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La Rivoluzione Russa e l'Impero Russo nel XIX secolo, Schemi e mappe concettuali di Storia

L'Impero Russo nel XIX secolo, caratterizzato da un potere autocratico degli zar, l'arretratezza delle campagne, l'espansione dell'impero e la presenza di decine di popoli con lingue e tradizioni diverse. Inoltre, viene descritto lo sviluppo industriale e l'opposizione politica allo zarismo, divisa tra occidentalisti e slavofili. Infine, viene menzionata la prima guerra mondiale e il ruolo delle Dume elette tra il 1906 e il 1917.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

In vendita dal 25/09/2022

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Scarica La Rivoluzione Russa e l'Impero Russo nel XIX secolo e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! LA RIVOLUZIONE RUSSA L’impero russo nel XIX secolo Un impero conservatore e multinazionale Per tutto l’Ottocento la Russia fu la roccaforte del conservatorismo politico e sociale. Gli zar esercitavano un potere autocratico, cioè un potere personale assoluto, senza il controllo di alcun parlamento. L’aristocrazia, l’esercito, la Chiesa ortodossa e la burocrazia imperiale, che costituivano circa il 5% della popolazione, appoggiavano il regime zarista e difendevano gelosamente i propri privilegi. La borghesia mercantile e imprenditoriale, presente quasi esclusivamente nella zona di Mosca e nei porti del Baltico, non deteneva invece alcun potere economico e politico. Questo sistema venne difeso in modo intransigente dagli zar: almeno fino al 1860 non venne tollerata alcuna forma di opposizione. L’impero russo continuò ad espandersi per tutto l’Ottocento: alla vigilia della prima guerra mondiale aveva ormai raggiunto un’estensione notevole. Al suo interno convivevano decine di popoli, caratterizzati da lingue e tradizioni diverse. I russi veri e propri non superavano il 45% della popolazione. Accanto a loro convivevano finlandesi, polacchi, mongoli, ucraini, lettoni: popoli conquistati che chiedevano autonomia e indipendenza. L’arretratezza delle campagne Uno dei problemi più gravi della Russia era l’arretratezza delle sue campagne. Le condizioni generali erano invariate ormai da secoli. Chiese, monasteri e grandi famiglie (circa 3000) possedevano il 90% della terra coltivabile. I contadini erano ancora sottoposti alla servitù della gleba e disponevano a stento del necessario per vivere, in quanto gran parte di ciò che producevano era incamerato dai ricchi proprietari terrieri. Il malcontento era generale e si manifestava in maniera violenta attraverso frequenti rivolte: solo negli anni fra il 1840 e il 1855 se ne contarono 350. Le sollevazioni dei contadini venivano regolarmente represse nel sangue. Lo zar Alessandro II (1818-1881), succeduto al padre Nicola I nel 1855, tentò di affrontare i problemi legati all’arretratezza attraverso una cauta politica di riforme. Il provvedimento più importante fu la legge del febbraio 1861 che abolì la servitù della gleba. Il contadino liberato riceveva in uso permanente, e non in proprietà, la terra che prima lavorava come servo. In cambio, però, doveva pagare un riscatto al proprietario. La legge, in realtà, concorse a peggiorare le condizioni di vita della massa di contadini, che non sempre riuscirono a pagare il riscatto per la terra ottenuta. Furono favoriti soprattutto i kulaki, cioè i medi proprietari, che acquistarono parte delle terre, pagandole a basso prezzo dai contadini schiacciati dai debiti. La riforma, dunque, finì per inasprire le tensioni esistenti nelle campagne. Gli inizi dello sviluppo industriale L’arretratezza dell’economia russa era particolarmente evidente nelle relazioni commerciali con l’estero: la Russia esportava soprattutto cereali e materie prime, mentre importava macchinari e prodotti industriali. Nella sostanza, dunque, il paese dipendeva economicamente dall’Occidente e questa situazione era incompatibile con la politica di grande potenza cui aspirava. A partire dal 1870, pertanto, vennero compiuti grandi sforzi per sviluppare un’industria nazionale. Determinante fu l’appoggio dei capitali stranieri. I principali investitori furono la Francia, la Germania e la Gran Bretagna. Personale qualificato occidentale giunse in Russia per formare dirigenti e lavoratori dei nuovi complessi industriali. Anche lo Stato intervenne con finanziamenti, soprattutto nel settore siderurgico e in quello delle ferrovie. Fra il 1855 e il 1898 si ebbe un vero e proprio boom. La produzione industriale crebbe complessivamente del 400%. I principali stabilimenti industriali sorsero intono alle grandi città: Mosca (industria tessile); San Pietroburgo (industria metallurgica); Baku (giacimenti petroliferi). L’industrializzazione fu un fatto innegabile e di notevole intensità, ma restò un fenomeno abbastanza superficiale. In particolare, lo sviluppo industriale non fu l’espressione della crescita all’interno della società russa di una borghesia imprenditoriale: fu l’iniziativa imposta dallo Stato, prevalentemente affidata a stranieri. Tuttavia il divario con l’Occidente iniziava a diminuire. Occidentalisti e slavofili: il populismo Ma conveniva veramente assumere l’Occidente come modello? Se lo chiedeva l’opposizione politica allo zarismo che era costituita soprattutto da intellettuali, studenti e dalla piccola borghesia istruita: in breve quella che in russo si chiamava intellighenzia. Gli intellettuali si dividevano in occidentalisti e slavofili. Gli occidentalisti prospettavano una via europea al progresso. Essi valutavano positivamente il capitalismo e le sue conseguenze sociali e politiche: intendevano quindi introdurre in Russia sia l’economia capitalistica, sia la democrazia. In pratica si trattava di ripercorrere i tempi e i modi dello sviluppo economico, sociale e politico occidentale. Gli slavofili sostenevano al contrario una via nazionale allo sviluppo. La Russia doveva sfruttare il proprio ritardo storico e trarre profitto dagli errori degli altri paesi, evitando le miserie della rivoluzione industriale e del capitalismo. Anche il liberalismo andava rifiutato. Lo sviluppo sociale e politico della Russia sarebbe partito non dalla borghesia o dal proletariato, come nei paesi capitalisti, ma dai contadini. come organo di governo e non solo come strumento di rivendicazioni economiche o sociali. Era evidente, a questo punto, il carattere politico della rivoluzione dell’ottobre 1905. La prima guerra mondiale Le Dume elette tra il 1906 e il 1917 non ebbero mai un ruolo effettivo. Furono sempre sottoposte ad un rigido controllo e vennero sciolte ogni volta che assumevano posizioni critiche nei confronti dello zarismo. Dal 1906 al 1911 l’uomo forte del governo fu Pëtr Stolypin. Egli realizzò alcune moderate riforme economiche, che però non risolsero i gravi problemi della massa di contadini poveri. Perciò le tensioni crebbero e i socialisti, in particolare i menscevichi, divennero sempre più forti. La situazione precipitò con la prima guerra mondiale. Fin dai primi mesi apparve chiaro che l’economia russa non avrebbe potuto sopportare il peso di un conflitto così duro che, come abbiamo visto, coinvolgeva ogni sforzo produttivo dei paesi belligeranti. Le condizioni della popolazione si fecero drammatiche. La produzione di grano diminuiva rapidamente e i prezzi salivano. La guerra diventava sempre più impopolare anche per l’incompetenza degli ufficiali. Nel 1915 la Russia subì un crollo militare e perse alcuni territori occupati nella prima fase del conflitto (Galizia, Bucovina) e il controllo dei territori polacchi. Si scatenò una nuova ondata di scioperi. La rivoluzione del 1917 Il 23 febbraio 1917 gli operai di Pietrogrado (così era stata ribattezzata San Pietroburgo dopo il 1914), insorsero in massa. Lo zar ordinò alle truppe di disperdere i manifestanti, ma l’esercito si rifiutò di obbedire e si schierò dalla loro parte. Iniziava la rivoluzione di febbraio, che si estese fino a coinvolgere anche Mosca. Ormai si chiedevano apertamente la distribuzione della terra e l’instaurazione della democrazia. Era evidente che il regime zarista non riusciva più a controllare la situazione. Perciò lo zar Nicola II il 2 marzo 1917 fu costretto ad abdicare. Finì così la monarchia zarista e nacque la repubblica. Quella di febbraio fu una rivoluzione rapida e con pochissime vittime; la facilità del successo si spiega col fatto che lo zarismo non riscuoteva più consensi nemmeno negli ambienti aristocratici più vicini al trono. La difficile vita della repubblica Dopo la rivoluzione di febbraio, si formarono due centri di potere:  un governo provvisorio presieduto dal principe L’vov, un aristocratico aperto alle riforme e appoggiato dai borghesi;  il soviet di Pietrogrado, cioè il Consiglio dei deputati operai e soldati, formato da rappresentanti eletti nelle fabbriche e nell’esercito, dominato dai socialrivoluzionari (populisti) e dai menscevichi. Formalmente il potere legittimo era nelle mani del governo provvisorio, ma il soviet svolgeva sempre più funzioni di direzione politica. Questo dualismo di poteri indebolì la repubblica russa. Sia il governo provvisorio sia il soviet intendevano continuare la guerra, ma per motivi diversi. Secondo il governo provvisorio, la vittoria militare avrebbe rafforzato lo Stato e la borghesia, in modo da consentire in Russia l’instaurazione di un regime parlamentare moderato che avrebbe evitato sconvolgimenti sociali. Secondo il soviet, occorreva sconfiggere la Germania e l’Austria, potenze conservatrici e imperialiste, per difendere la rivoluzione. La soluzione dei gravi problemi sociali ed economici della Russia veniva rimandata alla fine della guerra. I rappresentanti del governo provvisorio prospettavano una vaga politica di riforme, mentre i socialrivoluzionari e i menscevichi puntavano più decisamente sulla riforma agraria, che avrebbe distribuito terre ai contadini. Il ritorno di Lenin: la svolta La repubblica russa appariva incapace di far fronte agli immensi problemi del paese. Questa era la situazione quando Lenin, il 4 aprile 1917, arrivò a Pietrogrado di ritorno dall’esilio in Svizzera. Lenin presentò ai bolscevichi un documento che riassumeva in dieci punti, le cosiddette Tesi di aprile, le sue idee sui compiti immediati del partito. Le Tesi affermavano tre idee fondamentali: 1. tutto il potere ai soviet: abbattere con forza il governo provvisorio e consegnare il potere ai soviet; 2. la pace: far uscire immediatamente la Russia dalla guerra; 3. la terra ai contadini: confiscare le terre e metterle a disposizione dei soviet locali. Questo programma suscitò molte opposizioni nello stesso partito bolscevico; molti esponenti bolscevichi accusarono Lenin di anarchismo. Ma quello che Lenin proponeva era esattamente ciò che le masse operaie e contadine volevano sentire: pace e terra. La nuova linea che Lenin impose al partito attirò i consensi delle masse, ma allontanò ulteriormente i bolscevichi dagli altri gruppi socialisti e dal governo provvisorio. La preparazione della rivoluzione Nel giugno 1917 si svolse a Pietrogrado il I Congresso Panrusso dei soviet (cioè l’assemblea dei delegati dei soviet di tutte le province della Russia). I bolscevichi erano ancora una minoranza (105 delegati su 822) rispetto ai socialrivoluzionari e ai menscevichi. Per capire come i bolscevichi riuscirono a conquistare la maggioranza nei soviet e ad organizzare la rivoluzione, è necessario ricordare quanto avvenne in Russia nell’estate del 1917. Sul fronte della guerra, il governo provvisorio scatenò contro le forze austro-tedesche una vigorosa offensiva che, però, fallì rapidamente. Il 18 giugno le truppe vennero mandate all’assalto senza che l’azione fosse stata preparata adeguatamente e i soldati rifiutarono di combattere. Nel mese di luglio a Pietrogrado gli operai e i soldati scesero in piazza per impedire la partenza per il fronte di alcuni reparti. I disordini vennero sedati dall’intervento di truppe fedeli al governo. Alcuni capi dei bolscevichi furono arrestati: lo stesso Lenin dovette rifugiarsi in Finlandia. Ma questo fu l’ultimo successo del governo provvisorio. Nel mese di settembre, il generale Kornilov, comandante in capo dell’esercito, marciò su Pietrogrado con le truppe e tentò di abbattere il governo repubblicano. Il governo, presieduto in quel momento dal socialrivoluzionario Kerenskij, riuscì a reprimere il colpo di stato con l’appoggio degli operai, dei contadini e dei bolscevichi. Questi ultimi, dunque, uscirono rafforzati dalla vicenda e per la prima volta conquistarono la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca. Intanto, nel corso dell’estate, Lenin scrisse il saggio Stato e Rivoluzione. In esso sosteneva che i bolscevichi dovevano distruggere lo Stato per dare vita alla dittatura democratica del proletariato e dei contadini: dittatura in quanto oppressiva nei confronti della borghesia, ma democratica perché avrebbe rappresentato l’enorme maggioranza della popolazione. La rivoluzione di ottobre La disfatta militare, la disoccupazione e la miseria dilaganti, l’appoggio crescente delle masse popolari spingevano sempre più i bolscevichi alla decisione di rovesciare con la forza il governo provvisorio. A questo scopo venne creata anche una forza militare, la Guardia Rossa. Uno dei principali organizzatori della rivoluzione fu Trockij. I preparativi non furono segreti: per tutto il mese di ottobre del 1917, sui giornali e nelle strade non si fece che parlare dell’insurrezione che i bolscevichi stavano preparando. Il 24 ottobre 1917 le guardie rosse, senza spargimento di sangue, occuparono i punti strategici di Pietrogrado. Alla centrale del telegrafo, per fare un esempio, si presentarono due rivoluzionari disarmati che si accordarono con gli operatori: d’ora in poi si sarebbero eseguiti solo gli ordini dei soviet. La vita proseguì nella più assoluta normalità: i telefoni funzionavano regolarmente ed anche i mezzi pubblici continuavano il loro servizio. Decisivo per le sorti dell’insurrezione fu l’atteggiamento dell’esercito. La guarnigione di Pietrogrado si dichiarò neutrale, favorendo in pratica l’azione dei bolscevichi. La sera del 25 ottobre i rivoluzionari conquistarono il Palazzo d’Inverno, che era la sede del governo Kerenskij. L’attacco al palazzo divenne un episodio-simbolo della rivoluzione, come lo era stata la presa della Bastiglia nel 1789, ma fu un avvenimento quasi incruento. In effetti la rivoluzione vinse provocando in tutto non più di una quindicina di morti. 1. per ricostituire una repubblica democratica che proseguisse la guerra al loro fianco contro gli imperi centrali; 2. per eliminare un pericoloso esempio di governo rivoluzionario, che avrebbe potuto alimentare l’opposizione operaia e socialista nei singoli stati occidentali. Perciò truppe anglo-francesi e statunitensi sbarcarono prima nel Nord della Russia e poi sulle coste del mar Nero. Contemporaneamente, spinte da obiettivi espansionistici, truppe giapponesi si stabilirono a Vladivostok, sul Pacifico. I reparti delle potenze occidentali andarono ad appoggiare le forze controrivoluzionarie che si erano organizzate sin dalla fine del 1917: erano le armate bianche (così chiamate dal colore della divisa dell’esercito zarista). Queste armate, guidate da ex generali zaristi, erano composte da truppe fedeli al vecchio regime, da contadini, funzionari e piccoli proprietari. Contro di loro combatteva l’Armata Rossa, l’esercito bolscevico costituito nel febbraio 1918 per iniziativa di Trockij. La guerra civile fra i rossi e i bianchi vide un susseguirsi di atrocità da entrambe le parti e costò complessivamente tre milioni di morti. Fra questi, anche lo zar e i membri della sua famiglia, che erano prigionieri nella città di Ekaterinenburg: vennero giustiziati per ordine del soviet locale il 6 luglio 1918, perché si temeva che potessero essere liberati dai controrivoluzionari. Nell’estate del 1920 la guerra civile poteva dirsi conclusa con la vittoria delle truppe rosse, una vittoria favorita dall’appoggio dei contadini, che temevano, in caso di vittoria dei bianchi, di perdere quel poco che avevano ottenuto. Nell’aprile del 1920 l’Armata Rossa dovette sostenere anche un altro attacco esterno. Approfittando della debolezza della Russia dilaniata dalla guerra civile, la Polonia cercò di riappropriarsi dei territori persi con la pace di Versailles (1919). L’invasione delle truppe polacche venne respinta dall’Armata Rossa che avanzò fino alle porte di Varsavia., Dopo alterne vicende, la guerra si concluse nel 1921 con l’acquisizione da parte della Polonia di parte della Bielorussia e dell’Ucraina. Un regime sempre più autoritario In piena guerra civile, nel luglio 1918, entrò in vigore la prima Costituzione sovietica. Essa affermava i diritti del popolo sfruttato ed oppresso. La Costituzione prevedeva che il nuovo Stato diventasse una repubblica federale e che ad essa si aggregassero liberamente le eventuali repubbliche socialiste che si fossero formate sia sul territorio dell’ex impero sia oltre confine. Fra il 1920 e il 1922 alla repubblica russa si unirono le altre province in cui i bolscevichi erano riusciti a prendere il potere sconfiggendo le armate bianche. Così, nel dicembre 1922, nacque l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Intanto la guerra civile, lo scontro con le potenze occidentali e la guerra russo-polacca avevano indotto i bolscevichi ad accentuare i tratti autoritari del regime. Tutti gli oppositori, compresi i menscevichi e i socialrivoluzionari, furono dichiarati fuorilegge. Fu reintrodotta la pena di morte, che era stata abolita dopo la rivoluzione d’ottobre. Venne creata una polizia politica, la Ceka, che divenne famosa per i suoi metodi violenti e arbitrari. Il comunismo di guerra Nel 1917, quando i bolscevichi avevano preso il potere, le condizioni economiche della Russia erano pessime. Con il passar dei mesi la situazione divenne disastrosa. I contadini, che dopo il decreto sulla terra avevano costituito piccole aziende agricole, producevano per l’autoconsumo e non rifornivano le città. Il governo non era in grado di riscuotere tasse ed era costretto a stampare carta moneta priva di qualsiasi valore, perciò l’inflazione era elevatissima. Le industrie erano nel caos: il controllo operaio delle fabbriche si risolveva spesso nell’appropriarsi e nel vendere parti di macchine o prodotto finiti. Nel 1918, anche per far fronte alle necessità della guerra civile, il governo bolscevico attuò in campo economico una politica autoritaria, che fu poi definita dallo stesso Lenin comunismo di guerra. Tutta la terra fu nazionalizzata; vennero statalizzate le grandi e medie industrie e venne soppresso il libero mercato dei beni a favore del controllo statale del commercio e della distribuzione. Lo Stato arrivò quindi a controllare tutti i settori dell’economia. Per risolvere il problema degli approvvigionamenti alle città e all’esercito, squadre di operai bolscevichi vennero inviate nelle campagne per strappare ai contadini tutto ciò che non fosse strettamente necessario alla loro sopravvivenza. Il comunismo di guerra continuò sino alla primavera del 1921. Questa politica ebbe effetti molteplici: se per un verso permise di assicurare il rifornimento dell’esercito nelle fasi più critiche della guerra civile, d’altra parte stimolò l’opposizione contadina, incrinando quell’alleanza che aveva portato la rivoluzione alla vittoria. Il malcontento dei contadini si manifestò attraverso varie sommosse. Ma la rivolta più grave fu quella dei marinai della base navale di Kronstadt (marzo 1921). Era un fatto assai significativo, perché i marinai di Kronstadt avevano appoggiato i bolscevichi sin dall’inizio della rivoluzione. La spietata repressione di questa rivolta dimostrò che, sul piano politico si stava accentuando enormemente il centralismo, cioè il potere incondizionato del partito e di Lenin. Il X Congresso e la Nuova Politica Economica Nel marzo del 1921 si tenne a Mosca il X Congresso del Partito Comunista. Esso vide la nascita della Nuova Politica Economica (NEP), che segnò la fine del comunismo di guerra. La NEP si può così sintetizzare:  ai contadini veniva permesso di coltivare la terra per le loro necessità e di vendere le eccedenze, dopo aver consegnato allo Stato una parte del raccolto (una specie di imposta in natura);  il commercio spicciolo veniva legalizzato. Questa disposizione, che mirava a stroncare il mercato nero, aumentò enormemente il numero e il potere dei piccoli commercianti, dei funzionari e dei piccoli industriali;  lo stato manteneva solo il controllo delle fabbriche con più di 20 dipendenti e veniva creato un sistema di produzione misto, statale e privato. La NEP ottenne significativi risultati. Le condizioni dei contadini migliorarono e la produzione agricola aumentò. Ricomparvero nei negozi i beni di consumo, spariti nel periodo del comunismo di guerra, e il paese uscì dalla carestia. Nel 1926 la produzione agricola e quella industriale tornarono ai livelli del 1914. Questa manovra economica era stata voluta dallo stesso Lenin, anche sulla base degli sviluppi politici che si erano avuti nell’Europa occidentale. Nel 1921, infatti, dopo il complessivo fallimento delle iniziative insurrezionali in vari stati europei era ormai chiaro che nessuna rivoluzione avrebbe avuto luogo in occidente. Era evidente che l’Unione Sovietica sarebbe rimasto l’unico stato socialista in Europa e dunque tutta l’attenzione doveva essere rivolta alla sua stabilizzazione. Il partito unico Un altro provvedimento importante preso durante il X Congresso fu la proibizione del cosiddetto frazionismo, cioè l’organizzazione di correnti stabili nel partito. All’interno del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) non dovevano esistere contrasti. Si approvò la regola del cosiddetto centralismo democratico, successivamente adottata da tutti i partiti comunisti europei: nella sostanza, una volta che il partito assumeva una posizione era vietato contrastarla o anche solo manifestare il proprio dissenso; il militante poteva esprimere le proprie posizioni nel dibattito interno al partito, ma quando una decisione veniva presa diventava vincolante per tutti, anche per quelli che l’avevano contrastata. Si accentuava così il carattere autoritario del partito; il tempo della democrazia interna era finito. La dittatura del proletariato, già divenuta una dittatura di partito, diventava dittatura di un ristretto numero di dirigenti bolscevichi: Lenin, Trockij, Kamenev, Zinov’ev e Stalin. Tutto il potere decisionale era nelle mani dei capi partito, di Lenin in particolare. L’URSS diventava sempre più uno Stato totalitario a partito unico. TOTALITARISMO È il sistema politico in cui lo stato esercita il controllo della società e della vita dei cittadini. Il termine fu coniato negli anni Venti in Italia per indicare lo Stato fascista che mirava appunto alla totale identificazione fra Stato e società. Nel secondo dopoguerra gli studiosi di scienza politica hanno definito come sistemi totalitari quelle dittature tipiche della società di massa, che si fondano sul controllo non solo della vita politica, ma anche della mentalità, della coscienza, persino della vita privata degli individui. Lo stato totalitario impone la propria ideologia ed elimina il dissenso mediante l’uso del terrore; inoltre esercita il monopolio dei mezzi di comunicazione di massa e priva i cittadini di qualsiasi spazio di autonomia: la cultura, la scuola, persino il tempo libero vengono organizzati in modo da assumere un significato politico e ideologico. Fra le dittature del Novecento, molti studiosi ritengono totalitarismi solo il nazismo e lo stalinismo, mentre è più discussa l’applicazione del termine al fascismo (definito da alcuni totalitarismo imperfetto in quanto non riuscì a realizzare pienamente il dominio della società). La cultura di sinistra per molto tempo non ha accettato di accomunare sotto questa definizione il nazismo e lo stalinismo. Oggi tuttavia il termine si è largamente affermato, anzi spesso viene usato impropriamente per indicare ogni forma di autoritarismo o di dittatura.
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