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La rivoluzione industriale, Dispense di Storia

L'incremento demografico avvenuto in Europa nel XVIII secolo, la rivoluzione agricola e l'origine del capitalismo. Si spiega come la disponibilità di risorse agricole e alimentari abbia permesso l'aumento della popolazione e come la nuova agronomia abbia migliorato la coltivazione delle terre. Si parla anche del nuovo rapporto tra proprietari e contadini, che ha portato alla nascita del borghese capitalista.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 22/02/2023

fr4nceska2005
fr4nceska2005 🇮🇹

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Scarica La rivoluzione industriale e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! Il Settecento: la rivoluzione industriale Economia, società, cultura La rivoluzione demografica A partire dall’inizio del ‘700 in Europa vi è un forte incremento demografico, prodotto sia dalla diminuzione della mortalità, sia dall’aumento della natalità (si fanno più figli, e soprattutto questi non muoiono). Anche l’età media della popolazione tende ad abbassarsi. Questa volta l’incremento demografico non si interromperà più sino al XX secolo. La minore mortalità infantile è legata anche alla “scoperta dell’infanzia”, cioè ad una maggiore considerazione di questa fascia di popolazione. E’ difficile stabilire quale di questi due elementi sia causa dell’altro. Sta di fatto che il ‘700 è anche il secolo in cui l’infanzia diventa oggetto di attenzioni pedagogiche, il bambino viene considerato come una creatura che possiede una sua specificità ➞ Rousseau. Questo incremento demografico rompe il tradizionale ciclo  : disponibilità di risorse ➞ aumento della popolazione ➞ aumento delle risorse ➞ livello massimo di produttività della terra ➞ surplus di popolazione (rispetto alle risorse disponibili) ➞ insorgere di carestie ed epidemie, (spesso accompagnate anche da guerre) ➞ diminuzione drastica della popolazione ➞ rinnovata disponibilità di risorse ➞ inizio di un nuovo ciclo. Perché si interrompe questo ciclo, che cosa consente questo aumento continuo della popolazione? 1. si riduce l’intensità delle epidemie, in particolare di quelle di peste (questo perché scompare lentamente il topo nero, sostituito da quello grigio); 2. la temperatura tende durante tutto il secolo ad abbassarsi (“piccola età glaciale”) e questo non favorisce l’insorgere di epidemie come quella della peste; 3. si modificano le usanze matrimoniali: ci si sposa più giovani e di conseguenza si fanno più figli. I giovani hanno maggiori possibilità di incontrarsi, al di fuori dei ruoli e delle usanze tradizionali, nelle città (che aumentano per numero e dimensioni). Inoltre i giovani possono diventare autonomi economicamente in età meno avanzata (diventando salariati nelle industrie o nell’agricoltura); 4. la causa fondamentale dell’aumento della popolazione va cercata nella maggiore disponibilità di risorse agricole e alimentari (miglioramento sia quantitativo che qualitativo) ➞ rivoluzione agricola. La rivoluzione agraria L’aumento della popolazione è legato principalmente alla grande disponibilità di risorse agricole alimentari. Le grandi novità dell’agricoltura del ‘700 sono: 1. la diffusione della patata e del mais (provenienti dall’America, e non sufficientemente sfruttati sino a questo momento); 2. allargamento delle superfici coltivate; 3. aumento dei rendimenti dei campi (specialmente in Inghilterra), grazie ad una vera rivoluzione agronomica (cioè della scienza dell’agricoltura e dei campi). La nuova agronomia consente di migliorare la coltivazione delle terre, attraverso: • rotazioni non più triennali, bensì poliennali, sostituendo al maggese la coltivazioni di piante foraggere, che consentono un maggior arricchimento del terreno e contemporaneamente costituiscono una fonte di risorse per l’allevamento; • utilizzo di nuovi fertilizzanti • selezione di sementi migliori • attrezzi più efficienti e migliori tecniche di semina 4. le enclosures: recinzione di terreni non coltivati o adibiti ad uso comune della collettività, operate tra il XVI ed il XIX secolo da parte dei grandi proprietari terrieri inglesi. Le recinzioni permisero la coltivazione intensiva dei campi, dando vita alla rivoluzione agraria; 5. i terreni espropriati attraverso le recinzioni ➞ aumento di prodotti agricoli (e alimentari) o oppure vengono coltivati in modo più efficiente o vengono adibiti a pascolo ➞ aumento della produzione di lana, o, nel caso di allevamenti di bovini, maggiore energia muscolare per i lavori dei campi. Tutte queste innovazioni consentono (col tempo, non immediatamente) di utilizzare un numero minore di contadini nel lavoro dei campi. Conseguenza ➞ i contadini in sovrannumero andranno a lavorare nelle città, come salariati delle industrie (proletariato industriale). La novità più rilevante è il nuovo rapporto che lega tra loro proprietari e contadini. I contadini diventano dei salariati (cioè non possiedono né terre né attrezzi e lavorano per un proprietario che dà loro un salario) ed i proprietari diventano capitalisti (cioè non si limitano a percepire una rendita dalle terre che possiedono, bensì reinvestono i guadagni che accumulano per rendere più produttivi i campi e quindi aumentare ulteriormente i loro guadagni, che a questo punto si possono chiamare profitti). Proprietario = datore di lavoro, contadino = dipendente. • Rendita ➞ reddito che si percepisce per il semplice possesso di un bene economico (casa in affitto) • Profitto ➞ reddito che si percepisce per l’attività legata al possesso di un bene, per l’uso particolare che si fa di questo bene, affinché consenta di ricavare un surplus rispetto al capitale anticipato per acquistarlo (investo soldi che trasformano la casa in affitto in un hotel). Nasce perciò la figura del borghese capitalista. Il capitalismo può essere agrario (se riguarda il possesso della terra) o industriale (se riguarda il possesso delle fabbriche). Il capitalista possiede comunque una mentalità attiva, calcolatrice, amante del rischio. Questa mentalità è naturalmente opposta alla mentalità nobiliare, che invece esalta altri valori, quali l’onore, il valore in battaglia, l’ozio. La mentalità capitalistica si sviluppa in Inghilterra. Questo paese aveva vedute molto più aperte rispetto alla nobiltà in europa, era già passata da percepire un reddito a creare un profitto. La borghesia inglese poteva aspirare a diventare piccola nobiltà, infatti i borghesi arricchendosi potevano anche ricevere un titolo nobiliare (in Francia no). La situazione appare invece diversa in: - Francia: i terreni sono usati solo come rendita perché ai nobili basta quella (per loro rischioso investire) e perché i piccoli proprietari non hanno il denaro necessario per ottenere grandi guadagni dall’agricoltura. Non c’è denaro in più che servirebbe in Francia per il decollo della rivoluzione industriale (che decolla solo nel XIX sec.); - Italia settentrionale: prevalgono la piccola proprietà, mezzadria e il grande latifondo, che impediscono, per adesso la rivoluzione agraria. In seguito in alcune regioni come la Lombardia, si assisterà al sorgere di un capitalismo agrario; - Italia meridionale, Spagna, Europa centro-orientale: prevalgono i latifondo che impediscono la rivoluzione agraria. La nascita del capitalismo agrario favorirà il sorgere della rivoluzione industriale e quindi del capitalismo industriale, in quanto la rivoluzione agraria produce: 1. maggiore disponibilità di risorse alimentari per la città ➞ CIBO 2. disponibilità di manodopera di origine contadina per le fabbriche ➞ MANODOPERA 3. disponibilità di capitali per gli investimenti necessari all’industria ➞ SOLDI Lo sviluppo commerciale e finanziario Si assiste ad un miglioramento delle comunicazioni, sia terrestri che marittime: • miglioramento della rete stradale (specialmente in Francia) Va ricordato che non esiste una sola causa della rivoluzione industriale, ma tutte insieme sono state determinanti, tutte insieme hanno consentito il “decollo”. Tutti questi elementi che hanno interagito tra loro in una specie di “circolo virtuoso”, sono connessi l’uno all’altro. Caratteri generali di questa rivoluzione: • I primi settori coinvolti sono quello tessile, minerario, metallurgico e meccanico; • L’industria tessile è sollecitata dall’aumento della popolazione, dalla grande disponibilità di materia prima (soprattutto cotone proveniente dall’America), da un mercato interno molto integrato (scarse barriere doganali interne), un mercato estero sostenuto da un’attività mercantile molto sviluppata; • L’industria metallurgica e meccanica è sollecitata dallo sviluppo delle vie di comunicazione, dai nuovi mezzi di comunicazione, in particolare il treno (che necessita di ferro, per la costruzione di vagoni e di binari, e di carbone, per l’alimentazione del motore a vapore), dalle richieste di macchinari provenienti dall’industria tessile e dall’agricoltura; • Vengono inventate nuove macchine che consentono di meccanizzare la filatura e la tessitura, ma soprattutto è fondamentale l’invenzione della macchina a vapore (James Watt, 1775). • Il fenomeno del macchinismo risulta importante perché consente di aumentare la produzione impiegando contemporaneamente meno tempo, e quindi abbassando i costi di produzione. La macchina aumenta la produttività e ciò consente di sostenere la concorrenza di altre imprese. Ciò comporta però anche un aumento della disoccupazione. • Oltre che l’aumento di produzione aumentano anche i soldi spesi per le industrie (macchinari, combustibile..). Il ciclo investimento ➞ profitto ➞ reinvestimento del guadagno (e quindi allargamento del capitale) ➞ nuovi profitti (più ampi)… non sarà più sufficiente nell’800 perché serviranno capitali sempre più consistenti per comprare macchine più moderne e tener passo con la concorrenza. Quindi serviranno degli interventi (aiuti) esterni, come ad esempio il finanziamento da parte delle banche o la creazione delle società per azioni (S. P. A.). Si passerà così dall’autofinanziamento al finanziamento esterno. • Digressione: le società per azioni. È un' innovazione riguardante soprattutto il XIX sec., quindi una fase più avanzata dell’industrializzazione. Il proprietario che ha necessità di aumentare le dimensioni del capitale, per aumentare di conseguenza le dimensioni dell’impresa, o anche solo per comperare nuovi macchinari, decide di offrire a possibili acquirenti una parte della proprietà dell’azienda, in cambio di una certa somma di denaro. Il titolo di proprietà, che attesta anche il pagamento della somma, si chiama azione. In tal modo il proprietario dispone da questo momento di una quantità aggiuntiva di denaro liquido, che potrà utilizzare per investimenti, e l’azionista, oltre a risultare proprietario (naturalmente solo in proporzione al numero di azioni comprate) dell’impresa, potrà, periodicamente, ricevere (sempre in proporzione alla sua quota di proprietà) una parte dei profitti che l’impresa è riuscita a realizzare (i cosiddetti “dividendi”). L’azione può essere venduta e acquistata. Perciò l’azione possiede sia il prezzo con cui era stata venduta inizialmente (prezzo di emissione) sia un valore legato al prezzo che viene stabilito dalla legge della domanda e dell’offerta in caso qualcuno voglia comperare dall’azionista stesso quella determinata azione (prezzo di mercato). Questo secondo tipo di valore viene stabilito in quel luogo preposto alla vendita e all’acquisto di merci, titoli e denaro che si chiama borsa. Può accadere che il valore di mercato di un’azione si discosti anche di molto dal suo valore di emissione, e questo per diversi motivi: perché nel frattempo quell’impresa si è ulteriormente sviluppata o perché è entrata in crisi, perché gli esperti prevedono che quell’impresa abbia successi o insuccessi, o perché alcuni operatori hanno effettuato operazioni di “speculazione”, e cioè hanno acquistato le azioni ad un determinato prezzo non per conservarle, bensì per rivenderle acquisendo un guadagno (derivato dalla differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita). • Questa nuova visione capitalistica differisce dalla concezione del mercantilismo (di tipo protezionistico). La ricchezza è vista come “flusso”, che aumenta e si ridistribuisce in continuazione. Sostenitori di questa nuova concezione saranno gli economisti liberisti (in Inghilterra: A. Smith) e fisiocratici; • Aumentano le industrie di grandi dimensioni, raccolte e costruite intorno al funzionamento di grandi macchine, e tendono a sparire le piccole imprese di tipo artigianale (che non possono reggere la concorrenza); • Nel ‘800 le aziende che raggiungono maggiore successo comprano le aziende concorrenti. Ciò porta a fenomeni di concentrazione industriale; • Il risultato del liberismo alla fine dell’800 comporterà l’esistenza di poche grandi aziende (monopolio), che imporrano i prezzi e la qualità delle merci che vorranno. Non essendoci più libertà di scelta si giungerà alla crisi del libero mercato (non posso scegliere da chi comprare). Ciò condizionerà anche i governi degli Stati; • L’economia di tipo capitalistico basandosi sul sistema del libero mercato (almeno durante tutto il ‘700 e l’800), non risulterà essere in grado di determinare la giusta quantità di merci da produrre (= offerta) in rapporto alla richiesta del mercato (= domanda). Anche se molti economisti affermeranno che nel libero mercato si viene sempre a stabilire un equilibrio tra domanda ed offerta, in realtà il sistema capitalistico subirà i contraccolpi di crisi cicliche (ogni 7-10 anni), dovute all’eccesso di offerta (quantità di merci) rispetto alla domanda (che produce inevitabilmente prima una caduta dei prezzi, e poi la chiusura delle fabbriche e la disoccupazione). Ci sarà sempre più offerta che domanda (sovrapproduzione), a causa del basso livello dei salari degli operai; • Nel sistema capitalistico ogni prodotto ed anche il lavoro umano hanno un valore stabilito dalle legge della domanda e dell’offerta (sono“merce”). Il mercato si estenderà ad anche geograficamente (per es. in America, in Asia, in Africa). Entreranno nel mercato come semplici sorgenti di materie prime o di manodopera (non produrranno); • Una digressione: L’economia indiana aveva, prima del completo controllo del paese da parte degli inglesi, una propria struttura, in parte incentrata sulla produzione e sulla lavorazione di fibre tessili. Questa industria tessile venne limitata e sostanzialmente smantellata dall’Inghilterra, che subordinò la produzione di fibre indiane alla lavorazione di queste fibre da parte delle industrie inglesi. L’India diventò in sostanza fornitrice di materia prima e mercato per la vendita dei prodotti inglesi, ma perse il controllo della produzione e quindi il controllo della tecnologia. • Nel mercato capitalistico non tutti i soggetti entrano in condizioni di perfetta parità. La rivoluzione industriale attraversa diverse fasi: 1. La prima fase è quella del primo decollo dell’Inghilterra (fine ‘700) e del decollo di alcune zone dell’Europa più sviluppata (Francia, Belgio, parte dell’Italia settentrionale, alcune limitate zone della Germania) durante i primi decenni dell’800. Questa prima fase è legata al settore tessile, alle ferrovie, al ferro ed la carbone; 2. Una seconda fase coincide con gli ultimi vent’anni dell’800 e sarà legata soprattutto all’industria chimica, alle nuove fonti di energia (elettricità, petrolio), alle novità dell’industria meccanica (automobile) ➞ rivoluzione delle comunicazioni. Risultano coinvolti nuovi paesi come la Germania, l’Italia, il Giappone, gli Stati Uniti; 3. Oggi stiamo assistendo alla cosiddetta “terza rivoluzione industriale”, legata all’informatica, alla telematica ➞ anch’essa rivoluzione delle comunicazioni. Sempre di più sono coinvolti, accanto alle zone tradizionalmente sviluppate, come gli Stati Uniti, l’Europa ed il Giappone, paesi dell’Estremo Oriente, come Hong Kong, Singapore, Taiwan, la Corea ecc. Conseguenze di questa rivoluzione: • Sorgono nuove classi sociali: la borghesia industriale e agraria ed il proletariato (agrario e industriale); • Per quanto riguarda la borghesia, esistono diversi tipi di questa: borghesia delle professioni (notai, avvocati..), borghesia mercantile (negozianti..), borghesia finanziaria (banchieri..). La novità consiste nella nascita della borghesia industriale e agraria, che nasce con il capitalismo agrario e con il capitalismo industriale. Il capitalista è il possessore dei mezzi di produzione (terra, fabbrica con relative macchine), che investe del denaro in questi per ottenere un profitto. La sua attività quindi comporta un rischio perché non si limita solo ad una rendita, ma investe parte del profitto nelle propria azienda. Egli è attivo, esalta il merito individuale, disprezza le virtù ed i valori aristocratici (ozio, onore, non correre il rischio). L’esempio più significativo di questo tipo di uomo è rappresentato dal personaggio creato da Defoe, e cioè Robinson Crusoe (l’individuo che, da solo e con i propri mezzi, grazie al proprio merito, riesce a vincere la sfida dell’ambiente ostile). Secondo il capitalista è il merito che deve consentire ad un uomo di accedere alla ricchezza e ai posti di comando nella società ed apprezza la mobilità sociale (poter cambiare il proprio stratus sociale). In realtà si generano strati sociali fondati sulla ricchezza e si tende a ricostituire una gerarchia piuttosto verticalizzata (soprattutto all’interno della fabbrica, dove l’uguaglianza fondata sul merito lascia il posto alla disuguaglianza fondata sulla proprietà). Il borghese ha una visione ottimistica della storia. Egli ritiene che nella storia si realizzi un progresso, legato alla crescita delle conoscenze e delle innovazioni tecniche. Questa concezione viene rielaborata a livello filosofico nell’illuminismo e, durante l’800, nel positivismo; • Il proletariato (proletario = colui la cui unica ricchezza risiede nella prole, in quanto non possiede mezzi di sussistenza autonomi) è figlio del sistema capitalistico, nasce con esso. Precedentemente altre figure di lavoratori (ad es. l’artigiano) avevano i propri mezzi di produzione (cioè erano i proprietari della loro bottega) e conoscevano come produrre bene un oggetto. Esisteva poi il lavoro a domicilio: il lavoratore non possedeva né mezzi di produzione né materie prime e lavorava da solo a casa propria. Egli però faceva anche un altro lavoro, spesso il contadino. Infine esisteva un terzo tipo di lavoratore, quello delle manifatture; vi erano infatti fabbriche nelle quali si affrontavano lavori che necessitavano della collaborazione di più lavoratori (ad esempio manifatture tessili, cantieri navali ecc.); tuttavia anche in questo caso si trattava di artigiani chiamati a lavorare fianco a fianco, ciascuno con la propria professionalità, ripetendo molto spesso le stesse azioni che si facevano nelle botteghe artigianali, ma tutti insieme al fine di aumentare la quantità della produzione. Il proletario moderno si caratterizza invece in questo modo: 1. non possiede mezzi di produzione propri (attrezzi per lavorare); 2. offre perciò la propria capacità di lavoro a chi possiede questi mezzi; 3. in cambio riceve un compenso chiamato salario; 4. lavora insieme a molti altri proletari, tutti raccolti in un unico locale, la fabbrica; 5. nella fabbrica tutto il lavoro è regolato sulla base dei modi e tempi imposti dalla macchina; quindi la macchina non è più un semplice strumento, ma diventa il motore stesso dell’attività lavorativa (Marx, nel XIX sec. , dirà che l’operaio è diventato “un’appendice della macchina”); 6. il proletario sa solo fare una parte del lavoro. Se volesse fare il lavoro da solo, non saprebbe farlo. Perciò l’operaio perde quella professionalità che era stata propria dell’artigiano; 7. questa divisione del lavoro produce il fenomeno dell’alienazione, cioè della perdita di significato del lavoro stesso; 8. in questo modo di produrre è già presente quella forma particolare di organizzazione del lavoro (per adesso non ancora esistente) che nel ‘900 si chiamerà “catena di montaggio”;
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