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La radio nella rete. La conversazione e l'arte dell'ascolto nell'epoca della disattenzione, Sintesi del corso di Storia Della Radio E Della Televisione

Riassunto del libro di Giorgio Zanchini

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 01/09/2019

camilla-petazzoni
camilla-petazzoni 🇮🇹

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Scarica La radio nella rete. La conversazione e l'arte dell'ascolto nell'epoca della disattenzione e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! La radio nella rete: Oggi la radio, come tutti gli altri media, è nella rete, un luogo dove sta bene, anzi, può addirittura prosperare. La rivoluzione digitale è stata per la radio una sfida radicale, ma per ora la risposta è stata all’altezza: si sono moltiplicati gli strumenti che ci permettono di ascoltarla, si è ibridata con i social media. La radio è il medium di un senso solo, si adatta bene al dialogo fra le persone. Questa è l’epoca della disattenzione, e il tempo di concentrazione è cambiato. La competizione per la cattura del nostro tempo libero è feroce. La radio nel corso della sua storia si è saputa riadattare e reinventare, e l’ibridazione con la rete ha potuto creare nuovamente una buona sintonia con il proprio tempo. Un cambio di stagione si è compiuto, dettato in gran parte dalle innovazioni tecnologiche. La radio ha un nucleo sempreverde legato all’ascolto, alla voce, alla musica, ma la tecnologia ha cambiato e sta ancora cambiando i modi e i termini della relazione tra chi sta dietro il microfono e chi ascolta. Possiamo affermare che la radio gode ancora di buona salute, grazie alla sua coerenza con l’innovazione tecnologica. I giornali radio sono la terza fonte di informazione utilizzata dagli italiani. L’Italia negli anni Settanta e Ottanta era col Messico il paese col più alto rapporto tra numero di emittenti e numero di abitanti, poi è cominciato un processo di concentrazione, e oggi ci sono circa 2500 concessioni a trasmettere, di cui 14 nazionali. Le fonti di finanziamento oggi si basano su un sostegno interamente pubblico, o su sistemi misti, o su base interamente commerciale. I paesi occidentali hanno normative diverse, quasi tutti richiedono una qualche forma di autorizzazione, in linea di massima la metà dei paesi europei richiede una licenza, l’altra metà una semplice comunicazione. In Italia è il governo a rilasciare le licenze per la trasmissione terrestre e via cavo, mentre è l’Agcom a occuparsi delle trasmissioni satellitari. Restiamo comunque un paese dall’etere molto confuso e affollato. La radio occupa un posto abbastanza subalterno tra i media italiani, ha un mercato più piccolo rispetto ad altri paesi europei, mentre la televisione è rimasta per almeno un trentennio nel cuore delle masse. Nei paesi di debole libertà politica la radio è spesso centralizzata e controllata dai governi. Il web e la webradio stanno ridefinendo il quadro anche fuori dall’Occidente, perché le generazioni più giovani hanno stili di vita che le avvicinano a quelle occidentali. All’interno della rivoluzione digitale il broadcasting conosce dei cambiamenti specifici. Anzitutto il definitivo superamento dell’era della scarsità. L’espressione usata dagli studiosi è “era dell’abbondanza mediatica”. L’avvento di sistemi di codifica e decodifica digitale ha permesso la gestione di tutto sotto forma di file dati. Digitale e internet poi hanno contribuito ad aumentare il numero di piattaforme da cui si può ascoltare la radio: Fm, onde corte, onde medie, onde lunghe, digitale, televisione digitale, tutti i tipi di telefoni mobili, satellite, web, social network… Una varietà di piattaforme che ha consentito modificazioni sensibili nel modo in cui le persone ascoltano la radio. Il 59% della popolazione del Regno Unito ascolta la radio via piattaforme digitali, l’online e le app da sole contano per circa l’8% dell’ascolto totale. Tra i portati di maggiore rilevanza della rivoluzione digitale c’è senz’altro il podcast (Ipod + broadcasting), che indica il sistema che permette di scaricare su qualsiasi dispositivo i contenuti audio delle trasmissioni e di ascoltarli quando si desidera. I numeri dei podcast sono mutevoli ma solidi. È difficile prevedere se il podcast sia destinato ad avere lunga vita o meno, perché potrebbe essere superato dallo streaming. Se si guardano gli Stati Uniti, però, il podcast gode di ottima salute. I grandi giornali e le grandi riviste offrono ormai sui loro siti programmi audio via podcast, molti di grande qualità e dinamicità. Anche diverse celebrities stanno usando questo mezzo per far sentire la propria voce. Secondo diversi studiosi, la radio avrà sempre uno zoccolo duro di ascolto live and local da parte di un pubblico che è abituato e cerca le informazioni dell’ultimo minuto, ma la previsione più ragionevole sembra quella di una piattaforma fatta di live, simulcast e on demand. La radio deve andare dove sta il pubblico. Le percentuali di ascolto in macchina sono mutevoli, ma restano alte. Nei menu degli apparecchi di nuova generazione, però, la radio di solito è la quarta opzione, e diversi produttori di auto hanno annunciato la self driving car, che porterebbe alla possibilità di compiere altre azioni durante la guida e un conseguente calo degli ascolti radio. La mutazione non riguarda solo la trasmissione, ma anche il modo di fruire i prodotti audiovisivi. L’espressione che descrive il fenomeno è “media partecipativi”, o “social media”, da cui deriva “social radio”. Grazie alle nuove tecnologie il fruitore ha un ruolo sempre più attivo nel processo di costruzione delle comunicazioni, diventa generatore di contenuti. La condivisione è l’essenza stessa dei media digitali, è diventata una cifra della società contemporanea e ha una declinazione specifica per la radio. L’ibridazione col web e il rapporto coi nuovi media hanno indebolito la funzione di orologio sociale della radio, la corrispondenza tra l’offerta e i ritmi di vita degli ascoltatori, l’idea di un palinsesto pensato sulle abitudini degli ascoltatori. Grazie al web si è rotto il secolare meccanismo di ascolto in simultaneità. Molte radio hanno perciò aumentato la loro offerta culturale, altre sono tornate a investire sulla serialità dei radiodrammi o sui radiodocumentari, le radio pubbliche stanno puntando molto sull’uso dei propri archivi. La digitalizzazione ha moltiplicato l’offerta in tutto il radiovisivo e pone sfide molto difficili: quella del pubblico giovane, che diminuisce un po’ ovunque, quella della diffusione musicale (Youtube, Pandora, Spotify ecc.), quella dei servizi audio che non sono radio (Storytel, Audible ecc.) e quella dell’identità, della radio come luogo di sincronia emozionale. E’ dagli anni Ottanta che si parla di Dab (Digital audio broadcasting), uno standard di diffusione digitale che permette la trasmissione di suoni di qualità paragonabile a un CD e anche testi sullo schermo), e tuttavia il processo è stato molto più accidentato di quello televisivo. Incertezze sugli standard, sviluppo non coordinato a livello sovranazionale, scarsa consapevolezza tra i consumatori, sperimentazioni poco convinte, debole motivazione dei fabbricanti di apparecchi ecc. La radio digitale si sta diffondendo, ma c’è un problema di standard condivisi e in parte già obsoleti al momento della presentazione, di costi eccessivi per le radio locali e di abbandono delle poco remunerative aree rurali. Perché la radio resiste nel mondo flusso? La radio resiste e resisterà sempre perché “la parola e la musica possiedono una loro completezza”, e perché il suono senza immagine corrisponde a un bisogno umano. E risponde anche al bisogno di connessione, di non essere isolati e lasciati a noi stessi. La parola è la forma più antica di comunicazione. L’oralità ha una sua forza innegabile (mito di Theut). La radio è un mezzo puramente acustico, è l’unico medium a coinvolgere solo un senso. Impegnare solo uno dei cinque sensi significa che la mente deve ricostruire, arricchire, completare ciò che l’orecchio ascolta. E poi ci lascia liberi di fare altro, “la radio non cattura tutto il mio essere. Ne prende un po’, lascia aperto il resto”. La radio è adatta a nuovi territori, a nuove frontiere. Grazie al podcast la pratica del consumo radiofonico è diventata ancora più elastica, ancora più portabile. La radio è stata il primo broadcast medium portatile, grazie all’invenzione del transistor, a metà degli anni Cinquanta, che ha reso obsolete le valvole, facendola diventare un mezzo molto personale. Sta diminuendo il numero di ascoltatori per le trasmissioni di contenuto? La risposta è complicata, perché dipende dal singolo contesto e dal singolo paese, ma sul versante della cosiddetta slow radio l’Italia è abbastanza fragile. L’effetto più evidente dell’incontro di radio e rete riguarda il rapporto tra chi parla e ascolta. I social media rendono molto più interattivo il rapporto tra chi fa la radio e chi ne fruisce; gli ascoltatori hanno molti più strumenti per intervenire, partecipare e possono proseguire le loro conversazioni su altre piattaforme. Questo tipo di ascoltatori viene definito networked listeners, gli ascoltatori connessi in rete. “Il fallimento cruciale della radio è stato di perpetuare la separazione fondamentale tra i produttori radiofonici e il loro pubblico, una separazione che è in contrasto con la base tecnologica […] il pubblico deve essere trasformato in testimone nelle interviste e nelle conversazioni e deve avere l’opportunità di farsi sentire” (Riflessioni sulla radio, Walter Benjamin, 1930) In questo senso la prima rivoluzioni furono le chiamate in radio per telefono a partire dagli anni Sessanta. Oggi nell’universo mediale non c’è pubblico più partecipe di quello radiofonico. Da qualche anno il pubblico ha cambiato ruolo e anche funzione. Oggi l’utente può avere un volto, un profilo, essere parte attiva del processo di produzione (ES: Tutta la città ne parla, Radio 3). Conduttori e produttori delle radio private e pubbliche lavorano molto a svelare i dietro le quinte, a dare volti alle voci. Radio anch’io (Radio1) nel 2015 ha deciso di chiudere il numero verde ed è passata definitivamente ai social media. La connessione, la condivisione significano partecipazione, e non bisogna dimenticare che la radio è stata il medium che più ha saputo raccogliere la domanda di partecipazione che arrivava dalla società. Mentre in precedenza la maggior parte degli ospiti in radio erano dal vivo, oggi moltissimi interventi esterni sono filtrati dai social, come Whatsapp, Facebook, Twitter ecc. (Es: Caterpillar, Il ruggito del coniglio). Il programma diventa una sorta di racconto corale. Il conduttore non deve solo rivolgere le domande agli ospiti e cercare di seguire una bozza di ragionamento, ma al contempo deve tenere presente i consigli della regia e della redazione e deve leggere parte degli impulsi che gli arrivano dai social. Oggi chi conduce deve essere • Va bene parlare dei programmi dei colleghi • Se non sai qualcosa, va bene ammetterlo. Gli ascoltatori apprezzano che il conduttore sia simile a loro • Lancia con attenzione e curiosità i programmi degli altri. • Alla radio sii quello che sei • Rischia, sperimenta Accanto a questi due elenchi, che guardano soprattutto le radio commerciali, mettiamo due elenchi di regole per radio dal contenuto serio. Il primo è per il Terzo programma, il secondo per Radio 3. Tra i due passano circa cinquant’anni. Il primo è il celeberrimo “Norme per la redazione di un testo radiofonico” di Carlo Emilio Gadda: • Per il radioascolto i termini dovuti sono: accessibilità fisica, cioè acustica, e intellettiva della radiotrasmissione, chiarezza, limpidità del dettato, piacevole ritmo. • La sopportabilità massima del parlato-unito, in Italia, è di quindici minuti • All’atto di redigere un testo radiofonico si dovrà evitare che l’ascoltatore manifesti i segni del “complesso di inferiorità culturale” • Costruire il testo con periodi brevi • Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché subordinate. • Ogni affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al “vuoto radiofonico” • Sono da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche • Curare i passaggi di pensiero e di tono mediante energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate, o con una transizione o opportuno avviso. • Limitare l’uso dei pronomi • Evitare le rime involontarie • Evitare le allitterazioni involontarie • Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti e tutti quei modi di esprimere non immediatamente afferrabili • Evitare le forme poco usate e però “meravigliose” della flessione Queste sono norme lontanissime da quelle applicabili in una trasmissione in diretta, ma ci insegnano almeno tre lezioni che restano attuali: la chiarezza e il ritmo, la sopportabilità massima del parlato-unito e la superiorità culturale. Il secondo elenco circolava a Radio 3 negli anni Duemila ed è stato scritto da Marino Sinibaldi (direttore di Radio 3) • Mai dare del tu agli intervistati • Mai fare domande più lunghe delle risposte, le interviste servono per far parlare gli ospiti • Mai fare domande la cui risposta è “sì”, “certo” o simili • Mai interloquire con dei “sì”, “certo” o simili • Mai lasciare incertezza sull’identità dell’interlocutore. Non è la presentazione dell’ospite ad attirare il massimo dell’attenzione, ma le cose che dice. Non temiate di apparire didascalici. Temiamo di apparire ermetici. Alcune norme sono valide per tutti, poi ogni radio si costruisce la propria identità. Soprattutto il giornalismo radiofonico vuole delle regole. Sono state fissate da Antonio Piccone Stella nella sua celebre “Guida per giornalisti radiofonici”. In genere la manualistica insiste su tre aspetti di questo tipo di giornalismo: sintesi, immediatezza, velocità, capacità di evocazione. La radio si può dividere in radio di palinsesto e radio di flusso. La prima è tendenzialmente generalista e costruita su una griglia di programmi pensati per un pubblico dai gusti indifferenziati, vasto ed eterogeneo, quindi con distinzioni abbastanza leggibili. La seconda, detta anche format radio, è basata su un flusso che in generale prescinde dalle fasce orarie e dall’offerta per generi e pubblici e che è costruito su elementi fissi e riconoscibili: musica, parlato, informazione, pubblicità, jingle, meteo, traffico in una sola impaginazione. Il cosiddetto clock, unità temporale che va dal quarto d’ora alle due ore, deve essere il più unitario e fluido e riconoscibile possibile. Il format dell’emittente impronta il clock e il tipo di pubblico dell’emittente orienta il format. La stagione d’oro dei generi radiofonici corrisponde con la stagione d’oro della radio di programma, dagli anni Trenta agli anni Ottanta, un profluvio di radiodrammi, varietà, storytelling, cabaret, comedy, serial ecc. “I confini del genere mutano continuamente, come la cultura” -Tiziano Bonini I generi variano moltissimo, perché è il parlato radiofonico a variare molto. La distinzione classica è tra parlato di accompagnamento e parlato di contenuto. La prima è stata la forma tipica delle radio commerciali, la seconda delle radio pubbliche, ma è una distinzione che è sfumata negli anni. La moltiplicazione dei format riguarda soprattutto l’offerta musicale. Per la radio di parola o mista i recinti sono minori, si può distinguere tra all news, music&news, talk, news&talk. Ci sarebbe un’ulteriore classificazione interna riguardante le news: news-oriented (Radio 1, Rtl 102.5), no-news (Virgin Radio, Radio Deejay), light news (Rds, Radio 2, Radio 3). Negli Stati Uniti è abbastanza diffuso il format all-news, mentre in Italia questo modello non si è ancora affermato. La talk radio è la radio di parola sui temi più diversi. L’espressione parlato di contenuto aiuta fino a un certo punto. È un’espressione molto vaga. La qualità del contenuto, il tipo di contenuto può essere molto diverso. Anche l’espressione parlato d’accompagnamento incappa negli stessi problemi. Accompagna cosa? Accompagna la musica. Le radio music&talk hanno imposto ai parlanti delle griglie rigidissime, il conduttore ha vincoli in ingresso e in uscita. Si va dai quaranta secondi ai tre minuti. In questo lasso di tempo il conduttore deve condensare concetti, battute, frasi a effetto, informazioni sul brano musicale. Ci sono software, come il David, il Dalet e il Master control, che fanno da count down per il conduttore. La musica, spesso molto commerciale, figlia della playlist scelta dal software Selector, ha quasi sempre il primato. Nel parlato di contenuto ci sono naturalmente giornali radio e approfondimenti su qualsiasi tema. L’approfondimento può essere un programma chiuso e concluso o fare parte di un contenitore. Il contenitore è uno spazio radiofonico solitamente lungo almeno un’ora e contenente materiali diversi accomunati da un filo tematico. Programmi come Un certo discorso (1976-1988) sono stati contenitori di materiali molto diversi, approfondimenti e discussioni di alto livello, confronti con gli ascoltatori, inchieste, reportage. Il talk show è una creatura proteiforme, è un po’ il prototipo di tutte le trasmissioni di parola. Il modello radiofonico ha avuto meno successo di quello televisivo da questo punto di vista, per via della impossibilità di riconoscere gli ospiti. Il tipo di conduzione dipende moltissimo dal tipo di radio e di programma e dalla quantità di tempo data al conduttore. Le radio di programma sono più scritte e più formali e il conduttore spesso è l’autore di questi programmi. Nelle radio di flusso è molto più raro. Il tipo di conduzione, oltra al parlato di contenuto o di accompagnamento, può essere distinto secondo il suo scopo: to entertain, to inform, to educate. Il conduttore è “colui o colei che ha il compito di condurre il programma radiofonico, cioè di assicurare con i suoi interventi la fluidità dei passaggi tra le diverse parti del programma”. Il dj, il disk jockey, è un conduttore musicale, quindi presenta i dischi o un percorso musicale o intervista musicisti e cantanti. I dj italiani si sono spesso mossi da un genere all’altro (molti annunciatori nascono come dj). Il conduttore musicale ha un problema con la libertà di parola. Nelle radio commerciali, dove il clock è molto rigido, il conduttore ha tempo di parola limitato. Sono pochissimi a poter imporre il proprio ritmo, come Linus o i conduttori dello Zoo di 105. La libertà dei dj si è molto ridotta col progredire delle format radio e del software Selector. Ci sono poi i conduttori di programmi di taglio giornalistico. Programmi di questo tipo possono essere condotti sia da giornalisti sia da non giornalisti. La struttura di questi programmi è un confronto a più voci su una notizia o un tema di attualità. Sono conduttori anche i cosiddetti affabulatori, coloro che puntano sullo storytelling, sulla modulazione della voce e sull’uso della parola. Sono coloro che costruiscono un percorso narrativo basato su storie reali o fittizie (Alle otto di sera su Radio 2 o Wikiradio su Radio 3). Durante gli anni dell’Eiar le linee guida miravano a una sintassi lineare e a un lessico elementare, con una pronuncia microfonica unitaria, per raggiungere in modo unitario un pubblico molto composito. Non a caso a partire dal 1930 il dialetto fu ostacolato. Il tono generale era però proclamatorio, enfatico e stentoreo. Nel secondo dopoguerra le redini cominciarono ad essere allentate. La sfida decisiva arrivò con la rivoluzione della radio privata in Inghilterra e delle radio libere qui da noi. Erano radio nate dalla necessità di avere un mezzo per farsi sentire, come Radio Aut di Peppino Impastato. In parte le come erano cominciate a cambiare anche in Rai, almeno dalla riforma del 1966, che attraverso la distinzione fra i tre canali radiofonici aprì a linguaggi nuovi pensati per categorie più articolate, anzitutto donne e giovani. Nella riforma della programmazione radiofonica del 1967 si parla di “snellimento delle trasmissioni culturali, più brevi, più numerose, maggiormente legate a fatti e temi di attualità”. Quando si parla di radiocronisti spesso ci si riferisce alle cronache sportive, ma in realtà ci sono anche cronache politiche e istituzionali. Qui non si può non citare Tutto il calcio minuto per minuto, una trasmissione che nasce il 10 gennaio 1960 e ha conosciuto un successo enorme. Sport popolare, trasmissioni popolari. L’annunciatore è il lettore professionale, neutro, “mediocremente partecipativo”, senza inflessioni dei giornali radio, dei bollettini, delle notizie sul traffico, dei titoli, dei lanci di programmi ecc. Il conduttore gestisce i tempi, guida il discorso, può togliere la parola. La personalità del conduttore è tutto. Non è sempre stato così. Nella radio del dopoguerra il moderatore aveva una funzione di smistatore, di distributore delle parole e di controllo dei tempi, è con le radio libere e poi con la Radio 3 di Enzo Forcella che i conduttori assumono una funzione più attiva. È una questione di connessione con il pubblico, di relazione senza mediazioni, di rapporto di fiducia, di empatia. Non secondaria è la fidelizzazione, la costruzione di un’abitudine nell’ascoltatore. Piuttosto abili a stabilire una connessione con l’ascoltatore sono i conduttori di Radio Deejay, tanto da sedurre un pubblico di massa ma molto articolato. Linus, Jovanotti, Fiorello, Fabio Volo, Federica Panicucci ecc. Un bravo conduttore deve essere capace in quello che viene chiamato a fare; educare o meglio condurre trasmissioni di cultura con un approccio curioso e non susseguioso. E poi informare, condurre dirette e approfondimenti giornalistici in modi onesti, pluralistici, se possibile dinamici. Cosa rende possibile la connessione tra conduttore e ascoltatore? La risposta è complicata. Spesso i conduttori-domatori, i conduttori-provocatori e i conduttori-apoti sono capaci di instaurare un rapporto forte con il pubblico, come Giuseppe Cruciani della Zanzara. Altra cosa sono i conduttori dalla personalità pronunciata ma non sopra le righe, come Alessandro Milan. Uno dei pericoli è che una personalità forte diventi una forzatura commerciale più che caratteriale. Il passo verso la recita di sé è dietro l’angolo. Il servizio pubblico corre molto marginalmente questo rischio. In certe radio è la personalità del canale, o del programma, a essere forte e ad aiutare tutti i conduttori, come nel caso di Radio anch’io. La radio è un gioco di squadra. Dietro al conduttore c’è sempre una redazione. Un privilegio e una croce del conduttore è che è lui a fare le domande e a intervistare. La tecnica dell’intervista varia molto a seconda del contesto. La regola generale è che l’intervistatore è un mediatore, il rappresentante degli ascoltatori, deve pensare che assieme a lui e agli interlocutori c’è qualcun altro che ascolta e chiedersi cosa vorrebbe sentire. Altra regola che vale per tutti i generi è avere senso del ritmo e dell’opportunità. Bisogna essere pronti, svegli, reattivi. Gli inglesi sono maestri assoluti di quest’arte. La preparazione dipende dal tipo di intervista e dal tempo a disposizione. Sugli argomenti più importanti, sulle questioni di politica estera, di economia, di diritto, i siti dei grandi giornali o delle enciclopedie hanno ottime sintesi, ricostruzioni storiche, glossari. Servono sempre anche un po’ di numeri e di statistiche. Essere o almeno sembrare spontanei. Essere gentili, formali, ma non ossequiosi. Non è scandaloso che ci si accordi prima sui temi da discutere, ma se vengono posti troppi limiti o paletti non vale la pena fare l’intervista.
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