Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La scuola può fare molto ma non può fare tutto, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto completo del libro, per esame di pedagogia della scuola

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 29/06/2022

Nicole41273
Nicole41273 🇮🇹

4.5

(11)

24 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La scuola può fare molto ma non può fare tutto e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! La scuola può fare molto ma non può fare tutto. - MARIANI Educare: ex-ducere, trarre fuori dal soggetto, sottintende che già questi sia qualcosa. La base di ogni relazione educativa e il fondamento della costruzione di una personalità equilibrata poggiano sul costrutto della "accettazione incondizionata"; ma la conferma della persona e del suo valore intrinseco, che vengono portati alla luce dall'educazione, non può prescindere dalla necessità che tale dato costitutivo per realizzarsi pienamente debba prendere forma attraverso una "sintonizzazione" tra le istanze individuali e quelle sociali: ed ecco la complementare necessità di formazione, di un intervento che aiuti il soggetto a conquistarsi una propria personale configurazione. 1.1 Educare vs formare. Per famiglia e scuola, responsabili della crescita delle nuove generazioni si continua ad utilizzare il termine educazione; per gli altri ambiti, nei quali i soggetti in genere adulti dovrebbero crescere e imparare si preferisce utilizzare il termine formazione. Il termine formazione sembra presentarsi come neutrale, pare garantire scientificità e concretezza positiva. a) Per alcuni la formazione fa cadere l'accento sull'apprendimento di abilità specifiche o su precisi obiettivi di cambiamento dei soggetti nei contesti organizzativi: essa, pertanto, sottolineerebbe principalmente alcuni aspetti tecnici e settoriali dei processi educativi. b) Altro discorso è quello relativo al concetto di Bildung, non è semplice tradurre questo termine ma è più vicino al concetto dell'educazione permanente come progressiva acquisizione attraverso l'accesso alla cultura, della forma che è propria e unica per ciascuno. Alla prima accezione si riferiscono i mondi non-pedagogici che avendo scoperto il potenziale investimento che si profila attraverso la manipolazione del capitale umano, inseguono i piccoli business/budget economici e mentali: accanto agli interventi seri per la prosecuzione degli studi, proliferano corsi, master e specializzazioni. La seconda avvicina la formazione all'educazione: l'accostamento dei due termini è utile per ribadire le finalità dell'intero processo e svolge funzioni di rafforzamento di un significato che si ritiene perduto rispetto all'intenzione originaria; la formazione educativa deve recuperare l'idealità connessa con la migliore tradizione pedagogica quanto l'educazione formativa deve assumere processualità meno indeterminate e retoriche. Dunque, due concezioni distanti tra loro raccolte sotto lo stesso termine che ha radici antiche: il nodo della questione risale infatti al concetto di forma. Mentre in alcuni contesti questa richiama qualcosa di esterno (forma/contenuto, forma/sostanza), il tema aristotelico di forma indica perfezionamento ed è tipicamente interno. L'ottica multa se si intende per forma una sorta di involucro esteriore da sovrapporre alla materia originaria o se il dare forma viene inteso nel senso di liberare una struttura. In entrambi i casi il problema è quello della realizzazione di un soggetto rispetto alla sua destinazione originaria. Di fatto in ambito scolastico per formazione si intende l'acquisizione integrale dei fondamenti della cultura o di alcune aree fondamentali della cultura e della personalità. Deve risultare chiara la distinzione tra educazione e addestramento, tra forma interiore da far emergere e forma esteriore che come uno stampo cloni individui identici a chi li ha preceduti. Nella formazione prevarrebbero le esigenze del contesto cui piegarsi accettandone e perseguendone gli obiettivi (imposti nei sistemi totalitari, pena la violenza, o proposti nei sistemi democratici, pena l'esclusione); nell'educazione prevarrebbero le esigenze uniche, individuali e irripetibili del soggetto che, in quanto persona, non dovrebbe mai essere chiamato a pagare quel che riceve: nessun obiettivo, anche ed un cattivo-formativo, deve mai essere perseguito a tutti i costi. Ci sono anche proposte più che invitano ad una pedagogia della resistenza al fine di opporsi all'espropriazione e colonizzazione con le armi della ragione, affinando gli strumenti della conoscenza e della partecipazione. Adottare una simile "antenna pedagogica" significa essere testardamente fiduciosi nella possibilità di non permettere che altri trasformino il mondo in un carcere senza sbarre e senza via di uscita. Sono nettamente identificabili e soprattutto disgiungibili dei livelli di formazione in sequenza gerarchica, tale distinzione si identifica nella famosa formula che sintetizzerebbe i livelli perseguibili, e cioè "sapere, saper fare e sta per essere" (campo cognitivo, psicomotorio- socioaffettivo o relazionale e campo valoriale-ontologico); non si ha l'una senza l'altra, così come non è possibile essere senza sapere o fare qualcosa. È da tempo assodato che non si dia educazione senza istruzione, e viceversa. L'ottimo: preordinare l'obiettivo rispetto al soggetto in modo immodificabile; ottimale: preordinare il soggetto ad un obiettivo adattabile purchè funzionale. In entrambi i casi la rigidità e la flessibilità sono pagate dai soggetti, piegati in modo dichiarato o informale a finalità esterne. In sè l'espressione formazione finisce per essere quasi un termine vuoto che assume significato secondo premesse filosofiche e orientamenti di fondo che andrebbero sempre esplicitati. Alla formazione attribuiamo valenze di risposta alle esigenze di crescita professionale e culturale all'interno di contesti organizzati; formare è una delle possibili attività educative che gioca sull'incrocio tra la disponibilità al cambiamento da parte del soggetto e la possibilità di cambiamento da parte dell'organizzazione. L'educazione invece continua a riproporre instancabilmente l'attenzione al soggetto in formazione intendendo con quest'ultima espressione doppiare il concetto discusso nelle sue due componenti di forma scelta e perseguita in virtù di azione di un soggetto che subisce e si adegua ma non solo subisce e non sempre si adegua. Tutto il pensiero dell'uomo sull'uomo concorre alla delineazione di ciò che con l'educazione si vuol portare alla luce e con la formazione si vuol portare a compimento. 1. Il centro dell'educazione è la persona 2. l'intervento dell'educatore non è imposizione ma proposta e secondo la teoria della "zona disviluppo prossimale" è un aiuto in cui il soggetto prende possesso di strumenti che gli consentono il pescaggio In risorse sempre più vaste; se il contesto fornisce strumenti e risorse, la zona di sviluppo amplia tale base e ad un soggetto educato si insegna a diramare le radici in tutte le direzioni 3. educazione è condivisione, perché tutti hanno il diritto-dovere di ricevere e di restituire ad altri quel che è necessario, tutti sono al contempo educatore ed educati 4. educazione è scelta tra alternative bipolari di per sé valide, ma non sempre e non per tutti 5. educare è arte o scienza? prima l’una, condizione necessaria ma non sufficiente, poi l'altra 6. importanza delle motivazioni 7. mantenere viva la speranza pedagogica, soprattutto nel tempo anche a dispetto degli scarsi riscontri dei risultati raggiunti 8. obiettivo dell’educando è quello di maturare uscendo dalla dipendenza e dall’opposizione siamo convinti che l'uomo è "programmato per non essere programmato". L'idea di forma resta ma con le caratteristiche di un sistema, un'unità complessa e organizzata che muta col mutare dei singoli elementi; ma l'esito di tale mutamento può essere di qualunque segno, positivo o negativo, sia che di educazione o di formazione si tratti. Per questo è necessario non rinunciare all'intenzionalità educativa, quanto piuttosto sostituire all'intenzionalità istituzionale e informale l'intenzionalità del soggetto; occorre cioè che tale soggettiva predisposizione pedagogica venga liberata e quindi formata. 1.2 Apprendere dal fare o educare attraverso l’esperienza? Formazione per esperienza si ha ogni qual volta il soggetto incontra qualcosa per lui rilevante e si realizza una "trans-formazione”. Alcuni sottolineano la potenza formatrice dell'evento che spezzando la continuità del corso dell'esistenza diventa "formatore di forme" e questo non soltanto alla nascita ma per tutto il corso dell'esistenza del soggetto. Invece l'idea dell'evento che produce perturbazione, induce al cambiamento, quindi la formazione lascia aperta sia l'ipotesi di una soluzione adattiva stimolata dall'esterno sia la necessità di una ristrutturazione attivata a difesa dell'essere soggettivo. Nel primo caso ci riferiamo al compito dell'educazione formale che seleziona e regolamenta le sollecitazioni casuali scoordinate con operazioni di filtraggio e di fissaggio; nel secondo caso, a fronte del peso quantitativo e suggestivo dell'informale, è indispensabile considerare che esiste un limite soggettivo di tolleranza delle perturbazioni sopportate dai diversi individui e, quindi, che non tutto è formativo. La formazione   di una concatenazione di eventi speciali, ma non di tutti gli eventi: il soggetto non trae spunto per il proprio cambiamento da tutte le comunicazione di massa, producono fenomeni di espropriazione, oltre che di emarginazione, sempre meglio occultati. Per indicare metaforicamente i due principali approcci formativi facciamo riferimento alle professioni esercitate dai genitori di Socrate: la madre levatrice è diventata il simbolo di un’educazione rispettosa del soggetto che estrae la sua realizzazione e compiutezza aiutando nella nascita; il padre scultore invece può essere immagine di una pedagogia sottrattiva, del soggetto in evoluzione tutto lo scarto, gli ostacoli, gli impedimenti che bloccano l'emergere della figura nascosta (compito dell'educatore); dove altri trovano solo materia inerte, l'artista- educatore vede in ciascun soggetto, pur se ancora grezzo, una futura opera d'arte. L'educazione informale è l'insieme delle esperienze culturalmente determinati in base alle quali gli individui organizzano la propria concezione di sè stessi, degli altri e del modo in cui vivono; deve costituirsi di significati personali e interindividuali. Solo all'interpretazione di ciò che accade alla luce del significato che gli attribuisce la radice culturale e l'attribuzione di una direzione cosciente grazie ad una sensibilizzata antenna pedagogica costituisce la differenza tra l'evento fine a se stesso e l'opportunità fornita dai momenti di formazione non istituzionalizzata. Solo l'apertura ad una conversazione con le generazioni che precedono e che seguono favorisce il dialogo, il confronto, la comunicazione con gli altri: il mondo della cultura passa attraverso l'esperienza ma non può essere accolto che attraverso l'interpretazione da parte di una comunità di soggetti in interazione. Capitolo 2. L’educazione: a casa e a scuola. Le ricerche indicano come gli interventi attivi prima e fuori dall'aula siano più determinanti di quelli scolastici nell'impostare le condizioni del successo e della soddisfazione scolastica di un individuo; e sappiamo che i fattori sono anche i meno influenzabili da un sistema sociale che intende favorire la formazione per tutti. Il livello di apprendimento aumenta con l'aumento della quantità e qualità dell'insegnamento ma anche le disposizioni generali dei docenti sono importanti per il soggetto in formazione. È nota la duplicità del compito formativo: condurre agli obiettivi a tutti i costi o privilegiare una scuola stile rastrellamento del fieno e mettere tutti nel medesimo mucchio? ci sono orientamenti che interpretano l'alternativa come un AUT-AUT. Ci sono i pastori e ci sono i maestri. I pastori sono gli insegnanti che tengono la classe come un gregge e stanno attenti che tutte le pecore ci siano e li seguano, ai pastori non importa niente dove si arriva, tanto non devono andare da nessuna parte: l'importante è tenere insieme il gregge. Il maestro invece è uno che insegna quel che sa che deve insegnare, e chi lo segue bene e chi non lo segue non importa. La sua strada è lunga e difficile e quindi non può distrarsi; il rischio è che può capitargli di arrivare solo alla meta e questo gli dispiacerebbe. Bisogna ricordare che esiste anche il VEL-VEL : prima l'uno, poi l'altro. L'insegnante deve "lasciare il segno", di cultura e di formazione; poi si cede il testimone ad altri per proseguire e arrivare alla meta: non ultimo al soggetto stesso (l’alunno) a cui in età adulta, vien chiesto di assumere il ruolo di protagonista della propria formazione. L'apparato istituzionale e burocratico prima era rigido e formale e perdeva i ragazzi per intenzionale esclusione, ora è diventato così aperto da perdere i ragazzi per non-inclusione. Anche i docenti, singolarmente o come categoria, possono adottare inconsapevolmente modalità educative aggressive che provocano danni psicologici (disadattamento) o sofferenze (disagio) negli studenti. Anche in assenza di violenza fisica è possibile bloccare, distorcere o distruggere nei propri studenti lo sviluppo positivo del senso di identità, dell'autostima e della fiducia, della costruzione di competenze, conoscenze e abilità. La realtà di queste situazioni oggettivamente negative non deve però indurci a conclusioni affrettate; può essere che ad atteggiamenti apatici dello studente l'insegnante reagisca con antipatia anzichè con empatia. Abbiamo preso spunto per un’analisi del rapporto studenti-docenti da un romanzo sulla scuola che finisce per distruggere all'opinione pubblica quel poco di credibilità che ancora gli insegnanti possono salvaguardare nella propria professione. Occorre attivarsi pedagogicamente per contribuire a far superare gli svantaggi di partenza e se non sempre si potrà concludere un ciclo scolastico con un happy end almeno ci si chieda se si sia fatto tutto quel che si poteva. Elemento cruciale dello scontro tra istanze individuali (benessere psicosociale) e vincoli istituzionali (obiettivi educativi e di apprendimento) è il rapporto con le norme nel momento in cui ci si incontra/scontra con le regole imposte dagli adulti. Ad un incremento delle reazioni anomale contribuisce anche la coatta tolleranza delle stesse, dovuta al fatto che la scuola reagisce alla violazione di regole con sanzioni disciplinari scarsamente utili. Oggi le trasformazioni della realtà scolastica e studentesca sono vissute dagli insegnanti come degenerative e non evolutive e i docenti valutano positivamente solo il piano relazionale-comunicativo con gli alunni, ma occorre notare che è proprio questo l'elemento che viene indicato dagli alunni come il maggiore deficit. È come se lo studente chiedesse "motivami" e l'insegnante rispondesse "motivami a motivarti". Manca la capacità di "tenuta" dell'adulto che si evidenzia nel non sapersi porre come punto di riferimento attraverso il dialogo ma anche la fermezza; l'accoglienza non intrusiva ma anche la competenza professionale e disciplinare. Gli adulti provano il disagio di non sapere bene come interpretare il proprio ruolo nei confronti dei giovani; questo può portare a: non sapere cosa fare (gli strumenti concettuali e operativi del passato non funzionano e i nuovi non sono ancora stati messi a punto); non voler fare per paura del rischio e della fatica di intervenire; super-fare (eccessivo coinvolgimento affettivo che maschera il non aver chiaro come si dovrebbe intervenire). A chi dovrebbe aver presente la meta e i mezzi per raggiungervi viene sostituito un principio in sè valido ma controproducente che serve solo a mascherare l'inettitudine degli adulti: ciascun individuo è inviolabile e ciascuno deve essere protagonista del proprio destino. Questo noto come protagonismo del soggetto viene spesso invocato ed è tutto proiettato sul vitalismo del singolo e sulla sua realizzazione solo individuale. L'educazione deve fare i conti con una speranza strategica e non con un ingenuo ottimismo che ritiene sia sufficiente lasciar fare perché il meglio emerga: occorre aver ben presente che esiste il problema della qualità del protagonismo, perché i risultati siano apprezzabili per tutti non è sufficiente che il minore decida da sè. I bambini e i giovani hanno bisogno di percepire una tenuta educativa dell'adulto; a casa e a scuola questo concetto e il processo di "contenimento" passa non solo attraverso gli spazi emotivi della mente, ma per tutt'altro ordine di fini e strumenti che hanno a che fare con il senso e il significato degli interventi e delle astensioni (motivazioni, spiegazioni). La "teoria delle micro-fratture" sostiene che il disagio è costituito da molti elementi anche insignificanti, se visti singolarmente, ma che possono determinare una situazione difficilmente componibile in un unico contenitore di spiegazioni semplici. Per vedere queste fratture invisibili all'origine occorre avere occhi ai raggi X.: gli occhi dell'attenzione pedagogica e della speranza educativa. Il problema, allora, è certamente professionale e, parzialmente, interno alla scuola. Ma le coordinate culturali, le aspettative e le sinergie non si costruiscono solo all'interno delle aule; qualcosa è cambiato anche fuori dalle mura scolastiche. È a casa che si possono creare i “buoni” alunni. Lo status genitoriale è destrutturato dalla caduta della loro funzione simbolica, culturale e relazionale. Cambiano le figure genitoriali e le relazioni educative tra casa e scuola. Per essere buoni padri-madri non sono sufficienti competenze innate o capacità naturali. Il ruolo di genitore è tra i più difficili ed è quello al quale sono legate le maggiori aspettative: la realizzazione del figlio diventa spesso la realizzazione di se stessi nel figlio. Al genitore post-moderno è stato insegnato che il suo stile educativo "fa la differenza", non tanto per quel che predica ma per quel che fa e che è. La difficoltà dell'essere genitori oggi è dovuta all'apparente antinomia tra l'irrinunciabile principio di autorità nei confronti dei minori e l'attuale clima culturale che esalta l'autodeterminazione nel bene e nel male. Concetto di "competenza" genitoriale: giudizio sulla persona attraverso la valutazione di una sua presunta adeguatezza/incompetenza nel rispondere alle aspettative sociali. In ciò consiste il pregiudizio ideologico, che mai dovrebbe avere cittadinanza in educazione; che vengono descritti come neutri e scientificamente provati i comportamenti corretti da tenere e si criticano le prescrizioni di principi di riferimento i quali ne orientano le scelte. Ritorna, sotto altre spoglie, lo scoglio del "dover essere". Dunque ciascuno si deve comportare come meglio crede? in parte si: nella famiglia la relazione genitore-figli funziona come un ecosistema i cui elementi sono strettamente interdipendenti e si regge su equilibri originali e unici che non dovrebbero essere di forza ma di desiderio. Ovviamente no: esistono comunque e questi errori, concessioni vengono pagati cari, in prima istanza dei figli che non ricevono ciò di cui ha bisogno un soggetto non ancora autonomo, ma anche i genitori che non raccoglieranno quel che hanno seminato e che si troverannocon delle relazioni insoddisfacenti con i figli. Troppo e troppo poco. Ipotesi: se la madre deve essere sufficientemente buona il padre deve essere sufficientemente presente, e viceversa. Perchè si possa perseguire l'equilibrio tra un rapporto di estrema vicinanza qual è quello familiare, affinchè sia di sostegno materiale ed emotivo, e di accurata lontananza, affinchè sia rispettoso di tutte le persone presenti al suo interno, è necessario che alcuni eccessi di distacco/freddezza e di collusione/dipendenza affettiva vengano evitati e denunciati. a) ci sono i troppo-genitori. La presenza invadente: l'eccessiva chiarezza è accecante e paralizzante e i bambini con genitori gloriosi o troppo presenti possono risultare alienati da una identificazione forzata, dove l'immaginazione e l’autorealizzazione sono proibite o molto difficili. L'esempio di madri e padri che non propongono esemplarità dalla quale trarre spunto, ma obbligo di misurarsi con grandezze incommensurabili costringono il figlio alla cecità circa il proprio valore. La violenza: la forza dell'adulto nei confronti dei minori non sono mancati e non sono stati ascoltati; b) ci sono i non-genitori. La mancanza: a partire da quelli che sono impossibilitati ad esserci, perchè defunti. Il silenzio: alcuni genitori tacciono perchè delegano l'educazione del figlio al coniuge o ad altri, salvo poi a 14 anni e oltre ricordarsi di avere un figlio grande di cui andare orgogliosi e pretendere di riallacciare un rapporto. L'astensione: altri genitori, soprattutto negli ultimi tre decenni, si auto-limitano negli interventi educativi diretti al figlio per rispettarne la libertà in una sorta di "eccesso di rispetto", rispettare il figlio non significa annullare il compito genitoriale. c) ci sono padri e madri che vorrebbero fare i genitori, ma non sanno più come. I genitori di oggi vengono definiti come molto attenti (preoccupati) ma poco attivi: passato il tempo di un rapporto giocato sulla normatività senza amore, oggi è rimasto l'amore senza norma. Alcuni genitori sono alla ricerca di indicazioni e riferimenti per poter essere un riferimento per i figli. La problematica continua ad essere il tema del controllo, il problema del reciproco intersecarsi di autorità e libertà, la questione della delicata proporzione tra il mostrare affetto ed essere esigenti, tra le regole del convivere civile e le non-regole di un gruppo primario, ecc. La questione correttamente posta non dovrebbe consistere in "cosa devo fare?" per essere un buon genitore ma piuttosto "come devo essere per..?". Per concludere nel rapporto casa/scuola occorre l'obbligo di stigmatizzare la totale sfiducia da parte dei genitori nelle possibilità di educazione nella scuola: in tutti i casi la scuola viene ritenuta responsabile non di ciò che le compete ma di ciò che nessuno riesce più a dare ai ragazzi. E qui, fiducia, impegno, entusiasmo, cc dovrebbero essere i prerequisiti dell'accesso alla cultura; invece, oggi si pretende che siano l'esito della frequenza scolastica. Il grado di riuscita scolastica e di soddisfazione personale è funzione della coerenza tra le aspettative e le risposte percepite a tali attese. I rapporti tra casa e scuola. Nessuno resta solo di fronte al difficile compito di crescere dei bambini e degli adolescenti, concentriamoci sull'interazione tra questi due soggetti come si sono storicamente caratterizzati negli ultimi decenni; sempre più spesso si constata l'esistenza di una diffusa incomprensione reciproca all'interno di quella meta-agenzia formativa chiamata scuola- famiglia. È facile descrivere la sintomatologia dei rapporti conflittuali odierni tra docenti e genitori; altrettanto scontato è l'effetto negativo su figli-alunni dei rapporti tesi od ostili tra educatori che invece di coordinarsi si scontrano. A casa e a scuola oggi sono attivi atteggiamenti ed aspettative nei confronti dell'istruzione e dell'educazione e dei fini/luoghi/mezzi collegati ad esse così differenti tra loro da confliggere inevitabilmente, i problemi nella scuola non sono solo della scuola. Un tempo c'era un patto tra adulti, quando famiglie scuola erano coerentemente orientate ad un comune progetto educativo e genitori ed insegnanti non si sentivano affatto colpevoli nel proporre un ambiente formativo ed esigente. Quando si pensava alla scuola come ad un luogo importante per la propulsore e di rimorchio spetta alternativamente all'uno e all'altro; come ogni membro-istituzione la scuola deve concorrere ad assicurare un'unità e coerenza all'assetto sociale. -la scuola in ritardo rispetto alla società: per quanto veloce sia la società, nulla può fare la scuola per raggiungerla, la scuola rimarrà sempre indietro. È noto il tentativo di portare la società nella scuola; si auspica un'integrazione organica anzichè meccanica. La scuola è la società, e viceversa. Scaturita dal terreno positivista del secondo Ottocento la riflessione storico-educativa e sociologica di Emile Durkheim parte dal presupposto che la socializzazione metodica delle nuove generazioni, che spetterebbe alla scuola, deve essere funzionale alla struttura sociale incarnata in credente e in riduzioni, tradizioni e opinioni proprie di ciascun periodo storico e della classe che le esprime. La scuola come risposta ai bisogni sociali e morali concorrerà al mantenimento dell'ordine conformando l'individuo agli ideali collettivi nel ruolo più adatto alla propria integrazione e alla stabilizzazione della società. Il problema più assillante del periodo è preservare innanzitutto l'ordine, a dispetto delle trasformazioni del primo Novecento. L'integrazione fra essere biologico e sociale può trovare resistenza, ma spetta al contesto sociale la costrizione di chi non riesce ad armonizzare in se stesso l’autonomia della volontà e senso della disciplina: l'abnegazione al gruppo sociale di appartenenza viene auspicata come libera sottomissione ma in caso mancasse perché non sia stata modellata l'attitudine individuale alle funzioni sociali, la ragione individuale deve piegarsi alla ragione sociale. Secondo Talcott Parsons l'integrazione tra i diversi sistemi è necessaria e possibile sollecitando un lealismo su scala gerarchica per cui l'interesse generale prevale rispetto alle collettività particolari cui l'individuo appartiene. Alla società come alla scuola competono le quattro funzioni tese ad equilibrare i tre sistemi: sociale, culturale e personale. Integrazione tra le parti, mantenimento dei modelli culturali, realizzazione dei fini collettivi, adattamento al mondo fisico. Parsons analizzando sia la società, sia la scuola sia fino alla classe scolastica non va oltre i due scopi di integrazione e riproduzione. La socializzazione attribuita come esito dell'esperienza scolastica emancipa il ragazzo dalla dipendenza emozionale dalla famiglia promuovendo interiorizzazione di valori e norme sociali più ampie, ma interviene anche con funzioni selettive. Per Dewey prevale l'esigenza di costruire un'identità americana a partire da storie e vicende diverse tra loro ma senza trasmettere e mantenere una tradizione comune. La coscienza e l'educazione sono i due cavalli di battaglia dell'attivismo dewyano. La società è l'insieme delle esperienze di ciascuno. Superando le tradizionali pratiche dell'insegnamento, si innesca un ottimistico miglioramento della qualità dell'esistenza, in primis quella politica attraverso la partecipazione democratica. In estrema sintesi, centrale è la società, obiettivo degli autori considerati è di affrontare e risolvere il problema del consenso in contesti sociali tendenzialmente ad alto tasso di differenziazione; la scuola sarebbe servita allo scopo di assicurare la riproduzione dell'ordine sociale esistente. 3.2 La scuola "disinteressata". Nei primi decenni del Novecento si oppone un'impostazione condivisa da quanti erano convinti che la scuola dovesse conservare le caratteristiche di luogo disinteressato di formazione. La politica scolastica di Gentile rispecchia il principio che i fini educativi non possono confondersi con lo sviluppo psicologico o con l'ordine sociale ma sono orientati al disciplinamento dell'intelletto e della volontà. Secondo l'idealismo l'uomo come essere spirituale crea se stesso inserendosi nella tradizione culturale che raccoglie il meglio dell’attività spirituale dell’umanità. La libertà del soggetto non è individualistica ma si sviluppa creativamente nella scia di quanti hanno preceduto riconoscendo sia l'universalità dello Spirito sia le istituzioni atte a trasmettere la fiaccola del sapere umano perché le nuove generazioni la portino avanti per un tratto partecipando proprio oltre al lavoro di ricerca. Centrale è la figura del maestro che incarna per il discepolo l'ideale in una esemplarità che nulla ha a che vedere con l’esemplarismo di chi produce copie di se stesso. Il tema   ripreso in tempi più recenti con la proposta di "testimonianze" nella quale gli insegnanti-educatori uniscono alla competenza professionale l'onestà intellettuale e la disponibilità all'ascolto. 3.3 La scuola in conflitto. Dagli anni Cinquanta-Sessanta ha fine "l'innocenza della pedagogia". L'ottimismo e le realizzazioni educativo-scolastiche tra la metà dell’Ottocento e la fine della Seconda guerra mondiale si scontrano con la realtà: il progresso ha generato benessere ma non solo, anche ben organizzati orrori; la diffusione della scolarizzazione ha portato materialmente tutti a scuola ma solo questo, con scarsi risultati di emancipazione e promozione sociale. Le critiche serrate della Scuola di Francoforte in tema di disuguaglianze e stratificazioni sociali, il conflitto di Ismo alla base delle dinamiche sociali, la mono-dimensionalità dell'uomo che finisce per identificare la propria anima nelle merci, la contestazione del totalitarismo, conformismo, omologazione, tutto concorre ad un attacco alla scuola come "apparato ideologico dello Stato" mediante il quale viene garantita la sottomissione nelle dittature ma anche nelle democrazie delle società a capitalismo maturo. Le istituzioni autoritarie, famiglia e scuola in testa, possono ancora trasformarsi in luoghi a forte carico di emancipazione dei soggetti a patto che pedagogia e politica si alleino sia nelle soluzioni più radicali e utopiche sia nel riformare dall'interno e gradualmente il sistema. Al centro c’è ancora l'influenza dell'ambiente, da condurre ad una sorta di determinismo sociologico altrettanto controproducente. 3.4 La scuola del soggetto e della persona. Un aspetto dell'attivismo è quello che lega il processo educativo con l’acquisizione della psicologia, che pongono al centro dell'apprendimento alle abilità, i sensi, gli interessi e la motivazione. Questo vale per tutti i modelli centrati sull'alunno tra i quali si possono distinguere nettamente quelli impostati sulle teorie dell'apprendimento di volta in volta considerate e quelli afferenti ad una teoria personalistica dell'educazione e della scuola. Per quanto riguarda la declinazione del neutro soggetto in persona, tale passaggio in parte si compie in linea con la centralità del soggetto, in parte se ne distacca perchè la persona è il criterio ultimo e non solo primo della formazione. La psicologia e tutta la post-modernità in crisi di riferimenti tende a caricare sulle spalle dei singoli scelte e responsabilità a monte di quale ci sia proposta formativa e a scaricare sui medesimi le colpe di eventuali insuccessi. La proposta del personalismo introduce la componente spirituale trascendente della tradizione cristiana e ribadisce la priorità dell'impegno educativo, contro le derive naturalistiche della formazione che si attivano ogni volta che le conoscenze di tappe o fasi dello sviluppo del soggetto inducono erroneamente il genitore o l'insegnante a posizione "attendista”: l'eccesso di rispetto per il figlio/studente non è positiva considerazione della sua unicità e dell’unicità del suo destino e dei suoi ritmi di realizzazione. Spesso diventa venerazione o peggio delega a chi deve essere formato della direzione della propria esistenza. In questo senso il personalismo nega la possibilità di un’educazione neutrale. L'educazione permanente è possibile e oltre gli anni iniziali di tirocinio intellettuale, umano e comunitario, a casa e a scuola, il resto dell'esistenza possa trascorrere a contatto con istituzioni, esperienze e risorse più o meno informali dai quali trarre opportunità per il proprio personale cammino di umanizzazione e realizzazione in tutte le proprie dimensioni. Ancora si oscilla tra gli estremi altalenanti di un pendolarismo che segue mutamenti economici e socio-culturali. Capitolo 4. La scuola: disagi di ieri e di oggi. Quando ci si occupa di educazione si sfiora qualcosa di grande e gli accenni sono sempre brevi rispetto al tema, devono esserlo per rispetto del lettore. Per sintetizzare alcune tematiche utili a chi si accosta per la prima volta alla complessità dell'educazione formale prendiamo spunto dal commento ad un romanzo (Mastrocola, 2004), un romanzo di s-formazione che insieme ad altre opere simili grava pesantemente le opinioni nei confronti della scuola, già facilmente negative. Ci viene proposto un esempio di scuola negativa e Gaspare lo studente modello che vi entra si trasforma in un giovane disadattato. L'idea forte che scorre fra le righe è unica "gli studenti sarebbero buoni se la scuola cattiva non li rovinasse". L'ipotesi principale della vicenda applicata a studenti e scuola può essere articolata in 3 sotto-ipotesi: * gli studenti buoni provengono da un ambiente sano che vuole andare a scuola. Nel romanzo i genitori del giovane fanno sacrifici per far studiare il figlio e si attendono un futuro professionale; seguono da lontano questo ragazzo. La scuola della posta, descritta e auspicata dal padre era la scuola selettiva nella quale pochi aspiravano ad entrare ma una volta superati gli ostacoli ci sarebbero state soddisfazioni personali e sociali. * Gli studenti sono buoni se incontrano un buon mentore; * Gli studenti buoni che frequentano non riescono a stare bene a scuola, soffrono e ne escono distrutti. La prima considerazione che riguarda la scuola investe il problema della frequenza scolastica: è opportuno e doveroso che tutti possano andare a scuola. Il problema della dispersione scolastica (evasione o interruzione dell'obbligo) ha una lunga storia. Quando l'accedere al possesso degli strumenti culturali era un privilegio "i dispersi" erano coloro che non avrebbero neppure potuto pensare di potervi aspirare e le loro potenzialità finivano sprecate, ma per chi entrava nelle aule la riuscita scolastica era sufficiente per dare inizio alla risalita della scala sociale: una scala mobile dove una volta ottenuto il posto la progressione era automatica. Nel secolo XIX l'impegno dello Stato sancisce il diritto e l'obbligo di ciascuno all'istruzione e avviene l'ingresso di li nella scuola; però tanti venivano selezionati, scartati e a breve tempo nuovamente dispersi, ne uscivano emarginati, e poiché espulsi, risultavano anche marchiati come incapaci o stupidi. Dalla metà del XX secolo si incomincia a tentare di innalzare il numero di anni di scolarizzazione però questo non sempre ha portato i frutti sperati e in breve tempo. La realizzazione della scuola di "massa" non può evitare che la scoperta dello svantaggio socioeconomico-culturale quale causa principale degli insuccessi/abbandoni scolastici tenga banco concretamente nelle aule e teoricamente nelle riflessioni pedagogiche: la fine dell'innocenza della pedagogia coincide con la critica ad un sistema che solo formalmente apriva i propri cancelli ai figli di tutti. Don Milani poteva affermare, concludendo negli anni Sessanta da sua denuncia di una scuola che "è come un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati", la scuola ha un solo problema, i ragazzi che (dis)perde. Nel tempo, grazie ad alcuni periodi di relativo benessere i deficit socioculturali sono più difficili da affrontare rispetto a quelli finanziari soprattutto se la scuola, permanendo inalterata la sua struttura istituzionale, nella quale la stratificazione sociale veniva confermata anzichè superata, non riesce a compensare le carenze iniziali degli studenti e a superare l'egemonia della cultura e dei valori delle classi medio-alte. Infatti nonostante le lotte e i programmi per le pari opportunità, le trasformazioni risultano marginali quanto ad esiti. La scuola, oggi, dunque non ha solo il problema dei ragazzi che perde. Certo esiste ancora chi abbandona gli studi a causa di insuccessi scolastici e la dispersione; ma la scuola non perde solo chi se ne va, molto più spesso oggi l'esclusione si mimetizza rendendosi evidente solo attraverso una complessa sofferenza formativa (insuccessi scolastici, malessere psicologico, scarso apprendimento). È una sorta di dispersione sommersa. La selezione esercitata dai docenti viene dunque sostituita dalla dispersione, termine molto più morbido che sarebbe formalmente innescata dalla libera decisione dello studente; ma per molti, è ancora da considerarsi patologia del sistema da evitare e non responsabilità individuale da sanzionare. Ci si trova ancora a dover escogitare soluzioni per tutti e tre gli obiettivi (frequentare la scuola, frequentarla con successo e senza disagio) non è più solo a livello nazionale/sociale ma individuale alternando e integrando le macro-soluzioni istituzionali e i micro interventi educativi: ancora esistono evasioni dell'obbligo e di interruzione degli studi, si tratta di individuare le zone e le categorie a rischio e di agire miratamente sui soggetti, ma anche sulla cultura di riferimento dei gruppi sociali considerati. Ancora esistono situazioni di formare adempimento dell'obbligo, soprattutto negli anni in cui non esiste quasi alternativa alla custodia dei minori. Se prima la selezione era il compito di una istituzione chiusa che doveva tutelare la propria qualità in ingresso per poter garantire la qualità in uscita, ora la dispersione è l'esito di una istituzione che si è aperta consentendo l'ingresso a tutti ma non è ancora in grado di evitare un'auto-esclusione alimentare. La selezione attraverso bocciatura prima degli anni 70 era auspicata come provvedimento garante della qualità del sistema scolastico tramite espulsione dei non adatti e come regolazione del sistema che da rigido (tempo fisso/obiettivi fissi) tendeva ad introdurre la ripetizione dell'anno, consentendo di prolungare il tempo necessario ad alcuni soggetti per perseguire i medesimi obiettivi di tutti gli altri: la bocciatura era considerata fisiologica e salutare. Oggi le modificazioni del sistema hanno trasformato una scuola rigidamente strutturata in un socializzanti, professionali e le pratiche di trasmissione dei valori della collettività. Dei secondi fanno parte l'assolvimento dell'obbligo scolastico, la custodia dei minori, l'acquisizione di requisiti formali per l'accesso al lavoro e poi comprensione e sviluppo della propria personalità. È noto l'ampliarsi progressivo delle funzioni attribuite all'educazione formale e la delusione nel rispondere a tutte le domande degli studenti, famiglie e della società. Le attribuzioni delegate alla scuola sono sterminate nell'ambito sia degli apprendimenti (sapere e saper fare) sia affettivo-relazionale (come ci si sente e come ci si comporta con gli altri). Molte discussioni su cosa si intenda per garanzia del diritto allo studio, per accesso all'istruzione e alla cultura, per formazione disinteressata/generale o addestramento funzionale/professionale, ecc fondono non solo gli addetti ai lavori ma anche gli utenti che: non sanno più bene cosa aspettarsi dalla scuola; avanzano richieste inesauribili, variabili nel tempo e anche in contraddizione tra loro. In tutti i casi la perturbazione che si instaura è legata alla mancata coincidenza tra le aspirazioni (ciò che si vuole raggiungere) e i risultati; ma anche tra le aspettative (ciò che mi spetta) e ciò che si percepisce venga fornito. Il disagio è creato dalla percezione di non possedere strumenti adeguati a ciò. È nell'incontro tra le aspettative personali e gli obiettivi sociali e istituzionali che si gioca la lettura delle cause dei fenomeni più recenti e nella ricerca delle soluzioni per il futuro. Capitolo 5. L’insegnante ideale alla prova dei modelli. Antico è il maestro, mentre l'educatore-insegnante è moderno. Nei confronti del primo esiste la possibilità di scelta: il maestro, sia in oriente sia in Occidente, sceglie i propri discepoli e a sua volta ne è scelto in un libero rapporto di fiducia a termine. L'insegnante nasce insieme allo scolaro universale e il rapporto diretto e personale si trasforma all'interno della struttura scolastica. Consideriamo la nascita dell'insegnante solo a partire dal momento in cui sia possibile connettere la funzione docente con il suo più saldo fondamento educativo, e cioè il principio che tutti possano imparare. Non sempre parlare di insegnamento garantisce che si stia trattando anche di vera educazione, che è tale solo nel momento in cui è per tutti. Un unico handicap accomuna la maggior parte dei modelli storici della figura docente: l'educazione non è di tutti, alcuni ne sono ancora esclusi: poveri, donne, handicappati, ecc. Alcune categorie generali: Gli anni 80 mostrano una figura di insegnante ancora perfettamente in crisi. La crisi motivazionale dilaga e una delle vie d'uscita sembra rivelare non tanto il miglioramento della qualità o dell'efficienza dell'educazione e della scuola, quanto la possibilità di trovare nell'insegnamento una propria individuale autorealizzazione. Ecco allora l'insegnante è "specializzato". Lo specialista gode di maggior prestigio nei confronti del collega generico e sembra detentore di un notevole potere decisionale, dovuto alla maggiore visibilità immediata della propria efficacia professionale. Il moltiplicarsi di figure docenti specializzate finisce per condurre ad un’ulteriore chiusura che non sono più le singole aule ma una pseudo-professione regolamentata da burocrati. Infatti la specializzazione consente un aumento del controllo nel proprio piccolo orticello ma a prezzo di un drastico restringimento del campo dell'intervento. Per rispondere ai problemi dell'insegnamento una delle soluzioni può consistere nel fornirsi di strumenti sempre più sofisticati. Il problema richiede da parte dell'insegnante chiarezza di idee, padronanza delle tecniche, disponibilità al confronto, preparazione professionale e culturale, ma soprattutto competenze storiche scientifiche e critiche per cogliere le dinamiche anche a lungo termine dei fenomeni e dei rapporti educativi. L'atteggiamento scientifico dell'insegnante ricercatore non si ricava dalla quantità dei dati elaborati, conta l'acquisizione di una forma mentis sviluppando l'equivalente educativo dell'occhio clinico, cioè l'occhio pedagogico che sa rendere evidente a sè e agli altri quello che fa e soprattutto perchè lo fa. Questa capacità di distanziamento e di riflessione rigorosa conduce sicuramente alla formazione di buoni ricercatori-insegnanti ma riguarda un numero ridotto di docenti. Il ricercatore- insegnante lascia il posto all'insegnante ricercatore che gioca la sua maturità professionale sulla sistematicità ma che sa giocare anche la carta della improvvisazione. C'è la necessità di un’insegnante che sia in grado di esercitare una improvvisazione ben pianificata, questa capacità è indispensabile al docente per gestire situazioni. Il docente creativo non è automaticamente il buon insegnante: necessita di una lunga formazione, teorica e pratica, scientifica e creativa prima di essere in grado di far esprimere lo studente. Insegnante interattivo: oggi le competenze relazionali risultano fondamentali e queste si possono imparare e si devono insegnare. Tutta l'educazione indiretta propone una figura docente che si avvicina di più al concetto di tutor che a quello di docente. L'insegnante guru viene facilmente assimilato ad un modello orientale di saggezza e di rapporto maestro/discepolo. Si consigliano approcci specifici per raggiungere l’armonia con se stessi, atteggiamenti equilibrati, controllo della mente e maggiore consapevolezza. L'insegnante guru non possiede i suoi studenti in competizione o in conflitto con il processo di maturazione dell'alunno stesso che costringe il maestro ad annullarsi. L'insegnante manager. Pur riconoscendo al docente il compito di prendere decisioni, confida che questo avvenga all'interno di un range di strategie fornite dalla ricerca altrui. All'insegnante resta da gestirne l'applicazione e giungere al problem solving. L'insegnante stratega: l'insegnante finisce per essere chi seduce e vince gli studenti se pur con buona grazia. L'insegnante pratico-riflessivo. La proposta   di Schon e intende mediare tra chi improvvisa per restare fedele alla pertinenza e chi privilegia il rigore scientifico rispetto alla contestualizzazione. Presentiamo alcuni esempi di criteri utilizzati nella identificazione di tipologie dei docenti da analizzare. Nella prima ricerca proposta fra le tante i due indicatori dell'efficienza professionale utilizzati sono: l'impegno-coinvolgimento dell'insegnante e la sua capacità di pensiero astratto. L'impegno fa riferimento non solo ad un generico e velleitario desiderio di intervento ma anche a precisi tempi, sforzi ed energia dedicati al miglioramento delle proprie prestazioni. Nel momento in cui l'insegnante si rende conto di riuscire a gestire principali aspetti della funzione docente, è disponibile ad interessarsi e ad impegnarsi per migliorare i livelli di apprendimento e di relazione con gli studenti. In seguito, il docente spinge lo sguardo oltre la propria classe e si impegna nei confronti dei colleghi, della scuola o della professione in generale. Per quanto riguarda la capacità di pensiero astratto viene ritenuto un parametro significativo in quanto il possesso di tale abilità ad un elevato livello garantisce una maggiore flessibilità e consente di fronteggiare positivamente la complessità delle situazioni educative. Uno scarso livello di pensiero astratto invece conduce spesso alla ripetizione di un limitato numero di risposte e alla definizione di incompleti piani d'azione. Livelli di pensiero astratto: BASSO: percepisce i problemi in modo confuso, non sa cosa si può fare, adotta una risposta abituale per tutti i problemi; MODERATO: è in grado di definire un problema, riesce ad elaborare una o due risposte, ha problemi nel coordinare i piani di intervento; ALTO: vedo i problemi da più punti di vista, ed elabora più piani alternativi. L'incrocio di queste due variabili (impegno-coinvolgimento e pensiero astratto) può offrire indicazioni relative ad una tipologia quadripartita della figura docente. -Il docente minimale. Possiede un basso livello di coinvolgimento/impegno e di astrazione; è scarsamente motivato all'acquisizione di nuove competenze, e soddisfatto della routine quotidiana. Le cause delle difficoltà vengono attribuite ad altri, soprattutto agli studenti ed all’organizzazione scolastica; arriva al lavoro esattamente in orario e lascia la scuola non appena sia ufficialmente possibile. -Il docente entusiasta. Ha un alto livello di impegno ma scarsa capacità di astrazione, è entusiasta, attivo e pieno di buone intenzioni. Desidera diventare un insegnante migliore ed instaura significative relazioni interpersonali con gli studenti. Lavora molto e lascia la scuola carico di compiti da portare a termine a casa; si impegna in più e svariati progetti, crea spesso confusione e si scoraggia presto. -Il docente analitico-osservatore. Scarsamente motivato e coinvolto, ma con un buon livello di astrazione, è intelligente e sempre pieno di buone idee; affronta e discute con chiarezza i problemi, programma anche dettagliati progetti. Sa che cosa è necessario fare, ma non ha né l'interesse né la voglia di dedicare tempo ed energie per portare a termine progetti. -Il docente-professionista. Possiede in grado elevato entrambi gli indicatori utilizzati. Sempre impegnato nel miglioramento della propria attività, del rendimento degli studenti e del funzionamento della scuola, affronta tempestivamente i problemi prendendo in considerazione a procederne attivi, scegliendo razionalmente, elaborando e realizzando adeguati piani d'azione. È considerato dai colleghi un leader al quale rivolgersi per chiedere aiuto. Spesso gli insegnanti appartengono ad un "quadrante" in una fase della propria carriera e poi cambiano. Nessun docente è simile ad un altro e nessuno è sempre uguale a se stesso. Esiste un divario tra i ruoli idealmente attribuiti all'insegnante e le condizioni reali: L'insegnamento- occupazione è in crisi per la "fuga dei talenti" dalla scuola. Insegnamento-produzione è sotto accusa considerando il rapporto costi-risultati degli ultimi decenni. L'insegnamento-professione stenta a decollare tra demotivazione e interventi parziali e scollegati. Elementi di crisi: a) l'insegnamento-occupazione: l'insegnamento in quanto attività lavorativa ha destato l'interesse soprattutto nelle analisi sociologiche e registra una serie di connotazioni negative che sono state interpretate come cause della fuga dei talenti dalla scuola negli ultimi vent'anni. Sul versante dell'occupazione un insegnante si troverebbe dal punto di vista economico-sociale a dover affrontare i problemi legati ad un ruolo ritenuto non-produttivo e di conseguenza marginale e dal punto di vista culturale a dover vivere in uno status intermedio tra la ricerca e la trasmissione del sapere, tra il mondo ideale e quello reale, tra la vita adulta quella dell'infanzia/adolescenza. b) La produttività: dal punto di vista dell'organizzazione sociale è altrettanto importante l'oggettiva competenza e produttività della scuola e dei suoi operatori. Non è facile quantificare il rendimento degli studenti e controllare tutti i fattori che influenzano l'apprendimento e la maturazione. c) Il disagio e l'ansia: l'insegnamento è uno dei compiti più complessi, se non lo si intende come la vera trasmissione di informazioni, e impegnativo dal punto di vista intellettuale, in quanto momento nel quale anche la propria maturità personale viene messa alla prova. Più l'insegnante si rende esplicito e pubblico e più risulta vulnerabile nei confronti dell'ansia. Se un elevato livello di ansia facilita i compiti più semplici ed esecutivi, ostacola quelli più complessi. d) La demotivazione: l'insegnamento è spesso una progressione costante e stressante. Accanto ai fattori esterni della crisi motivazionale agiscono molti fattori interni, personali e professionali. Uno degli handicap professionali è il limitato senso di auto-stima e di fiducia nelle proprie capacità e possibilità di avere successo. Tale senso di efficacia ha origine da fattori legati alla peculiarità della professione: la mancanza di indicatori univoci e a breve termine è fonte di estrema insicurezza e di insoddisfazione professionale cui consegue il disimpegno per mancanza di energie e di entusiasmo. e) Stress e "burn out": la burn-out syndrome, paradigma teorico-pratico degli anni 80, inquadra clinicamente una complessa fenomenologia della condotta professionale: con l'incremento delle richieste che il contesto esige, cede la capacità di farvi fronte e subentra in primo luogo lo stato di allarme che riconosce la situazione come stressante, segue la mobilitazione di tutte le energie residue per far fronte e soddisfare comunque le richieste e si conclude con il burn out finale. Gli operatori finiscono "bruciati o cortocircuitati" manifestando disagio professionale attraverso irritazione, apatia, cinismo nei confronti del proprio lavoro e dei suoi destinatari. Elementi di riscatto: a) formazione e autoformazione: varie ricerche si intrecciano denunciando i casi di palese livello inadeguato nella preparazione all'insegnamento e tentando di verificare l'efficienza dei modelli innovatori introdotti. Un’ulteriore traccia di studio è costituita dal binomio alternativo tra l’etero- e auto- formazione dei docenti. Secondo indagini più quantitative, il primo tipo di intervento è diretto alla formazione di corpi di insegnanti ben equipaggiati e agguerriti, mentre si fa strada con ricerche qualitative l'idea che il mestiere di insegnante continuerà ad essere un’autocostruzione indissolubilmente personale e prasseologica. b) Esperienza e professionalità: poichè spesso gli esperti sono in grado di fare meglio, l'unico modo per differenziare le caratteristiche del novizio da quelle di chi ha esperienza professionale consiste volta ad una valutazione formativa. La valutazione dei docenti può gratificare e favorire il miglioramento professionale e può essere anche di vantaggio al singolo docente oltre che al gruppo sociale che esige il monitoraggio. Tutti abbiamo bisogno di tanto in tanto di rassicurazioni e soprattutto si ha bisogno di esprimere le ansie ed i problemi incontrati. È necessario che alcune condizioni vengano rispettate. La valutazione degli insegnanti richiama alla mente infelici esperienze nella propria carriera scolastica. Gli insegnanti non amano essere sottoposti a valutazione e ciò è comprensibile in quanto nessuno è realmente desideroso di essere valutato. Purtroppo è raro un atteggiamento favorevole nei confronti della valutazione benchè esso sia la condizione perchè se ne possano trarre reali benefici: è indispensabile essere convinti che solo la conoscenza e la coscienza del proprio valore e dei propri punti deboli consente di migliorare le proprie prestazioni professionali. Gli insegnanti guardano con sospetto la verifica della qualità del loro insegnamento e non solo perchè ogni verifica suscita generalmente ansia, ci sono anche altre motivazioni. La ragione principale è la convinzione che i criteri per valutare l'insegnamento efficace siano ancora troppo vaghi ed ambigui per avere valore positivo. L'esercizio della professione è continuamente esposto e sollecitato rispetto a quella che viene definita la "rappresentazione del sè". Lo strumento principale dell’attività didattica è la persona del docente stesso che entra in relazione con le persone degli allievi. Proprio perché l’insegnante utilizza se stesso quale strumento di lavoro e la valutazione della sua professionalità implica quasi inevitabilmente un giudizio più o meno diretto sulla sua persona. Nella realtà i docenti vengono sottoposti a valutazione secondo modalità informali e pertanto incontrollabili e pericolose. La tendenza crescente esige che i professionisti e gli insegnanti tra essi siano chiamati a render conto del proprio operato secondo modalità ufficiali e pubbliche, meno arbitrarie. Il miglioramento della qualità dell'educazione è stato perseguito con l'aggiornamento dei curriculi, con l'introduzione di nuovi programmi e di nuove strategie. Le preoccupazioni circa la qualità dell'educazione e l'efficacia dell'insegnamento non possono non tener conto dello stato di "salute" dei docenti che dipende dal livello di competenza raggiunto e aggiornato e dalla convinzione di autoefficacia. Tale fiducia nella possibilità di incidere in maniera significativa è però costantemente insidiata dalla sproporzione esistente tra i ruoli ed i compiti idealmente attribuiti all'insegnante e le condizioni reali. Il ruolo degli insegnanti oggi è vissuto come marginale, viene definito un ruolo intermedio tra la produzione della conoscenza e la sua trasmissione, tra il mondo ideale e quello reale, tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi. Indicatore significativo della gravità del problema è quella che viene definita "la fuga dei talenti" dalla scuola. L'insegnamento come occupazione oggi non è appetibile. Le prospettive di carriera che offre hanno la particolarità di cessare nel momento in cui l'individuo riesce a ottenere un rapporto stabile con l'amministrazione tramite l'ingresso in ruolo: da questo momento in poi il reddito, il prestigio ed il potere cessano di progredire secondo le prestazioni e l'unico avanzamento previsto è quello automatico dovuto all'anzianità di servizio. Tale struttura piatta della carriera degli insegnanti favorisce la considerazione del giovane docente con una scelta di ripiego o di transito nei confronti di altre professioni più prestigiose e meglio remunerate. Tra le soluzioni prospettate ricorre il miglioramento della formazione in tale; l'innalzamento dei requisiti di ingresso nella professione; la qualificazione delle procedure di reclutamento e di assunzione; la competitività dei salari; le opportunità di carriera collegate ad incentivi; l'utilizzo più razionale delle esperienze e delle competenze dei docenti migliori; la garanzia di assistenza e supporto tecnico e specialistico; l'impiego di studenti tirocinanti per attività non direttamente di insegnamento; l'equilibrio tra libertà d'insegnamento e responsabilità controllata. Uno dei maggiori impedimenti al miglioramento del sistema educativo risiede nella crisi della motivazione all'insegnamento dei docenti Un elemento che contribuisce alla formazione ed al rafforzamento della motivazione è la fiducia nella propria efficacia, fiducia che influenza i pensieri e i sentimenti dell'insegnante, la scelta delle attività ma soprattutto all'impegno investito e la costanza con la quale gli ostacoli vengono affrontati. Consideriamo dunque particolarmente in crisi non solo la motivazione in senso generale ma più specificatamente il senso di efficacia. Parlando del senso di efficacia dell'insegnamento, si può intendere che sia l'aspettativa che l'insegnamento possano influenzare l'apprendimento degli alunni e sia la fiducia nella propria personale efficacia. Il fattore primario capace di influenzare tale senso di efficacia sarebbe la convinzione di possedere i requisiti necessari ad affrontare i problemi e a raggiungere i risultati desiderati. Occorre essere coscienti della propria responsabilità, ritenersi responsabili dei propri fallimenti. Le condizioni di incertezza dell'insegnante non giocano solo a sfavore della soddisfazione professionale ma anche della qualità dell'educazione. I docenti demotivati non investono nell'insegnamento le energie o l'entusiasmo necessari a sostenere degli interventi significativi ed impegnativi, soprattutto nei confronti degli alunni svantaggiati. Nell’assunzione gli insegnanti sono entusiasti, chi entra nella scuola ha entusiasmo, aspettative e il senso di efficacia ma poi li perde regolarmente nell'impatto con la realtà delle classi. L'ambito socio-psicologico nella quale gli insegnanti sono tenuti a lavorare influenza negativamente il senso di efficacia e di soddisfazione professionale. Il senso di efficacia non è un tratto fisso e globale della personalità sul quale è impossibile influire: si tratta invece di una percezione contestuale. La possibilità di un positivo senso di efficacia varia secondo il tipo di disciplina di insegnamento; alcuni docenti sono in grado più di altri di resistere alle situazioni e di mantenere un alto senso di efficacia ma purtroppo proprio questi ultimi lasciano presto l'insegnamento; l'organizzazione scolastica stessa può influenzare il senso di efficacia degli insegnanti e, viceversa, il lavoro di una docente che favorisce anziché minare la propria stima professionale influenza positivamente sia i colleghi sia gli studenti. Sintetizzando, possiamo considerare quali scopi principali di una valutazione dei docenti: - mantenere un livello minimo di prestazione o migliorare le prestazioni senza modificare il corrispondente status del soggetto valutato; la richiesta è di eseguire meglio gli stessi compiti, l'obiettivo è il miglioramento - guidare le decisioni relative alla mobilità occupazionale. La valutazione degli insegnanti può essere utilizzata per controllare i movimenti all'interno della professione: il cambiamento delle prestazioni viene perseguito tramite la modificazione dei compiti da svolgere o la sostituzione delle persone. - legittimare i tentativi di controllo da parte del sistema scolastico. Il terzo motivo mira a convincere i soggetti che i primi due interventi sono legittimi ed equi. Di fatto si pone come elemento di mediazione dei conflitti tra il sistema autoritario della gerarchia e le aspirazioni dell'autonomia professionale della categoria. È possibile tentarne una classificazione sulla base del livello di ricaduta degli effetti: -A livello individuale la valutazione delle prestazioni di una docente ricade principalmente sul docente stesso ma anche sugli altri. Sono gli effetti più diretti ed i più facili da prevedere. Ad esempio: le reazioni dell'insegnante valutato ai risultati della valutazione. Gli atteggiamenti sono negativi quando si identificano problemi che non possono essere risolti date le attuali condizioni di lavoro mentre si reagisce meno negativamente quando ci sono frequenti e significativi feedback e quando sono chiari gli obiettivi del processo di valutazione. -A livello organizzativo possono esserci effetti sul miglioramento delle prestazioni complessive di una scuola soprattutto se i risultati della valutazione possono contare su canali e norme positive di comunicazione e di disseminazione. Anche gli effetti della mobilità dello staff possono avere influenza sui colleghi del diretto interessato: un nuovo insegnante, il licenziamento di una docente. -Le conseguenze che ricadono sull'ambiente esterno sono costituite dalle reazioni alla politica di valutazione dei docenti da parte delle famiglie, dei sindacati, delle forze politiche o imprenditoriali. Ma non tutti i risultati dei processi di valutazione vengono resi parimenti visibili. In conclusione: 1. La natura della valutazione proposta dipende da come si considera l'insegnamento stesso. Chi è convinto che l'insegnamento sia un rifugio per gli incompetenti propone la valutazione come strumento per eliminare gli indolenti e gli incapaci. Chi mira la prospettiva finanziaria suggerisce procedure comparative e competitive. 2. La consapevolezza degli effetti potenziali di un sistema di valutazione degli insegnanti non garantisce il successo dello stesso ma può sensibilizzare le persone. 3. Le formalità burocratiche della valutazione degli insegnanti in molte scuole precludono a priori la possibilità che diventi un'attività significativa: al posto della fiducia si creano divisioni, al posto della trasparenza gli insegnanti cercano di nascondere i problemi. 4. Un sistema di valutazione esige atteggiamenti di franchezza e di fiducia tra valutatore e insegnante, implica capacità e volontà di operare, presuppone disponibilità all'osservazione. 5. La valutazione degli insegnanti sarà efficace nella misura in cui gli insegnanti la supportano. 6. Al momento attuale la valutazione dei docenti è ancora poco conosciuta, minacciosa e complessa. L'accettazione da parte dei docenti e dei risultati di una valutazione degli insegnanti dipende anche dalla risposta al quesito: chi potrebbe e dovrebbe valutare una docente? una distinzione preliminare deve porsi tra un valutatore esterno o interno; l'estraneità sembra garantire una maggiore obiettività, l'esclusione o la possibilità di mediazione dei conflitti, invece un valutatore interno ha il vantaggio di avere accesso a informazioni più significative, dettagliate e sistematiche. Ma esterno/interno a che cosa? Un collega può essere considerato interno se appartenente al medesimo istituto del docente valutato ed esterno se insegna in una scuola diversa, ma quest'ultimo collega è un valutatore interno se consideriamo come riferimento la categoria professionale o la disciplina di insegnamento. Ogni soluzione presenta vantaggi e svantaggi e la scelta dell'una o dell'altra opzione dipende dagli obiettivi che ci si pone: ad esempio finalità formative e di miglioramento non possono prescindere dall'attiva partecipazione dei docenti stessi e quindi da un'autovalutazione. Procederemo nell'analisi secondo cerchi concentrici. a) autovalutazione. Sono veramente pochi gli insegnanti che non riflettono mai sulla propria attività professionale. C'è un'enorme differenza tra una autoverifica sistematica ed una sorta di autocoscienza più consolatoria. È tautologico accusare di scarsa oggettività un approccio per definizione soggettivo. Tra i limiti ricordiamo, in assenza di una specifica formazione: la tendenza del soggetto a focalizzarsi su aspetti marginali; l'indulgenza e l'autogratificazione si troverebbero più facilmente tra gli insegnanti routinari, esperti quanto basta per sopravvalutare il raggiunto comfort professionale ottenuto con l'accumularsi degli anni di insegnamento; gli insegnanti alle prime armi o gli insegnanti migliori rischierebbero di trovarsi nell'eterno dubbio di inadeguatezza e in uno stato di crisi. Una correzione potrebbe consistere nell'interpretare quell’ “auto” non nel senso del docente che per proprio conto rimugina su quel che crede essere il proprio operato ma nell'ottica di un approccio di "gruppo-docente". Team-teaching e micro-teaching sono la giusta cornice di riferimento entro la quale inquadrare un'attività di revisione comunitaria. b) gli studenti. Sono i soggetti che sono partecipi in prima persona del rapporto educativo, motivo per cui sono la fonte privilegiata per informazioni sul raggiungimento di obiettivi educativi non   strettamente cognitivi. I vantaggi sono costituiti dalla non invadenza dell'osservazione in casse, dal numero dei valutatori, dalla vasta gamma di situazioni significative esaminabili. I limiti sono altrettanto evidenti: impossibilità di un giudizio sui contenuti insegnati, significativa influenza sul giudizio di fattori collaterali (il successo o meno nella disciplina). L'immagine che gli studenti hanno del docente può influenzare l'atteggiamento nei confronti della relazione educativa e dello studio: pertanto è importante che i docenti siano a conoscenza dei sentimenti personali dei propri alunni. c) i colleghi. Un giudizio tra pari e cioè l'intervento di colleghi nella fase di analisi delle esperienze e delle prestazioni. L'approccio del team-teaching si basa proprio sulla possibilità di collaborazione e di consulenza escludendo interferenze di competizione o di collusione. I vantaggi: frequenza dei contatti, competenze didattiche e pedagogiche. Tutti i vantaggi presentati si elidono se il giudizio espresso può essere utilizzato come base per sanzioni o decisioni amministrative ed economiche. In questi casi il risultato tende ad essere artificiosamente positivo, se i docenti interessati sono in rapporto d'amicizia; al contrario è arbitrariamente negativo se ci sono in atto conflitti. d) il dirigente scolastico. In passato egli non ha potuto operare che come valutatore esterno. L'avvento dei decreti delegati ha portato all’eliminazione del controllo di ciò che avviene tra le la prima avrebbe per scopo una decisione di selezione o l'attribuzione o meno di approvazione, mentre la seconda implicherebbe una volontà di intervento, di correzione e di miglioramento. * Valutazione ufficiale ed ufficiosa: la valutazione ufficiosa è praticata universalmente e costantemente da tutti gli individui e si distingue a mala pena dal pensiero di attrazione/espulsione; la valutazione ufficiale, esigendo la comunicazione ad altri (pubblicità) secondo ruoli e regole prestabilite implica l'esplicitazione dei criteri adottati. * Valutazione di processi o di prodotti: l'accento oscilla tra la valutazione dei risultati in relazione con gli obiettivi prefissati e la valutazione del programma di intervento in sè. Progettare interventi, pure intrinsecamente di valore, non è di per sè garanzia del raggiungimento di risultati adeguati. * Valutazione interna ed esterna. * Valutazione predeterminata o di reazione: a seconda che si sappia ciò che si cerca oppure che si parta da fenomeni osservati ed incontrati, in maniera anche inattesa, per formulare ipotesi e criteri. * Valutazione generale o di casi particolari: si fonda sulla possibilità o meno di generalizzare i risultati raggiunti tramite lo studio di valutazione di un caso, per forza di cose, particolare. Sia che voglia studiare il caso particolare unicamente per valutarne il merito o al fine di generalizzare le conclusioni occorre un'accurata descrizione del contesto, nel primo caso per migliorare la comprensione della particolarità della situazione e nel secondo caso per evidenziare eventuali componenti intrinseche ed immutabili e distinguerle dalle variabili contestuali e perciò eliminabili. * Valutazione globale o analitica: l'oggetto della valutazione viene considerato unico e ne viene analizzato un limitato numero di aspetti considerati essenziali e significativi. * Valutazione descrittiva o interpretativa: se ci si limita alla pura raccolta di informazioni basate su dati oggettivi o sperimentali oppure se si esprimono giudizi di valore, ovviamente di natura inferenziale e soggettiva. Poichè ogni tipo di attività valutativa coinvolge scelte di valore e conflitti a tutti i livelli operativi del sistema, la valutazione non era una attività neutra: serve come base per una gran numero di decisioni politiche e rafforza o meno il potere di ciascuno; modella pertanto le condizioni del lavoro dei docenti e la concezione stessa dell'insegnamento. Concludiamo con l'avvertenza che riteniamo superata, i metodi qualitativi e/o quantitativi. Capitolo 7. La relazione educativa: autenticità e autorevolezza. Trattando di interazione personale e professionale tra adulto e minore ci si rende conto di quale responsabilità si assume l'educatore instaurando o meno, e come, delle relazioni positive o negative con i propri figli/studenti dal momento che l'interazione è costituita dagli scambi relazionali relativamente stabili con cui gli individui definiscono se stessi in relazione agli altri. Le scuole spesso non riescono a garantire una rete di rapporti e di supporti interpersonali. Agli insegnanti vengono oggi richiesti non solo elevati livelli di abilità professionali spesso irraggiungibili, ma anche atteggiamenti personali e disposizioni emotive che difficilmente ci si può autoimporre. La possibilità o meno di instaurare relazioni informative dipende dall'esistenza o meno di questo primario incontro tra soggetti-persone: l'errore educativo è sempre soppressione della genuina soggettività del minore, se il solo modo per conservare il proprio sé è quello di perdere gli altri, allora il bambino (a favore dell'adulto) e l'adolescente (a favore dei pari) normalmente abbandonerà il proprio sé. Nella maggior parte delle ricerche i ragazzi hanno sostenuto che il problema da loro ritenuto più significativo nel contesto scolastico è quello relazionale con i docenti. 7.1 non di sola relazione vive la scuola. Nulla da contestare al fatto che gli studenti si aspettino relazioni positive con i docenti, anche se, non è solo quello emotivo l'unico equipaggiamento per affrontare il futuro. Ma è difficile per una docente smantellare i comportamenti di sfida in quanto un'errata interpretazione degli stessi porta a generalizzazioni di bassa lega sull'intera generazione giovanile o a giochi di potere che non dovrebbero esistere in educazione ma che si attivano, frequentemente. Una prima soluzione a breve/immediato termine suggerisce di lasciar cadere le provocazioni lanciando chiari segnali di accettazione della persona sfidante. Una seconda auspica tentativi preventivi che tolgano allo sfidante motivazioni rabbiose nei confronti di chi non presta sufficiente attenzione/accoglienza. Non solo le esperienze scolastiche decidono l'evolversi della soggetto, ma anche il sistema di formazione pregresso (famiglia) e parallelo (sociale) rendono ragione del fatto che alcuni soggetti soccombono e altri reagiscono; alcuni soggetti hanno percorsi di crescita facilitati altri reagiscono negativamente. Non esistono fattori di rischio o di protezione di per sé. Se è impossibile eliminare il vissuto di disagio ed occorre muoversi perchè venga contenuto, il contenimento può essere realizzato da parte del contesto, ma anche dal ragazzo stesso. È l'intera batteria degli adulti di riferimento che manifesta problemi di ordine motivazionale nei confronti dell'educazione delle nuove generazioni. La scuola può essere elemento protettivo per chi sperimenta fuori da essa situazioni negative, ma può anche aumentare il rischio in alcuni soggetti. La qualità dell'esperienza di crescita si ottiene intervenendo sullo stato di crisi anche degli adulti significativi per il minore, i genitori, certamente ma che dire dei docenti? Crediamo che qualunque atteggiamento o attività anche positiva che non tenga conto della realtà contingente del soggetto che si ha di fronte e del valore intrinseco della persona che in questo soggetto trova espressione, non possa che condurre ad esiti che sono pedagogicamente negativi. La psicologia ci aiuta disinnescando quegli "auto-inganni" che attiviamo ogni volta che non sappiamo vederci-presentarci così come siamo e per accettarci-farci accettare preferiamo vestire panni non della nostra misura. A parte che nelle singole relazioni interpersonali presenti nelle aule i ruoli più diffusi e discussi dalla letteratura di riferimento, quelli del Salvatore/Persecutore/Vittima sono attivi anche nell’immaginario sociale. Per lungo tempo il docente è stato visto-si è identificato con il ruolo del Persecutore di quei minori che non si adeguano alle richieste di adattamento sociale sintetizzate nei programmi scolastici. Alla fine del secolo scorso ha prevalso la visione dell'educazione, della scuola e dell'insegnante come Salvatrici delle categorie svantaggiate e deprivate. Oggi, i medesimi insegnanti si sentono Vittima dell'ingratitudine del sistema che non ne riconosce il valore e degli studenti/genitori che non si "lasciano salvare". Per lungo tempo l'intenzionalità formativa è stata rivolta solo ad alcuni soggetti: l'educazione informale è sempre stata incontrollabile e potenzialmente alla portata di tutti; è noto che le possibilità di fruizione positiva e attiva delle risorse che la vita propone è maggiormente a disposizione di chi ha goduto del privilegio di un’adeguata formazione iniziale "protetta". Ciascuno di noi ha il compito di educare tutti indipendentemente dal livello di gradimento emotivo, predilezione ideologica, consonanza temperamentale, o altro che lo studente può raggiungere. I risultati non sono né garantiti né scontati. 7.2 O con le buone o con le cattive. In studi e ricerche pedagogiche e psicologiche si sono occupate di recente di abusi educativi, sia di quelli improntati ad una violenza attiva sia di quelli caratterizzati da commissioni per incuria e trascuratezza. Meno numerose e veementi, fino ad oggi, sono le critiche di fronte al dilagare dell'adozione da parte degli educatori di comportamenti laissez faire. L'autoritarismo oggi è difficilmente adottato e assolutamente mai proclamato: se in teoria ciascuno fa professione di rispetto e cura amorevole dei figli rinnegando ogni pretesa di dominio, in realtà spesso alle espressioni verbali di disponibilità si oppongono comportamenti che riflettono atteggiamenti di prevaricazione. Forme di controllo dirette come ordini, comandi, domande accusatorie, confronti e interventi autoritari indiretti sono all'ordine del giorno; la comunicazione non verbale in diretta prevale e lascia tracce indelebili. La discrepanza in un soggetto, nel nostro caso il genitore o l'insegnante, tra le esperienze interne (atteggiamenti), la consapevolezza delle stesse (convinzioni) e la loro comunicazione (interventi educativi) può essere dovuta a fattori vari. Per quanto riguarda l'eccesso opposto dell'autoritarismo, essa spazia da posizioni teoricamente fondate e di tutto rispetto ad abitudini di ripiego. Tra le prime, se la pedagogia anti-autoritaria è stata definita una "formula vuota" è perché essa si compone di una decisa e corretta opposizione a quanto di negativo sia stato dato di rilevare nell'uso della violenza nelle pratiche educative ma stenta a sistematizzare la proposta alternativa. Parlare di pedagogia anti-autoritaria non è la stessa cosa che adottare un laissez faire che si può tradurre con "permissivismo". L'alternativa tra i due estremi pedagogici, autoritarismo/permissivismo ha suscitato grandi dibattiti. 7.3. Su il sipario: autoritarismo e laissez faire nel 160 a.C. Nella Roma a.C. già si levano voci significative che dichiarano pubblicamente la necessità di porre in discussione la rigidità educativa romana, rintracciabile sia nel pater familias classico sia nel padre-padrone moderno. Giustificazione n. 1 di ogni permissivo che si rispetti: se non fa quel che vuole adesso lo farà dopo. Alcuni genitori permettono ai figli atteggiamenti e comportamenti che dichiarano di considerare negativi giustificandosi con il timore che li possano comunque fare di nascosto. È evidente che, se non si è perseguito l'obiettivo educativo di interiorizzare le norme proposte e queste sono sempre rimaste delle imposizioni, appena cessato il vincolo del controllo il figlio farà anche il contrario di quanto dal genitore ritenuto giusto. Giustificazione n. 2 di ogni ricco che si rispetti: tutto si può risolvere pagando. Ricchi e poveri la differenza è solo questione di prezzo, cioè a quanto arrivano gli uni e gli altri. Comune ai genitori   la presunta sicurezza che tutto sia oggi ormai risolvibile con dei soldi utili a far scomparire gli errori. Ma bisogna precisare che ci sono danni che "non hanno prezzo": niente può ripagare i danni non puramente materiali e poi si sa tutto ciò che può essere pagato a ben poco valore. Giustificazione n. 3 di ogni rinunciatario che si rispetti: che si sfoghino da giovani che poi con l'età metteranno la testa a posto. Non è per nulla certo che un comportamento, cui sia stato concesso di ripetersi per allentare la presunta pressione, gradatamente si estinguono. Anzi le ricerche dimostrerebbero esattamente il contrario. Secondo il principio della saturazione dopo un certo periodo di soddisfazione di un bisogno non scatta la sua scomparsa: si va alla ricerca di una soddisfazione di intensità quantitativamente sempre maggiore, e solo con accorti interventi educativi si spera che il processo proceda con la ricerca di soddisfazioni qualitativamente sempre migliori. 7.4. L'autorevolezza alla moviola. Negli ultimi decenni del secolo scorso la pedagogia ha rivisitato il problema; nè l'odioso e violento autoritarismo del passato nè il comodo permissivismo recente, piuttosto un’aurea che imporrebbe a tutti i genitori e ad ogni educatore l'adozione della difficilissima autorevolezza. Dei due estremi esistono modelli teorici ed esempi chiari, non altrettanto chiare risultano invece le indicazioni della terza alternativa: di cosa si compone l'autorevolezza? Il problema di una incapacità ad educare colpisce adulti impegnati coscienziosamente in attività socialmente riconosciute, ispirati a valori quali il lavoro, il voto alle donne, la resistenza al nazismo. Viene posto quello che è oggi un imperativo pedagogico: i genitori possono non essere tali per il solo fatto di aver messo al mondo dei bambini che porteranno il loro stesso DNA e cognome. Occorre che qualcuno si incarichi di proporre loro modelli educativi: che possono differire dalla tradizione consolidata o dall'esperienza personale; e che riescano a mediare tra le esigenze della propria realizzazione personale e gli impegni assunti con la procreazione. Ogni epoca ha avuto il proprio "genio" educativo che ha impegnato la propria riflessione al fine di indicare la strada per la formazione delle nuove generazioni. In presenza di carenze di figure genitoriali, o di capacità di cura, o di interesse per l'educazione dei figli il ruolo di sostituto parentale è stato sempre associato alla presenza di una governante o istitutrice. Esistono alcuni interventi inderogabili che spettano all'adulto responsabile di minori e che rientrano nella funzione di controllo e regolazione e che consistono: nell'impedire scelte-azioni negative o pericolose (ciò che non si deve fare); nell'imporre scelte-azioni utili anche se non sempre piacevoli (ciò che si deve fare). Ma è necessario che l'adulto autorevole non si limiti ad impedire errori ma proponga positivamente al figlio scelte e comportamenti orientati alla sua autorealizzazione. Siamo nella funzione di guida che consiste nel facilitare la conoscenza e la realizzazione di ciò che si può fare; proporre ciò che è meglio fare. L'educatore deve mettere a disposizione le proprie risorse, competenze ed esperienze ed evitando sia l'eccesso della seduzione stia l'astensione dalle proposte nel nome di una presunta maggiore libertà del soggetto in evoluzione. In educazione il vuoto lasciato dall'assenza di proposte educative orientate al soggetto viene immediatamente colmato da altre agenzie, che possono anche essere diseducative. ISOLARE. Significa dire o dimostrare ad un bambino che è solo nel mondo, privandolo di stimoli e negandogli le soddisfazioni che originano nella socializzazione. Spesso le circostanze più comuni sono la povertà e l'isolamento sociale. Poichè le relazioni umane sono il tramite per la costruzione della maggior parte degli elementi della personalità di un minore, i danni provocati dall'isolare un soggetto sono tanto più gravi quanto più è stretta la dipendenza che ne deriva nei confronti dell'adulto. Alcuni fattori aggravano la situazione se la relazione è particolarmente significativa e primaria per il soggetto, se l'adulto soddisfa i bisogni immediati ed elementari del minore ma con totale mancanza di partecipazione emotiva, l'identificazione del maltrattamento è quasi impossibile e il minore non è in grado di adottare le più elementari ed istintive misure di autodifesa.  Isolare a casa e a scuola. Consiste nell'impedire di trarre effetti positivi nell'ambito delle normali interazioni. Non vengono nè fornite nè concesse opportunità di rapportarsi con altri adulti o con i pari. Rientra in questa modalità di violenza ogni intervento che tende a suscitare anche in altri soggetti sentimenti negativi nei confronti della vittima. Il minore può essere considerato negativo o considerato in qualunque modo superiore agli altri (è il caso dei super-dotati). Una volta interiorizzato il messaggio sarà il minore stesso a proseguire nell'autopunizione continuando ad isolarsi per propria scelta. Indicatori. Una negativa relazione educativa è il comune denominatore di tutte le forme di abuso nei confronti di minori. Educazione e frustrazione. Il concetto di frustrazione consiste nella presenza di un ostacolo o impedimento più o meno insormontabile che l'organismo incontra nel soddisfacimento di un bisogno considerato vitale. La frustrazione esiste solo quando viene ostacolato un obiettivo ritenuto importante. È possibile che subentri una sorta di "ipersensibilità" aggiunta alla frustrazione per cui ogni delusione viene vissuta come frustrazione ed ogni frustrazione viene considerata una perdita irreparabile. In un'ottica psicoanalitica si sostiene che le nevrosi e le psicosi non sono dirette conseguenze di reali frustrazioni bensì l'espressione della rimozione dei traumi. A superare/rielaborare le frustrazioni si impara a condizione che le frustrazioni risultino dal cosiddetto principio di realtà, che il soggetto si senta preso sul serio e rispettato come una persona autonoma e accompagnato da significative persone di riferimento e che gli sia consentito di difendersi, vale a dire di esprimere il suo dolore e la sua ira. Indicatori fisici: lesioni cutanee (ematomi, abrasioni, graffi, ferite lacero-contuse, sedi tipiche di lesione volontarie: viso, bocca, collo, gambe); ustioni (sugli arti, a stampo dell'oggetto usato, sedi tipiche: glutei, arti, testa, collo); morsi; impronte cutanee; fratture ossee ripetute; lesioni interne. Indicatori comportamentali: paura del contatto fisico, ansia, aggressività, isolamento. Indicatori di abuso sessualeIndicatori fisici: sono spesso o troppo generici (contusioni, graffi, morsi) o di difficile e specialistica identificazione, sintomatologia dolorosa; infiammazioni e infezioni delle vie urinarie. Il procedere a un esame clinico è indispensabile per la certezza dell’esistenza di un abuso sessuale. Indicatori comportamentali: disturbi del sonno, crisi acute di ansia e di pianto immotivati, sintomi psiconevrotici, eccessiva remissività e passività, paura e sfida nei confronti degli adulti, riduzione delle attività di gioco, peggioramento del rendimento scolastico, conoscenze e comportamenti sessuali in adeguati per l'età, eccessivo ricorso alla masturbazione, ingiustificato terrore o tentativi di "seduzione" nei confronti dei compagni in genere, tentativi di fuga o di suicidio. Indicatori di incuria: sono facili da identificare e documentare e sono molto frequenti. Indicatori fisici: malnutrizione, igiene personale scadente o assente, abbigliamento inadeguato, inosservanza di prescrizioni mediche, frequenze eccessive di incidenti dovuti a carenze di sorveglianza da parte di un adulto. Indicatori comportamentali: affaticamento, comportamenti antisociali, inosservanza della frequenza scolastica. 8.3. Di bullismo si muore, "dentro". Il codice maschile centrato sulla affermazione di sé attraverso il mettersi in gioco, l'avventura, il rischio e la conquista contribuisce non poco ad alimentare gli episodi di sfida violenta tra i maschi. Oggi queste connotazioni vengono perseguite attraverso l'adozione di comportamenti di aggressione, anche da parte di donne e ragazze. Anche il bullismo rientra tra le forme di relazione negativa tra i minori, ma si caratterizza per azioni oppressive (prese in giro, offese, esclusione, furti, prepotenze) ripetutamente rivolte a soggetti più deboli. Genitori, educatori ed insegnanti spesso conoscono il bullo come tale, sanno di scherzi e prevaricazioni ma fingono di non vedere. Il bullo trova comodo affermarsi a spese di altri instaurando rapporti di forza e non per nulla motivato a cambiare atteggiamento, almeno fin tanto che si trova in un luogo "protetto" quale è la scuola che gli consente di non pagare le conseguenze. La vittima a volte addirittura provoca davvero l'aggressività del gruppo dominante pur di avere un ruolo ed evitare l'emarginazione che rende invisibili. Chi è col bullo ottiene immunità dalle prevaricazioni, protezione e piccoli benefici residuali. Gli altri sanno, osservano e non dicono niente per non essere presi di mira a propria volta o comunque coinvolti. Il bullo ha bisogno di qualcuno che gli dà corda: senza di essi la sua dimostrazione di forza perde significato. Tutti gli adulti sono responsabili, non solo i genitori e gli insegnanti perchè tutti gli adulti sono educatori, indipendentemente dal ruolo formativo ufficialmente rivestito. Alla nascita si possiedono degli istinti 8.4. Fattori di resilienza/resistenza. I bambini cambiano in maniera radicale nel rispondere e nel reagire al maltrattamento. Mentre la maggior parte dei minori che sono sottoposti a violenze soffre di gravi e negative conseguenze emotive, altri sorprendentemente riescono a resistere in modo sufficientemente positivo. Alcuni chiamano questi soggetti "invulnerabili", ma adotteremo l'attributo "resilienti" in quanto il concetto di invulnerabilità suggerisce l'immagine di un minore totalmente impermeabile nei confronti di ogni maltrattamento o fattore di stress e la convinzione che questa durezza o inflessibilità siano di natura costituzionale. Le caratteristiche personali e le abilità che incrementano la resilienza includono: * la capacità di reagire in tempo utile di fronte al pericolo dipende dal possesso dell’abilità di riconoscere e di adattarsi alle richieste dell'ambiente sociale per evitare di riceverne danno; alcuni minori maltrattati adottano una sorta di iper-vigilanza in ogni relazione sociale "incerta", sono sempre in guardia, attenti e rapidi nell'evitare. * Minori cresciuti in contesti difficili spesso sembrano più grandi della propria età, con il risultato che vengono definiti "pseudo-adulti", è un atteggiamento che non viene facilmente abbandonato in quanto l'illusione di controllare le situazioni contribuisce alla crescita della loro autostima e del senso di sicurezza. * Capacità di prendere le distanze da sentimenti intensi per difendersene; ma questo può avere conseguenze negative per lo sviluppo di future relazioni interpersonali. * Il minore che conosce la propria situazione sa che cosa può impedire al suo tormentatore di passare all'azione. La conoscenza di tali meccanismi permette al minore di comprendere che non è egli stesso il responsabile e colpevole della situazione, sa che è l'aggressore a sbagliare. * La convinzione di essere amati è strettamente correlata alla presenza di un minimo di autostima che a sua volta dipende dalla possibilità di considerarsi degno di essere amato. * I minori maltrattati manifestano spesso l'esigenza e la capacità di relazioni affettive immediate ed indiscriminate che possono difendere dalla depressione e dall'isolamento. * Fantasticare su come potrebbe essere la propria vita una volta finite le difficoltà richiede sia l'abilità nel dissociarsi dagli aspetti negativi della presente sia la capacità emotiva ed intellettuale di immaginarsi in un tempo e in uno spazio differenti. La capacità di non restare paralizzati dalla paura dipende dalla convinzione di poter avere qualche effetto sull'ambiente circostante. * L'altruismo garantisce al minore quella gratificazione che non gli viene concessa. In genere questi atteggiamenti vengono rinforzati positivamente dal contesto abusante ma soprattutto dalla società. * La possibilità di ristrutturare cognitivamente gli eventi passati negativi richiede la dissociazione dai legami del passato ma di non dimenticare gli eventi. * L'ottimismo che consiste in un orientamento di vita che permea molte caratteristiche personali ed è rinforzata dal successo ottenuto nell'impiego di alcuni dei tratti e delle abilità che incrementano la resilienza. Le persone ottimiste sono spesso più attraenti e ci si intrattiene volentieri con loro: attirano altre persone che possono facilitare esperienze positive. Ogni caratteristica personale sviluppata a fini di difesa e di sopravvivenza può tramutarsi in una fonte di disadattamento se risulta eccessiva o se non finisce col cessare dello stress e del maltrattamento. Meglio puntare sulla creazione di minori in grado di opporsi in modo attivo all'abuso adottando strategie di difesa più coscienti ed avvertite. La maggior parte degli abusi (85%) è compiuta da persone conosciute, significative nei confronti del minore e soprattutto responsabili della cura dello stesso. La capacità di resistere può essere fine a se stessa o può condurre a una revisione del rapporto fino al raggiungimento del consenso. L'acquiescenza, indotta o volontaria, si riferisce a un vasto spettro di relazioni nelle quali le persone cooperano con le domande o le aspettative di un altro con vari gradi di entusiasmo e di riluttanza e per varie ragioni. Tre ambiti assicurano l’acquiescenza: l'autorità, l'organizzazione e la cultura dominante. 8.5. Soggetti più esposti. Alcuni comportamenti del minore inducono più di altri negli educatori pressioni dirette a modificarli: bambini introversi e con un elevato livello d'ansia; bambini ipercinetici o iperattivi; bambini di cattivo umore. Poiché il minore finisce per adottare le reazioni di difesa, l'educatore conferisce al suo comportamento disturbante un aspetto ritenuto intenzionale che stimola ulteriormente risposte correttive e repressive. Ciò favorisce negli educatori un "accanimento terapeutico" caratterizzato da interventi educativi sempre più rigidi e intolleranti. L’insegnante a rischio. La scuola come istituzione e i docenti e gli studenti che la popolano tendono a minimizzare le relazioni di potere e a promuovere le basi per relazioni interpersonali consensuali; di fatto però una formazione obbligatoria crea nelle aule vari conflitti. Le eventuali congruenze tra ciò che l’insegnante crede sia giusto fare e tra ciò che la funzione docente sembra imporgli vengono mediati i tentativi di ridurre stati d’ansia. Gli studenti sono particolarmente permeabili e vulnerabili nei confronti dell’influenza dei loro insegnanti. Nessun’altra relazione fra minore e adulto fuori dalla famiglia coinvolge così tanti vincoli ed obblighi reciproci e la situazione risulta ulteriormente complicata dalla presenza dei compagni: anche i pari, infatti, all'interno della scuola fanno parte di quel sistema, che esercitando una fortissima influenza sullo sviluppo e sul funzionamento psicologico dei suoi membri, possono fungere da tramite o scatenare relazioni negative. Esistono numerose caratteristiche degli adulti responsabili dell'educazione dei minori che si pongono come potenziali "inneschi" del maltrattamento e che solo all'incontro con particolari situazioni o caratteristiche dei minori si trasformano in cause dirette dell'esplosione dell'abuso psicologico. Denominatore comune al maltrattamento psicologico intra- o extra-familiare è che l’adulto educatore è spesso inadeguatamente supportato e super-stressato. Tra le caratteristiche dell'educatore o insegnante "a rischio" troviamo: mancanza di competenze professionali, condizioni di lavoro demotivanti, negative o assenti relazioni con superiori o responsabili scolastici e attività professionale in condizioni di continuo stress. Queste condizioni, oltre a provocare spesso l’incipit del maltrattamento, conducono ad un progressivo incremento dello stesso e alla degenerazione ulteriore delle condizioni scatenanti in un circolo vizioso che si auto-rinforza e auto-giustifica. L'insegnante autoritario. Consideriamo soddisfacente esigere nelle professioni educative e in quella docente l'adozione di un atteggiamento tale per cui nella relazione interpersonale sia capace di riconoscere le istanze altrui ma anche le proprie e di adoperarsi affinchè entrambe vengano adeguatamente soddisfatte. L'autoritarismo si riferisce alla struttura della personalità stessa del soggetto. La personalità autoritaria si costituisce di modi caratteristici e relativamente coerenti di definire se stessi ed i propri rapporti con gli altri, è causa ma anche conseguenza di razionalizzazioni e di comportamenti che cristallizzano una tendenza o una disponibilità all'imposizione e al dominio. Tra le disposizioni psichiche persistenti identificate come caratterizzanti la persona autoritaria troviamo la predisposizione all'aggressione, ma anche la stereotipia, il convenzionalismo, il desiderio di potere. Sono le persone rigide e intransigenti che adolescenze di cui dobbiamo occuparci, essendosi esteso il periodo. Oltre la durata temporale poi molteplici sono i modi di essere adolescenti; incapacità o errori educativi già drammatici in situazioni normali, diventano letali nelle condizioni più emarginate. Oggi la nostra società è "adolescentocentrica", spesso però in negativo perchè si costruisce una visione idealizzata di questo periodo transitorio dell'esistenza e si esagera vistosamente il carattere dell'adolescenza. Gli studi sull'adolescenza problematica hanno considerato come alcuni tratti di condotte devianti si evidenzino proprio al sorgere dell'indipendenza dalla famiglia, ma altri studi confermano che la maggior parte dei ragazzi passa all'età adulta senza un bisogno particolare di sfidare enfaticamente l'autorità o la legge. La tesi che intendiamo sostenere è che l'adolescenza non è un periodo a rischio in sè mentre lo sono le condizioni sociali che ne segnano il percorso e soprattutto le elaborazioni culturali e contestuali che vi si sovrappongono. 1. La pubertà è il fenomeno biologico da cui prende avvio l'adolescenza; 2. L'adolescenza è una fase di passaggio tra l'infanzia e l'età adulta nel corso della quale si attua l’elaborazione psichica dell'avvenuta maturazione sessuale; 3. Adolescente è colui che deve costruire un’identità personale e sociale propria e originale; 4. Tale processo comporta un tasso di turbolenza sul piano psichico e comportamentale; 5. L'adolescenza ha termine quando è avvenuta la rielaborazione degli aspetti regressivi e l'assunzione di un ruolo adulto ben integrato. Crediamo che le aspettative degli educatori inducano più che riscontrare problematicità che di per sè potrebbero anche non presentarsi se l'adolescente non fosse bombardato da immagini più o meno pressanti di ciò che ci si attende da lui. L'adolescenza dovrebbe pertanto essere l'età della vulnerabilità, dell'instabilità, della ribellione, dell'emotività. Tutti si aspettano un periodo difficile ed esultano tranquillizzati quando possono dire che il ragazzo è normale: * è normale che il ragazzo sia maleducato e risponda male, perchè è giusto che si ribelli e contesti le norme dei genitori; * è normale che studi niente o poco perchè è giusto che le energie impegnate nella crescita lo distolga non dallo studio; * è normale che non lo si veda più a casa perchè è giusto che stia insieme ai compagni; * è normale che faccia tutto quello che gli pare o tutto quello che fanno gli altri, poi gli passa. Nell’ adolescenza nulla si crea e nulla si distrugge. In questa fase, quale che sia il riferimento cronologico assunto, avviene non la creazione ma la ricapitolazione e la ristrutturazione di processi già avvenuti. Le basi dell'identificazione strutturante sono perlopiù già state gettate nell'infanzia e la necessità di intervento nell'adolescenza sorge solo dove questa non abbia dato esiti accettabili. Non si pensi allora di intervenire a 12 o 14 anni convinti di poter "prevenire". Siamo convinti che l'adolescenza sia soprattutto un momento della vita in cui i nodi vengono al pettine: tutto ciò che è rimasto insoluto fa sentire la propria presenza; la presa di coscienza può essere di graduale serena accettazione oppure di sconvolgente negazione. Si dice oggi che la propria infanzia continua a vivere e influisce su quello che si prova e che si fa, non è certo una constatazione nuova. L'adolescente deve rielaborare il lutto rispetto alla perdita della propria infanzia e dei punti di riferimento familiari che devono essere superati e integrati. L'adolescenza nel passaggio dalle società semplici a quelle complesse si è resa indispensabile: occorre tempo per integrare passato-infantile e presente-adolescenziale, e anche per accettare il futuro-adulto. L'adolescente ha bisogno di tempi e spazi dove gli adulti consentano una sana "lotta" tra avversari che si rispettano. 9.2. Adolescenza e senso di autoefficacia. Spesso la depressione si nasconde sotto adolescenze ritenute normali, o perchè se emerge si ritiene che l'adolescente per definizione debba esserlo o perchè l'adolescente nasconde bene sotto altri sintomi un vissuto difficile da accettare consapevolmente. La mancanza di desideri e la demotivazione possono essere correlati sia alla depressione, originata dall'auto svalutazione, sia al narcisismo, dovuto a giudizi svalutanti ma, in entrambi i casi è difficile capire quale sia la causa e quale l'effetto. Ciò che incide sul livello di motivazione personale è la convinzione del soggetto di poter esercitare un controllo su ciò che accade più che la realtà oggettiva della sua efficacia. Le ricerche dimostrano l'influenza del senso di efficacia sui processi cognitivi, motivazionali, affettivi e sulla capacità di scelta. Le convinzioni di autoefficacia sono piuttosto il prodotto di un complesso processo di auto persuasione basato sulla elaborazione cognitiva di informazioni di autoefficacia provenienti da varie fonti. Eccone alcuni: 1. Una relazione diretta esiste tra esperienza di gestione positiva degli eventi e il senso di autoefficacia: i successi determinano una solida fiducia nelle proprie capacità personali, ma non i facili successi. 2. Un'altra fonte di incoraggiamento è costituita dalle esperienze vicarie fornite cioè dall'osservazione di modelli: vedere persone simili a sè che attraverso l'impegno e la perseveranza perseguono i propri obiettivi aumenta nell'osservatore la convinzione che sia possibile possedere o acquisire abilità per affrontare situazioni analoghe. 3. La terza possibilità consiste nella persuasione: le persone convinte verbalmente di possedere le capacità necessarie consolidano il senso di autoefficacia. 4. Esiti positivi producono anche tutti gli interventi e le tecniche volte al miglioramento delle condizioni fisiche o psicologiche del soggetto che può affrontare gli eventi con maggiori energie e atteggiamento ottimista. Poichè le convinzioni di controllo sono composte da "aspettative di risultato" e cioè la probabilità con cui una certa azione porterà a un certo risultato, e da "aspettative di efficacia" e cioè la fiducia nella propria capacità di compiere queste azioni, tale costrutto mentale costituisce in larga misura anche il sentimento di autostima. Una componente fondamentale della motivazione al successo fin dall'infanzia è la capacità di gratificazione. Il successo viene generalmente descritto come il raggiungimento di un obiettivo facente parte di uno standard personale, ma ciò non è sufficiente: ben presto nell'età evolutiva la felicità per la riuscita non gratifica. Il successo non è sufficiente, occorre potersi ascrivere il merito del successo, essere l'artefice in prima persona e senza aiuti. All'età dell'ottimismo in cui si crede di poter superare tutti gli ostacoli, subentra presto la fase del realismo. Fa parte di questo passaggio la scoperta del concetto di "fortuna" e che subentra a risolvere situazioni irrisolvibili con la pura applicazione delle risorse personali. Studi permettono di rintracciare fin nella prima infanzia le esperienze ed i meccanismi che condizionano precocemente la fiducia in se stessi o il ritiro depressivo. Siamo convinti che tale processo non compare d'improvviso nell'adolescenza. Oggi si è convinti che sovrastimarsi sia un vantaggio psicologico, perchè un alto livello di autostima produce senso di benessere, e in quanto consente di andare oltre le proprie prestazioni ordinarie e di routine. Le persone realiste si possono bene adattare alla realtà attuale mentre quelle ottimiste, dotate di un forte senso di autoefficacia, hanno una buona probabilità di trasformare questa realtà. 9.3. il comportamento auto-diretto: il/la fine dell’adolescenza. Se una delle condizioni dell'adolescenza normale è la convinzione di poter essere "efficaci", uno degli esiti del passaggio dall'adolescenza alla giovinezza/età adulta dovrebbe essere il comportamento autodiretto, cioè la realizzazione di un alternarsi per "aggiustamento" di automodificazione e di modificazione del mondo circostante. L'autodirezione del comportamento è un'abilità dinamica perchè non è data dalla somma di particolari azioni ma dalla capacità di affrontare anche eventuali variazioni del compito. Anziché imparare a risolvere uno specifico problema occorre apprendere a fronteggiare i problemi in quanto tali, perchè per ogni problema risolto ne sorge subito un altro. La formazione o auto-formazione al comportamento autodiretto non può puntare esclusivamente su addestramento all'esecuzione di particolari performance o risposte ma dovrà contare anche su accurate capacità di valutazione del contesto e dello stimolo. Spesso la capacità o meno di fronteggiare i problemi viene ridotta ad un astratto concetto chiamato "forza di volontà". Il concetto di forza di volontà è stato spesso malamente confuso con la capacità di resistere alla tentazione, ma nella realtà l'organizzazione del contesto di riferimento non è sempre sotto la nostra possibilità di controllo. Ogni situazione si compone di condizioni-comportamento- conseguenze e le differenti modalità di risposta sono spesso le precedenti esperienze dei diversi soggetti. Alcuni ostacoli possono impedire il successo dell'impresa: pressioni da parte del contesto, situazioni di stress, aspettative negative, mancanza di impegno, attribuzione dei fallimenti a proprie caratteristiche. Cambiare comporta anche modificazioni nei rapporti con gli altri che possiamo non essere pronti a fronteggiare o che decisamente non ci piacciono. Oltretutto vantaggi e svantaggi possono evidenziarsi sia a lungo sia a breve termine e questo complica la valutazione delle situazioni e la decisione corrispondente. L'autonomia per il soggetto non è il contrario della dipendenza. Autonomia non è far tutto da soli. Anzi è la capacità di gestire liberamente le proprie dipendenze. Oltre l'autonomia troviamo ancora la libertà come possibilità di allargare i confini delle proprie limitazioni e di superarle progressivamente, anche se mai definitivamente. Con il procedere dell'età è constatato che il giovane si sposta sempre più decisamente da forme di controllo primario (tentare di eliminare o modificare gli elementi di stress) a tentativi di controllo secondario (regolare le proprie reazioni emotive negative lasciando inalterati gli ostacoli). Capitolo 10. Gli alunni giovani-adulti: scelta e autorealizzazione. 10.1. vecchi e giovani stereotipi sui giovani-adulti. La prima transizione all’età adulta si può far iniziare intorno ai 18 anni e terminare intorno ai 24-25 anni. Nel portare a termine la vita pre-adulta ed iniziare la vita adulta, due pericoli contrapposti si possono correre. Alcuni scelgono di non scegliere per tenersi liberi per ogni eventualità, convinti che ogni scelta ne precluda altre e che la libertà coincida con l'illusione di poter realizzare in ogni momento tutto. Altri ancora non si sentono tenuti a scegliere considerando l'identità personale come presupposta e solo da scoprire a prescindere da ciò che capita o che si decide nella vita. Ma chi sono i giovani-adulti? Esistono una molteplicità di modi nel vivere la transizione all'età adulta e alla vita stessa. Il passaggio all'età adulta è costituito dalla giovinezza che non corrisponde ad una fascia d'età precisa come l'adolescenza. La giovinezza non è un periodo, non ha un inizio preciso, e può non avere una fine. Per la sociologia, l'età adulta ha sempre coinciso con la maturità. Le analisi condotte dimostrano una sostanziale differenza tra i giovani del passato e quelli attuali. I primi sono visti come i fortunati fruitori di un periodo breve, nel quale già si sperimentavano responsabilità adulte. I secondi vedrebbero invece una fase allungata, caratterizzata da un procedere capriccioso, deleterio e senza meta. Anche nel passato il passaggio all'età adulta non era per nulla prevedibile, la sua lunghezza dipendeva fortemente da variabili economiche locali o storiche. Si può arrivare ad affermare che il passaggio all'età adulta è oggi più omologato rispetto al passato. La scolarizzazione di massa prolungata e diffusa ha reso uniforme il processo di crescita. Nel passato esisteva una certa sequenzialità nell'affrontare le diverse transizioni: al termine degli studi l'ingresso nel mondo del lavoro, cui seguivano in simultanea l'uscita di casa e il matrimonio, ed infine la procreazione. Oggi, vi è maggiore arbitrarietà: ci si può sposare o restare in casa, avere dei figli mentre ancora si studia, mettere su famiglia senza avere un lavoro stabile ecc. Un'analisi del passaggio all'età adulta ci induce a non considerare indicatori di raggiunta adultità solo gli elementi più vistosi. Oggi crediamo invece che anche altri life-markers meno formali e sociali possano essere utilizzati per definire una giovane-adulto il passaggio alla vita di coppia con coabitazione o matrimonio, contrariamente al passato, non consiste in una liberazione da vincoli e impedimenti alla propria realizzazione. Se pure non c'è più l'ansia di evasione da una situazione costante e limitante, questo non significa che manchino del tutto le occasioni per assumersi responsabilità. Si lamenta che una prolungata permanenza in famiglia condurrebbe alla mancanza di impatto con la realtà. La vita dei soggetti consta di periodi di stabilità che si alternano a momenti di transizione, in realtà ogni periodo ha elementi distintivi che lo differenziano dagli altri. Compito delle fasi di transizione è quello di mettere in discussione la struttura precedente, di esplorare le possibilità di cambiamento, di muovere verso le scelte cruciali che pongono le basi per una nuova fase di stabilità. E infatti le
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved