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La Russia tra Occidente e la tradizione: il populismo e la nascita del socialismo russo, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Storia modernaStoria della RussiaStoria politicaStoria Sociale

La situazione sociale e intellettuale in russia durante il periodo napoleonico, quando la nobiltà feudale persisteva, impedendo la nascita di un ceto medio urbano e finanziario. Il documento illustra le controversie intellettuali tra slavofili e occidentalisti, e la successione di alessandro ii e la sconfitta nella guerra di crimea. Inoltre, il testo introduce la figura di pëtr lavrovič lavrov, che elaborò il pensiero populista e la sua strategia d'azione. Lavrov invitava l'intelligencija russa a schierarsi dalla parte del popolo per pagare il 'debito' contratto con le classi popolari. Il testo conclude con l'introduzione del socialismo in russia e la fondazione del partito socialdemocratico.

Cosa imparerai

  • Che cosa caratterizzava la situazione sociale e intellettuale in Russia durante il periodo napoleonico?
  • Che cosa erano le idee di Pëtr Lavrovič Lavrov e come li ha elaborato?
  • Come si è sviluppato il socialismo in Russia e quali sono state le principali fazioni?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 27/03/2019

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andrea-pesiri 🇮🇹

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Scarica La Russia tra Occidente e la tradizione: il populismo e la nascita del socialismo russo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! La Rivoluzione Russa Dalla crisi zarista al pensiero leninista. Di Andrea Pesiri L'impero zarista, fondato su una società arcaica, ancorato ai valori e delle tradizioni contadine, si sbriciolava a una velocità impensabile. Allo zar Nicola I tuttavia non mancava la percezione dell’arretratezza del suo paese e del fatto che una condizione sociale come la servitù della gleba fosse del tutto anacronistica, ma riteneva che il fragile controllo egemonico potesse essere garantito solo attraverso l’assenza di un processo riformatore. L’assoggettamento della manodopera alla Corona, e quindi ai grandi proprietari terrieri la rendeva inamovibile. Inoltre, mentre l’età napoleonica aveva in gran parte eliminato un sistema di carattere feudale, in Russia persisteva, non permettendo la nascita e la crescita di un ceto medio, di natura borghese e urbana che svolgesse funzioni finanziare, mercantili o professionali. Anche negli ambienti intellettuali vi erano controversie, sopravviveva infatti il dualismo tra slavofili (che richiamava alla tradizione russa della obščina, ossia l’antica comunità nomade di contadini, che attraverso l’abolizione della servitù della gleba avrebbe potuto rigenerare l’agricoltura russa) e occidentalisti (che guardavano invece alle riforme costituzionali dell’Europa liberale e ne chiedevano l’applicazione anche in Russia). La svolta riformatrice tuttavia sopraggiunse soltanto grazie a due eventi. La successione al trono di Alessandro II nel 1855, che si dimostrò molto più attento alla tematiche agrarie e sociali rispetto al padre e la sconfitta della Russia nella guerra di Crimea (battaglia di Sebastopoli 1855), che dimostrò l’arretratezza russa anche in campo militare. Nel 1861 venne quindi emanato lo “Statuto del contadini liberati dalla servitù”, le cui nobili intenzioni tuttavia non garantirono i risultati sperati. Infatti, il meccanismo di esproprio della terra dai proprietari, avveniva solo previo indennizzo pecuniario statale agli stessi, costringendo quindi i mir, ossia le comunità locali, a rimborsare lo stato del capitale anticipato con cospicuo interesse. Sul piano interno così, le riforme tardive o poco incisive favorirono lo sviluppo di movimenti di protesta, che trovarono il loro nucleo nel movimento populista e nel pensiero di Herzen (1812-1870) che sosteneva un naturale spirito comunitarista del contadino russo: «Il contadino russo conosce soltanto la moralità che nasce istintivamente e naturalmente dal suo comunismo [...] la manifesta ingiustizia dei proprietari terrieri lega il contadino ancor più strettamente alle leggi della sua comunità [...] l'organizzazione della comunità ha tenuto testa alle intromissioni del governo [...] è sopravvissuta ed è rimasta integra fino allo sviluppo del socialismo in Europa».1 Ed ancora: «Noi russi, che abbiamo conosciuto la civiltà occidentale, non siamo altro che un mezzo, un lievito, una mediazione tra il popolo russo e l'Europa rivoluzionaria. L'uomo dell'avvenire è in Russia il mužik, esattamente come in Francia è il lavoratore».2 Anche Bakunin aderirà a queste tesi, traslandole tuttavia su un piano più “estremista”. Questi era convinto che i contadini, attraverso la propaganda dei raznočincy, avrebbero potuto prendere coscienza della necessità della rivoluzione e, insorgendo, creare una società anarchica, senza Stato e senza proprietà privata, fondata sulla proprietà comune della terra. Ma l’intellettuale che meglio elaborò il pensiero populista e la sua strategia d’azione fu il colonnello e professore di matematica dell'Accademia militare Pëtr Lavrovič Lavrov (1823-1900) che nelle sue Lettere storiche, una serie di articoli che trattano del significato 1 Dalla lettera di Herzen a Jules Michelet, settembre 1851. 2 Ibidem invece, fu Viktor Michajlovič Černov nel 1901, trasformandolo in un vero e proprio movimento terroristico. Infine, sempre nel 1903, nacque l’Unione della Liberazione, partito di stampo liberale-occidentale, divenendo, due anni più tardi, sotto la guida di Miljukov, partito costituzionale democratico, o dei “Cadetti”. Partiti che si scontrarono apertamente nel 1905, quando la pesante sconfitta militare inflitta alla Russia dal Giappone e il tragico avvenimento del 22 gennaio, minarono definitivamente la posizione dello zar Nicola II, che sotto le pressioni incessanti del malcontento generale, emanò il Manifesto di Ottobre, con il quale garantiva la libertà e la formazione di un parlamento elettivo (Duma), che tuttavia inasprì ancora di più i rapporti tra i vari partiti. Nel 1902 infatti, venne pubblicato uno scritto di Lenin, il “Che fare?”, in cui iniziavano a prendere forma le teorie estremiste della dittatura proletaria volute da Lenin. Egli sosteneva che per capire la politica è necessario comprendere tutta la società, non solo i lavoratori e le loro lotte economiche con i datori di lavoro. Per acquistare coscienza politica di classe e diventare marxisti, i proletari avevano bisogno di conoscere tutta la società, non solo il proprio angolo della stessa: «La coscienza politica di classe può essere portata ai lavoratori solo dal di fuori; vale a dire, solo dall'esterno della lotta economica, al di fuori della sfera dei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro.»7, sosteneva che: «La storia di tutti i paesi mostra che la classe operaia, esclusivamente con le proprie forze, è in grado di sviluppare solo la coscienza sindacale […] ma la teoria socialista, tuttavia, in Russia, come altrove in Europa, è il prodotto dei "rappresentanti colti delle classi possidenti", degli "intellettuali socialrivoluzionari"»8. Lenin affermava che Marx ed Engels stessi, fondatori del moderno socialismo scientifico, appartenessero in realtà, a questo tipo di cultura borghese. Altro contributo significativo del pensiero leninista fu il suo “concetto” di Imperialismo. Lenin lo rappresentava come la fase 7 Lenin, da “Che fare?” ,1901 8 Lenin, da “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”, Opere complete, vol.28 massima del capitalismo, in cui il Paese coloniale, oltre ad essere sfruttato, soccombeva ad un “blocco di potere” politico-economico-militare-sociale, in cui veniva a crearsi un nuovo strato di “aristocrazia operaia”, corrotto dai profitti derivati dallo sfruttamento, d’altro canto, apriva grosse possibilità rivoluzionare grazie alle lotte di liberazione nazionale, che potevano essere poste sotto la grande ala socio-comunista (come sarà per Cuba). Per Lenin il capitalismo era ormai: «[...] un involucro non più corrispondente al contenuto, involucro che deve andare inevitabilmente in putrefazione qualora ne venga ostacolata artificialmente l'eliminazione, e in stato di putrefazione potrà magari durare per un tempo relativamente lungo [...], ma infine sarà fatalmente eliminato.»9 Così, il 10 marzo 1917, in seguito all’abdicazione dello zar, al tentativo fallimentare del governo provvisorio di Gregoij L’vov di riportare l’ordine e al cosiddetto “Affare Kornilov”, Lenin, che nel frattempo era esule in Svizzera, poté tornare in patria per guidare la ormai inarrestabile avanzata bolscevica ed elaborare le “Tesi di aprile”, una raccolta in dieci punti, che avrebbe fatto da fondamento al nuovo ordinamento dello Stato, in cui i soviet erano « l'unica forma possibile di governo rivoluzionario » e, finché fossero stati sotto l'influenza della borghesia, occorreva dimostrare gli errori della loro tattica e, insieme, sostenere la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet, « perché le masse possano liberarsi dei loro errori sulla base dell'esperienza ».10 Cadeva quindi, il principio della rappresentanza del deputato, a favore di una democrazia assemblearistica nella quale anche una minoranza, come quella bolscevica d’altronde, in quanto portavoce dei “destini di riscatto del popolo proletario dall’oppressione borghese”, poteva assumere la guida del Paese. Tuttavia, anche se Lenin non attuò mai una dittatura personale, quella proletaria, realizzata attraverso lo strumento di un partito guidato dai principi del centralismo democratico, precostituiva la dittatura di una oligarchia che facilmente avrebbe potuto slittare verso una dittatura personale. Stalin e lo stalinismo quindi, 9 Lenin, Da “L'imperialismo, fase suprema del capitalismo”, 1916. 10 Lenin, Da “Le lettere di aprile”, 1917. non furono una conseguenza della prassi leninista, ma una sua degenerazione implicita, poiché piegando la sua dottrina ad una prassi il cui fine unico era la conquista del potere, pose le condizioni permanenti della futura dittatura stalinista.
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