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La Rivoluzione Russa e l'Impero Russo nel XIX secolo, Appunti di Storia

L'Impero Russo nel XIX secolo, un impero conservatore e multinazionale, caratterizzato da un potere autocratico e da una borghesia mercantile e imprenditoriale priva di potere economico e politico. anche l'arretratezza delle campagne, gli inizi dello sviluppo industriale, gli occidentalisti e gli slavofili, il populismo e l'opposizione marxista.

Tipologia: Appunti

2020/2021

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Scarica La Rivoluzione Russa e l'Impero Russo nel XIX secolo e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Rivoluzione Russa L’impero russo nel XIX secolo UN IMPERO CONSERVATORE E MULTINAZIONALE Per tutto l'Ottocento la Russia fu la roccaforte del conservatorismo politico e sociale. Gli zar esercitavano un potere autocratico = potere personale assoluto, senza il controllo di alcun parlamento. L'aristocrazia, l'esercito, la Chiesa ortodossa e la burocrazia imperiale (5% della popolazione), appoggiavano il regime zarista e difendevano gelosamente i propri privilegi. La borghesia mercantile e imprenditoriale, presente quasi esclusivamente nella zona di Mosca e nei porti del Baltico, non deteneva invece alcun potere economico e politico. Questo sistema venne difeso dagli zar: almeno fino al 1860 non venne tollerata alcuna forma di opposizione. L'Impero russo continuò a espandersi per tutto l'Ottocento; alla vigilia della prima guerra mondiale aveva ormai raggiunto un'estensione immensa. Al suo interno convivevano decine di popoli, caratterizzati da lingue e tradizioni diverse. I Russi veri e propri non superavano il 45% della popolazione. Accanto a loro convivevano Finlandesi, Polacchi, Mongoli, Georgiani, Ucraini, Lettoni: popoli conquistati che chiedevano autonomia e indipendenza. L'ARRETRATEZZA DELLE CAMPAGNE Uno dei problemi più gravi della Russia era l'arretratezza delle sue campagne. Le condizioni generali erano invariate ormai da secoli. Chiese, monasteri e grandi famiglie possedevano il 90% della terra coltivabile. I contadini erano ancora sottoposti alla servitù della gleba e disponevano a stento del necessario per vivere, in quanto gran parte di ciò che producevano era incamerato dai ricchi proprietari terrieri. Il malcontento era generale e si manifestava in maniera violenta attraverso frequenti rivolte. Le sollevazioni dei contadini venivano represse nel sangue. Lo zar Alessandro II, succeduto al padre Nicola I nel 1855, tentò di affrontare i problemi legati all’arretratezza attraverso una cauta politica di riforme. Il provvedimento più importante fu la legge del febbraio 1861 che abolì la servitù della gleba. Il contadino liberato riceveva in uso permanente, non in proprietà, la terra che prima lavorava come servo. In cambio, però, doveva pagare un riscatto al proprietario. La legge, in realtà, concorse a peggiorare le condizioni di vita della massa dei contadini, che non sempre riuscivano a pagare il riscatto per la terra ottenuta. Furono favoriti soprattutto i kulaki (medi proprietari), che acquistarono parte delle terre, pagandole a basso prezzo, dai contadini schiacciati dai debiti. La riforma dunque finì per inasprire le tensioni esistenti nelle campagne. GLI INIZI DELLO SVILUPPO INDUSTRIALE L'arretratezza dell'economia russa era particolarmente evidente nelle relazioni commerciali con l'estero: la Russia esportava soprattutto cereali e materie prime, mentre importava macchinari e prodotti industriali. Il paese dipendeva economicamente dall'Occidente e questa situazione era incompatibile con la politica di grande potenza cui aspirava. A partire dal 1870, pertanto, vennero compiuti grandi sforzi per sviluppare un'industria nazionale. Determinante fu l'appoggio dei capitali stranieri. I principali investitori furono la Francia, la Germania e la Gran Bretagna. Personale qualificato occidentale giunse in Russia per formare dirigenti e lavoratori dei nuovi complessi industriali. Anche lo Stato intervenne con finanziamenti, soprattutto nel settore siderurgico e in quello delle ferrovie. Fra il 1885 e il 1898 si ebbe un vero e proprio «boom». La produzione industriale crebbe complessivamente del 400%. I principali stabilimenti industriali sorsero intorno alle grandi città: Mosca (industria tessile); San Pietroburgo (industria metallurgica); Baku (giacimenti petroliferi). L'industrializzazione fu un fatto innegabile e di notevole intensità, ma restò un fenomeno abbastanza superficiale. Lo sviluppo industriale non fu l'espressione, della crescita all'interno della società russa di una borghesia imprenditoriale: fu un'iniziativa imposta dallo Stato, prevalentemente affidata a stranieri. OCCIDENTALISTI E SLAVOFILI: IL POPULISMO Il fatto di assumere l'Occidente come modello se lo chiedeva l'opposizione politica allo zarismo che era costituita soprattutto da intellettuali, studenti e dalla piccola borghesia istruita: l’intellighenzia, una classe colta che si divideva in occidentalisti e slavofili. Gli occidentalisti prospettavano una «via europea» al progresso, valutavano positivamente il capitalismo e le sue conseguenze sociali e politiche: intendevano introdurre in Russia sia l'economia capitalistica, sia la democrazia, per ripercorrere i tempi e i modi dello sviluppo economico, sociale e politico occidentale. Gli slavofili sostenevano al contrario una «via nazionale» allo sviluppo. La Russia doveva sfruttare il proprio «ritardo» storico e trarre profitto dagli errori degli altri paesi, evitande le miserie della rivoluzione industriale e del capitalismo. Anche il liberalismo andava rifiutato. Lo sviluppo sociale e politico della Russia sarebbe partito non dalla borghesia o dal proletariato, come nei paesi capitalisti, ma dai contadini. Gli slavofili idealizzavano il popolo contadino, le sue tradizioni e la sua stabilità. Perciò il loro movimento prese il nome di populismo. I populisti intendevano alfabetizzare i contadini e renderli coscienti della loro condizione; essi prospettavano come scopo finale l'abbattimento dello Stato, da sostituire con comunità agricole. Alcuni esponenti del populismo prevedevano tra i metodi di lotta anche il terrorismo (assassinio dello zar Alessandro Il nel 1881). I populisti russi assunsero nel XX secolo il nome di socialrivoluzionari. L'OPPOSIZIONE MARXISTA Lo sviluppo industriale e le sue conseguenze sociali spinsero alcuni intellettuali ad avvicinarsi al marxismo. I marxisti si opponevano al populismo per 4 ragioni fondamentali: - valutavano positivamente lo sviluppo tecnico, produttivo e sociale indotto dal capitalismo, al contrario dei populisti che idealizzavano il mondo contadino - miravano a una rivoluzione borghese democratico-liberale come base per la successiva rivoluzione socialista, mentre i populisti lottavano per l'abbattimento dello Stato e la costituzione di comunità agricole - sostenevano che la rivoluzione dovesse partire dal proletariato e non dal mondo contadino, come per i populisti - si impegnavano a diffondere nel proletariato la coscienza rivoluzionaria. Questa, e non il terrorismo, doveva essere, secondo i marxisti, il vero mezzo di lotta. Nel 1898 i socialisti russi fondarono il Partito Operaio Socialdemocratico Russo che fin dal 1903 si divise in due correnti rigidamente contrapposte: • i bolscevichi (la maggioranza), capeggiati da Vladimir Uljanov (Lenin) • i menscevichi («la minoranza»), guidati da Julij Cederbaum (Martov). Menscevichi e bolscevichi erano divisi sia sulla linea politica da seguire che sul tipo di organizzazione da dare al partito. I menscevichi volevano creare un partito di massa sul modello di quello socialdemocratico tedesco. Sostenevano la necessità di realizzare riforme sociali e politiche, accettando l'alleanza con la borghesia. Le elezioni politiche dovevano essere lo strumento democratico per raggiungere il potere. I bolscevichi, al contrario, volevano un partito formato da professionisti della politica. Secondo Lenin, il partito doveva guidare gli operai e i lavoratori all'abolizione della proprietà privata e alla collettivizzazione dei mezzi di produzione. Coerentemente con questi obiettivi, fin dal 1914 Lenin propose di modificare il nome del Partito Operaio Socialdemocratico russo in Partito Comunista, ciò avvenne nel marzo 1918. Tre rivoluzioni LA RIVOLUZIONE DEL 1905 Nel 1905, in seguito alla guerra contro il Giappone, la Russia visse una grave crisi. La guerra peggiorò le già misere condizioni di vita del proletariato e dei contadini. Il malcontento cresceva ovunque. Il 9 gennaio 1905, circa 140000 persone sfilarono per San Pietroburgo e raggiunsero il Palazzo d'Inverno, residenza dello zar. Si trattava di una pacifica processione che avrebbe dovuto presentare allo zar una supplica per invocarne l'aiuto e la protezione. Ma l'esercito aprì il fuoco sui manifestanti. Rimasero a terra circa un migliaio di morti, più di duemila furono i feriti. Questa giornata passò alla storia come la domenica di sangue. La sanguinosa repressione causò scioperi e rivolte nelle fabbriche e nelle campagne. Anche nelle file della borghesia prese corpo l'opposizione nei confronti dello zarismo. Si formò un partito di ispirazione liberale, il Costituzionale Democratico: dalle iniziali (K e D) i suoi appartenenti assunsero il nome di cadetti. Essi auspicavano la creazione in Russia di un sistema costituzionale moderato, lo sviluppo dell'economia e una certa liberalizzazione della vita politica e sociale. Intimorito dagli avvenimenti, lo zar Nicola II promise libertà politiche e concesse l'elezione di un Parlamento, la Duma. Ma intanto la protesta si allargò fino a coinvolgere l'esercito: in giugno si ammutinò la corazzata Potëmkin e gli equipaggi delle navi inviatele contro si rifiutarono di aprire il fuoco sui rivoltosi. Il movimento di rivolta raggiunse il culmine in ottobre. A San Pietroburgo si ebbe uno sciopero generale e venne creato il primo soviet (consiglio) dei lavoratori, a capo dei quali venne eletto il menscevico Trockij. Il soviet si proponeva come organo di governo e non solo come strumento di rivendicazioni economiche o sociali. Era evidente, a questo punto, il carattere politico della rivoluzione dell'ottobre 1905. LA PRIMA GUERRA MONDIALE Le Dume elette tra il 1906 e il 1917 non ebbero mai un ruolo effettivo. Furono sempre sottoposte a un rigido controllo e vennero sciolte ogni volta che assumevano posizioni critiche nei confronti dello zarismo. Dal 1906 al 1911 l'uomo forte del governo fu Stolypin. Egli realizzò alcune moderate riforme economiche, che però non risolsero i gravi problemi della massa di contadini poveri. potere sovietico. Moltissimi intellettuali e numerosi esponenti dell'aristocrazia abbandonarono la Russia: fra il 1918 e il 1926 gli esuli volontari furono più di un milione. LA PACE DI BREST-LITOVSK Uno dei principali problemi da affrontare, per il nuovo governo della Russia, era quello della guerra. Vennero intavolate trattative di pace con i Tedeschi, che occupavano già vaste zone dell'ex Impero russo. Essi stavano già minacciando Pietrogrado, perciò la capitale venne spostata a Mosca. I bolscevichi, che avevano promesso al popolo la pace, si trovarono a trattare con il nemico. Il 3 marzo 1918 a Brest-Litovsk venne firmata la pace. Le condizioni erano durissime e implicavano la rinuncia a territori fertili e popolosi, ricchi di risorse minerarie. La Russia dovette accettare i seguenti punti: - cessione alla Germania delle regioni comprese fra la Bielorussia e il Caucaso - riconoscimento dell’indipendenza della Finlandia e dell'Ucraina - rinuncia alle pretese territoriali sui paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) e sulla Polonia. Lo stesso Lenin, anche se era una pace necessaria, la definì «vergognosa». Le ripercussioni interne furono notevoli: i socialrivoluzionari uscirono dal governo e i bolscevichi rimasero soli alla guida della rivoluzione. LA GUERRA CIVILE A partire dalla primavera del 1918 la Repubblica dei soviet dovette fronteggiare una duplice minaccia: l'intervento armato delle potenze occidentali ai suoi confini e la guerra civile al suo interno. I governi dell'Intesa volevano eliminare il governo bolscevico principalmente per due motivi: • per ricostituire una repubblica democratica che proseguisse la guerra al loro fianco contro gli Imperi centrali • per eliminare un pericoloso esempio di governo rivoluzionario, che avrebbe potuto alimentare l'opposizione operaia e socialista nei singoli Stati occidentali. Truppe anglo-francesi e statunitensi sbarcarono prima nel Nord della Russia e poi sulle coste del Mar Nero. Contemporaneamente truppe giapponesi si stabilirono a Vladivostok, sul Pacifico. I reparti delle potenze occidentali andarono ad appoggiare le forze contro-rivoluzionarie che si erano organizzate nel paese sin dalla fine del 1917: erano le armate bianche (colore della divisa dell'esercito zarista). Queste armate, guidate da ex generali zaristi, erano composte da truppe fedeli al vecchio regime, da contadini, funzionari e piccoli proprietari. Contro di loro combatteva l'Armata Rossa, l'esercito bolscevico costituito nel febbraio 1918 per iniziativa di Trockij. La guerra civile fra i «rossi» e i «bianchi» vide un susseguirsi di atrocità da entrambe le parti e costò 3 milioni di morti, anche lo zar e i membri della sua famiglia, che erano prigionieri nella città di Ekoterinburg, giustiziati per ordine del soviet locale, perché si temeva che potessero essere liberati dai controrivoluzionari. Nell'estate del 1920 la guerra civile poteva dirsi conclusa con la vittoria delle truppe rosse, una vittoria favorita dall'appoggio dei contadini, che temevano di perdere quel poco che avevano ottenuto. Nell'aprile 1920 l'Armata Rossa dovette sostenere anche un altro attacco esterno. Approfittando della debolezza della Russia dilaniata dalla guerra civile, la Polonia cercò di riappropriarsi dei territori persi con la pace di Versailles (1919). L'invasione delle truppe polacche venne respinta dall'Armata Rossa che avanzo fino alle porte di Varsavia. Dopo alterne vicende, la guerra si concluse nel 1921 con l'acquisizione da parte della Polonia di parte della Bielorussia e dell'Ucraina. UN REGIME SEMPRE PIÙ AUTORITARIO In piena guerra civile, nel luglio 1918, entrò in vigore la prima Costituzione sovietica. Essa affermava i diritti del popolo sfruttato e oppresso. La Costituzione prevedeva che il nuovo Stato diventasse una repubblica federale e che a essa si aggregassero liberamente le eventuali repubbliche socialiste che si fossero formate sia sul territorio dell'ex Impero sia oltre confine. Fra il 1920 e il 1922 alla Repubblica russa si unirono le altre province in cui i bolscevichi erano riusciti a prendere il potere sconfiggendo le armate bianche. Nel dicembre 1922, nacque l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Intanto la guerra civile, lo scontro con le potenze occidentali e la guerra russo-polacca avevano indotto i bolscevichi ad accentuare i tratti autoritari del regime. Tutti gli oppositori, compresi i menscevichi e i socialrivoluzionari, furono dichiarati fuorilegge. Fu reintrodotta la pena di morte, abolita dopo la rivoluzione d'ottobre. Venne creata una polizia politica, la CEKA, famosa per i suoi metodi violenti e arbitrari. IL COMUNISMO DI GUERRA Nel 1917, quando i bolscevichi avevano preso il potere, le condizioni economiche della Russia erano pessime. La situazione divenne disastrosa. I contadini, che dopo il decreto sulla terra avevano costituito piccole aziende agricole, producevano per l'autoconsumo e non rifornivano le città. Il governo non era in grado di riscuotere tasse ed era costretto a stampare carta moneta priva di qualsiasi valore, l'inflazione era elevatissima. Le industrie erano nel caos: il «controllo operaio» delle fabbriche si risolveva spesso nell'appropriarsi e nel vendere parti di macchine o prodotti finiti. Nel 1918, anche per far fronte alle necessità della guerra civile, il governo bolscevico attuò in campo economico una politica autoritaria, il comunismo di guerra. Tutta la terra fu nazionalizzata; vennero statalizzate le grandi e medie industrie e venne soppresso il libero mercato dei beni. Lo Stato arrivò quindi a controllare tutti i settori dell'economia. Per risolvere il problema degli approvvigionamenti alle città e all'esercito, squadre di operai bolscevichi vennero inviate nelle campagne per strappare ai contadini tutto ciò che non fosse strettamente necessario alla loro sopravvivenza. Il «comunismo di guerra» continuò sino alla primavera del 1921. Questa politica assicurò il rifornimento dell'esercito nelle fasi più critiche della guerra civile ma aggravò la crisi economica: la produzione industriale si ridusse a 1/7 rispetto al livello prebellico; le fabbriche chiusero e le città si spopolarono; i trasporti si bloccarono e varie aree del paese conobbero la fame. La crisi stimolò l'opposizione contadina, incrinando quell'alleanza che aveva portato la rivoluzione alla vittoria. Il malcontento dei contadini si manifestò attraverso varie sommosse, mentre a Mosca e a Pietrogrado ripresero gli scioperi, fu necessario proclamare lo stato d'assedio per controllare la situazione. Ma la rivolta più grave fu quella dei marinai della base navale di Kronstadt (marzo 1921), significativa perché i marinai di Kronstadt avevano appoggiato i bolscevichi sin dall'inizio della rivoluzione. La spietata repressione di questa rivolta dimostrò che, sul piano politico, si stava accentuando enormemente il centralismo, cioè il potere incondizionato del partito e di Lenin. IL X CONGRESSO E LA NUOVA POLITICA ECONOMICA La gravità della crisi indusse Lenin a una critica radicale del comunismo di guerra: sostenne che era stato adottato solo per fronteggiare le conseguenze della guerra civile e che non si era trattato di un tentativo di accelerare la trasformazione in senso comunista della società russa; esaltò addirittura la necessità di un approccio «riformista», fatto di piccoli passi, alla trasformazione dell'economia. La nuova linea fu ufficialmente adottata dal X Congresso del Partito Comunista che si tenne a Mosca nel marzo 1921. Fu approvata la Nuova Politica Economica (NEP), che segnò la fine del comunismo di guerra: - ai contadini veniva permesso di coltivare la terra per le loro necessità e di vendere le eccedenze, dopo aver consegnato allo Stato una parte del raccolto (una specie di imposta in natura) - il commercio spicciolo veniva legalizzato. Questa disposizione, che mirava a stroncare il «mercato nero», aumentò enormemente il numero e il potere dei piccoli commercianti, dei funzionarie dei piccoli industriali - lo Stato manteneva solo il controllo delle fabbriche con più di 20 dipendenti e veniva creato un sistema di produzione misto, statale e privato. Il Congresso si celebrò mentre la situazione stava precipitando, nello stesso mese della rivolta di Kronstadt e con la fame che infuriava nelle campagne. La NEP arrivava tardi: sul paese incombeva una terribile carestia che avrebbe causato nell’arco dell’anno almeno 3 milioni di vittime. La situazione migliorò solo a partire dall'estate del 1922 e finalmente la nuova linea economica poté essere applicata. La NEP ottenne significativi risultati: le condizioni dei contadini migliorarono e la produzione agricola aumentò; ricomparvero nei negozi i beni di consumo, spariti nel periodo del «comunismo di guerra», e il paese uscì dalla carestia. Nel 1926 la produzione agricola e quella industriale tornarono ai livelli del 1914. La NEP era stata voluta da Lenin, anche sulla base degli sviluppi politici che si erano avuti nell'Europa occidentale. Nel 1921, infatti, dopo il complessivo fallimento delle iniziative insurrezionali in vari Stati europei era ormai chiaro che nessuna rivoluzione avrebbe avuto luogo in Occidente. IL PARTITO UNICO Un altro provvedimento importante preso durante il X Congresso fu la proibizione del cosiddetto frazionismo = organizzazione di correnti stabili nel partito. All'interno del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) non dovevano esistere contrasti. Si approvò la regola del cosiddetto centralismo democratico, successivamente adottata da tutti i partiti comunisti europei: una volta che il partito assumeva una posizione era vietato contrastarla o anche solo manifestare il proprio dissenso; il militante poteva esprimere le proprie posizioni nel dibattito interno al partito, ma quando una decisione veniva presa diventava vincolante per tutti, anche per quelli che l'avevano contrastata. Si accentuava così il carattere autoritario del partito; il tempo della democrazia interna era finito. La dittatura del proletariato, già divenuta una dittatura di partito, diventava dittatura di un ristretto numero di dirigenti bolscevichi: Lenin, Trockij, Kamenev, Zinov'ev e Stalin. Tutto il potere decisionale era nelle mani dei capi partito, di Lenin in particolare. L'URSS diventava sempre più uno Stato totalitario a partito unico.
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