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la scuola degli italiani, Sintesi del corso di Metodi di Insegnamento

riassunto schematico del libro la scuola degli italiani

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 06/09/2022

Jessica_bonetti
Jessica_bonetti 🇮🇹

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Scarica la scuola degli italiani e più Sintesi del corso in PDF di Metodi di Insegnamento solo su Docsity! LA SCUOLA DEGLI ITALIANI  L’ISTRUZIONE SECONDARIA CLASSICA 1. Centri e periferie Per la Legge Casati (promulgata il 13 novembre 1859) – l’ISTRUZIONE SECONDARIA è l’istruzione classica. durante la seconda guerra d’indipendenza Si impartisce:  Nei GINNASI per la durata di 5 anni (Possono essere governativi e dunque regi o comunali)  Nei LICEI per la durata di 3 anni (Sono sempre statali) 1 liceo per ogni capoluogo di provincia 1 ginnasio in ogni circondariato  Novembre 1870 giunge a Bivona il ventisettenne Placido Cerri, professore di latino e greco al locale ginnasio;  Scandalo delle condizioni in cui versano le province meridionali del regno a poco meno di 15 anni dalla sua proclamazione;  Ottobre 1882 Giovannino parte per la Lucania  Carducci è stato professore di letteratura all’università di Bologna  Augusto Monti viene spedito in Calabria La storia dei professori secondari sta tutta in queste peregrinazioni. È questa una delle prime considerazioni da tenere presente ovvero l’idea per cui: L’unificazione culturale del Paese avviene a partire dalla costruzione di un apparato scolastico che ben presto raggiunge dimensioni ragguardevoli. La CULTURA è una delle condizioni cruciali alla fondazione dello Stato. Affonda le sue radici nel modello ARISTOCRATICO E CLASSICISTA. La CHIESA e gli ORDINI INSEGNANTI sorti dall’impero culturale e missionario della controriforma sono decisivi nell’elaborazione della tipologia culturale dell’antico regime europeo. La stessa organizzazione degli studi classici, il ginnasio e il liceo si basano su un modello pedagogico e didattico che prende forma alla fine del ‘500. Su questo terreno, la classe dirigente liberale assume la guida di una politica culturale che dal centro si irradia alla periferia. Di questa POLITICA, l’edificazione di un sistema scolastico tendenzialmente NAZIONALE costituisce il momento più importante della costruzione liberale dell’Italia contemporanea.  Accedere alla cultura d’elitè significa sancire una discontinuità rispetto alla propria origine. Per questa via, la scuola secondaria finisce per fornire alle elitè periferiche della nuova Italia un modello di non appartenenza. La sua espressione prevalente è la MOBILITA’ TERRITORIALE. La SCUOLA ITALIANA è un agente potentissimo di omogeneizzazione culturale e insieme un modo per contenere gli esiti di questa mobilità.  MISURA DI DISTANZA  STANDARDIZZAZIONE LINGUISTICA prodotta dalla scuola È Ancor prima che un elemento di omogeneizzazione culturale, un FATTORE DIACRITICO = opera dentro un sistema di relazioni sociali organizzati intorno a un’antica linea divisoria.  da un lato il dualismo separa i circuiti delle elitè dalla formazione dei quadri sociali intermedi;  dall’altro lato, l’idea della scuola secondaria come luogo deputato all’unificazione 2. il patriottismo locale del professor Carisio Ciavarini Il rapporto tra centro e periferia è cruciale nella comprensione della storia della scuola italiana in età contemporanea. Chiama in causa: o ragioni storiche/geografiche complesse o la logica territoriale o la rete delle istituzioni educative La SCUOLA DI CASATI viene investita dal problema dell’elaborazione di una cultura unitaria e dell’integrazione di un nuovo spazio politico della Nazione. Il ginnasio-liceo dell’ordinamento casatiano funziona come un meccanismo che traduce ritardi culturali in rapporti gerarchici e su questa base opera l’integrazione degli intellettuali periferici e delle loro tradizioni di studio all’interno di uno spazio culturale unitario. Assolve a una funzione differente rispetto al ramo tecnico-professionale che resta legato, ancora nel ‘900, all’articolazione della sfera periferica e agli interessi locali. BELVIGLIERI (toscano) è l’espressione di una cultura storiografica che fin dalla vigilia del 1848 ha posto al centro della propria riflessione il problema della STORIA D’ITALIA e su nuove basi il rapporto tra il piano nazionale, tra sintesi e erudizione, si fa esplosiva. 3. Un dualismo originario L’opposizione tra erudizione (locale) e storia (nazionale) organizza la molteplicità italiana in una gerarchia urbana che fa della provincia lo spazio diffuso della raccolta dei materiali culturali da servire all’elaborazione di una compiuta prospettiva unitaria e nazionale. La scuola secondaria aderisce alla costruzione di questo spazio e contribuisce alla sua organizzazione strutturandosi su 3 livelli. Il titolo terzo della legge Casati (capi primo e secondo art. 188-200) stabilisce l’istituzione dei ginnasi in tutte le città capoluogo di provincia e nei capoluoghi di circondario e li ripartisce in tre classi: in questo modo la scuola secondaria prova a integrare nello spazio culturale della nazione la periferia. A questa linea corrisponde la marginalità e la dispersione dei circuiti scolastici subalterni. Sono questi i termini del dualismo costitutivo della scuola italiana. Questo DUALISMO è un TRATTO ORIGINARIO del nostro sistema scolastico. La costitutiva opposizione dei circuiti educativi delle elitè e della scuola del popolo è un momento del più generale processo di costruzione dello spazio culturale dell’Europa moderna. Prende forma nel 17° secolo con la diffusione sul continente di un sistema di collegi destinato alla formazione dei nobili e unificato a partire dall’impegno di definizione culturale e pedagogica dei GESUITI.  In Sicilia, il decreto dittatoriale del 17 giugno 1860 n.45 dichiarava disciolte le “corporazioni” dei gesuiti e dei liguorini.  Il 17 ottobre un nuovo provvedimento del governo rivoluzionario assegna alla Pubblica Istruzione tutte le RENDITE e i BENI dei due ordini. Vennero così acquisiti al patrimonio dello Stato una quantità di stabilimenti di istruzione che le condizioni dell’unificazione avrebbero a lungo fatto mancare al nuovo regno. scolastico, ma porre l’intera questione dell’istruzione popolare in termini residuali, vale a dire per esclusione rispetto alla scuola d’elitè. La scuola per il popolo non ha a disposizione un proprio modello culturale e pedagogico. È innanzitutto scuola senza latino. Nasce per sottrazione. Nel 1923 Gentile mostrerà di ragionare secondo questo schema, quando imporrà la lingua antica anche nell’istituto tecnico. Nel caso di Bertini, la proposta dell’unificazione dei corsi inferiori della scuola classica e dell’istituto tecnico era rivolta alle esigenze di scolarizzazione di un ceto medio di estrazione provinciale. 6. Il problema politico della scuola secondaria L’istruzione secondaria è il centro nevralgico del modello scolastico liberale. Aprile 1850 la Camera discute la legge sull’insegnamento secondario presentata da Cristoforo Mameli. Carlo Boncompagni è il relatore della commissione parlamentare incaricata di riferire sul progetto e padre della riforma del 1848. Boncompagni obietta l’incomprensione della natura pluralistica della nuova società europea. La scuola progettata da Mameli è segnata dall’esclusiva preoccupazione per gli studi di quanti andranno all’università. Poche settimane dopo l’intervento alla Camera di Boncompagni, sulla “Rivista d’Italia” compare un articolo di Berti: l’istruzione classica ha per oggetto l’educazione delle classi meno disagiate della società, cioè quelle classi destinate a influire direttamente sui destini di una nazione. Istruzione secondaria come luogo deputato alla qualificazione culturale del ceto medio. Il sistema complesso di relazioni che si instaura tra scuola classica e tecnica nell’Italia liberale riflette il tentativo di conciliare l’idea di Stato come promotore dello sviluppo delle energie della nazione e il contenimento delle spinte pluralistiche che questo stesso sviluppo innesca. Con le sue partizioni, la scuola ottocentesca istituisce gerarchie che sono al tempo stesso modalità differenziate di accesso alla cittadinanza. La CULTURA GENERALE (storia e letteratura) è un fattore di unificazione e un tratto diacritico del sistema scolastico: vale a dire come controllo dell’accesso ineguale alla cittadinanza liberale. 7. Unità e molteplicità  La riflessione sulla scuola secondaria matura in un ambito politico e culturale moderato. Fortemente segnato dalla lezione giobertiana. Il mondo uscito dalla crisi rivoluzionaria settecentesca è instabile. L’individuazione del ceto medio come elemento di coesione della nuova società post- rivoluzionaria richiede l’elaborazione di una forma di cultura attraverso l’affermazione della propria autonomia tra modello aristocratico classicista e il realismo dell’istruzione plebea. Il gesuita moderno è appunto l’indicazione della necessità di questa nuova tipologia culturale, capace di dare forma all’universo borghese in gestazione. SCOPO DELLA SCUOLA: diventa non solo soddisfare l’interesse della maggioranza del ceto medio, ma assicurare innanzitutto l’unità di un mondo così variegato. Ricomporre la frammentazione prodotta dalla dinamica stessa del processo sociale in un quadro culturalmente omogeneo. Omogeneità è parola chiave della riflessione politica giobertiana. 8. Grammatica e processi sociali L’articolo 10 della Legge Casati stabilisce l’approvazione dei libri di testo da parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Ma quella disposizione resta lettera morta. Ritorna il problema della molteplicità. E con essa le figure del disordine. Nella storia della scuola ottocentesca, la questione della lingua è un momento decisivo della costruzione della nazione e degli equilibri sociali del paese. La questione della lingua è in altri termini un momento decisivo della costruzione dell’egemonia delle classi dominanti. Il punto cioè non è che l’unificazione linguistica sia un momento decisivo dell’unificazione culturale della nazione, ma che la FORMAZIONE DI UNA CULTURA NAZIONALE omogenea venga pensata in termini prevalenti di grammatica se la lingua materna è il dialetto, nelle condizioni sociali dell’Italia post-unitaria la grammatica non coincide affatto con una cultura nazionale omogenea. La grammatica è l’ennesima attestazione della persistenza dentro il processo di nazionalizzazione dell’antico modello dualistico, come forma storicamente concreta dello spazio culturale degli italiani.  L’ISTRUZIONE TECNICA E PROFESSIONALE 1. La legge Casati Secondo la legge Casati, l’ISTRUZIONE TECNICA si divide in:  Scuola tecnica (post-elementare e della durata di 3 anni);  Istituto tecnico (quadriennale) Dalla scuola si accede all’istituto, ma i 3 anni che vi si spendono possono valere come un ciclo compiuto, un perfezionamento dell’istruzione elementare. Dal 1861 la competenza sugli istituti passa al ministro di Agricoltura, Industria e Commercio. Sarà così fino al 1877. L’articolo 272 della legge Casati definisce la SCUOLA TECNICA = come il primo grado dell’istruzione tecnica e aggiunge che è destinata a fornire ai “giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, all’industria, ai commerci e alla condotta delle cose agrarie la conveniente cultura generale e speciale” Nel 1885 un nuovo ordinamento: l’istruzione tecnica ha per oggetto di compiere ed estendere le cognizioni acquistate nelle scuole elementari, in modo che i giovani riescano atti a entrare nelle piccole aziende e nei minori uffici amministrativi, e a sostenere l’esame di ammissione alla prima classe degli istituti tecnici. Il problema dell’istruzione tecnica porta per iscritto il segno di una duplice finalità: 1. Preparare all’esercizio dei mestieri e delle professioni minori 2. Formare i quadri tecnici della nazione Nella legge Casati (articolo primo della legge del 1859) l’ISTRUZIONE TECNICA compare a fianco della scuola primaria nel terzo ramo dell’ordinamento scolastico. Dopo l’università e l’istruzione secondaria classica. L’istruzione tecnica definisce e completa il ciclo dell’istruzione popolare. Non è che la scuola secondaria. Quella scuola che avvia agli studi superiori e all’esercizio consapevole del comando della società. Se l’ingresso al ginnasio comporta il pagamento di una tassa per l’esame di ammissione, e per ogni anno di corso; l’istruzione tecnica è GRATUITA, proprio come l’istruzione elementare. La legge Casati prevede la nomina diretta dei professori, accanto al concorso. Il regolamento del settembre 1860 precisa: “che sempre quando trattisi di nomine dirette, il Governo terrà conto delle proposte che gli verranno fatte dai rispettivi Municipi per le scuole tecniche, e dalle Rappresentanze per gli istituti tecnici.” La legge Casati fa carico ai comuni e alle province delle spese per le scuole e gli istituti tecnici. Il concorso dello Stato è limitato ai soli capoluoghi di provincia. La legge prova a introdurre un principio di flessibilità che riconosca la vocazione economica territoriale come criterio fondamentale di scelta. L’assenza del Mezzogiorno dalla carta scolastica dell’Italia unita è al tempo stesso la sanzione di un’arretratezza e un modo della costruzione del discorso storico-pedagogico. 6. Le scuole di nautica Il decreto del 5 luglio 1860 chiede alla nuova amministrazione la cura degli istituti nautici. Si tratta di un ramo importante della scuola ottocentesca. La maggior parte di queste scuole è di fondazione preunitaria. Vi si impartiscono lezioni di geometria, trigonometria lineare e sferica, astronomia, maneggio degli strumenti di bordo e calcolo sulle carte di navigazione, storia, lettere, inglese e francese. Le scuole nautiche costituiscono in quei primi anni Sessanta una delle porte di accesso attraverso le quali il Mezzogiorno entra nel processo di costruzione della scuola italiana. 7. La relazione di Pepoli Gioacchino Pepoli, ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, nel 1862 prova a tracciare il quadro dell’istruzione tecnica nell’Italia da poco unificata. Lo fa con una relazione che presenta alla Camera dei deputati il 4 luglio. Pepoli fornisce uno schema interpretativo della Casati e al tempo stesso un orientamento per muoversi nell’intreccio apparentemente intricato di istituti tecnici e nautici, di scuole di arti e mestieri, miniere e istituti di agraria e veterinaria. 8.La formazione dei quadri tecnici in periferia In un paese prevalentemente rurale com’è l’Italia all’indomani della proclamazione del regno, le scuole di agraria occupano un posto di rilievo. La legge Casati ha proceduto alla separazione tra istituzione superiore, impartita nelle università, e istruzione tecnica superiore. L’istruzione agraria dell’Italia unita presenta tratti evidentemente disomogenei. Rivolta a contadini e a piccoli proprietari. Destinata soprattutto alla preparazione di quadri tecnici periferici. Le scuole di agraria rappresentano un VEICOLO DI CULTURA TECNICA. Il loro obiettivo: è la formazione di figure professionali in grado di promuovere lo sviluppo dell’agricoltura italiana. CAP.2 L’istruzione elementare 1. La scena scolastica La Legge Coppino, varata il 15 luglio 1877 (art. 323) prescrive che non debbono superare i 60 bambini nelle classi di grado inferiore (prima e seconda) e i 50 nelle classi di ciclo superiore (terza e quarta). Mai più di 100. Se il numero supera i 70 la classe si sdoppia. Le pareti sono dipinte di verde chiaro, il soffitto è bianco. Dietro questa rappresentazione c’è un’intenzione in tutto coerente con l’orientamento del progetto politico del trasformismo italiano. In quello stesso 1886 in cui esce Cuore di De Amicis, il ministro della Pubblica Istruzione, Michele Coppino dirama una circolare che si lascia riassumere nel vecchio adagio pedagogico: istruire quanto basta, educare più che si può. Nella memoria scolastica dell’Italia preunitaria, la violenza degli istitutori sul corpo infantile è il segno autoritario e dispotico di un mondo che la nuova libertà italiana ha voluto mandare in soffitta. Ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe (si battono gli alunni, castigo in ginocchio). È un’Italia poverissima quella che viene fuori dalle inchieste scolastiche.  PARTE SECONDA: IL PROBLEMA SCOLASTICO DEL NOVECENTO LA SCUOLA DEI MODERNO: GENTILE E LA RIFORMA DEGLI STUDI 1. I filosofi e i contadini Nel novembre del 1905 il ministro Leonardo Bianchi insieme ad Alfredo Galletti sta per presentare il suo progetto di riforma del sistema scolastico. 3 tipi di scuola e 3 destini adolescenziali. 3 anni senza sbocco, dopo i 4 di scuola elementare. 8 anni di studi classici e, presumibilmente l’università: è il percorso tradizionale della formazione delle elitè. I filosofi e i contadini, dunque. I contadini rappresentano il tutto di un gruppo sociale subalterno, i filosofi sono coloro che si oppongono alla massa uniforme dei produttori agricoli. Per Gentile le idee sono disposizioni ad agire e conoscere non è un mero apprendere il dato della conoscenza. Ogni idea è insieme un affetto della mente. Gentile, non mette in discussione il primato della conoscenza sulla volontà, ma rifiuta ogni dualismo tra teoretico e pratico. I filosofi e i contadini non sono dunque come termini di un’opposizione, della netta separazione tra corpo della società e mente direttiva, ma come ricapitolazione del processo della coscienza. Il problema che si pone e si porrà in maniera sempre più netta nel corso del Novecento è il ruolo che la cultura umanistica può giocare rispetto al governo di queste aspirazioni. Due processi incideranno sulla crisi della cultura umanistica nella seconda metà del Novecento: 1. È legato alla prepotente affermazione dell’idea che la disuguaglianza scolastica si giustifichi non come il risultato della qualità della scuola e dei suoi insegnanti, ma in relazione alle competenze differenti che la scuola produce per soddisfare le richieste del mercato del lavoro. 2. Un lento spostarsi dell’asse centrale della cultura dal piano della ragione teoretica a quello della comunicazione. La scuola di gentile è una scuola d’elitè perché l’appartenenza di classe non è una condizione sufficiente all’esercizio delle funzioni di direzione nella società, che la suola non seleziona ma qualifica. La riforma Gentile degli studi sorge dalla fiducia che spetti alla scuola il compito di questa qualificazione. Il fascismo si incaricherà di smentirla. 3. Scuola primaria e scuola secondaria Nel modello scolastico post-risorgimentale convivono due principi:  quello per il quale scuola elementare e scuola media stanno al centro dei due percorsi nettamente distinti dell’istruzione popolare e dell’istruzione popolare e dell’istruzione classica.  Quello che fa della scuola degli elementi il grado iniziale di un percorso che solo alla fine del primo ciclo dell’istruzione si divide per i rami molteplici dei mestieri e delle professioni, e della formazione culturale disinteressata che porta agli studi universitari. La storia della scuola ottocentesca è il progressivo passaggio dall’impianto dualistico originario a un modello a base universalistica. Il progetto gentiliano si costituisce su basi differenti: scuola elementare e scuola media compaiono all’interno di un modello educativo retto da un’istanza unitaria rigorosamente determinata sul piano teoretico. Fin dal 1902 Gentile riformula l’opposizione ottocentesca tra istituzione popolare e istruzione media nella distinzione tra cultura generale e cultura speciale. La prima destinata alla formazione integrale dell’individuo e nel perimetro della quale stanno tanto l’istruzione primaria che la scuola secondaria. L’altra chiamata a svolgere un singolo momento elle funzioni spirituali, dove confluiscono tutte le scuole tecniche, professionali e scientifiche. È in questa coscienza profonda della scuola elementare come scuola di cultura che sta il contributo più rilevante della riforma Gentile al problema scolastico del Novecento. La lotta all’analfabetismo resta la questione aperta dell’Italia novecentesca. La riorganizzazione dell’amministrazione scolastica è un momento essenziale della riforma Gentile. Due sono le direttrici fondamentali dell’intervento di Gentile: 1. Lo sfoltimento dei ranghi dell’amministrazione 2. L’abolizione del principio elettivo negli organismi consultivi e la riduzione dell’apparato burocratico. Gentile abolisce gli ispettori provinciali e riduce il numero di quelli regionali. Gentile progetta una scuola che non prevede il regime autoritario di massa. Competenza, responsabilità professionale, fedeltà alle ragioni d’ufficio, primato dell’autorità politica del ministro sono i CRITERI FONDAMENTALI della riforma gentiliana. Gentile riafferma la centralità del concorso che assume la funzione di esame di stato universitario. La professione costituisce l’elemento fondamentale della nuova identità del professore predicata dalla riforma. 6. Gerarchia e corporazione Gerarchia = è al tempo stesso contestazione dell’ordine passato e affermazione di un ordine nuovo sulla base di rinnovate scale di valori. Corporazione integrale= significa un principio di organizzazione dei rapporti sociali in base al quale lo statuto del singolo nell’ordinamento dello Stato fascista non è più definito dal sistema delle libertà formali del cittadino, come nel vecchio Stato di diritto. 7. Il sogno di Gentile La conoscenza per Gentile non è un’alterazione bensì una creazione delle cose. La realtà è una produzione del soggetto pensante. La scuola media di Gentile, il liceo, non è solo una scuola per pochi, ma è una scuola che impegna per poco tempo. Gentile insiste sul tema del limite della scuola. La scuola non può e non deve contenere tutto e la sua unità non significa una totalità chiusa ma l’affermazione di un’esigenza unitaria di apprendimento del mondo. L’esperienza della scuola è parte dell’esperienza dell’individuo. La scuola di Gentile è una scuola che educa a stare soli e fa della solitudine l’occasione per sottrarsi alla pressione uniformante dei linguaggi pubblici. Leggere i poeti per leggere se stessi: sta qui il centro della scuola gentiliana che prepara per questa via al lavoro intellettuale autonomo, alla cultura come ricerca. Per gentile la CULTURA sostiene e qualifica la capacità di dire la legge. In questa prospettiva, compito della scuola non è riempire le teste, ma svegliare gli animi degli adolescenti al lavoro intellettuale. Per Gentile l’uomo universale è l’uomo forte della piena coscienza dell’esser suo, quale s’è venuto formando nel tempo e nello spazio. Il liceo classico è allora un momento essenziale della definizione di questa funzione, perché è ad esso che viene demandato il compito di preparare i migliori. La riforma della scuola si inserisce dunque all’interno di un progetto di rinnovamento culturale più vasto che passa per una radicale riscrittura del pensiero e della tradizione culturale italiana. Di questo rinnovamento la scuola è un momento essenziale. La SCUOLA DI GENTILE è una SCUOLA DELLA CITTA’ e del sistema convenzionale di relazioni umane proprio della città. 11. la scuola gentiliana e le professioni liberali Si vuole da più parti considerare la riforma gentiliana della scuola come una riaffermazione del primato degli studi umanistici, intendendo con ciò una netta separazione dalle discipline tecnico-scientifiche e la loro mortificazione. Il LATINO è la chiave di volta della scuola media gentiliana e, traccia la linea che oppone il territorio degli studi speciali al dominio della cultura generale. Da un lato la scuola media, dall’altro lo spazio dell’insegnamento “moderno”. Alla scuola, quella secondaria, è sempre toccato un altro compito, strettamente politico, di selezione e formazione dei quadri dirigenti connessi al servizio per lo Stato. Da sempre nell’Italia unito il compito del liceo è quello di controllare l’accesso ineguale agli studi universitari e all’esercizio delle professioni.  Capitolo quinto: IL FASCISMO Il fascismo reagisce subito al mito gentiliano della scuola per pochi. I rumorosi malumori delle famiglie, la natura sociale del regime, la dinamica stessa della società italiana tra anni Venti e Trenta rendono politicamente impraticabile il progetto di una scuola media concepita con il deliberato proposito di liberarla dal peso del numero. La società di massa non parla il linguaggio dell’eccellenza. La scuola diventa una funzione dell’organizzazione dei ceti medi all’interno del quadro ideologico del fascismo. Il potere mussoliniano si caratterizza per un forte interventismo pubblico in economia e nella sfera degli interessi privati. A partire dagli anni Trenta la leva politica diventa il più potente fattore di mobilitazione della società italiana. Nella seconda metà del Novecento la scuola diventa, per le famiglie di media fortuna, il capitolo centrale del romanzo medio borghese nell’Italia del dopoguerra = il canale principale della mobilità sociale degli italiani. La sua funzione primaria diventa quella di regolare l’ineguaglianza e legittimare la stratificazione sociale. Le scuole professionali La decisione di avocare le scuole professionali al ministero della Pubblica istruzione viene presa direttamente da Mussolini con decreto-legge il 17 giugno 1928. La forma del decreto è un ripiego. Quando si parla di scuole professionali non si parla sono di scuole di arti e mestieri. Sono soprattutto gli istituti superiori di agraria e di scienze economiche e commerciali a qualificare l’impegno del ministero dell’Economia Nazionale nel settore scolastico. L’avocazione dell’istruzione professionale al ministero della Pubblica Istruzione viene perfezionata il 15 giugno 1931 con la legge n. 889 che riorganizza l’intero settore fornendogli l’assetto istituzionale che conserverà a lungo. L’istruzione professionale veniva integrata in forme stabili al segmento tecnico del sistema scolastico nazionale. La legge del 1931 provvede a sancire sul piano del diritto quello che l’avocazione alla Pubblica Istruzione ha operato di fatto. Sul piano delle provvidenze specifiche va segnalata la reintroduzione della scuola tecnica, biennale o triennale “secondo le particolari esigenze dell’attività cui la scuola è indirizzata”. Il suo scopo è quello di completare la specifica preparazione pratica dei licenziati dalle scuole secondarie di avviamento al lavoro” e contribuire “allo sviluppo dell’economia nazionale.” Il ciclo superiore dell’istituto tecnico è diviso in 5 indirizzi, con l’aggiunta del corso per geometri, la legge vi fonde le scuole medie, agrarie, gli istituti commerciali, industriali e nautici. La scuola tecnica è divisa in tre indirizzi: agrario, industriale, e artigiano commerciale. La de-professionalizzazione è il tratto saliente dell’esperienza scolastica di quegli anni. È allora che le competenze diventano il linguaggio ufficiale della politica scolastica e del discorso pedagogico. Questo linguaggio riflette un mito sociale: l’idea che la gerarchia dei titoli di studio corrisponda alla complessità dei contenuti cognitivi e delle abilità richiesti dal sistema di trasformazione dei mestieri e delle professioni. Con il tramonto della cultura umanistica, la scuola affida alla certificazione delle competenze la legittimazione di un ruolo che si fa tanto più incerto quanto più la sua espansione raggiunge dimensioni che l’ultimo quarto del XIX secolo e i primi vent’anni del ‘900 erano stati ben al di là dall’immaginare. L’irruzione contadina sul piano della storia, quella che de Martino chiama “la sollevazione” del mondo popolare subalterno, diventa nella riflessione dell’antropologo lo strumento intellettuale per comprendere la frattura storica prodotta dalla guerra. Assume rilievo la questione FEMMINILE = è da considerare il nuovo modo di farsi valere del mondo delle donne, che finalmente sta uscendo dalle forme del femminismo tradizionale. - Il giovane studioso della scuola sociologica francese, Robert Hertz, agli inizi del secolo aveva provato a leggere il conflitto tra i sessi e il prepotente affermarsi della questione femminile nel contesto della crisi di fine secolo nei termini di una generale dislocazione sul versante del lato sinistro degli equilibri sociali e delle tensioni psichiche che li sorreggevano. In maniera analoga, la categoria di primitivo consente a de Martino di porre contemporaneamente il problema dell’ordine e delle forme culturale che presiedono alla sua strutturazione. L’umanesimo borghese d’anteguerra rivela la profonda inerenza alla struttura di quella società perché il carattere socialmente circoscritto ne riflette fedelmente il sistema di partizioni interne e di esclusioni. L’irruzione del mondo popolare subalterno determina la crisi di quella cultura e dell’ordine sociale storicamente corrispondente. Perché nessun ordine finisce senza che la sua fine porti con sé la catastrofe delle ragioni che storicamente lo hanno sostenuto. È in questo senso che de Martino parla di imbarbarimento culturale e il tema delle invasioni barbariche si salda, nella cultura del dopoguerra, alla ridefinizione delle basi sociali della comunità politica e delle sue gerarchie interne. 3. Il mito della democrazia L’arrivo dei barbari è strettamente connesso al problema della ridefinizione delle basi del nuovo ordine politico e sociale. Nell’Italia del dopoguerra vuole dire innanzitutto fare i conti con l’età liberale e con l’eredità della tradizione risorgimentale. Di fronte al crollo del fascismo, il richiamo al modello ottocentesco assume un significato preciso, di ricongiungimento all’unica tradizione politica disponibile nel senso dello sviluppo delle libertà civili e di un sistema di garanzie a tutela dei diritti del cittadino di fronte alla potenza sovrana dello Stato. Il LICEO CLASSICO, vero e proprio gioiello della cultura dell’Italia contemporanea, la cui presenza si farà sempre più ingombrante per la coscienza politico-pedagogica della seconda metà del Novecento, non è semplicemente la scuola della classe dirigente.  Al culmine gentiliano della sua parabola ottocentesca, esso costituisce il luogo specifico di un progetto di fondazione del borghese in quanto uomo universale. Nel modello gentiliano di scuola media, l’estensione del dominio del latino attesta l’insegnamento secondario lungo la linea del servizio per lo Stato e dell’uso competente dei suoi linguaggi, come requisiti fondamentali per l’accesso alla sfera pubblica. L’avvento della democrazia riformula radicalmente i termini del problema scolastico. Due sono gli aspetti: 1. L’affermazione del suffragio universale, maschile e femminile, per il quale l’istruzione non è più (alla maniera ottocentesca) la certificazione di un requisito, ma diventa la QUALIFICAZIONE DELL’ESERCIZIO DI UN DIRITTO NATURALE DELLA PERSONA. 2. La formulazione di un’idea di comunità politica che rigetta il principio della disparità sociale come trascrizione di una differenza umana specifica per definirsi, al contrario, come fraternità politica organizzata, amicizia civile. È su questo terreno che nel dopoguerra si pone il problema della scuola unica e del superamento della formula ottocentesca dell’educazione popolare come minimo di cultura per tutti. = nel crollo del mondo di ieri, la guerra porta con sé la crisi dell’individualismo borghese liberale e il disvelamento dell’ambigua soluzione fascista, sintetizzata nella parola d’ordine mussoliniana “andare verso il popolo” La DEMOCRAZIA, scrive Cesare Pavese nel 1946 è governo di popolo perché al popolo si ritiene di poter ricondurre innanzitutto il sentimento di cordialità fiduciosa e di operosità che deve animare la vita politica della comunità rinnovata. Il nostro compito “per noi”, scrive Pavese, “è scoprire, celebrare l’uomo al di là della solitudine, di là da tutte le solitudini dell’orgoglio e del senso” Il popolo dei democratici non è la nazione dei liberali, perché il popolo in quanto “mito” è estraneo alla nozione di tradizione ricevuta. Non è il risultato di una storia e non si lascia spiegare in termini storici, il mito è fuori del tempo, è norma su cui tutto si modella, le usanze quotidiane e festive, il linguaggio, le tecniche, le istituzioni, le passioni, scrive Pavese, è esso stesso inizio di una storia. NAZIONE come INSIEME DI TRADIZIONI DI LIBERTÀ = sulla base di questa idea Croce può formulare il giudizio della parentesi, del fascismo come fenomeno sostanzialmente estraneo alla storia d’Italia. 4.La città pluralistica Metà dell’Ottocento, di fronte alla rivolta operaia delle grandi città industriali, la potenza sociale della religione viene schierata a difesa dell’ordine borghese minacciato. È allora che si determinano le condizioni politiche e spirituali della crisi europea della prima metà del Novecento. Che è la CRISI DI UNA CIVILTÀ. Metà dell’Ottocento la Chiesa si muove per contrastare la spinta operaia. La città totalitaria non è solo il punto più avanzato della scissione moderna tra individuo e persona e dell’estinzione del singolo. La città totalitaria è anche l’estremo tentativo di fondazione di un ordine sacrale della politica la cui unità, di tipo “massimale” deriva dall’imposizione a tutti di un eguale regola di fede. La democrazia dei cristiani è dunque l’esito di un pensiero della politica che opera un duplice spostamento nelle sue categorie fondamentale: dal sacro impero che Dio possiede su ogni cosa, alla santa libertà delle creature, che la grazia unisce a Dio. AUTONOMIA della persona e COSTITUZIONE PLURALISTICA della città sono i due grandi contributi del pensiero politico cristiano alla fondazione della democrazia nel dopoguerra.  Da un lato, l’autorità dello Stato incontra un limite nell’autonomia originaria del singolo e delle formazioni in cui svolge la sua esistenza.  Dall’altro, in presenza di una pluralità irriducibile di opzioni ideologiche e di modi differenti di adorare all’interno della comunità, il corpo politico deriva le condizioni della propria umanità da una compiuta differenziazione della sfera temporale rispetto al piano degli interessi sovra-temporali. Le implicazioni di questi due principi sono notevoli nell’impostazione del problema scolastico del dopoguerra. La tentazione della SCUOLA NAZIONALE contrapposta alla SCUOLA DI STATO ha ampia circolazione in alcuni ambienti del mondo cattolico del dopoguerra, in particolare tra i gesuiti della “Civiltà cattolica” L’identificazione pura e semplice del principio della libertà di insegnamento con la libertà della scuola cattolica è netta e sostenuta sulla base di un criterio tanto esplicito, quanto alla fine irricevibile da parte della dirigenza politica democristiana: la fiducia delle famiglie, come espressione di un più diffuso consenso spirituale della popolazione. È l’enunciazione del criterio “della maggior parte”. In base a questo criterio si pretende il riconoscimento di un diritto sociale a gruppi o famiglie spirituali che rivendicano la possibilità di governarsi secondo regole/principi conformi a propri codici. Il rifiuto che 60 anni fa la dirigenza politica cattolica ha saputo opporre a posizioni di questo genere costituisce un acquisto importante per la democrazia italiana. La tolleranza dei riti esige una regolazione che si modelli sulla costituzione pluralistica del regime politico della comunità e non sulla aspirazione delle singole famiglie spirituali. È questo il terreno teorico su cui avviene, negli anni della dittatura e della guerra, la formazione della più giovane leva di dirigenti della Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi. È sulla base di queste premesse che nel 1946, per la prima volta nella storia dell’Italia unita, un cattolico arriva alla direzione del ministero della Pubblica Istruzione. 5.La novità cattolica Guido Gonella diventa ministro il 13 luglio 1946. Resta alla Pubblica istruzione per 5 anni. Gonella non è solo un ministro cattolico, ma è il primo cattolico a sedere sulla poltrona del ministro della Pubblica Istruzione. La nomina di Gonella segna anche sul piano dei simboli la fine dell’Italia ottocentesca e del suo progetto politico e culturale. Gonella nell’aprile del 1946 afferma che la scuola è un servizio delegato della famiglia. = si riferisce così al primato dell’azione delle formazioni sociali intermedie sull’iniziativa del potere politico e al tempo stesso della nazione dei cattolici sullo Stato dei liberali. CAPITOLO SETTIMO: LA SCUOLA ALLA COSTITUENTE 1. Moro e Marchesi ALDO MORO E CONCETTO MARCHESI sono i due protagonisti del dibattito sulla scuola all’Assemblea costituente, sono i relatori di parte democristiana e comunista nella prima sottomissione. L’Assemblea costituente, eletta con il voto del 2 giugno del 1946:  si è data un piano di lavoro per rendere più spedita l’elaborazione del progetto costituzionale;  ha nominato una commissione che dal numero dei suoi membri è detta dei Sessantacinque: questa a sua volta è divisa in 3 sottocommissioni: o alla prima è affidato il compito di definire i principi relativi alla sfera dei rapporti sociali e culturali vi rientrano gli articoli che riguardano la SCUOLA la scuola si situa lungo un crinale delicato, dove l’autorità dello Stato incide nella sfera della libertà dei cittadini. Discutere della scuola significa affrontare il tema dei rapporti tra l’assetto dei poteri pubblici e lo spazio dell’autonomia delle formazioni sociali. = è il tema tradizionale del pensiero politico e sociale della Chiesa e un elemento qualificante del progetto del partito cattolico. La crescita dei tassi di scolarizzazione nel secondo dopoguerra è sostenuta dalla spinta politica proveniente dalla società, non dallo sviluppo tecnologico e industriale del neocapitalismo. La polemica sui finanziamenti agli istituti privati di educazione delinea il confine di un’esclusione reciproca tra mondo della scuola che resta affidata non tanto allo Stato, ma alla sfera delle istituzioni centrali-nazionali, e un più vasto universo sociale, quello del lavoro subalterno. Questa dicotomia, che la Costituente riceve dal passato recente dell’Italia liberale e fascista, attraversa tutto il Novecento. 8. Gonella e Fanfani Le tensioni che si sprigionano dalla polarità di scuola media e scuola popolare diventano evidenti nel rapporto che nei primi anni del dopoguerra oppone i ministeri della Pubblica Istruzione e del Lavoro sul terreno della formazione professionale. In poco più di 10 anni (tra il 1947 e il 1958) il ministero della Pubblica Istruzione porta a compimento l’edificio della scuola popolare. A partire dalla seconda metà degli anni 40 la nascita dei comitati provinciali, la definizione dei servizi centrale dell’amministrazione, fino all’istituzione della Direzione generale per l’educazione popolare, tracciano le linee essenziali di uno schema di centralizzazione dell’azione governativa. L’Italia repubblicana eredita l’imponente lavoro legislativo compiuto dal fascismo nel campo delle iniziative di lotta all’analfabetismo e dell’istruzione professionale. Il decreto del 21 settembre 1938 disciplinava l’apprendistato = la frequenza ai corsi era un elemento fondamentale dell’apprendista. I corsi erano affidati a due enti di diritto pubblico: l’Ente nazionale fascista e l’Istituito nazionale fascista. La legge affidava al ministero dell’Educazione Nazionale i programmi e la vigilanza. I giovani erano tenuti alla frequenza dei corsi e i loro datori di lavoro obbligati a mandarveli. L’idea che la formazione professionale sostituisse l’istruzione professionale di Stato e colmasse le lacune della sua capacità di penetrazione territoriale introduceva un principio dualistico destinato a riprodursi nel dopoguerra. Con la caduta del regime mussoliniano, la legislazione fascista resta formalmente in vigore e il ministero del Lavoro eredita le competenze nel campo della formazione professionale. Un notevole impulso all’attività del ministero del Lavoro nel campo della formazione professionale viene da Amintore Fanfani, giovane esponente della sinistra democristiana che fa capo a Giuseppe Dossetti. Propone un progetto di “controllo sociale” dell’iniziativa privata affidato all’intervento periferico delle rappresentanze corporative dei lavoratori e dei consumatori. Fanfani entra nel quarto governo De Gasperi, costituito nel maggio del 1947. Sotto l’impulso del nuovo ministro i corsi per i lavoratori diventano un vero e proprio circuito di formazione professionale parallelo e indipendente rispetto all’amministrazione della Pubblica Istruzione. Ai corsi per la riqualificazione dei disoccupati e il reinserimento nel processo produttivo di ex combattenti si affianca un’offerta formativa più complessa, rivolta ai giovani tra i 14 e i 18 anni che non frequentano la scuola né esercitano alcun tirocinio di mestiere. I corsi non sono più di 2, massimo otto mesi. Hanno durata annuale. 6 ore per le lezioni diurne, 2 per quelle serali. Sono corsi di ADDESTRAMENTO, DI QUALIFICAZIONE, DI SPECIALIZZAZIONE, DI PERFEZIONAMENTO. L’antico dualismo del modello ottocentesco, a base umanistico-classicista, viene superato sotto la pressione della politica di massa che matura durante il fascismo e si esprime liberamente nella nuova dimensione della democrazia. CAPITOLO 8: La divaricazione di politica e cultura 1. Le ambizioni della politica Nel dopoguerra la materia scolastica è come sospesa. Ogni intervento, ogni tentativo di riforma, rimandato. Ne derivano conseguenze per la storia della scuola nella seconda metà del Novecento.  È il legame costitutivo che essa stringe con la politica. Il riferimento alla Costituzione significa una drastica subordinazione della questione scolastica alla problematica rivoluzionaria del popolo sovrano e alla soluzione che essa riceve alla Costituente. La scuola democratica come scuola del giovane operaio di cui scrive Lucio Lombardo Radice nel 1944 è la versione mitica, figurale, di questa subordinazione. Su una linea non molto diversa di muove Amintore Fanfani, il quale progetta corsi per lavoratori e giovani in età scolare Questo legame originario con il lavoro e con le forme della sua rappresentazione politica fa della scuola il luogo decisivo del perseguimento delle finalità di natura sociale. La scuola dell’Italia repubblicana diventa il terreno di coltura privilegiato del mito della Costituzione. Cambiare la scuola significherà = arrecare un colpo all’integrità dei principi della Costituzione, e viceversa la retorica della riforma troverà modo di instaurarsi saldamento sul terreno della loro attuazione. La SCUOLA DEMOCRATICA sarà sempre meno la scuola della differenziazione e sempre più lo spazio residuo di un egualitarismo di spiccata marca giacobina.  Il trasferimento della scuola sul terreno di attuazione dei grandi principi di natura sociale sposta drasticamente il problema scolastico della democrazia sul piano del confronto ideologico. È questa l’altra conseguenza del riferimento alla Costituzione. La nuova scuola è una richiesta del mondo cattolico. Si afferma il principio della Costituzione come quadro di valori all’interno del quale solo trovano composizione i conflitti della sfera politica; una virtù unificatrice da far valere “contro tutto ciò che ci divide e ci dividerà”. Il radicalismo della prospettiva costituzionale di Gonella fa emergere una serie di nodi problematici. L’Italia repubblicana non ha più avuto la scuola della Costituzione. Nel 1951 il progetto di riforma tracciato dal ministro democristiano viene abbandonato. Ben presto la politica si rassegna a considerare la scuola che ha come la migliore che possa avere. Nel 1950 Gonella diventa segretario della Democrazia cristiana. Il progetto della scuola della Costituzione non arriva in porto perché nei fatti sta fallendo. 2. L’inchiesta Il nesso tra scuola e Costituzione sta alla base della politica scolastica del ministro democristiano. 12 aprile 1947 viene istituita una commissione composta dai ministri della Pubblica Istruzione che si sono succeduti alla Minerva dopo la caduta del fascismo. Accanto alla commissione nazionale opera una commissione ministeriale di accertamento delle condizioni della scuola. Come l’Assemblea costituente, anche la commissione organizza il proprio lavoro in sottocommissioni. La commissione, dichiara Gonella è una nuova via di comunicazione tra l’Amministrazione e il Paese. Il ministro della P.A. si muove costantemente tra principio individualistico e principio comunitario: -da un lato il richiamo alla tradizione liberale della dichiarazione dei diritti; -dall’altro il tentativo di fissare le condizioni del suo superamento in una visione organica dei rapporti sociali La nozione di civil society è il fondamento dell’idea gonelliana della scuola come “servizio sociale”, dove la massima è la divaricazione di legge e coscienza. 3. Storia della scuola e storia dell’Italia Nel dibattito sulla scuola sono numerosi gli elementi per contestare questa visione e il modello storico che essa porta come sé. Il più rilevante è la persistenza di tassi elevati di analfabetismo tra la popolazione italiana. La segregazione di ampi strati sociali rispetto all’alfabeto e la rilevanza geografica di questa esclusione costituiscono l’argomento più forte che si oppone all’immagine dello Stato come motore efficiente della trasformazione. È sul rapporto tra il passato dell’Italia liberale e il presente della democrazia che bisogna fermarsi. Il fatto nuovo e determinante, afferma Gonella, è che a differenza di quella ottocentesca, nella società democratica l’ordine politico si fonda su tutti ed è perciò condizionabile da tutti. 4. Il primato della Costituzione Nel contesto politico del dopoguerra il rapporto tra democrazia e fascismo è più complesso di quanto non appaia a prima vista. Lo nota con molto acume Sergej Hessen in Struttura e contenuto della scuola moderna = l’opera più importante nella storia del pensiero politico- pedagogico del secondo dopoguerra. “ogni fanciullo che abbia attitudini per gli studi superiori deve ottenervene l’accesso indipendentemente dalle condizioni materiali dei genitori” Nel corso degli anni 30 questo principio filtra negli ordinamenti scolastici dei regimi totalitari. La scuola intesa non solo come strumento di alfabetizzazione dei lavoratori ma, come funzione dell’organizzazione corporativa della società. La nuova scuola dovrà poter contare non solo su personale insegnante ma anche su tutte le organizzazioni pubbliche e privare che abbiano finalità culturale e civica. La crescita della popolazione scolastica in Italia e nelle società occidentale uscite dalla Seconda guerra mondiale, è l’aspetto del più ampio riflusso del grande movimento di subordinazione che ha caratterizzato l’ordine politico del liberalismo tra XIX e il XX secolo. La scuola della Costituzione è fin dal suo concepimento scuola di massa perché ad essa affida il compito di regolare le carriere di individui di una società in rapida trasformazione. Idea di scuola = come servizio sociale. Per Gonella il “servizio sociale” non è solo una dimensione dell’organizzazione dello Stato come erogatore di servizi e beni. Educa il buon senso organizzativo individuale e lo spirito associativo tra vicini. “Conduce gli uomini a migliorare la loro sorte in uno spirito di libera, responsabile e cordiale collaborazione” 5. Il progetto della scuola democratica Con il disegno legge del 13 luglio 1951 Guido Gonella tenta di dare una sistemazione organica al dibattito costituzionale sulla scuola. La riforma Gonella rappresenta il tentativo più rilevante, compiuto nel secondo dopoguerra, di raccogliere in un quadro organico le questioni poste dalla Costituzione in campo scolastico e di tracciare il profilo della nuova scuola democratica. È un tentativo fallito, che segna di fatto la rinuncia della classe dirigente repubblicana a elaborare una riforma generale della scuola. Il fallimento della riforma scolastica è così al tempo stesso la testimonianza di un’Italia che di lì a poco sarebbe scomparsa e il segnale grave dell’abdicazione della politica a governare il cambiamento. I poli attorno ai quali si organizza il progetto della riforma sono:  Da un lato il rapporto tra sfera locale e sistema d’istruzione = il tentativo cioè di superare il conflitto tra scuola libera e scuola statale.  Dall’altro, la differenziazione regionale. Compito della nuova scuola è la costante elaborazione delle radici popolari del bambino. Popolare = è il prevalere dell’uomo utile sull’uomo ideale. Il principio della scuola democratica comporta una drastica riformulazione del sistema dei riferimenti interni all’universo scolastico tradizionale. Abolendo la distinzione tra centralizzazione dei circuiti di elitè e dispersione periferica della scolarizzazione subalterna. Gonella introduce un principio capitale nella storia della scuola novecentesca: l’AUTONOMIA DELLE SINGOLE SCUOLE. AUTONOMIA è la chiave di un rinnovato rapporto tra scuola e comunità locale. L’autonomia scolastica non porta con sé solo un nuovo quadro di riferimenti teorici. L’intuizione che sta alla base della scuola popolare è quella di fare della situazione naturale di esistenza del giovane la via di accesso alla conquista dei valori e dei beni della cultura. COMUNITÀ E MESTIERE sono i fattori primi della Pluralizzazione del sistema scolastico. La crisi della scuola di cultura generale è la conseguenza della fine dell’omogeneità sociale dei suoi destinatari
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