla bene e riuscire a trasmetterla. Pur non essendo in possesso di tutta la documentazione, sembra evidente che a partire dalla caduta del fascismo erano state impartite chiare direttive alla RV, il cui direttore dei programmi in questo periodo era l’italiano Salvatore Gallo, affinché il normale palinsesto venisse sospeso e le trasmissioni rigorosamente controllate e svuotate di contenuti. Ad un certo punto, si studiò la possibilità di ripristinare una certa normalità a partire dall’aprile del 1944, ma l’idea fu accantonata. La linea di estrema imparzialità, che fu mantenuta anche in occasione dei bombardamenti alleati su Roma, trovò degli oppositori come Tardini. Ma il timore che RV potesse recare danno alla Santa Sede vinse su qualsiasi altro argomento, come vedremo nei mancati appelli a favore degli ebrei. Nei giorni che precedettero e seguirono la liberazione di Roma il 4 giugno 1944, i locutori di RV avvisarono della possibilità di una sospensione delle trasmissioni dovuta ai continui cali di corrente. Poco prima dell’entrata degli Alleati nella capitale Tardini temeva un eccesso di celebrazioni per gli alleati. Tardini temeva un eccesso di celebrazioni radiofoniche, ma soprattutto del giornale vaticano, per l’entrata degli Alleati a Roma, confermando ancora una volta l’estrema prudenza che si impose ai due mezzi di comunicazione della Santa Sede. All’indomani del 4 giugno la popolazione di Roma accorse in piazza San Pietro per acclamare il papa ed esprimergli riconoscenza. Il fatto era tanto più significativo in quanto non c’era stato nessun annuncio che il papa si sarebbe affacciato. I giorni seguenti venne dato conto delle udienze di Pio XII con diverse personalità, tra cui il generale Clark e il generale Alexander. Il 12 giugno venne mandato in onda il discorso di ringraziamento del papa per la “salvezza di Roma”. Qualche giorno dopo RV citò un servizio fatto alla sinagoga di Roma dal rabbino Zolli, il quale, a nome della comunità ebraica di Roma, aveva ringraziato la Chiesa cattolica e il suo clero per l’aiuto ai tanti ebrei perseguitati negli ultimi mesi. Una trasmissione in francese dette un ampio resoconto degli omaggi al papa dei soldati francesi, britannici e americani, ricevuti in una udienza collettiva. Inoltre nelle chiese romane si potevano osservare numerosi soldati francesi e inglesi che ricevevano la comunione o si confessavano. 6. L’ultima speranza: le richieste di intervento della Santa Sede tramite Radio Vaticana Oltre a scarseggiare con le informazioni sulla situazione in Italia, RV applicava l’assoluto riserbo anche su altri fronti. Soprattutto sui rivolgimenti politici in Ungheria e sulla sorte degli ebrei ungheresi a partire dal marzo 1944. Con l’instaurazione di un governo controllato dai tedeschi iniziò l’applicazione della “soluzione finale” sull’unica comunità ebraica che era riuscita a scampare allo sterminio tra gli Stati alleati o controllati dai nazisti. La Chiesa cattolica ungherese non fu in grado di opporsi. Sebbene il papa avesse scritto a Horthy e al governo ungherese, pare che il primate d’Ungheria, il cardinal Serédi, avesse risposto al capo degli ebrei cristiani, Sandro Torok, 90 Il testo rientrava nella serie di interventi che per consuetudine venivano mandati in onda nel corso della settimana di preghiere per l’unità dei cristiani. Tuttavia quest’ultimo, pronunciato qualche giorno prima della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, confrontato con quelli precedenti, si presenta, seppur in un quadro generale non mutato dei rapporti tra ebrei e cristiani, con toni e concessioni lievemente diversi. Proprio in questa sfumatura consiste il passo in avanti e allo stesso tempo il limite della comprensione della tragedia storica che era avvenuta con la Shoah e che solo in seguito avrebbe portato a un profondo mutamento nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo. La lettura del quadro neotestamentario alla luce della venuta di Cristo non era cambiato: - sembra echeggiare in quel “i veri ebrei sono in realtà coloro che diventano cristiani” la conversione di Natanaele, il “vero israelita in cui non c’è falsità”. - Nell’invito alla conversione, seppur scevro dalla consueta invettiva antiebraica, era indicata l’unica via di salvezza: nemmeno questo era cambiato. - Eppure nella seconda parte della trasmissione venivano introdotti due elementi inediti: l’invito alla discussione con “spirito fraterno”, e il riferimento ai “fraintendimenti” e alla “discordia” che, come esiti dell’antisemitismo, portavano all’ammissione che alcuni cattolici non avevano agito correttamente e avevano aggravato la situazione. Non è molto, oltretutto il lessico tradisce l’incapacità di cogliere la drammaticità degli eventi che si erano consumati. Ma è proprio questa l’istantanea che fotografa il clima e le opinioni che si erano prodotti in Curia durante la seconda parte della guerra. Non si conosce l’autore del testo, probabilmente un gesuita al servizio di RV, ma in qualsiasi caso egli sembra incarnare alcuni dei caratteri essenziali di cui non si può non tener conto per capire la Chiesa di Pio XII in quel preciso momento storico. Il rapporto tra ebraismo e cristianesimo era uno degli assi che sorreggevano la teologia e la dottrina cattolica da secoli. Esso produsse un condizionamento profondo che si intrecciò con le teorie razziste della seconda metà del XIX secolo sfociando in un antisemitismo di matrice cattolica che continuò nei decenni successivi, e che divenne una delle componenti più diffuse dell’antisemitismo in Europa. I piccoli cambiamenti, i tentativi di dialogo instauratisi anche durante la guerra, non avevano incrinato le strutture portanti delle persuasioni e credenze sedimentate nelle mentalità di questi uomini di Chiesa, che si erano formati alla luce di quella teologia. Ed è proprio la sua riproposizione tale e quale nella trasmissione del gennaio 1945 che ci indica la misura di quanto queste strutture teologiche non solo fossero presenti, ma rappresentassero una sicurezza, una garanzia della continuità della Chiesa cattolica in un panorama di macerie, un’ancora a cui questi ecclesiastici erano aggrappati. Pio XII nel suo messaggio del 2 giugno assolverà la Chiesa da qualsiasi responsabilità per i crimini commessi dai nazisti (così come fece nei confronti del popolo tedesco). Agiva di nuovo la certezza, la fede in qualcosa di incrollabile, che, anzi, non doveva crollare, perché adesso era il momento della ricostruzione e non dell’afflizione. 7. Verso la fine della guerra Lo sbarco in Normandia (6 giugno 1944) non fu annunciato da RV, impegnata in quegli stessi giorni nelle celebrazioni della liberazione di Roma. Nonostante non possediamo documenti che 91 attestino se e come siano state date notizie dell’avanzata alleata in Francia – forse per la mancata registrazione da parte del Monitoring Service più che per volontaria omissione da parte del locutore francese – le trasmissioni, a partire dal mese di agosto, erano pian piano ricominciate. Dati più concreti sulla liberazione di Parigi (25 agosto) vennero trasmessi in spagnolo molto più tardi (17 ottobre) attraverso la diffusione delle parole dell’arcivescovo di Parigi, il cardinale Suhard, sul contributo del clero e dei religiosi all’evento. Nel frattempo padre Mistiaen era tornato a trasmettere i suoi testi di carattere religioso, ma con riferimenti impliciti alla contemporaneità. A Partire dalla fine di luglio 1944 preparò una serie di trasmissioni sull’unità della Chiesa, che rappresentava l’unità degli uomini in Cristo ed era un elemento essenziale per il ristabilimento della pace nel mondo. In un’altra trasmissione il gesuita ricordava le imprese della Chiesa nel corso dei secoli per realizzare il Regno di Dio in terra, costituito da nazioni libere e fraterne. Per questo motivo era da dispiacersi il fatto che una delle condizioni fondamentali per la sua costituzione, l’eguaglianza tra gli uomini, fosse venuta meno. Il 18 settembre apparve un primo esplicito riferimento alla ricostruzione in Francia. Si parla di “madrepatria terrena” e questo potrebbe mettere in dubbio la paternità della trasmissione: Mistiaen era infatti di origine belga. Tuttavia il locutore, si tratti di Mistiaen o meno,aveva mantenuto il suo stile, cercando di tenere alto il morale dei francesi che, una volta liberati dall’occupazione tedesca e caduto il regime di Vichy, avrebbero dovuto fare i conti non solo con la fatica della ricostruzione, ma anche con un tragico passato recente. Una trasmissione del gennaio 1945 toccò in effetti uno dei problemi che la Francia libera dovette affrontare, quello dell’epurazione. Il locutore francese raccomandò che fosse il senso di giustizia a guidare la punizione per i criminali e non la logica della vendetta. Anche se la popolazione francese era favorevole alle epurazioni percepite come una semplice misura di giustizia. Il locutore tedesco dedicò i primi mesi del 1945 a una serie di trasmissioni sulle Chiese orientali tenute da professori del Pontificio Istituto Orientale (PIO). Delle 8 lezioni vale la pena mettere in luce l’ultima: per la prima volta RV faceva menzione delle concessioni fatte da Stalin alla Chiesa ortodossa nel settembre del 1943. Lo speaker, il professore e padre gesuita Wilhelm de Vries, non arrivò a ipotizzare l’uso strumentale della tolleranza staliniana, ma mise comunque in luce che, nonostante la Chiesa ortodossa potesse godere di nuovo di una certa libertà di culto, rimaneva esclusa la possibilità di educare i giovani alla religione cristiana. De Vries sperava in una pacifica separazione tra Stato e Chiesa e nella completa libertà di religione, “come negli Stati Uniti”. Risulta difficilmente decifrabile la scelta di trasmettere una serie di 8 lezioni sulle Chiese orientali, seguita subito dopo da un’altra serie di 3 trasmissioni sui pensatori orientali e Cristo, inaugurata il 28 marzo. I loro contenuti non erano quasi mai polemici, soprattutto grazie al fatto che erano affidate ad addetti ai lavori, ovvero ai professori del PIO. Con l’avvicinarsi della fine della guerra e il noto timore della Chiesa cattolica per il dilagare del comunismo in Europa, ci si sarebbero forse aspettati testi dai toni più controversistici. La scelta di trasmettere queste serie fu però obbligata, per la mancanza di materiale proveniente dalla Chiesa tedesca. Il 26 gennaio infatti, il locutore annunciò che non era più in grado di ricevere notizie di prima mano sull’attività religiosa della Chiesa nel Reich e che da 18 mesi non veniva edita una lettera pastorale collettiva dell’episcopato 92 tedesco. RV sembrava essersi ripresa dal silenzio dei mesi dell’occupazione di Roma, ma stava ancora in trepida attesa della fine del conflitto. Intanto Pio XII, con la sempre più probabile vittoria degli Alleati, nel suo radiomessaggio natalizio del 1944 aveva cominciato a parlare di democrazia. In un ormai noto passaggio del suo discorso il papa spiegava quali fossero i presupposti di una “vera e sana democrazia, adatta alle circostanze dell’ora presente”. RV lo commentò in alcune trasmissioni. In tedesco il locutore contraddiceva quei giornali che avevano dato a Pio XII l’appellativo di “papa democratico”. In spagnolo si sottolineavano i limiti entro i quali secondo il papa la democrazia fosse accettabile. Il discorso di Pacelli era il frutto di un anno e mezzo di prudente attesa rispetto alle incognite del futuro. In realtà, senza che naturalmente RV avesse potuto darne notizia, i fermenti in vista della costituzione di un partito cattolico o comunque della partecipazione attiva dei cattolici alla politica del dopoguerra in Italia erano cominciati a partire dal luglio del 1943 con il gruppo che si riunì attorno a De Gasperi. Il 7 maggio RV dichiarò la fine della guerra. In inglese venne ringraziata “l’Immacolata Regina della pace”, perché la pace era stata siglata nel mese a lei dedicato. In italiano l’attenzione fu rivolta ai festeggiamenti nella capitale per il diffondersi della notizia. Anche in questo caso il locutore cercò di mettere in luce alcune coincidenze: la firma della resa dei tedeschi a Caserta il 29 aprile, santa Caterina patrona d’Italia, mentre l’armistizio europeo cadeva nel giorno della festa della Madonna di Pompei. Maggiormente riflessivo, come era stato per tutta la guerra, il messaggio del locutore francese che ricordava “i sei anni in cui c’erano rifugiati, prigionieri e deportati; ricordando che la speranza alla fine aveva prevalso; ma soprattutto gioire sì ma ricordando coloro che ci hanno lasciato perché sono stati leali ai loro doveri”. L’esultanza per la fine della guerra non poteva cancellare i costi che l’umanità tutta aveva dovuto pagare.
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