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La scuola di Chicago, Appunti di Sociologia dell'Educazione

Sociologia della marginalità. L’approccio della scuola di Chicago.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 28/12/2020

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MTn2 🇮🇹

4.5

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12 documenti

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Scarica La scuola di Chicago e più Appunti in PDF di Sociologia dell'Educazione solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLA MARGINALITÀ: LA SCUOLA DI CHICAGO Il concetto di marginalità che introduciamo rappresenta un importante riflessione sociologica che ha caratterizzato la teoria e le ricerche empiriche a partire dall’inizio degli anni 20 fino agli anni 70 del secolo scorso. Il volume si concentra in questo periodo di tempo, ricostruendo le più importanti teorie sociologiche e anche le più importanti applicazioni empiriche in un campo di estrema rilevanza sia sul piano della conoscenza delle disfunzioni del capitalismo della crisi, dell’industrializzazione, dell’emergere, delle masse marginali, sia sul piano della politica, degli interventi sociali per fronteggiare l'ampliamento e l’acuirsi della creazione di aree urbane marginali sempre più disagiate e vulnerabili. La marginalità, in breve, è un concetto molto complesso sempre più presentato in termini multidimensionali ed è una categoria che è da una parte collegata al mutamento e alla trasformazione della società e dall’altra è collegata a come viene concepita la sociologia. La marginalità ha acquistato un ruolo centrale nella scuola di Chicago per poi, in qualche modo, essere marginalizzata all'interno dello struttural funzionalismo e successivamente è stata recuperata all'interno della revisione critica che si è sviluppata negli anni 50 e 60 anche all'interno dello struttural funzionalismo allorquando e si è iniziata a riflettere sulla necessità di collegare le teorie struttural funzionalista alla realtà empirica, storica. Dunque, la marginalità segue le riflessioni intorno a quella che deve essere considerata la sociologia o come scienza eccessivamente empirica o come teorica. Dunque, la marginalità da questo punto di vista è strettamente collocata all'interno del dibattito sociologico. Sono i due punti essenziali da cui parte il libro rispetto al quale poi si costruisce tutto il discorso attorno alla rielaborazione del concetto di marginalità così come è stato presentato e sviscerato nelle diverse teorie presenti nel testo. Il punto di partenza del volume è la scuola di Chicago. Quello che bisogna dire innanzitutto in merito alla scuola di Chicago è che il contributo della scuola di Chicago si caratterizza soprattutto nel campo della marginalità per aver conferito a questa categoria lo status scientifico sociologico. La marginalità nella scuola di Chicago è stata considerata una fenomenologia, una realtà da studiare e da studiare empiricamente su cui riflettere e non è una realtà solo ed esclusivamente oggetto di intervento sociale o di intervento caritatevole. La marginalità è strettamente collegata ai fenomeni sociali, si inserisce all'interno di un paradigma sociale di interpretazione della realtà. Da questo punto di vista la scuola di Chicago fa fare un passo in avanti notevole allo studio della marginalità, non solo, ma più la rende visibile gli conferisce dignità scientifica, la individua come oggetto specifico di studio della sociologia. Lo studio della marginalità all'interno della scuola di Chicago si collega alla complessità della nuova condizione metropolitana che è in generale legata ai processi di industrializzazione e anche connessa alla trasformazione dell’assetto urbano e della vita urbana che ha caratterizzato le città, soprattutto americane, a partire dagli anni 20 del secolo scorso. Questa trasformazione urbana, industriale, sociale ed economica sicuramente ha rappresentato il contesto in cui si è sviluppata la riflessione sociologica che poi è andata a costituire la scuola di Chicago il primo dipartimento di sociologia. La città di Chicago in realtà diventa il vero laboratorio sociale dove sostanzialmente i sociologi americani di Chicago iniziano a riflettere sulla vita urbana, sulle sue trasformazioni, sui disagi e sui problemi di marginalità. La scuola di Chicago si trova ad osservare una realtà urbana trasformata che è la città di Chicago che da una parte registra notevoli cambiamenti positivi, di stili di vita, di ricchezze, ma dall'altra registra anche l'emergere di nuovi disagi di nuove problematiche connesse all’isolamento, alla crisi delle relazioni sociali, alla frammentazione dei rapporti umani, alla atomizzazione, al cosiddetto processo di disorganizzazione sociale della vita. Esso comporta una notevole aumento di processi di segregazione, di marginalità che i sociologi della scuola di Chicago, in particolare, studieranno. I suoi maggiori esponenti sono Mead, Thomas, Park sono alcuni dei sociologi, psicologi sociali che hanno costituito il nucleo fondativo di questa riflessione sulla città, sulle sue trasformazioni, questi autori diversi ma tutti legati da un aspetto comune che è quello della vocazione alla ricerca sociale, alla vocazione alle scienze sociali. Questi studi sociologici che si legano a questi autori offrono un contributo notevole soprattutto al nesso, al legame, alla connessione tra comportamento umano e spazio urbano e soprattutto questi studi che individuano il nesso comportamento umano, comportamento sociale, costruzione dell’identità e spazio urbano, più in generale individuano nella qualità sociale del territorio uno degli elementi fondamentali della vita sociale, della qualità della vita sociale dell'individuo, soffermano loro attenzione soprattutto su la crisi di questo rapporto, la crisi del rapporto e del nesso spazio urbano e comportamento umano focalizzando la loro attenzione sulla crisi psichica, sui processi di disorganizzazione sociale, sui processi di segregazione, sui processi di esclusione che nascono all'interno di questo complesso rapporto che si viene a determinare tra uomo e ambiente urbano. È opportuno sottolineare che Chicago, che in qualche modo rappresenta il modello Ideal tipico della società e della città moderna, in brevissimo tempo diventa una città industriale, una Città che attira per la sua capacità di sviluppo economico un’elevatissima forza lavoro, attira un tasso elevato di emigrati, nella città di Chicago si vanno a costituire in brevissimo tempo 35 gruppi etnici diversi per cui, all'interno di questa città in un tempo brevissimo si vanno a condensare tutta una serie di questioni sociali dal multiculturalismo, alla trasformazione dell'assetto urbano (quindi comunitario e sociale), ai processi di industrializzazione e quindi anche di sfruttamento, tutta una serie di questioni che vanno ad inserirsi nel contesto di una trasformazione di una città che si fa sempre più metropoli con luce e ombre. In questo contesto come abbiamo detto i sociologi della scuola di Chicago si soffermano in modo particolare sulla dimensione del disagio, sulla dimensione della segregazione e utilizzando la cosiddetta prospettiva per incongruo, cioè conoscere la realtà sociale attraverso i suoi aspetti non normali, non apparenti ma attraverso i suoi aspetti di disagio, di differenza nelle aree nascoste della dell'azione umana, nelle zone marginali della realtà urbana, nelle zone più scure, nelle realtà poco studiate. È una prospettiva legittima in modo forte la ricerca empirica, è una scuola che si caratterizza quella di Chicago per l'uso della ricerca empirica, per la focalizzazione sulla ricerca di carattere empirico attraverso l'uso di strumenti qualitativi, di una metodologia qualitativa, la scuola di Chicago utilizza strumenti quali le storie di vita, l’osservazione partecipante per poter osservare e studiare i quartieri, i comportamenti delle gang, i comportamenti, i nuovi stili di vita che si creano all'interno della scuola all'interno della città. La scuola di Chicago è una scuola sociologica che sviluppa delle categorie sociali per poter interpretare la realtà sociale, non si sofferma eccessivamente nell’elaborazione di un modello teorico ma si sofferma nell'applicazione di categorie sociali utili per poter interpretare i nuovi fenomeni emergenti all'interno di un contesto sociale nuovo. Tra le categorie sociali più importanti ricordiamo il concetto di distanza sociale, il concetto di disorganizzazione sociale e tra queste indubbiamente vi è il concetto di marginalità. LA SCUOLA DI CHICAGO: LA DIMESIONE SOGGETTIVA E CULTURALE DELLA MARGINALITA’ Nel primo orientamento in cui la marginalità viene studiata a partire dall'osservazione delle dinamiche psico culturali dell'individuo ci sono state moltissime influenze di diversi approcci teorici. Il primo è sicuramente l’approccio del concetto di identità di Mead che ha avuto una forte influenza sull’elaborazione del concetto di marginalità di Park, ma all'interno di questa carrellata di teorie che hanno avuto un influenza notevole sulla formazione del concetto di marginalità, c'è sicuramente da indicare il contributo di Simmel, sociologo tedesco che ha avuto il merito di analizzare lo studio della marginalità sul piano sociale e psichico rispetto, ad esempio, alla trasformazione della città moderna, alle metropoli. Soffermandosi sul primo contributo (quello dell'identità, del self di Mead) è inteso come un elemento attivo di costruzione della realtà sociale. Mead intende l'identità del soggetto non come un' identità statica ma processuale. Questa idea processuale dell'identità è alla base del modello teorico a cui fa riferimento Park. Egli intende il rapporto tra struttura sociale e individuo in una forma nella quale il soggetto contribuisce alla creazione della realtà. In questa ottica Park si colloca sulla scia di Mead e sviluppa concetto dell'io che è strettamente connesso a ruolo sociale riconosciuto dal gruppo di appartenenza, al riconoscimento che gli viene conferito dall’altro generalizzato, si tratta dunque di una identità individuale che si connette allo status sociale che l'individuo possiede all'interno di un gruppo e che il gruppo gli conosce. Quindi l'identità non è una dimensione esclusivamente legata agli aspetti psichici ma è una dimensione sociale connessa allo status sociale che l'individuo possiede ed è uno stato sociale che ha differenti percezioni a seconda di come viene riconosciuto e valutato dal gruppo di appartenenza. L'idea di un rapporto stretto tra la visione che l'individuo ha di se, quindi la sua identità sociale, è strettamente correlata con lo status riconosciuto dal proprio gruppo. Questa questione è estremamente importante per poter capire il discorso legato alla scissione identitaria che, per esempio, l’immigrato vive secondo Park. Se l'identità è strettamente collegata allo stato sociale riconosciuto dal gruppo, nel momento in cui l'individuo abbandona il gruppo nel quale aveva una precisa identità collegata ad un preciso status, l'abbandono di quel gruppo e l’approdo in un altro gruppo, che può rappresentare un'altra società, può portare ad una crisi di status, può portare ad una crisi dell'identità perché lo status precedentemente riconosciuto dalla sua cultura di appartenenza, dal suo gruppo di appartenenza che era la base fondativa della sua identità, non viene più riconosciuto, non viene più considerato e dunque l'individuo, in questo caso, potrebbe essere l'immigrato, si trova in una realtà in cui non sa più chi è, perché non c'è un gruppo che gli riconosce il suo status precedente. Questa è la situazione in cui l'individuo si trova a dover definire la propria identità in relazione a due mondi differenti. Sempre rimanendo nell’esempio dell’immigrato: in quei mondi con culture, con organizzazione politica ed economica differenti, che conferiscono in modo differente uno status all’individuo, egli si trova in una condizione di oscillazione perpetua tra l'abbandono dello status e dunque dell'identità conferita dal gruppo originario rispetto al fatto che nella nuova società si trova a dover ricostruire un nuovo status, ricostruire quindi una sua nuova identità, questo lo porta ad un oscillazione perpetua che conferisce all’individuo una identità non stabile, una sorta di identità che non arriva mai ad un approdo sicuro perché da una parte è l'individuo, che rappresenta la prima generazione di immigrati, è portato a dover fare riferimento al gruppo originario, dall’altra la necessità di doversi inserire nel gruppo nuovo o nella società nuova, tutto questo produce un oscillazione, quindi una scissione al proprio interno. Questo è un primo aspetto che viene messo in evidenza da Park quando parla di uomo marginale, nel suo lavoro “Marginal Man”. L'uomo marginale è quel soggetto che si trova in una condizione di perpetua oscillazione tra due mondi differenti tra di loro e che in questo caso rappresenta una crisi di status e una crisi d'identità perché lo status precedentemente conferito dal gruppo originale non è più riconosciuto dal nuovo gruppo, dalla nuova società. L’uomo marginale è anche un uomo che si trova a dover condividere due culture differenti, vive anche una crisi del modello culturale oltre che di status sociale. È un uomo dal “se” diviso, si trova a dover cercare di coniugare due modelli culturali differenti e quindi è un uomo che costruisce una dimensione identitaria che nella migliore delle ipotesi va verso una direzione ibrida della propria identità. Questa interpretazione di Park dell’uomo marginale si differenzia dall’elaborazione dello straniero sviluppata da Zimmer, nel testo viene sottolineata una differenza tra l'impostazione di Park e l'impostazione di Zimmer in merito al concetto di marginalità. Nonostante Park abbia fatto riferimento nella sua elaborazione dell’uomo marginale ai lavori importantissimi del sociologo tedesco, nonostante il concetto di marginalità sia in qualche modo elaborato alle categorie e alle tipologie elaborate da Zimmer, tra i due vi è una differenza fondamentale. Per Park l'uomo marginale riflette l'esperienza di quelle persone, come l'immigrato, che ha abbandonato i vecchi valori ma ancora non ha adeguatamente acquisito le nuove norme, i nuovi modelli culturali della società a cui questo emigrato aspira di appartenere. Nell’interpretazione dell'uomo marginale, Park definisce una figura molto più problematica, una figura che vive questo dramma. Nella prospettiva di Zimmer lo straniero non ha nessun interesse ad inserirsi nel nuovo gruppo, non aspira a diventare membro o di appartenere ad un nuovo gruppo, anzi proprio in virtù di questa condizione marginale nella quale egli si trova (questo straniero) riesce a esercitare un ruolo molto importante nella comunità e da questo punto di vista secondo Zimmer si sono create quelle condizioni allorquando si è verificata una condizione in cui gruppi sociali si venivano a trovare nella zona di confine della comunità (non erano né dentro né fuori) e ciò ha favorito lo sviluppo di quella figura moderna che è l’imprenditore che si è trovato in qualche modo libero di introdurre elementi sociali, economici e tecnologici nuovi all'interno di una comunità tradizionale. La visione di Zimmer dello straniero è più positiva rispetto a quella di Park. È importante richiamare altri concetti, uno di questi è sicuramente quello elaborato da Thomas che offre attraverso elaborazioni del teorema della definizione della situazione un importante aspetto di riflessione in merito alla definizione soggettiva della marginalità. Secondo Thomas, sostanzialmente, la marginalità è strettamente correlata alla rappresentazione che il soggetto ha di se stesso e della realtà che lo che lo circonda. La marginalità è anche suscettibile di influenza di come il soggetto percepisce se stesso e quindi nello studio della marginalità noi ci dobbiamo porre, soprattutto secondo questa prospettiva, nella condizione è soggetto che noi stiamo studiando, dobbiamo entrare all'interno del punto di vista del soggetto: come il soggetto definisce se stesso e la situazione che vive. È chiaro che la condizione di marginalità è direttamente correlata alla definizione, al significato che il soggetto investe la sua situazione, la sua condizione e quindi questo significato determina una discriminante fondamentale se il soggetto è percepito come marginale o meno. In tal caso si può affermare che nessun individuo o gruppo, neppure se identificato come deviante dalle norme generali della società, accetterà di essere definito tale cioè marginale o deviante se egli stesso non si concepisce come deviante marginale, in base alla propria cultura di appartenenza. C’è anche una dimensione soggettiva della definizione della marginalità che potrebbe contrastare da quella imposta dalla cultura dominante. In quest’ottica l'uomo marginale non è necessariamente il povero, l'immigrato, ma quello che definisce la sua situazione come tale e si riconosce marginale: questo è un aspetto molto importante della condizione soggettiva della marginalità. In conclusione, abbiamo più volte sottolineato che questa dimensione psico culturale della marginalità è strettamente correlata all’altra dimensione che abbiamo definito strutturale ed ecologica e che questi due aspetti sono stati distinti soprattutto perché rispettino due sensibilità diverse ma che devono essere nella realtà e nello studio della marginalità comunque presi in considerazione come due facce della stessa della stessa medaglia. Quali sono stati gli autori che hanno in maggior misura influenzato la dimensione dell’elaborazione psico culturale della marginalità? Sicuramente tra questi autori c'è Mead che rappresenta la base teorica fondativa del concetto dell’identità in rapporto al gruppo e poi c'è l’importantissimo lavoro sociologico di Zimmer legato, non solo alla crisi che identità dell'uomo moderno vive in una realtà anomica come quella metropolitana, ma questo contributo di Zimmer è legato anche all’elaborazione del concetto di straniero. LA SCUOLA DI CHICAGO: LA DIMENSIONE STRUTTURALE ED ECOLOGICA DELLA MARGINALITA’ Ci occupiamo ora del secondo orientamento definito strutturale ed ecologico della marginalità. Questo secondo orientamento è incentrato sul rapporto molto complesso che i sociologi della scuola di Chicago hanno analizzato tra la dimensione spaziale- territoriale della società e i gruppi sociali e, più in generale, gli individui. In questo caso la marginalità può essere considerata come il risultato, il prodotto dei processi spaziali che implicano, richiamano la distribuzione e l'adattamento nei diversi territori della realtà urbana di una città dei diversi differenti gruppi o degli individui. La concezione della marginalità in termini, ecologici spaziali rimanda un’idea di società che si modella, che richiama la relazione tra spazio e gruppo sociale, una relazione che si rifà al modello organicistico spaziale. La città in realtà viene concepita come un organo, come un organismo spaziale. Questa impostazione privilegia la chiave di lettura ecologica, non è un caso che gli autori della scuola di Chicago vengono anche definiti autori della scuola ecologica nel senso che questi autori hanno profuso una particolare attenzione alla dimensione spaziale. Questa impostazione privilegia per l'appunto questa dimensione ecologica che è alla base della sociologia americana e, in particolare, anche è alla base dello sviluppo della sociologia urbana all'interno dei sociologi della scuola di Chicago. Tra i massimi esponenti della scuola di Chicago che noi abbiamo già individuato, vi è è sicuramente Park è colui il quale non solo ha delineato il concetto di uomo marginale e ha soprattutto sottolineato la dimensione psico culturale dell'impatto dell'uomo moderno all'interno del contesto metropolitano determinando forme nuove di marginalità: come la crisi di status o l'impatto e lo shock culturale, ma ha anche sviluppato una particolare teoria dello spazio urbano, una particolare teoria che si è occupata della differenziazione nello spazio urbano dei gruppi sociali, della loro capacità o della loro lotta per lo spazio urbano per l’acquisizione di nicchie spaziali per difendersi e ricostruire l'identità. Applicando criticamente i principi e le metafore dell’ecologia spaziale, Park intende in realtà cogliere e spiegare la mobilità della popolazione nello spazio della città e le diverse forme che esse assumono attraverso l'identificazione di modelli di spiegazione che potessero capire, potessero favorire la comprensione della regolarità di queste successioni spaziali, di questa collocazione spaziale di diversi gruppi nei diversi ambiti e campi spaziali della città. Quindi, Park cerca di sviluppare uno schema interpretativo che riesca ad interpretare le regolarità di queste successioni, la loro capacità di poter interpretare come gruppi umani si collocano nello spazio della città e perché si queste aree naturali da periodi di perdita d'identità, periodi che somigliano molto a una situazione di anomia, di assenza regole, di crisi delle relazioni sociali e quelle aree naturali in cui la marginalità potrebbe essere concettualizzata come quella situazione nella quale ci troviamo di fronte ad una crisi dell'ordine morale, una crisi dell’incapacità di identificare un nucleo culturale-identitario da parte del gruppo, una crisi nella quale si sfilacciano le relazioni sociali e la scuola di Chicago ha interpretato questa situazione in quei quartieri in cui sono stati sottoposti a questa invasione urbana o sono stati sottoposti a trasformazioni economiche che hanno portato quei quartieri ad una crisi della loro identità. Questi quartieri sono stati interpretati attraverso il concetto della disorganizzazione sociale, sono passati da quartieri a forte organizzazione sociale a quartieri a forte disorganizzazione sociale. La disorganizzazione sociale è un concetto che sembra proprio leggere, ad interpretare questo cambiamento dei modelli culturali, questo momento di transizione in cui vi è la difficoltà parte dei soggetti di identificarsi rispetto ad un identità chiara, non ci sono regole è in crisi la comunità precedente nelle sue relazioni e non si verifica la formazione di una nuova comunità. Queste aree sono quelle più pericolose in cui si inseriscono problemi di devianza, di marginalità, di crisi identitaria, di isolamento. Qui il concetto di organizzazione sociale sta proprio ad identificare questa situazione attraverso l'idea che vi è una diminuzione delle influenze delle regole sociali di comportamento esistenti tra i membri che appartengono a un gruppo all'interno di una area naturale che è stata sottoposta a questa trasformazione e a questo cambiamento. Per un verso noi possiamo concettualizzare all'interno della seconda dimensione della marginalità definita strutturale-ecologica, per un verso possiamo concettualizzare la marginalità come il processo che emerge dalla rilevanza della trasformazione delle aree naturali che possono essere quartieri, zone specifiche della città, portano, quelle aree naturali, a vivere e a strutturarsi in forme di disorganizzazione sociale. Questo è un primo concetto che emerge all'interno di questa prima analisi relativa alla seconda dimensione strutturale-ecologica che associa la marginalità ad un fenomeno di disorganizzazione sociale, quindi perdita della capacità delle regole istituzionali e sociali sui membri del gruppo all'interno di un quartiere. La seconda categoria concettuale che si sviluppa all'interno di questa riflessione relativa alla dimensione strutturale-ecologica associa la marginalità al concetto di chiusura identitaria del gruppo. Se da una parte abbiamo un processo di disorganizzazione sociale, dall'altro abbiamo un processo che può apportare alla segregazione del gruppo all'interno di una area specifica. Sono recentemente emersi moltissimi studi in merito alla segregazione spaziale, territoriale, sono presenti importanti studi anche relativi all’analisi di come la segregazione scolastica di un istituto spesso è associata alla segregazione spaziale. La segregazione di un istituto in cui si concentrano per la maggior parte studenti provenienti solo ed esclusivamente da gruppi etnici emigrati senza la presenza degli autoctoni, spesso è anche un circolo vizioso di segregazione economiche territoriali e spaziali che sono alla scuola, ad esempio, di mettere in campo processi di differenziazione, di attrazione di altri gruppi sociali in modo da favorire i processi di integrazione. Il tema della segregazione spaziale è un tema legato anche alla segregazione culturale, alla segregazione educativa, la segregazione in certe aree periferiche della metropoli contemporanea è spesso anche associata alla segregazione culturale, economica e sociale. Quello che è veramente importante è sottolineare come la marginalità richiama una segregazione spaziale, la segregazione che porta alla formazione di ghetti. Le aree naturali, che sono questa porzione di spazio occupato da diversi campi sociali possono tanto essere sottoposte al processo di disorganizzazione sociale richiamando un concetto di marginalità che delinea forme di anonimato, di alienazione sociale, tanto possono essere invece l'espressione di segregazione territoriali, stigmatizzazione territoriale, possono essere l'espressione e la formazione di ghetti che vengono collocati all'interno di determinate aree spaziali. La rappresentazione che emerge da questo punto di vista è che la metropoli è lungi dall’essere una realtà cosmopolita dove vi è l’esaltazione del cittadino globale che interagisce con tutti, ma è una realtà che attraversata da forti diseguaglianze sociali anche su basi territoriali, dove la marginalità si insinua all'interno di questi processi di segregazioni spaziali e territoriali. Nel paragrafo terzo del primo capitolo ci sono diversi esempi di ricerche attraverso le quali sociologi della scuola di Chicago utilizzando proprio lo schema di Park hanno individuato diverse aree naturali che hanno queste caratteristiche, una di queste è il ghetto ebraico ma non solo. Ci sono anche altre aree naturali a cui sono state associate gli studi sull’emergere delle gang, delle bande giovanili. Sono studi che mettono in evidenza come la crisi del quartiere come aree naturali, la sua crisi sul piano della capacità di produrre senso comunitario porta all’emergere di una diffusa presenza di bande giovanili. Le bande giovanili e la loro micro organizzazione criminale viene associata con la crisi del quartiere, con il processo di disorganizzazione sociale. Questo è un esempio di ricerca di gang estremamente importante perché mette in relazione per la prima volta la natura sociale del territorio con l'emergere del processo devianza e di marginalità attraverso lo studio delle bande giovanili. LE RICERCHE SULLA MARGINALITA’ La lezione si incentra sulla presentazione di alcune delle più importanti ricerche che sono state realizzate dai sociologi della scuola di Chicago in merito alla marginalità. Le ricerche sono state riportate nel paragrafo 1.4, si tratta di un insieme di ricerca su diversi ambiti, molto innovativi per quell'epoca, dalle bande giovanili, all’analisi dei quartieri degradati, alle prostitute, ai senza tetto. Vi presenterò, ora, soltanto due ricerche ma vi invito a studiarle tutte, sono estremamente importanti in termini anche di come i sociologi della scuola di Chicago realizzavano la ricerca sul campo. Sono importanti perché non solo mostra che cosa significa fare ricerca empirica, ma anche quali sono gli strumenti e la metodologia applicata dai sociologi, attraverso quale prospettiva iniziarono a studiare a la marginalità, mostra anche come i sociologi della scuola di Chicago applicavano un processo di operativizzazione che sta nel trasformare concetti astratti come: la marginalità, la disorganizzazione sociale in concetti misurati nella realtà, applicati nella realtà attraverso l'analisi empirica, ovvero la discesa sul campo. Tutte queste ricerche sono caratterizzate soprattutto dal fatto che il ricercatore entra, si infiltra nella realtà, cerca di osservarla dal di dentro, come già più volte abbiamo detto, cerca, in altre parole, di osservare, studiare, capire la marginalità in relazione ai territori, allo spazio urbano, soprattutto assumendo come punto di vista quello dei gruppi marginali, non assumendo un punto di vista positivista, oggettivista esterno. L'ipotesi all'origine del lavoro di buona parte dei ricercatori della scuola di Chicago è incentrata sulla analisi del processo di disorganizzazione e organizzazione sociale all'interno della città. A tale ipotesi, è stato applicato il modello dell'organizzazione della differenziazione di Burgess, è da sottolineare che i sociologi della scuola di Chicago possono essere considerati i precursori dell’approccio che può essere definito “neighbor-effect” cioè l'effetto del quartiere, l’effetto che la qualità sociale del quartiere ha sul comportamento dei gruppi sociali degli individui che ci vivono. Quello che e importante sottolineare è che in queste ricerche viene tematizzato il rischio socio-culturale del territorio. Si supera una visione del territorio, dello spazio semplicemente concepita come una cornice, come sfondo e si assume, invece, una concezione dello spazio, dei territori, dei quartieri come variabili indipendenti esplicative del comportamento umano. La tematizzazione del rischio socio-culturale del territorio perché diventa sede del controllo sociale da una parte, e luogo anche incapace di rispondere efficacemente ai bisogni fondamentali relativi all’acquisizione dell'identità, nelle ricerche che qui prenderemo in considerazione, giovanile. In secondo luogo, in queste ricerche viene concettualizzato il termine comunità o quartiere come aree naturali. Il quartiere e la comunità sono aree naturali, sono collocate all'interno della teoria generale ecologica, spaziale della città. Le aree naturali, ripetendo, vanno intese come una porzione di spazio urbano caratterizzato da elementi comuni e simili sia in termini etici della collocazione etnica all'interno di un quartiere, ma non necessariamente un quartiere per intero. Le aree naturali non corrispondono necessariamente al quartiere visto e organizzato sul piano amministrativo, ma corrispondono ad una distribuzione territoriale dei gruppi che può avvenire lungo strade specifiche e lungo alcune aree in una determinata piazza. Quindi possiamo immaginare che anche all'interno di un quartiere possiamo individuare più aree naturali. Esse sono, appunto, caratterizzate da elementi comuni simili sia in termini etnici sia in termini di appartenenza di classe sociale. Esse offrono ai propri abitanti un senso di appartenenza culturale oltre che un' appartenenza fisica, ecologica. Rispondono a quei due bisogni fondamentali che sono collegati alla dimensione istintuale all'area abiotica da una parte, e collegate alla dimensione sociale dall’altra. Le aree naturali sono considerate luoghi in cui vengono a condensarsi, a sedimentarsi specifiche subculture che rappresentano vere e proprie nicchie ecologico-culturali all'interno delle quali si costruisce il senso di comunità, il senso di appartenenza e una identità culturale. In terzo luogo, è importante in queste ricerche la definizione della categoria della disorganizzazione sociale intesa non solo come crisi delle norme e delle e dei valori sociali, ma anche e soprattutto come crisi delle istituzioni sociali che operano all'interno di queste aree naturali: la scuola, la chiesa, le associazioni, le istituzioni decentrate del comune. Il concetto di disorganizzare di disorganizzazione sociale richiama una crisi sia della capacità delle norme, dei valori di un determinato territorio che rispecchia un’aree naturali a guidare orientare i comportamenti delle persone che vi abitano, ma rispecchia anche un degrado istituzionale, questo è un aspetto innovativo, un degrado urbano, un degrado spaziale, fisico che ha una conseguenza notevole sul senso di appartenenza dei cittadini in quella determinata area. Si è visto che tanto più il quartiere è degradato sul piano urbano, sulla costruzione urbana, tanto più è un quartiere attraversato da alti tassi sia di microcriminalità organizzata, sia di isolamento anonimato e alienazione sociale. Quali sono le ricerche che prendiamo in considerazione? Un esempio di ricerca è sicuramente quello di Shaw e McKay del 1942 sulla delinquenza giovanile. La ricerca sulla delinquenza giovanile ha come obiettivo di mostrare che i fenomeni di marginalità non sono da attribuire alla qualità degli individui, bensì alle specifiche caratteristiche socio culturali, ecologico, ovvero, spaziali delle aree urbane in cui questi individui e crescono. L’aspetto importante di questa ricerca è quello di aver, innanzitutto, focalizzato il fatto che la marginalità non può essere ridotta ad una responsabilità individuale, non è un fenomeno associabile alle qualità biologiche o fisiche o razziali di un individuo, bensì la marginalità sociale soprattutto quella che si sviluppa all'interno della metropoli contemporanea è una marginalità che è il prodotto del processo di disorganizzazione sociale che investe sia le caratteristiche socio culturali di quell’area e dunque l’identità, il senso di comunità, il valore dell'appartenenza, ma investe anche la dimensione spaziale, la dimensione urbana. È evidente che in questo lavoro sono correlati tra loro aspetti mai considerati, come la dimensione urbana considerata come variabile determinante del LO STRUTTURAL FUNZIONALISMO DI PARSONS: DALLA MARGINALITA’ ALL’ORDINE SOCIALE Focalizziamoci ora sullo spostamento di attenzione da parte della sociologia da una prospettiva, che abbiamo definito empirista, concentrata sulle ricerche empiriche, una prospettiva caratteristica della scuola di Chicago, all'interno della quale i sociologi urbani, i sociologi della immigrazione, i sociologi che avevano eletto il rapporto complesso: comportamento sociale e spazio urbano, hanno sostanzialmente inaugurato una nuova ricerca sociologica che comprendeva nuovi e diversi campi mai esplorati prima di allora dalla sociologia. In questo senso, lo spostamento da una sociologia empirista ad una sociologia strutturale, ha comportato un cambiamento di attenzione e una trasformazione delle tematiche di fondo di cui la sociologia fino ad allora, soprattutto quella americana, si era occupata. La scuola di Chicago, indubbiamente, ha rappresentato l'apertura di un importante filone di ricerca atipico rispetto alla tradizione sociologica precedente. Una tradizione sociologica che era stata prevalentemente caratterizzata dalla presenza della sociologia europea e soprattutto caratterizzata e dominata dai classici della sociologia europea francese e tedesca. I temi della sociologia americana della sociologia dei sociologi della scuola di Chicago rappresentano, come ho detto, argomenti nuovi, sono temi che riguardano la formazione delle bande giovanili, la microcriminalità, la diffusione della prostituzione all'interno della trasformazione delle metropoli, l'immigrazione, sono tutte questioni sociali che vengono affrontate sul piano empirico e producono anche interventi sociali, politiche sociali. La scuola di Chicago si caratterizza anche da questo punto di vista per essere una ricerca sociologica che somiglia molto ad una ricerca “azione” che si verifica sul campo ai fini anche dell'intervento sociale, una finalità volta a risolvere il problema sociale. Nell’attività di ricerca della scuola di Chicago è forte il connubio tra progetti di ricerca, risultati che emergono da questi progetti di ricerca e l'utilizzo di questi risultati per implementare progetti di intervento nella realtà sociale. Da questo punto di vista è estremamente interessante anche accogliere come nella scuola di Chicago vi è un connubio forte tra l'azione tipica del sociologo volto a comprendere e spiegare i fatti sociali e quello degli assistenti sociali, che operano nell’attività dei servizi sociali. Vi è un connubio forte, una interconnessione forte, dove è molto evidente come la ricerca sociale possa essere utile per poter implementare e creare progetti di ricerca sociale e anche progetti di intervento nella realtà sociale. Queste sono tematiche nuove, in cui sicuramente la marginalità può essere annoverata tra quelle tematiche mai studiate. Un concetto che, come abbiamo detto, si caratterizza perché è strettamente interconnesso con la modernizzazione, con le trasformazioni industriali e urbane della città, con l’emerge dell'immigrazione, della società multiculturale, quindi un concetto molto importante che si inserisce all'interno dell’approccio sociologico della scuola di Chicago focalizzato sul piano empirico. Questa prospettiva presenta, tuttavia, degli aspetti contraddittori, dei limiti sul piano della ricerca. Indubbiamente la scuola di Chicago ha risposto molto bene alle critiche che si erano rivolte nei confronti delle grandi teorie sociologiche, a partire dagli anni ’20, che avevano eccessivamente trascurato la dimensione empirica e avevano indubbiamente limitato il campo della ricerca soprattutto perché si erano posti il problema di elaborare sistemi generali di spiegazione del funzionamento della società. Queste critiche che sono nate all'interno anche della scuola di Chicago, si sono sostanzialmente rivolte verso una sociologia che si è interessata in modo particolare della comprensione dello specifico territorio, della comprensione della realtà, attraverso micro e meso ricerche empiriche. Tuttavia, se da una parte questa prospettiva sviluppata all'interno della scuola di Chicago ha sostanzialmente messo al centro questioni prima trascurate come la marginalità, il processo di disorganizzazione sociale, il problema dell'integrazione, temi estremamente importanti, se da una parte è stata capace di evidenziare e sottolineare questi nuovi aspetti, dall'altra quello che emerge dalla ricerca sociologica della scuola di Chicago è un'eccessiva attenzione sul piano empirico e un atteggiamento ed un orientamento scarsamente teorico, scarsamente capace di elaborare sistemi teorici generali. Da una parte la scuola di Chicago ha sicuramente introdotto l'attività della ricerca empirica utilizzando categorie, finalizzata ad interpretare specifici fenomeni tra cui ovviamente c'è la marginalità, dall'altra tuttavia quello che emerge dalla ricerca complessiva sviluppata dalla scuola di Chicago è una scarsa capacità di produrre teorie generali. La questione centrale della sociologia americana delle prime decadi del secolo scorso può essere ricondotta alla specifica concezione che essa esprime sul ruolo che deve avere la ricerca rispetto alla teoria. Il tema è quale rapporto e in che termini si deve concepire la ricerca rispetto all’impostazione teorica. La scuola di Chicago fonda la sua impostazione su un insieme di ricerche che si caratterizzano per l'interazione su piccola scala, che si realizzano all'interno di studi collegati ad ambienti urbani e metropolitani specifici, molto spesso collegati e realizzati all'interno della stessa città di Chicago. Nella sociologia della scuola di Chicago vi è un’assenza di una teoria generale sulla società che sostanzialmente non consente di sviluppare un processo di interpretazione degli innumerevoli dati raccolti, tali da poter elaborare una teoria che spiega in generale il funzionamento della devianza, della marginalità. Non è un caso che, sostengono alcuni critici, la scuola di Chicago da l’impressione di offrire una quantità innumerevole di indagini specializzate ma che queste indagini non sono tenute da nessun legame unitario. Tutte le ricerche sviluppate sui senza tetto, sulle bande giovanili, sulle prostituzioni, sulle aree naturali , sui ghetti, quello che manca, secondo i critici della scuola di Chicago, è un legame teorico che li unisce all'interno di un quadro unitario. Da queste premesse nasce l'esigenza di passare dalla ricerca empirica, eterogenea e differenziata, specializzata ad un'impostazione che si caratterizza per lo sviluppo di una teoria sistemica. Indubbiamente l’elaborazione di una teoria sistemica generalizzabile con anche un certo grado e un certo livello di astrazione, condiziona e condizionerà per molto tempo la natura stessa della sociologia, l'essere sociologo e il fare sociologia. Questo sicuramente ha rappresentato un passaggio fondamentale nel cercare all'interno della sociologia di costruire dei quadri concettuali interpretativi astratti e generalizzabili tale da poter interpretare i fenomeni sociali al di là dei contesti storici e temporali, se questo ha rappresentato un passo in avanti, dall'altra parte bisogna tuttavia anche che questo nuovo atteggiamento della sociologia rispetto alla teoria che sembra essere più spostata verso un'impostazione astratta piuttosto che empirica, porta ad un ridimensionamento di quelli che sono stati i guadagni conoscitivo-interpretativi attuati e realizzati dalla ricerca dalla scuola di Chicago. La marginalità come fenomeno sociale empiricamente osservabile perde, viene sostanzialmente assorbita, depotenziata all'interno della necessità di elaborare un quadro generale e teorico astratto. La marginalità come categoria sociale elaborata per interpretare un fenomeno emergente all'interno della realtà urbana delle città moderne, come fenomeno empiricamente osservabile e comprensibile, anche identificabile, viene sostanzialmente depotenziata e inserita all'interno di un quadro teorico che si occupa di costruire delle categorie astratte per interpretare la società in generale. In altri termini, il passaggio dalla ricerca empirica a quella sistemica comporta una riduzione di interesse nei confronti del fenomeno della marginalità. Alla riduzione di interesse nei confronti del fenomeno della marginalità, che può essere esemplificativa dell'interesse che i sociologi hanno nei confronti di tutto ciò che è incongruo, di tutto ciò che nasce dal conflitto tra gruppi sociali per l'acquisizione dello spazio, per l’acquisizione della loro identità, quindi, una riduzione dell'ingresso nei confronti della marginalità comporta, di conseguenza, anche una riduzione di interesse di quello che abbiamo definito conflitto sociale. Nel processo di formazione di una sociologia sistemica assume un peso sempre più rilevante, soprattutto a partire degli anni 30 40 del secolo scorso, la corrente funzionalista. Da una parte sviluppata all'interno dell’antropologia britannica, più precisamente un’antropologia funzionalista che deriva dai lavori di Malinowski, e dall'altra una teoria funzionalista che poi si definirà in termini struttura funzionalisti, sviluppata all'interno della teoria sociologica classica europea. Per quanto riguarda la sociologia classica europea il fondatore della teoria struttural-funzionalista è sicuramente Parsons che dovette fronteggiare prima altamente ateorico che si era caratterizzato e si è radicato all'interno della ricerca sociologica americana. Egli, tuttavia, criticò sia la prospettiva della sociologia empirica della scuola di Chicago, perché assente di teoria, di capacità di generalizzazione teorica, sia la prospettiva della sociologia europea perché era eccessivamente speculativa e incapace di uscire dal dibattito tra positivismo e storicismo. Parsons fece un grande lavoro di ricomposizione delle diverse prospettive teoriche europee, partì dal presupposto che i grandi maestri, i grandi fondatori della sociologia europea, proponevano una specifica elaborazione teorica della società differente tra loro ed egli proponeva una riunificazione di queste prospettive in quanto le considerava accomunate da elementi comuni. Queste teorie che possono essere ricondotte, secondo Parsons, alla prospettiva durkheimiana, a Weber, a Pareto all'interno di un unico quadro teorico all'interno del suo importante e corposo lavoro che prese il nome “Il sistema sociale” in cui, sostanzialmente, elaborò questa nuova prospettiva teorica in cui confluirono tutti i classici della sociologia europea da una parte, e dall'altra sferrò il vero attacco critico nei confronti del frammentarismo empirico della sociologia nordamericana. In realtà Parsons non intendeva costruire né una teoria di medio raggio ne intendeva costruire, come hanno fatto i sociologi della scuola dedicato di Chicago, categorie interpretative applicate alla realtà. Parsons voleva costruire una teoria che sia in grado di spiegare il funzionamento del sistema sociale in astratto. Proponeva un livello di analisi della sociologia alla massima generalità, un livello di analisi della sociologia capace di costruire delle categorie universali, applicabili a tutte le realtà storico- sociali. La rilettura e il riposizionamento che il concetto di marginalità assume all'interno di questo nuovo contesto sociologico e teorico porta sostanzialmente a far perdere quell’insieme di intuizioni e di interazioni che la scuola di Chicago aveva identificato e aveva ben messo in evidenza attraverso la ricerca empirica. Lo spostamento da un approccio induttivo, costruito da un procedimento basato su ipotesi esplicative relative a specifici fenomeni osservati empiricamente ha una visione della teoria sociologica ad alta estrazione e generalità rende, sostanzialmente, residuale l'insieme dei dati raccolti sui diversi e differenti fenomeni sociali e rende sostanzialmente residuale tutta la riflessione sulla marginalità, poiché ritenuta poco utile quella riflessione sviluppata dai sociologi della scuola di Chicago, ai fini di un progetto teorico, ai fini di un programma interdisciplinare della sociologia che ha come obiettivo quello di costruire un paradigma sociologico universalistico. Questo discorso che abbiamo fatto rappresenta il quadro teorico all'interno del quale si sviluppa il passaggio da una sociologia empirica ad una teorica. socializzazione uno dei meccanismi fondamentali per la stabilità del sistema. Parsons utilizza questo concetto dell’isomorfismo che ci consente di guardare nello stesso modo i meccanismi integrativi ai vari livelli del sistema sociale: sia macro, sia meso, sia micro. Uno dei modelli che rispondono al principio dell'isomorfismo è sicuramente il modello agil, è uno schema che interpreta secondo Parsons quello che debbano essere i bisogni che ciascun sistema o sotto il sistema, all'interno della società, devono soddisfare e devono essere soddisfatti per poter favorire l'integrazione. Che cosa significa modello agil? Rappresenta, sostanzialmente, quattro bisogni che Parsons chiama bisogni funzionali che ogni sistema deve soddisfare per poter mantenere il proprio equilibrio, anche in questo caso si applica il principio dell'isomorfismo perché il modello agil lo possiamo applicare come schema all'interno di differenti istituzioni, di differenti diversi attori sociali, possiamo applicare lo schema agil nella scuola, nella società in generale, in un’organizzazione produttiva, all'interno di un'associazione di volontariato, in un gruppo di persone lo schema agil risponde a quello che è il principio dell’isomorfismo e risponde sempre alla finalità che Parsons si pone che è quella di spiegare i meccanismi attraverso i quali è possibile mantenere l'ordine sociale e l’integrazione sociale. Brevemente, lo schema agil sta per: A, come adattamento, ogni sistema sociale deve soddisfare un bisogno di adattamento; G raggiungimento dello scopo, ogni sistema sociale deve raggiungere l'obiettivo, deve soddisfare il bisogno del raggiungimento dello scopo; I che sta per integrazione, i sistemi sociali devono tutti cercare di rispondere ad un bisogno di integrazione e quindi devono sviluppare al proprio interno tutta una serie di meccanismi o politiche o atteggiamenti finalizzati a produrre l'integrazione; L che rappresenta l'area, il campo, il settore, in cui da una parte si concentrano i valori di cosiddette variabili strutturali, gli orientamenti valoriali, ogni sotto sistema, ogni sistema sociale ha una latenza, ha una modello valoriale a cui fa riferimento, la scuola non è un organizzazione finalizzata semplicemente alla trasmissione dei saperi e questo potrebbe essere l'obiettivo, il raggiungimento dello scopo la scuola, la scuola non deve necessariamente avere fondi per far funzionare il suo sotto sistema quindi non deve soddisfare soltanto l'adattamento. La scuola non deve necessariamente svolgere solo un'azione di integrazione ma è anche trasmissione di un modello valoriale, culturale attraverso il processo della socializzazione. Ogni sottosistema, in questo caso la scuola, è munito all'interno della latenza di un modello culturale, ma la latenza non è solo l’ambito in cui si contendono i valori, in cui si manifesta il modello culturale valoriale di riferimento, la scuola è anche un luogo, quindi la zona della latenza, in cui si concentrano tutte una serie di dinamiche conflittuali che possono essere sommerse evidenti, come posso essere anche non mi evidenti, possono essere non emerse all'interno delle organizzazioni sociali e all'interno della scuola, possono rimanere al livello della latenza. La scuola ha anche, al proprio interno, l’ambito della latenza in cui si concentrano tutta una serie di dinamiche conflittuali, discordanti tutte una serie di patologie che all'interno di quest’ambito Parsons li individua come fattori che possono emergere come possono non emergere e rimanere a livello di latenza. Questi bisogni funzionali debbono tutti essere soddisfatti e funzionali al mantenimento e all’integrazione sociale. Questi sono i presupposti dell'ordine sociale da cui bisogna partire per poter capire come Parsons tratta tutto quello che invece devia da questo sistema macchinoso e schematico di funzionamento del sistema sociale. Come concepisce tutta quella parte che invece trasgredisce e considerata patologica? Ebbene, Parsons elabora all'interno della riflessione in merito a quando la socializzazione fallisce o quando il sistema sociale, in qualche modo, non riesce a soddisfare i bisogni funzionali, elabora i concetti devianza che sono strettamente collegati al fallimento dei due meccanismi sociali che egli ha individuato all'interno della sua teoria dell'integrazione del sistema sociale che, da una parte, è la socializzazione e come abbiamo visto assume un ruolo importantissimo e dall'altra è rappresentato dall’insieme delle norme che vanno a costituire il controllo sociale. Il controllo sociale è un meccanismo attraverso il quale il sistema sociale elabora tutta una serie di strategie per imporre norme, per recuperare la devianza, per, attraverso anche la forza, individuare meccanismi di reintegrazione di tutto ciò che rappresenta una sfida e una instabilità al sistema sociale, tutto questo lo vedremo nella prossima lezione. LA DEVIANZA COME FORMA DI DISEQUILIBRIO DEL SISTEMA SOCIALE Ora ci soffermiamo sul concetto di devianza e più in generale sui processi di frattura, di disequilibrio che si creano all'interno di un sistema sociale. Parsons individua diverse forme di devianza: una prima forma assume il punto di vista esclusivamente del soggetto nel suo essere deviante, attraverso l'assunzione di un comportamento trasgressivo rispetto alle norme istituzionalizzate di una società. Un secondo livello della devianza, invece, rappresenta la tendenza da parte di uno o più componenti della società a turbare l'equilibrio della comunicazione, della interazione tra ego e alter, a turbare, a rompere, a produrre una frattura nel cosiddetto paradigma dell’interazione che funziona normalmente in un gruppo sociale, in una società legittimata da norme culturali e valoriali. In questo caso, la devianza, sostanzialmente, frantuma, rompe questo equilibrio attraverso un atteggiamento oppositivo che non soddisfa quel principio della complementarietà che è alla base della comunicazione tra ego e alter. Quindi, la devianza viene concepita come la frattura, la perdita del principio di complementarietà del processo di interazione tra ego e alter, si frantuma questo processo di interazione. Si tratta di un equilibrio che viene messo in discussione all'interno del quale si introducono elementi di disturbo che rendono il funzionamento della comunicazione difficile e complesso. Un'altra tipologia di disequilibrio non si colloca più a livello della diade, la frattura della comunicazione dell'interazione tra ego e alter, non si colloca più a livello soggettivo, ma si colloca a livello meso. Questa è la situazione, secondo Parsons, in cui l'individuo si associa con un insieme di altri ego, di altre persone. È la situazione in cui si verifica un distacco attivo e organizzato di un gruppo rispetto alla struttura sociale, rispetto alle norme, ai valori, ai modelli di comportamento. Esso rappresenta, secondo Parsons, la condizione di maggior pericolo per il sistema sociale, un pericolo maggiore sia rispetto alla devianza individuale, sia rispetto alla devianza che avviene attraverso la frattura dell’interazione sociale. Infatti Parsons evidenzia come un atto deviante espresso da una banda presenta almeno due importanti vantaggi rispetto al criminale isolato: il primo vantaggio è riscontrabile per la capacità di organizzarsi ed opporsi alle sanzioni esterne, una banda organizzata ha maggiore possibilità di resistere e anche di opporsi al sistema del controllo sociale che abbiamo visto rappresenta uno dei meccanismi fondamentali per riprodurre e riportare l'ordine sociale all'interno di un sistema, ora, una devianza su basi di gruppo e organizzata rappresenta sicuramente una resistenza maggiore rispetto alle sanzioni e al complesso controllo sociale. In secondo luogo, c'è un altro aspetto di carattere psico sociale, il fatto è che il rapporto tra i membri della banda, Parsons parla del rapporto tra l’ego e alter, questo rapporto si rafforza reciprocamente, costituendo un identità sociale, la benda è l'espressione di un' identità psichica e sociale che sicuramente protegge in maggior misura l'individuo dal processo di socializzazione, di controllo sociale attuata dalle agenzie di socializzazioni che hanno la funzione di depotenziare questo gruppo sociale, questo disequilibrio all'interno del sistema sociale e riportarlo nei processi di armonizzazione e di integrazione. C’è un aspetto psico sociale che si basa sul rafforzamento reciproco tra l'ego e alter attraverso la compartecipazione alla devianza, attraverso la partecipazione condivisa del comportamento, attraverso la condivisione di una strategia comune rispetto alla devianza. Dunque, il controllo sociale viene a scemare e perde la sua forza coercitiva. Poi vi è un altro livello di disequilibrio che Parsons colloca a livello sistemico, cioè a livello della società nell’insieme. Abbiamo una devianza associabile all’atto individuale di deviare il suo comportamento rispetto alle norme, una devianza che nasce dalla frattura del rapporto con l'alter nella comunicazione, nell’interazione, abbiamo una devianza di gruppo che si oppone organizzando il crimine, il deviare, al sistema sociale e questo è un tipo di devianza in cui il controllo sociale della socializzazione, delle agenzie istituzionali preposte viene a scemare. Poi vi è un devianza, ma più in generale potremmo definire una disfunzione, un disequilibrio, che si colloca al livello sistemico, in questo contesto è importante ricordare che per Parsons la società è un sistema ordinato, integrato e conseguentemente per il mantenimento del suo equilibrio risulta necessario che siano soddisfatti i bisogni funzionali, cioè quei bisogni che siano soddisfatti dallo schema agil. Nel momento in cui ciò non avviene si produce un disequilibrio che tuttavia Parsons ritiene momentaneo, perché all'interno del sistema sociale scattano tutta una serie di meccanismi che tendono a riequilibrare le disfunzioni e a riportare il sistema all'interno di un nuovo equilibrio, di un nuovo organizzato equilibrio. Parsons ritiene che i sistemi sociali funzionino come i sistemi naturali, ritiene che il sistema sociale è regolato dal meccanismo omeostatico, Parsons riprendendo gli studi di Canon del 1932 sugli equilibri omeostatici in biologia, ritiene che analogamente si verifica una stabilizzazione nella realtà sociale nel momento in cui si crea una disfunzione in uno dei sotto sistemi che rappresentano il sistema sociale nel momento in cui uno dei bisogni funzionali non è soddisfatto, il sistema tende a riequilibrarsi attraverso questo principio omeostatico facendo svolgere la funzione mancante ad altri sotto sistemi fino a quando non si ricrea un nuovo equilibrio. In questa analisi di Parsons è indubbio che la marginalità, come elemento strutturale del sistema che nasce dalle contraddizioni dei processi di modernizzazione, non viene assolutamente teorizzate. La problematica della patologia, le problematiche del disequilibrio sono sostanzialmente inquadrate all'interno del tema preminente, dominante che è quello della integrazione, al centro quindi vi è l’integrazione, vi è la necessità di capire come si produce l'ordine sociale e dunque l'interesse per lo studio delle disfunzioni in sé, dei conflitti, dei fenomeni della marginalità, sono sostanzialmente marginalizzati residuali all'interno di una elaborazione teorica che, come abbiamo detto più volte, pone l'accento sull’integrazione. Parsons è interessato allo studio della salute del sistema, non delle sue patologie, le patologie debbono essere ricondotte all'interno di un meccanismo che li depotenzia, li neutralizza per poter creare continuamente un equilibrio costante del sistema sociale. In quest’ottica il lavoro di Parsons è stato anche criticato perché, come abbiamo visto già nelle lezioni precedenti, non elabora una precisa visione del conflitto, lo rende subordinato ai processi di integrazione. Parsons non prende in considerazione i temi legati alle diseguaglianze sociali, ai temi della diversa distribuzione del potere nel sistema sociale, ai temi del conflitto che sussistono tra le diverse classi sociali che hanno diverso potere. Tutto quello che la teoria del conflitto aveva posto in evidenza all'interno della società, in Parsons viene sostanzialmente neutralizzato attraverso questo modello del sistema sociale munito si tutta la serie di meccanismi che hanno la finalità e lo scopo di renderlo funzionale e integrativo. È ovvio che all'interno di questo tipo di analisi il tema e lo studio della marginalità, attraverso ricerche empiriche specifiche, viene sostanzialmente, a mancare, si rende posizioni contrastanti: da un lato, vi sono sociologi che cercano soprattutto di generalizzare, di trovare il più rapidamente possibile un loro modo di formulare leggi sociologiche, tentano di vedere il significato del lavoro sociologico più in termini di ampiezza della prospettiva, che non in termini di dimostrabilità delle generalizzazioni. Essi cercano di allontanarsi da un approccio su piccola scala che si basa sulle osservazioni particolareggiate. All’altro estremo sussiste un gruppo caparbio che non insegue troppo da vicino le implicazioni delle sue ricerche, ma si mantiene fiducioso e sicuro che le cose stanno proprio nel modo in cui sono state riportate. I loro resoconti dei fatti sono verificabili ed anche verificate, ma qualche volta si trovano in imbarazzo se devono collegare tali fatti gli uni agli altri o che se devono spiegare il perché hanno fatto proprio quelle osservazioni e non altre. L’estremizzazione delle due posizioni empiriste e teoriche rappresentano le difficoltà che il concetto di marginalità ha incontrato nell’assumere il ruolo di categoria scientifica all’interno del dibattito sociologico. Se la scuola di Chicago può essere sicuramente annoverata tra le scuole sociologiche che elaborano il concetto di marginalità come categoria scientifica, è anche vero che il suo contributo e elaborazioni hanno una connotazione eccessivamente focalizzata su un piano empirico. È evidente che questo approccio alla marginalità risente di quell’imbarazzo che Merton mette in evidenza allorquando mette in luce che i limiti di un approccio empirista radicale non riescono a cogliere l’importanza, né le connessioni tra loro ai fini della costruzione di un’interpretazione più ampia. Da un altro punto di vista è innegabile che la risposta critica che è pervenuta dall’approccio sistemico e struttural- funzionalista rispetto ad una ricerca descrittiva (Chicago) ha messo in evidenza i limiti di una visione troppo generale, troppo lontana dalla realtà sociale che abbandona, in altri termini, quel nesso necessario nella ricerca sociologica tra teoria e approccio empirico. Anche l’approccio struttural-funzionalista, secondo Merton, presenta questi limiti che sono speculari, opposti ai limiti della scuola di Chicago, sono limiti connessi all’eccessiva astrazione. In conclusione, il ritorno allo studio e all’analisi della marginalità favorito da Merton, in ragione della sua capacità di contribuire a riformulare, a riposizionare in un modo più maturo e equilibrato l’approccio teorico e l’approccio empirico, soprattutto sul piano metodologico. Da una parte, infatti, in Merton vi è la rivisitazione dell’oggetto di studio che non è più il sistema sociale come modello astratto, ma gli aspetti concreti di esso: i conflitti, le tensioni, le disfunzioni storicamente determinate. Dall’altra parte vi è l’affermazione di un’impostazione metodologica che deve essere incentrata necessariamente sulla relazione reciproca, circolare tra teoria e ricerca empirica, che consente una maggiore focalizzazione su alcuni aspetti specifici della realtà, analizzati in un’ottica in cui la dimensione teorica è strettamente legata a quella empirica e viceversa. Lo scopo della ricerca empirica non si limita semplicemente alla conferma di ipotesi elaborate, essa, al contrario, ha una funzione che suscita e riordina le teorie sociologiche, quindi è parte fondante della conoscenza sociologica. PREMESSE: LA SOCIOLOGIA DELLA MARGINALITA’ IN AMERICA LATINA Nel dibattito latino-americano degli anni 50 60 si possono individuare almeno quattro grandi teorie sulla marginalità. La prima teoria la possiamo definire della modernizzazione classica, la seconda invece dello sviluppo dipendente, la terza è legata all’esperienza del desal e la quarta riguarda il particolare e originale paradigma della marginalità sviluppato da Gino Germani. Prima di parlare delle teorie e affrontarle è opportuno delineare e descrivere anche se per sommi capi il contesto all'interno del quale si sono sviluppate queste quattro teorie. È importante sottolineare come dopo la seconda guerra mondiale il processo di decolonizzazione e la relativa affermazione degli stati nazione a livello della scena internazionale da una parte, e i processi di urbanizzazione, di immigrazione e di industrializzazione avanzata dall’altra, riportano alla ribalta il tema della marginalità come uno degli aspetti più importanti dell’interpretazione del mutamento. Ciò comporta un diverso modo di analizzare, di interpretare, di osservare e anche misurare il tema della marginalità da una parte, dall'altra comporta anche l'emergere di differenti orientamenti teorici di natura sia prettamente sociologica, sia di natura ideologica. Questi aspetti sono entrambi presenti all'interno del dibattito della sociologia della marginalità che si sviluppa del contesto latino-americano negli anni 50 e 60. Il recupero soprattutto realizzato da Merton all'interno dello struttural funzionalismo ha sostanzialmente buttato le basi per lo sviluppo di una più matura sociologia della marginalità. Merton ha sicuramente orientato la ricerca sociologica verso un' attenzione maggiore alle dinamiche conflittuali, disfunzionali e soprattutto ha, come abbiamo detto più volte nelle lezioni precedenti, equilibrato in nesso tra teoria e ricerca empirica. Sicuramente questa attenzione alla conflittualità e questa sensibilità ad un nuovo rapporto tra teoria e ricerca empirica trova nelle teorie dello sviluppo economico, nelle teorie della modernizzazione un contesto teorico molto importante in cui si è misurata la marginalità nella ricerca sociologica. In questo periodo, la marginalità da elemento residuale ancillare del sistema sociale come fenomeno psico culturale analizzato dalla scuola di Chicago in un modo esclusivamente empirico, diventa una questione strettamente collegata alla struttura economica, sociale della nazione di una società ed è soprattutto analizzato all'interno di un contesto, non solo esclusivamente nazionale, ma attraverso un’analisi di comparazione internazionale. Le cause strutturali, che sono considerate alla base dell' emergere del fenomeno della marginalità, possono essere concepite sia come ricavate all'interno della natura specifica della cultura di un determinato popolo, di una determinata società e questi aspetti richiamano come fattori causali, come fattori che condizionano l’emergere della marginalità, richiamano gli aspetti socio culturali come elementi interpretativi fondamentali per capire la marginalità. L’approccio che si richiama a questo tipo di concezione della modernizzazione, intesa come un processo che vede man mano all'interno dei paesi non sviluppati e non modernizzati l’affermarsi di nuovi modelli culturali, di quello che Parsons aveva definito le variabili strutturali, ha sicuramente un suo richiamo nello struttural funzionalismo alla base di una visione che vede la modernizzazione come elemento innovatore dei fattori culturali all'interno di una società, trova nella teoria struttural funzionalista di Parsons la teoria che legittima in maggior misura questo tipo di visione. Dunque, che cosa accade? Abbiamo un’idea della modernizzazione che deve passare attraverso l’affermazione di modelli culturali differenti delle società considerate non modernizzate: questo è il primo punto. Si parte dal presupposto che all'interno delle società non modernizzate, in via di sviluppo sussiste una cultura che è oppositiva allo sviluppo della modernizzazione. una cultura interna alla struttura della mentalità. del comportamento. degli stili di vita che legittima tradizioni e istituzioni eccessivamente tradizionali, eccessivamente non moderne, burocratiche che non sono all'altezza della innovazione tecnologica e della modernità. Dunque, queste società sono costruite attorno ad una cultura deve essere superata, che è la causa principale del malessere del non sviluppo economico, della non moderazione. La marginalità in questa prospettiva, ossia una prospettiva analizzata dalla protezione classica attraverso la teoria struttural funzionalista, è considerata come quella struttura socio-culturale costituita dalla preminenza della famiglia nella vita civile, la preminenza della religione, dalla presenza di modelli culturali scarsamente orientati alla imprenditorialità, insomma tutti questi fattori socio culturali che normalmente definiamo legati alla cultura di appartenenza, al gruppo etnico, tutta una serie di valori che collocano l'individuo all'interno della comunità, una comunità che è preminente rispetto all’individualità. Tutti questi fattori sono considerati oppositivi alla modernità e sono alla base dell' emergere della marginalità. La marginalità, secondo questa prospettiva, è causata da fattori interni, cioè da fattori strutturali socio culturali che impediscono la modernizzazione. Vi è una prima prospettiva teorica ma anche legata alla ricerca empirica che osserva la marginalità come prodotto dell'affermazione all'interno di una società della cultura tradizionale che è oppositiva alla modernizzazione. La prospettiva strutturale della marginalità, che pone l’enfasi sulle dinamiche interne, nasce come un'analisi che considera la marginalità elemento fattore culturale di mentalità e di struttura mentale che non consente, a determinati popoli, di avviare quel processo di cambiamento e di trasformazione che dovrebbe portarli a livelli di società moderna simili a quelli dell’occidente, soprattutto a quello degli Stati Uniti. Quindi, questo processo di modernizzazione mira verso un modello specifico storicamente determinato che è quello, in generale occidentale, in particolare quello degli Stati Uniti. La modernizzazione è quel percorso che deve consentire la trasformazione delle strutture mentali di determinate aree del globo e del mondo, che non si adeguano a un determinato modello che è quello occidentale, e sono destinate, se non si adeguano, a rimanere marginali sul piano non solo culturale, ma anche economico. La prospettiva che si posiziona in un ambito critico nei confronti di una visione di questo genere è quella che pone l’enfasi sulle dinamiche esterne. Questa prospettiva nasce come reazione critica al concetto di marginalità intesa come fenomeno che è frutto del limite culturale delle strutture tradizionali e istituzionali di popoli che sono in via di sviluppo, che non si sono modernizzati e soprattutto di popoli che non si sono modernizzati in quanto non hanno ancora realizzato quel modello di società che è storicamente definito dalle società occidentali e soprattutto dagli Stati Uniti. La critica alla marginalità come fenomeno strutturale interno nasce perché non si accetta questa prospettiva, se quest'ultima considerazione che la marginalità e l'espressione del paradigma interpretativo imposto dai modelli della società degli Stati Uniti e dell’occidente, se questa è la prospettiva da cui si parte, per analizzarla, la prospettiva che invece critica la marginalità fa riferimento alla teoria dello sviluppo dipendente che si diffonde soprattutto in America Latina in funzione della critica al paradigma della modernizzazione occidentale e nord americana. In questo caso specifico la marginalità non è più analizzata come sindrome culturale che implica una serie di attitudini o comportamenti o modelli ostativi alla crescita economica, ma rappresenta, la marginalità, il prodotto della condizione di subordinazione e di dipendenza, produttiva, economico, sociale e tecnologica che i paesi in via di hanno nei confronti dei paesi egemoni, soprattutto di paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti. Al di là di una visione parziale di questa prospettiva, e anche eccessivamente ideologica, l'aspetto interessante, ai fini dell’elaborazione del concetto di marginalità, è dato dal fatto che la conoscenza scientifica delle dinamiche del sistema viene alle dinamiche culturali hanno ampiamente utilizzato le cosiddette variabili strutturali, modello cioè gli orientamenti valoriali elaborati da Parsons su come fattori che orientano il comportamento, lo stile delle persone. Le variabili strutturali rappresentano per Parsons un modello finalizzato ad analizzare le azioni dei soggetti in generale, configurandosi come uno schema applicabile a vari sotto sistemi che costituiscono, nel loro insieme, il sistema sociale. Parsons afferma che laddove si determina una situazione sociale in cui i ruoli sono diffusi, sono ereditati, sono prevalentemente legati alla famiglia di appartenenza, al clan ci troviamo di fronte ad una palese situazione di una società arretrata, in via di sviluppo e in termini diciamo più legati al nostro discorso una società marginale. Nella struttura invece, dove sono più diffusi i ruoli acquisitivi, cioè i ruoli non ascritti ma, legate alle competenze degli individui, alle loro capacità professionali, dove vi è l'affermazione un'istituzione universalistica, dove si manifesta un’autonomia dell'individuo dell'appartenenza alla famiglia, al clan e al gruppo etico, ci troviamo di fronte ad una società moderna industriale. In quest’ottica va letto il tentativo di alcuni allievi di Parsons di operativizzare, cioè tradurre in schemi operativi interpretativi nel campo empirico i modelli e le variabili strutturali per comprendere la natura della cultura di alcune società e configurarle come società dominate da orientamenti culturali che si frappongono al cambiamento e che sono avvitate all'interno di una marginalità culturale che impedisce a queste società di far nascere al proprio interno un modello di cambiamento culturale tale da determinare un processo di modernizzazione. Accanto a queste applicazioni delle variabili strutturali ci sono state altre ricerche che hanno introdotto il discorso psicologico, sul piano degli atteggiamenti e della predisposizione alla imprenditorialità, tutta una serie di aspetti che, secondo queste analisi psico sociali, non sarebbero presenti all'interno delle società non modernizzate e che rappresentano un ostacolo al loro sviluppo. In queste applicazioni successive sia della teoria parsonsiana, sia dell’analisi psicosociale nei comportamenti, troviamo tutta una serie di analisi sviluppate nel mondo rurale, la visione dicotomica duale della realtà, cioè da una parte la modernità e dall'altra la tradizione, è presente anche nell’antropologia urbana degli anni 50, negli studi di comunità che vengono sviluppati in diverse parti del mondo, nelle società rurali che vengono considerate come società opposte a quelle urbane, nelle società rurali, folk che si caratterizzano per l'isolamento sociale, per la scarsa mobilità, per la scarsa differenziazione valoriale al proprio interno, di un omogeneità valoriale della preminenza della comunità sull’individuo, tutta la serie di studi che inquadrano in termini dicotomici il rapporto tra comunità e società, in termini dicotomici il rapporto tra tradizione e modernità e tra ruralità e urbanità. Questi approcci sono stati poi anche utilizzati in Italia e anni 50 si è sviluppata una corrente di studi di comunità, soprattutto nel sud, ma non solo, tra queste un ruolo particolarmente importante viene assunto dalla ricerca di Banfield realizzata dalla metà degli anni 50 in una comunità rurale in provincia di Potenza. Il lavoro di questo politologo può essere sicuramente inscritto all'interno di una prospettiva, non solo dicotomica che oppone la dimensione rurale, la della tradizione a quella della modernità, ma anche un'analisi che orienta e trova nella dimensione culturale, quindi della presenza di valori, costumi e comportamenti, l'aspetto centrale da cui spiegare l’arretratezza e la marginalità. TEORIA DELLE DINAMICHE ESTERNE DELLA MARGINALITA’ Diversamente dagli approcci dualistici relativi alla modernizzazione che hanno incentrato la loro analisi all'interno della spiegazione, della marginalità, attraverso l'individuazione di fattori interni, endogeni essenzialmente culturali e sociali, gli approcci critici che si svilupparono in America Latina degli anni 60 70 dei confronti di questa prospettiva orientarono la loro attenzione sui fattori esogeni, esterni nel determinare le caratteristiche e le condizioni della marginalità. La specifica condizione socio economica dell’America Latina nel secondo dopoguerra rappresenta sicuramente l'humus ideale per avviare e consolidare una riflessione più attenta sulle condizioni delle masse marginali e più in generale sulle condizioni della marginalità, soprattutto urbana. Le regioni del sub continente latino-americano, in quel periodo, erano attraversati da forti tensioni sociali, da una esplosione demografica veramente rilevante, senza precedenti e soprattutto da un processo di urbanizzazione che segna il passaggio da una economia agricola rurale ad un economia urbana industriale. Questo passaggio segna anche la trasformazione di un economia di sussistenza domestica, rurale ad un'economia industriale. La situazione di over urbanization, cioè di eccessiva urbanizzazione, è specifica e caratteristica delle maggiori città latinoamericane che hanno, in quel periodo, registrato una crescita senza precedenti della popolazione e al tempo stesso senza precedenti della disoccupazione, della povertà. Si creano ai limiti esterni della città delle realtà urbane in cui si concentrano grandi masse rurali emigrate, che erano state attratte dalla aspirazione di una vita migliore all'interno di un'economia industriale e capitalistica, si trovano concentrate in queste aree ai confini della grande città, aree urbane senza infrastrutture e servizi necessari. Sono degli insediamenti che normalmente vengono definite “le periferie urbane” e assumono denominazioni diverse a seconda del contesto in cui si sviluppano: in Brasile si formano le cosiddette favelas, sono tutte aree marginali che si creano attorno alle grandi città dove vi è una rilevante concentrazione urbana di emigrati che in quelle aree non trovano lavoro, trovano povertà disagio. Sono luoghi che rappresentano un processo di non inclusione della massa emigrata e urbana, restano sostanzialmente esclusi dai processi produttivi e dal mercato del lavoro. In questo contesto, ovviamente, l'industrializzazione appare sempre più come un processo che coinvolge la classe media e lascia fuori queste masse marginali che non riescono a essere integrate all'interno del contesto urbano e produttivo. In questo contesto si sviluppa una teoria della marginalità che riconsidera il concetto di Marx di esercito industriale di riserva in chiave critica per leggere lo strutturarsi, il formarsi delle cosiddette masse marginali all'interno del contesto del continente dell’America Latina. Il punto centrale è quello di comprendere se queste manodopere eccedenti, costituite da una bassa produttività, da uno scarso livello di qualificazione orientate prevalentemente verso attività di autoconsumo, siano ancora configurabili come un esercito industriale di riserva oppure sono masse che sono completamente escluse dai meccanismi produttivi del capitalismo. Se per Marx l'esercito industriale di riserva, in generale, rappresenta un gruppo di persone non occupate o sotto occupate che sono descritte come superflue per il sistema capitalistico ma vengono poi reimpiegate nei momenti in cui il capitalismo vive un ciclo espansivo, per i neo marxisti della marginalità, questa quota di popolazione, che ripetendo, per l'esercito industriale di riserva come dice la parola sono masse che vengono incluse/escluse dal ciclo produttivo a seconda se il capitalismo vive un momento di crescita o di decrescita, queste masse invece marginali che si collocano nelle periferie urbane, secondo i neo marxisti della marginalità, in realtà, si configurano come gruppi, categorie, proprio per le caratteristiche che hanno: bassa qualificazione e orientati prevalentemente all'attività di consumo, si configurano come masse che sono non più funzionali allo sviluppo capitalistico, non servono più e quindi sono masse destinate ad essere completamente dimenticato dall'attività economica capitalistica, sono masse che sono collocate fuori dei meccanismi produttivi capitalistici. Due sono i sociologi in modo particolare che hanno coniato questo termine di massa marginale in un’ottica di rivisitazione critica dell’impostazione marxista dell’esercito industriale di riserva, questi due sono Nun e Quijano, entrambi al di là delle differenze che comunque intercorrono tra loro, si focalizzano sul problema della marginalità originata da un incremento del capitale straniero e dal processo di industrializzazione. Entrambi collocano il tema della marginalità all'interno del contesto che non è, questo contesto marginale, dovuto da cause interne, da deficit culturali, ma la marginalità è dovuta dal processo di subordinazione di imperialismo economico che vede sempre più costrette molte aree del pianeta, in modo particolare l'America Latina, ad avere una condizione di subordinazione economica e produttiva che rappresenta l’humus e rappresenta il contesto all'interno del quale si sviluppano aree marginali. Ora, la specificità del contributo di questi due autori ripetendo, pur collocandosi all'interno del filone marxista e pur rivedendo in modo critico il concetto di esercito industriale di riserva, coniugano, elaborano una diversa categoria per interpretare queste categorie di persone che si colloca in periferie senza servizi, in estrema povertà. Queste categorie di persone sostanzialmente sono il prodotto, secondo Nun, del passaggio dalla struttura capitalistica competitiva a quella monopolistica. In questo passaggio questa funzione suppletiva che svolgeva l’esercito industriale di riserva viene gradualmente ad esaurirsi, cioè non servono più questo immenso esercito come dice stesso la parola “di riserva”, cioè che viene utilizzato a seconda dei momenti di espansione o di recessione del capitalismo, non servono più queste persone e quindi queste persone vanno a costituire le masse marginali. Le masse marginali sono quindi un’immensa quantità di persone dimenticate dalla politica, dal sociale e soprattutto dal sistema capitalistico perché non sono più utili e funzionali allo sviluppo capitalistico, sono quelle masse marginali che non sono più incorporate nel processo produttivo e questa è la specificità critica del contributo che gli autori che noi abbiamo definito coloro i quali si inseriscono nella teoria delle dinamiche esterne della marginalità offrono al tema dello studio del fenomeno della marginalità in un contesto particolarmente problematico, attraversato da povertà e da espansioni urbane. Ora, il problema che si pone all'interno di questa visione critica rivolta al processo di modernizzazione classica sostenuta dallo struttural funzionalismo è un problema che, nonostante abbia questa teoria messo in evidenza quanto la marginalità sia anche dovuta ad una condizione di subordinazione che nasce dall’esterno, il problema che emerge è che l'attenzione viene posta solo su una dimensione e non prende in considerazione le molteplici dimensioni che sono concausa dell’emerge dalla marginalità. La questione è che questo approccio, per quanto sia stato critico nei confronti gli approcci struttura funzionalisti alla base del processo di modernizzazione classica, utilizza una prospettiva mono casuale: si passa sostanzialmente da una prospettiva di lettura dell'emergere della marginalità basato sullo studio della cultura a una prospettiva basata solo ed esclusivamente sulla dimensione economica. Queste due rappresenta un limite nello studio della marginalità dal momento che la marginalità è un fenomeno multi casuale, multidimensionali. All'interno di questa nuova prospettiva che cerca di individuare più fattori che sono causa dell’emerge dalla marginalità dobbiamo inserire le altre due teorie molto importanti: la prima è quella del Desal e poi lo sviluppo della complessa analisi che viene proposta da Gino Germani. IL DESAL E LA TEORIA DELLA PARTECIPAZIONE DELLA MARGINALITA’ caratterizzati da una scarsa organizzazione sociale, sono caratterizzati da un alto tasso di disgregazione sociale che non consente la costruzione di un azione comune. Il problema della disgregazione interna dei gruppi marginali e la mancanza di qualsiasi forma di organizzazione, porta questi gruppi a non essere coesi al proprio interno, a non avere coscienza storica e sociale della loro condizione e dunque porta questi gruppi marginali a non organizzarsi tra loro per rispondere ai bisogni fondamentali e generare un processo di emancipazione. Un altro importante criterio, che poi è connesso al primo, cioè connesso alla difficoltà di organizzarsi perché questi gruppi marginali sono disgregati, non hanno una forte coesione sociale interna, non hanno una visione comune, quest’altro criterio riguarda il fatto che, secondo il gruppo del Desal, la marginalità richiama la radicalità e la globalità che coinvolge il soggetto marginale. Che cosa significa? Si tratta, secondo il gruppo del Desal, di una condizione socio economica e culturale qualitativamente, oltre che quantitativamente, distinta dalle categorie sociali, quali gli operai o le classi più basse, in quanto, la condizione del gruppo marginale si colloca fuori del sistema sociale, come un'out cast : da una parte, nella radicalità, in quanto riguarda il coinvolgimento dell'intera persona all'interno di questa condizione di marginalità e dall'altra riguarda globalmente il gruppo, cioè sono realtà, quelle marginali, che non hanno niente a che vedere con la condizione di vulnerabilità sociale, di disagio sociale della classe operaia o delle classi in difficoltà economica, perché queste realtà si caratterizza per il fatto, secondo il Desal, che si colgono fuori dal sistema sociale e talmente radicata e talmente incancrenita la situazione economica sociale di questi gruppi che non hanno nessun rapporto con il sistema sociale, sono sostanzialmente quelle masse marginali di cui parlano gli autori come Nun e Quijano, sottolineano che sono realtà assolutamente dimenticate dal sistema sociale. Questa posizione, tuttavia, non è condivisa da Germani, in quanto, trascura la natura multidimensionale della marginalità e soprattutto il fatto che la situazione della marginalità presuppone l'esistenza di una certa forma di appartenenza o di una certa relazione del gruppo marginale con qualche segmento della società. In altre parole, Germani è critico rispetto ad una visione che colloca la marginalità all'interno di una realtà completamente fuori dal sistema sociale perché i gruppi marginali, per quanto possano essere marginali, tuttavia, sia perché serve, sia perché comunque riescono ad intrattenere in forma diretta o indiretta, costruiscono una relazione o più relazioni con diversi segmenti della realtà sociale o del sistema sociale. Detto altrimenti, secondo Germani i gruppi marginali possono essere tali rispetto ad alcuni sistemi, alcuni segmenti della società, ma possono essere o possono vivere una parziale integrazione con altri sistemi della società. Per questo egli rifiuta questa visione radicale e globale dell’esclusione totale del gruppo marginale dal sistema sociale. PREMESSE ALLO STUDIO DELLA MARGINALITA’: IL CONTRIBUTO DI GERMANI Affrontiamo ora il contributo di Gino Germani alla marginalità. Esso rappresenta la quarta teoria che si sviluppa all'interno del contesto latino- americano. Chi è Gino Germani? È un sociologo Italo-argentino, nasce a Roma il 4 febbraio del 1911 e muore a Roma il 2 ottobre del 1979. Germani emigra in Argentina, è considerato la figura più importante della sociologia dell’America Latina, sviluppa importanti progetti di ricerca a livello internazionale, insegna ad Harvard e poi ritorna in Italia e fonda il dipartimento di sociologia a Napoli. La sociologia di Germani, anche se spesso viene collocata nell'ambito del filone dello struttural funzionalismo, è una sociologia in cui confluiscono diversi orientamenti teorici da Durkheim a Weber a Marx. Gino Germani sviluppa importanti campi di ricerca che riguardano la modernizzazione, la secolarizzazione, il totalitarismo, l’urbanizzazione e sviluppa anche un filone di ricerca e che è comunque connesso al tema generale della motorizzazione che riguarda il concetto di marginalità. La teoria di Gino Germani rappresenta un contributo originale, non solo per aver connesso il tema della marginalità alla modernizzazione ma anche perché rappresenta un maturo e inedito apporto teorico al tema della marginalità. Le analisi, che prima di Germani si sono sviluppate attorno al tema della marginalità, sono state spesso contraddistinte da frammentarietà e raramente hanno saputo costruire un carattere interpretativo generale e soprattutto capace di essere applicato nell’analisi della realtà empirica. Ai fini dello sviluppo della riflessione in merito al rapporto tra marginalità, mutamento e modernizzazione per comprendere meglio il concetto e il paradigma sviluppato da Gino Germani è opportuno introdurre linee generali teoriche di Germani. Innanzitutto, nella prospettiva di Germani la marginalità è considerata come un preciso fenomeno che emerge con la modernità, la marginalità è strutturalmente connessa alla modernità, la marginalità così come noi la concepiamo è un fenomeno congiunto all’emergere della struttura moderna. In particolare, secondo Germani, la marginalità risulta lo sviluppo del consolidamento a livello formale dei diritti civili, sociali e politici e soprattutto di tutta una serie di principi, in modo particolare il principio dell'uguaglianza, che ha mobilitato masse di persone (rurali e immigrate) da questa aspirazione a voler essere inserito nel contesto della modernità perché è un ambito in cui si annunciano l’affermazione di diritti egualitari, di diritti civili e politici, queste masse, tuttavia, nonostante si mobilitano per essere integrate una parte cospicua di loro rimane fuori dal contesto della modernità. Questo è il primo punto su cui riflettere in merito a che cosa è la modernità, qual è il concetto di modernità che sta alla base della teoria di Gino Germani, su cui egli inserisce il tema della marginalità. In secondo luogo, è importante parlare della marginalità perché si configura come un vero e proprio paradigma in cui è ben visibile un livello descrittivo e un livello esplicativo, un livello dell'analisi che è volto a descrivere la realtà marginale ma è anche un paradigma in cui ci sono le riflessioni in merito alle cause e viene inquadrato questo paradigma della marginalità anche all'interno di una visione multi dimensionale. Questa impostazione teorica si presenta di un certo interesse per due motivi: innanzitutto perché conserva ancora una buona capacità descrittiva, esplicativa del fenomeno; in secondo luogo, perché presenta un alto grado di flessibilità che può consentire ai ricercatori di modificarlo re-articolarlo, questo paradigma, in funzione dei mutamenti delle trasformazioni presenti nella società. In virtù di tali caratteristiche, riteniamo che il paradigma sviluppato della marginalità da Germani si mostra applicabile alla società moderna, si mostra capace di comprendere i mutamenti, le diseguaglianze, la asincronia che caratterizzano la nostra società moderna. Il contributo di Germani in merito alla modernizzazione si presenta fondamentale per comprendere il tema della marginalità. Nell’opera più importante di Germani “Sociologia della Modernizzazione” vengono tratteggiati, in qualche modo, le linee interpretative del suo concetto di modernizzazione, esso è connesso a tutta una serie di altri sotto concetti altrettanto importanti quali quello dell’urbanizzazione, della mobilitazione, delle masse, quello dell’élite e anche tutta una serie di riflessioni di natura psicosociale legato al comportamento delle persone. Rispetto alla modernizzazione, Germani sviluppa due atteggiamenti analitici i quali non risultano mai dissociati tra loro e all'unisono confluiscono all'interno di una delle più interessanti analisi scientifiche maturate all'interno di questa tematica. Nel suo lavoro è facile notare come da una parte sia presente un orientamento favorevole alla modernizzazione, Germani ritiene che questo processo ha rinnovato le basi arcaiche delle società, ha introdotto nuovi processi tecnologici produttivi, ma ha anche favorito l'affermazione dei nuovi diritti, l’estensione della libertà, della partecipazione, dell’integrazione, quindi, la modernizzazione che spinge le società arcaiche verso nuove forme di società più democratiche, aperte Germani ritiene che sia un processo che da quel punto di vista è un processo positivo. Tuttavia, nonostante questa attenzione che Germani dedica positivamente al processo di modernizzazione a differenza, ad esempio, dei teorici neo marxisti dello sviluppo dipendente che invece erano molto critici, radicalmente critici nei confronti della modernizzazione capitalistica, nonostante Germani abbia questo atteggiamento positivo nei confronti del processo di modernizzazione, è anche consapevole che questo processo di modernizzazione non è lineare, non è progressivo, presenta al proprio interno tutta una serie di dinamiche asincroniche, una serie di contraddizioni, di disfunzioni che contraddistinguono il processo della modernizzazione e pesano soprattutto all'interno dei paesi che ancora sono in via di sviluppo. L'interpretazione che Germani ci offre del processo di modernizzazione, a differenza della prospettiva sia della modernizzazione classica, sia dello sviluppo dipendentista neomarxista, è una prospettiva scientifica che cerca di essere scevra di pregiudizi ideologici e si basa prevalentemente su un’analisi scientifica della realtà, descrivendo il più possibile, spiegando il fenomeno il più possibile attraverso un approccio sociologico scientifico. Nella teoria della modernizzazione di Germani confluiscono diversi approcci. Hanno avuto diverso peso autori come Durkheim, ma anche la scuola di Chicago con Thomas, l’apporto importante di Mannheim, non di second ordine dobbiamo anche riconosce l'importanza dello struttural funzionalismo o l’approccio dipendentista marxista. Germani è un eclettico, fa confluire anche teorie non sociologiche, attinge molto a Freud e in modo particolare alla lettura che fa Erich Fromm sulla libertà e sul tema dell'autoritarismo. Dunque, Germani costruisce un impianto teorico molto creativo, eclettico, difficilmente collocabile nel dibattito di allora tra posizioni opposte tra di loro, un impianto teorico volto a conoscere la realtà e in modo laico faceva confluire nel proprio impianto teorico diverse teorie anche ideologicamente differenti. Nel modello della modernizzazione, Germani mette in evidenza come le società moderne sono costantemente segnate da processi di disorganizzazione sociale, di asincronie che sono il prodotto della tensione tra l'espansione (espansione verso l'autonomia del soggetto, verso estensione di partecipazione eccetera) della cosiddetta e la necessità, al tempo stesso, di conservare un nucleo valoriale di fondo su cui agganciare questa espansione alla individualità e alla libertà. Germani evidenza la preoccupazione che il processo di modernizzazione possa spingere eccessivamente l'individuo a sganciarsi da qualsiasi riferimento culturale, valoriale e comunitario e pone al centro di un processo di modernizzazione più equilibrato la questione della necessità che in tutte le società moderne si conservi un nucleo valoriale, comunitario a cui tutti i cittadini anche se hanno raggiunto un certo livello di individualità si rifanno, si identificano e non vivono questo processo pericolosissimo di sganciamento che porta al disorientamento, all’alienazione, ad una società nel suo insieme a trovarsi in una condizione di non orientarsi più, questo è un punto importante, quando la società non riesce più a trovare un nucleo valoriale che sta alla base di un sentire comune, Germani ritiene che sia una società fortemente attraversata da crisi che possono generare fenomeni di regressione sociale antidemocratiche. si è caratterizzata per essere eccessivamente intrisa di giudizi di valore. In termini generali, la visione dicotomica è stata utilizzata per giudicare tutto ciò che è tradizionale come negativo e opposto al moderno, questo ha comportato un giudizio di valore negativo rispetto a tutte le società che non avevano i caratteri, secondo questa prospettiva, della società moderna e considerarle come le cosiddette società in via di sviluppo o peggio ancora, sottosviluppate. La visione dicotomica, dunque, ha sostanzialmente acuito una visione eccessivamente etnocentrica, euro centrica ed ha fornito un giudizio eccessivamente negativo del rapporto intercorrente tra tradizione e modernità. Questo è un altro aspetto molto importante che Germani evidenzia nel suo lavoro “Sociologia della Modernizzazione”, un aspetto che Germani sottolinea come centrale nell’analisi di una visione della modernizzazione e anche della modernità che non esclude al proprio interno il riemergere di forme di struttura tradizionale. Il rapporto tra modernità e tradizione non deve essere interpretato in termini esclusivi, cioè non deve essere interpretato come un rapporto in cui si concepisce l’affermazione della modernità come quel processo che porta alla scomparsa di tutte le strutture tradizionali. Germani sottolinea che questo non è assolutamente vero, anzi auspica che nel processo di modernizzazione, che è un percorso di transizione verso la modernità, si possa recuperare elementi tradizionali che non sono affatto ostativi, inibitori dell' affermazione della società moderna, anzi, a volte elementi tradizionali combinati con modelli moderni possono consentire lo sviluppo di un processo di modernizzazione verso una società moderna più equilibrata in cui elementi di solidarietà, aspetti culturali e valoriali della società tradizionale possono riversarsi nei modelli comportamentali e strutturali e istituzionali e farle funzionare meglio nelle società moderne. Il secondo aspetto è chiamato secolarizzazione. Secondo Germani è il motore della modernizzazione, è il motore della società moderna, la società moderna non può non essere secolarizzata. Germani sottolinea che il processo di secolarizzazione è un concetto prettamente sociologico ed è costituito da tre aspetti molto importanti:  Il primo aspetto riguarda la trasformazione dell’azione, del comportamento, dell'agire. L’affermazione della società moderna, il passaggio da una società tradizionale ad una società moderna, comporta la trasformazione dell’azione da un'azione prescrittiva ad un azione elettiva. Nelle società tradizionali sussiste l’azione prescrittiva che è regolata da un sistema normativo che regola rigidamente il comportamento delle persone. Dal passaggio da una società tradizionale ad una moderna, gradualmente, l'azione prescrittiva perde di importanza e si afferma un nuovo tipo di azione che è quella elettiva. Il sistema normativo elettivo è un sistema normativo che enfatizza la scelta, regola le possibilità di scelte, non è un sistema normativo tradizionale ereditato dalla cultura tradizionale che prescrive l'azione del comportamento di un individuo all'interno di un unico percorso sociale, piuttosto è un tipo di sistema normativo che esalta la vocazione, l'autorealizzazione e la scelta. Questo sistema normativo è alla base della società moderna, è alla base dell' mergere della progettualità individuale, è alla base dell'emergere di quel generale processo che più recentemente è stato definito processo di individualizzazione, cioè un processo in cui sempre più il soggetto moderno è fautore della propria vita, progetto il suo percorso di vita all'interno di un sistema normativo che esalta questa scelta. Questo aspetto secondo Germania ha dei limiti, perché il sistema elettivo non può spingersi oltre una certa misura, la libertà della scelta non può essere estesa oltre un certo limite, altrimenti questa libertà, questa enfasi sulla scelta e sulla progettualità della propria vita da un percorso che esalta l’individualità porta o può portare ad un percorso o a una realtà in cui vi è esaltazione dell’individuo che assume aspetti e forme dell'individualismo moderno, iper individualizzato e narcisista. Una forma eccessiva dell’azione elettiva che si sgancia da un sistema normativo che deve comunque regolare l'azione, anche all'interno di sistemi e valori condivisi, questo tipo di percorso secondo Germani è un percorso molto pericoloso che attraversa la società moderna e può produrre o può comportare forme nuove di asincronie, forme nuove di regressione sociale anche democratiche e rappresenta uno degli aspetti che può alimentare la marginalità. Questo è il primo elemento del processo di secolarizzazione.  Il secondo elemento del processo di secolarizzazione è legato alla trasformazione del tempo. Nelle società tradizionali tutto ciò che innova, tutto ciò che è nuovo, che si inserisce in un modo differente all'interno di una cultura statica, viene considerato come patologico e deviante. L'innovazione non è vista bene, quello che viene visto e viene esaltato è lo status quo. È una società che esalta il passato, non il futuro, esalta la ripetitività dell'azione e dei modelli culturali, non l'innovazione. È nella società moderna che l'innovazione assume un valore centrale al punto tale che caratterizza la società moderna. La società moderna non può non essere innovativa e questo è un altro aspetto molto importante del processo di modernizzazione che deve essere alimentato, sostiene Germani, in quanto rappresenta un aspetto caratteristico della società moderna, ma al tempo stesso questo processo di innovazione se enfatizzato oltre misura si sgancia dalla realtà e trasforma tutto in un n presentismo, in una forma culturale di comportamento che assomiglia molto al consumismo: consumare innovazione e continuamente. Questa è l'altra faccia della medaglia del processo di modernizzazione basato sull’innovazione.  Il terzo aspetto che caratterizza la secolarizzazione secondo Germani è il processo di differenziazione. Le società tradizionali sono società scarsamente differenziate, meno complesse, mentre le società moderne proprio perché nell'evoluzione della società moderna verso organizzazioni produttive più complesse c'è bisogno di una alto grado, un alto tasso di specializzazione, di differenziazione per farle funzionare. Il terzo punto è il processo di asincronia. Germani rivolge la sua attenzione alle conseguenze sociali di questo processo di modernizzazione. Quindi il terzo aspetto analitico risulta strettamente collegato al tema della marginalità. Si fa molto chiaro nell’autore l’intenzione di affrontare le disfunzioni generale dal cambiamento e studiare anche le relative conseguenze. In questa analisi assume un ruolo centrale il concetto di asincronia e di mobilitazione. Per quanto riguarda il concetto di asincronia, Germani identifica questa asincronie che si producono per effetto di un processo di modernizzazione che non porta ad armonizzare tutti i segmenti che compongono la società. È un processo di asincronia che comporta, invece, una simmetria nello sviluppo dei sotto sistemi sociali che compongono il sistema sociale. Non tutti questi sotto sistemi economico, culturale, politico ma non solo anche a livello più micro, anche a livello di comportamento delle persone si sviluppano nello stesso modo e nella stessa forma. È interessante rilevare che il fenomeno della asincronia costituisce una realtà complessa, secondo Germani, in quanto, oltre a una distinzione in parte o settori, implica l'uso analitico simultaneo, e questo è un aspetto importante, della dimensione culturale, sociale e motivazionale. È necessario interpretare le asincronie come un fenomeno che coinvolge sia la struttura totale, il sistema sociale totale, sia diverse dimensioni a livello meso e micro. In quest’ottica le differenti forme che le asincronie possono assumere vanno inquadrate come parte simultanea e molteplici di un fenomeno complesso, possiamo identificare quattro forme di asincronia. Vi è un’asincronia geografica, istituzionale, tra diversi gruppi sociali e motivazionale. L’asincronia geografica configura un processo di modernizzazione che si origina e si consolida, non solo in epoche diverse, ma anche in uno stesso paese. Pensate l’asincronia nello sviluppo tra nord e sud Italia. L’asincronia istituzionale si riferisce, invece, a quella situazione sociale e culturale nella quale si registra la presenza contestuale di istituzioni sia moderne, sia tradizionali, sia in un medesimo territorio, sia in medesima società. Poi vi è l’asincronia tra diversi gruppi sociali che indica la coesistenza di gruppi sociali che appartengono a fasi evolutive e culturali differenti. In un determinato territorio può sussistere la compresenza di gruppi sociali che esprimono culture, quindi mentalità, visione del mondo e comportamenti, differenti tra loro. Infine, vi è l’asincronia motivazionale che, non solo è implicita dei punti precedenti, quindi è un tipo di asincronia già presente nelle asincronie che abbiamo spiegato, ma è un tipo di asincronia che riguarda la mentalità delle persone. Il processo di modernizzazione non avviene necessariamente nello stesso modo producendo contemporaneamente la stessa mentalità tra i membri di una società, a livello psicologico può sussistere sia nella persona, sia tra le persone set di atteggiamenti e convinzioni ambivalenti che da una parte si riferiscono a comportamenti culturali della società tradizionale e dall'altra quella moderna. Questo è un aspetto molto importante che determina uno squilibrio, è un disagio sociale per quanto riguarda il comportamento delle singole persone. Un altro accenno va fatto al concetto di mobilitazione. È un concetto che caratterizza tutto il processo di modernizzazione secondo Germani, in quanto viene considerato la causa determinante della transizione dalla società tradizionale a quella moderna. Esso consiste nella disintegrazione, nella disgiuntura dalle strutture pre-esistenti: cioè gruppi di persone che si slegano, si sganciano dalle strutture precedenti, cioè dalle strutture tradizionali, in virtù dell' affermazione della società moderna. Quindi si rendono disponibili, “desiderosi” di poter essere integrati nella società moderna e quindi ciò produce una mobilitazione che va verso il desiderio e verso il bisogno di essere re-integrati in una nuova struttura sociale. È in questo punto che Germani individua un'altra possibilità di creazione della marginalità. Tutto quello che noi abbiamo detto fino adesso in merito all’approccio dicotomico, in merito al processo di secolarizzazione, all’asincronia, sono aspetti che sono estremamente importanti per poter leggere la modernità in relazione alla marginalità. La modernità, per Germani, ha due facce: ha una faccia legata all’affermazione dell’azione elettiva, che si basa sul fatto che l'individuo è spinto a scegliere, la sua vita non è prescritta dalla tradizione, è un tipo di società, quella moderna, secondo Germani in cui l'innovazione, la ricerca scientifica, la trasformazione creativa della realtà è fondamentale, è uno dei motori centrali del benessere del progresso. È un tipo di società organizzata, complessa, ma questo è un tipo di società che ha al proprio interno, contrariamente a quello che pensavo ai teorici della modernizzazione classica, ma nella realtà dello studio della ricerca, questi due momenti sono strettamente correlati. Il livello descrittivo descrive il contesto in cui fenomeno si sviluppa, descrive il fenomeno, ma nella descrizione del fenomeno della marginalità, ovviamente, vi è già, in embrione, alcuni elementi esplicativi, una buona descrizione di un quartiere marginale è già un primo passo verso l'individuazione, l'identificazione di temi e problemi, questioni e ipotesi che possono essere utilizzate nella fase esplicativa. Dunque, questo a dimostrare che i due momenti, quello descrittivo del fenomeno della marginalità, ma in generale di tutti i fenomeni sociali, sono alla base della formazione di ipotesi casuali, di spiegazione interpretative del fenomeno. La fase esplicativa è la fase in cui si domanda il sociologo quali sono i fattori esplicativi, quali sono le variabili interpretative causali che sono alla base dell’emergere del fenomeno, quindi è una riflessione eziologica sulle cause dell’emergere in un determinato contesto. La teoria della marginalità di Gino Germani si caratterizza proprio per avere al proprio interno chiaramente esplicitato un livello descrittivo e a livello esplicativo. Se noi volessimo seguire la teoria di medio raggio sulla marginalità di Gino Germani dovremmo, nel momento in cui abbiamo la possibilità di applicarla nella realtà, seguire questa logica: descrivere il fenomeno e poi spiegarlo, ovviamente attraverso l’impostazione teorica da qui Germani fa discendere la sua teoria, la sua spiegazione questo. Quindi questo è il primo punto importante da cui partire. Nel livello descrittivo c'è un momento molto importante dello sviluppo della marginalità di Germani, che è quello del problema della definizione. Il sociologo, secondo Germani, si deve, prima di avviarsi a sviluppare un'analisi empirica, porre il problema di definire bene il concetto che intende analizzare, definire bene che cosa si intende per marginalità, la definizione non è semplicemente un esercizio definitorio fine a se stesso, la definizione del concetto di marginalità in Germani è strettamente legata alla sua teoria. Avere una definizione chiara significa avere a monte, di tale definizione, una teoria che la spiega. La definizione del concetto di marginalità è strettamente collegata alla teoria della modernizzazione. In particolare, il fenomeno della marginalità, secondo Gino Germani, emerge per effetto del carattere a sincronico e diseguale, paradossale, insito nel processo di modernizzazione, è necessario ai fini di un chiarimento logico, metodologico è necessario fornire un'operazione il più possibile chiara del concetto e di marginalità. Germani definisce la marginalità come la mancanza di partecipazione degli individui e dei gruppi in quella sfera in cui, secondo determinati criteri, ci si può aspettare che essi partecipano. In questa definizione è molto chiaro il tema che Germani pone in evidenza. Esso è quello che noi abbiamo, in qualche modo, introdotto nelle lezioni precedenti. È la questione della possibilità che gruppi, prima marginali collegati ad una struttura tradizionale, vengono spinti dal processo di modernizzazione a partecipare, ma per effetto del processo asincronico, molti di questi gruppi non riescono a essere re- integrati nel processo di cambiamento e di trasformazione che abbiamo definito modernizzazione. Dunque, il tema della mancanza di partecipazione di questi gruppi di individui è un tema molto legato ai limiti sociali e strutturali che si frappongono alla partecipazione, che significa per Germani “partecipare”? Significa poter usufruire dei diritti sociali, civili e politici che sono stati legittimati dall'avanzamento della modernità. Inoltre, partecipazione significa, secondo Germani, poter esprimere attraverso l'acquisizione di determinati ruoli: il ruolo lavorativo, il ruolo professionale, il ruolo di studente, di questi di questi diritti. I ruoli, secondo Germani, sono l'espressione dei diritti, sono alla base dell'affermazione di un sistema normativo che afferma che i soggetti moderni, i gruppi moderni, sono espressione di diritti civili, sociali e politici. Quindi i ruoli sono l'espressione concreta dell’affermazione dei diritti. I ruoli possono essere di natura diversa, gli individui possono vivere diversi ruoli, si può vivere il ruolo in contemporanea di professionista e di formatore, di genitore e di lavoratore, ora, i ruoli sono, secondo Germani, quelli che sono stabiliti da una determinata società. La mancanza di partecipazione a determinati ruoli-diritti sono, in realtà, quei ruoli e quei diritti legittimati, da una società, previsti da una società, quindi non sono diritti che legittimano ruoli astratti, ma sono diritti che legittimano ruoli concreti: il ruolo da studente, ruolo di lavoratore, ruolo di cittadino che può esprimere la sua visione politica, quindi sono ruoli concreti legittimati da diritti all'interno di specifiche società, non sono ruoli astratti. La mancanza di partecipazione, l'assenza di risorse soggettive e oggettive, quindi sia sul piano cognitivo, sul piano della formazione, sia sul piano del possesso di risorse economiche e sociali, che impediscono ai soggetti o ai gruppi generale di poter esprimere, di poter vivere i ruoli previsti dal sistema normativo della società in cui egli appartengono. La mancanza di partecipazione spinge questi soggetti in un area marginale, in un'area in cui sono stati rilegati e che non consente loro di poter concretamente vivere i ruoli che sono stati legittimati dal sistema normativo: regole, norme e valori presenti all'interno della società di cui loro, solo formalmente, sono cittadini. La teoria della modernizzazione di Germani è concettualizzata come un processo storico, ben definito, attraversato da processi asincroni. Allorquando si creano queste asincronie (che si basano sulla difficoltà di integrare contestualmente varie parti della società): di tipo istituzionale, tra gruppi differenti, all'interno dell'individuo e soprattutto quando poi sono associate al processo di mobilitazione, che è insito nell’avanzamento della modernità, determina, in termini generali, il contesto in cui si esprime la marginalità, che si manifesta dunque nel fatto che questi gruppi, inseriti in questo discorso di modernizzazione asincronica, non sono in grado di poter partecipare e diventano masse marginali. Esse possono essere utilizzate, manipolate in diverso modo, sia sul piano economico, sia sul piano politico, sociale. Da qui, secondo Germani, potrebbe emergere il populismo, così come nuove forme di regressione di autoritarismo. Quello che è importante sottolineare è che Germani, in primo luogo, definisce la marginalità in termini di teoria di medio raggio, in secondo luogo, all'interno del paradigma della marginalità, distingue un livello descrittivo e un livello esplicativo, che non sono due livelli distinti, ma sono interrelati, in terzo luogo Germani si pone il problema della definizione della marginalità come assenza di partecipazione di individuo e gruppi a determinati ruoli che rappresentano i diritti in uno specifico contesto sociale. La mancanza di partecipazione di questi soggetti, in quarto luogo, è collegata al tema più generale della modernizzazione come fenomeno asincronico.
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