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La Seconda Guerra Mondiale, Sintesi del corso di Storia

Sintesi di storia che va dall'alba dei totalitarismi e, in particolare, del fascismo in Italia, alla scoppio e alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Tratto dal manuale Sabbatucci - Vidotto, comprende i capitoli: - l'età dei totalitarismi; - l'Italia fascista; - la Seconda Guerra Mondiale.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 04/12/2019

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Scarica La Seconda Guerra Mondiale e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Sintesi di Storia Seconda Guerra Mondiale dal manuale di base G.Sabbatucci V.Vidotto 1 L’età dei totalitarismi Dopo la crisi del ’29 si diffuse in tutta Europa il fenomeno della disaffezione verso la democrazia, mentre parallelamente si affermarono, negli anni ’30, regimi antidemocratici, sia di tipo tradizionale sia i tipo “moderno”, cioè ispirati al fascismo prima e al nazismo poi. La novità del fascismo e del nazismo si evidenziò nel campo dell’organizzazione del potere, con il potere in mano a un solo capo, con il controllo dell’economia e dei sindacati, dell’informazione e della cultura di massa e, in generale, con quella ricerca di un controllo totale sui cittadini, comune al regime staliniano, che ha fatto coniare il termine “totalitarismo”. Il successo del nazismo è strettamente collegato alle conseguenze della grande crisi: se fino al ’24 il nazismo aveva ottenuto consensi solo da una irrisoria percentuale della popolazione, con la crisi la maggioranza dei tedeschi perse ogni fiducia nella Repubblica e nei partiti democratici e prestò ascolto in misura crescente alla propaganda del nazismo. Con il Mein Kampf, testo scritto durante gli anni di carcere, Hitler delineò tutte le sue proposte per far tornare la Germania alla passata grandezza, indicando nelle sinistre e negli ebrei i responsabili delle difficoltà del paese e nella razza ariana, quella dei nordici, una razza superiore e conquistatrice. Il partito di Hitler, quindi, tra il ’30 e il ’32, vide crescere i suoi consensi fino a diventare il primo partito tedesco e nel gennaio ’33, Hitler fu chiamato dal presidente Hindenburg guidare il governo. A Hitler bastarono pochi mesi per imporre un potere molto più totalitario di quello che Mussolini avrebbe mai esercitato in Italia e in pochi mesi trasformò la Repubblica tedesca in dittatura. Nel ’33 traendo pretesto dall’incendio del Reichstag attuato da un comunista olandese, Hitler assunse i pieni poteri e mosse un’imponente operazione di polizia contro i comunisti, e assumendo pieni poteri (tra cui anche quello di cambiare la costituzione), Hitler annientò le opposizioni varando, nel luglio del ’33, una legge in cui si proclamava che il Partito nazionalsocialista era l’unico consentito in Germania. L’anno seguente creò le SS e si sbarazzò dell’ala estremista del nazismo, quella che faceva capo alla milizia armata delle SA, in quella che fu definita “la notte dei lunghi coltelli”, e, morto Hindenburg, Hitler assunse le cariche di cancelliere e capo dello Stato. In questo modo le forze armate dovettero prestare giuramento di fedeltà a Hitler e quindi al nazismo, fino a quando, nel ’38, Hitler assunse personalmente il comando supremo delle forze armate. Con l’assunzione della presidenza da parte di Hitler, nasceva il Terzo Reich. Tra i principi-base del nazismo stava il particolare rapporto tra il capo, il Fuhrer, e le masse, inquadrate nel partito unico e nei suoi organismi collaterali, come la Fonte del Lavoro (unica organizzazione sindacale) e la Hitlerjugend (organizzazione giovanile). Dalla “comunità di popolo” in cui il nazismo voleva trasformare tutti i tedeschi erano esclusi gli ebrei, che una massiccia propaganda additava a bersaglio dell’odio popolare e che vennero legalmente discriminati con le leggi di Norimberga del 1935: veniva tolta agli ebrei la parità dei diritti, la possibilità di sposare “non-ebrei” e a questa emarginazione legale se ne accompagnava, com’è ovvio, una sociale. A partire dal 1938, la persecuzione ebbe una rapida accelerazione (dalla notte dei cristalli alla distruzione delle sinagoghe, all’uccisione di decine di ebrei), fino a quando queste azioni violente si sarebbero trasformate, durante la guerra, nella politica dello sterminio: la cosiddetta soluzione finale. La persecuzione ebraica non 2 spianare la strada a un nuovo conflitto mondiale. Chiara descrizione degli accordi di Monaco fu quella fatta da Churchill: “potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. L’Italia fascista Nella seconda metà degli ani ’20, in Italia lo Stato totalitario era una realtà già ben consolidata nelle sue strutture giuridiche e ben riconoscibile nelle sue manifestazioni esteriori. La caratteristica essenziale del regime fascista era il soprapporsi dell’organizzazione dello Stato e quella del partito: il punto di congiunzione fra le due strutture era il Gran consiglio del fascismo, mentre al di sopra di tutti esercitava il potere Mussolini che riuniva in sé la qualifica di capo del governo e di duce del fascismo. Per volere di Mussolini, era l’apparato dello Stato ad avere sempre la prevalenza, mentre la funzione del Pnf, sempre più burocratizzato, fu quella di “occupare” la società civile, soprattutto attraverso le sue organizzazioni collaterali: dall’Opera Nazionali dopolavoro al potenziamento del Comitato Olimpico Nazionale alla creazione di organizzazioni giovanili del partito (Fasci giovanili, Opera Nazionale Balilla 8-18anni, Figli della Lupa 6-12anni). Attraverso queste organizzazioni di massa il fascismo voleva occupare, oltre allo Stato, anche la società, e per quanto il regime fosse riuscito a essere totalitario incontrò un primo limite nel peso della Chiesa: riconoscendone l’importanza, Mussolini decise di stipulare, nel 1929, i Patti lateranensi: la Chiesa vedeva riconosciuta la sua sovranità solo sullo Stato della Città del Vaticano e riceveva un risarcimento per la perdita dello Stato Pontificio; vedeva riconosciuto il matrimonio a livello civile, i preti venivano esonerati dal servizio militare e i preti spretati venivano esclusi dai pubblici uffici; la dottrina cattolica venne inserita nell’istruzione pubblica e le organizzazioni Cattoliche divennero libere dal controllo partitico. I patti rappresentano anche un successo propagandistico per il fascismo, sancito dal plebiscito alle elezioni di quello stesso anno. Altro limite ai propositi totalitari era costituito dalla presenza del re quale massima autorità dello Stato: in caso di crisi le carte migliori sarebbero state in mano al re, e questo rappresentava un motivo di sotterranea debolezza. Negli anni del fascismo, nonostante l’aumento dell’urbanizzazione e degli addetti all’industria e ai servizi, la società italiana restava notevolmente arretrata. La “fascistizzazione” era portatrice di un’ideologia tradizionalistica, di una ruralizzazione che cercava di scoraggiare l’afflusso nei centri urbani, ma aspirava anche alla creazione di un “uomo nuovo”, inquadrato nelle strutture del regime e pronto combattere per la grandezza nazionale. Questo progetto poté realizzarsi solo in parte: la scarsezza delle risorse a disposizione e i ritardi economico e culturale del paese non permettevano una propaganda diffusa e il fascismo non riuscì ad ottenere il consenso delle classi lavoratrici che videro diminuire i loro salari e i loro consumi. Il regime cercò in modo particolare di esercitare uno stretto controllo nell’ambito della scuola e della cultura: il controllo dei testi scolastici, degli insegnanti il giuramento di fedeltà al regime imposto agli insegnati di tutti i livelli. Soprattutto si impegnò nel campo dei mezzi di comunicazione 5 di massa, essendo consapevole della loro importanza ai fini del consenso. La radio e il cinema furono, così, sia strumenti di propaganda sia mezzi di semplice intrattenimento. Il fascismo italiano, per risolvere il problema economico, credette di individuare la sua terza via nel corporativismo (una corporazione per ogni settore di attività comprendenti sia imprenditori che lavoratori ), ma questo non costruì un nuovo sistema economico: il modello corporativo rimase infatti sulla carta. Sul piano della politica economica, se nei primi anni il governo mantenne una linea liberista, si passò nel ’25 ad una protezionistica e di maggiore intervento statale: al dazio sui cereali seguì la “battaglia del grano” che doveva servire al raggiungimento dell’autosufficienza cerealicola che l’aumento della superficie coltivata sia attraverso l’uso di strumenti tecnologicamente avanzati; la rivalutazione della lira (quota 90) aveva il compito di dare al paese un’immagine di stabilità monetaria. La crisi del ’29 fu pesante anche in Italia e il regime reagì attraverso una politica di lavori pubblici come il risanamento di Roma e la bonifica delle paludi pontine, e di intervento diretto della Stato in campo industriale e bancario. Con la creazione di un Istituto di credito pubblico, l’Iri, lo Stato diventò azionista delle maggiori banche in crisi e acquistò il controllori alcune fra le maggiori imprese italiane. Da ente provvisione però, divenne ente permanente perché, anche se fu superata la crisi, la riprivatizzazione fu impossibile. Uscita dalla fase più acuta della crisi, l’Italia indirizzò l’economia verso la produzione bellica a scapito di un processo di sviluppo che si riflettesse nelle condizioni di vita della popolazione. Se fino ai primi anni ’30 le aspirazioni imperiali, connaturate all’ideologia del fascismo e dalla forte componente nazionalistica, rimasero vaghe, l’aggressione all’Etiopia del 1935 mutò bruscamente la posizione internazionale del regime. Se l’impresa vittoriosa rappresentò una rottura con le potenze democratiche, rappresentò anche un grosso successo politico per Mussolini che, sottoposto a sanzioni, montò una campagna propagandistica tesa a presentare l’Italia come vittima di una congiura internazionale e vide l’adesione della maggioranza dell’opinione pubblica felice di rivedere l’Italia come una grande potenza coloniatrice. Questa rottura fu accentuata dall’intervento nella guerra civile spagnola e dal riavvicinamento alla Germania sancito, nel ’36, dall’Asse Roma-Berlino. Tale riavvicinamento non era concepito da Mussolini come un’alleanza militare, ma solo come una minaccia alle potenze occidentali. Ma, sotto pressione di Hitler, si risolse nel 1939 con la firma del Patto d’acciaio che legava definitivamente le sorti dell’Italia a quelle dello Stato nazista. A partire dagli anni ’25 e ’26, ovvero quando il dissenso politico fu proibito anche in termini di legge, la maggioranza degli antifascisti, soprattutto ex popolari e liberali, dovettero affrontare il carcere o l’esilio o rimasero in una posizione di silenziosa opposizione: tra i tanti spicca la figura di Benedetto Croce che, non perseguitato dal regime, con la sua rivista “la critica”, potette mantenere in vita la tradizione dell’idealismo liberale. Gli unici impegnati in un’attività cospiratoria furono i comunisti che si impegnarono, benché con scarsi risultati, nell’agitazione clandestina; rimasero sempre isolati dagli altri gruppi antifascisti e fortemente legati con i vertici dell’internazionale comunista a Mosca. Sulla stessa linea di clandestinità si mosse il gruppo di “giustizia e libertà”, che voleva riunire in sé antifascisti liberali, socialisti e repubblicani. Gli altri gruppi in esilio all’estero, federati nel ’27 nella Concentrazione antifascista, svolsero soprattutto 6 un’opera di propaganda e di testimonianza in una sorta di tattica “attesista”. Nel ’34 tutti le forze all’opposizione si riunirono sotto un Patto di unità d’azione, che durò solo pochi anni. Nonostante molte debolezze, l’importanza dell’antifascismo risiedette nella funzione di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della futura Italia democratica. Il consenso ottenuto dal regime cominciò a incrinarsi dopo l’impresa etiopica e la politica dell’autarchia, con l’inasprimento del protezionismo, finalizzata all’autosufficienza economica fu positiva solo per alcune grandi industrie mentre suscitò un diffuso malcontento. Soprattutto l’avvicinamento alla Germania e la politica discriminatoria nei confronti degli ebrei ( totalmente gratuita, inattesa e moralmente ripugnante) suscitarono timori e dissensi nella maggioranza della popolazione: la politica mussoliniana si mostrava priva di risultati immediati e faceva sembrare sempre più vicina la possibilità di una nuova guerra europea. Il disegno mussoliniano era quello di trasformare la vita e la mentalità degli italiani nel profondo, diventando un popolo dallo spirito guerriero e di raggiungere un totalitarismo perfetto. Soltanto fra le nuove generazioni, abituate a pensare fascista, ottenne qualche successo, ma perse anche questo appoggio con lo scoppio della guerra: il regime si dimostrò incapace di preparare la guerra, la perse rovinosamente e finì per crollare come un castello di carte. La seconda guerra mondiale Gli undici mesi che vanno dalla falsa pace di Monaco allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale mostrarono come l’accordo non fosse nient’altro che il rinvio di qualcosa di inevitabile. La politica di conquista della Germania, sfociata nella distruzione della Cecoslovacchia del marzo ’39, determinò una svolta nella politica anglo-francese rispetto alla pace di Monaco: in risposta alle mire tedesche sulla Polonia, Francia e Inghilterra conclusero un’alleanza con questo paese e decisivo divenne l’atteggiamento dell’Urss ma, per reciproche diffidenze, le trattative fra sovietici e anglo-francesi si arenarono. Nell’agosto del ’39 avvenne uno dei più grandi colpi di scena della storia della diplomazia: Germania e Unione Sovietica, politicamente contrapposte, strinsero un patto di non aggressione che garantiva a entrambi enormi vantaggi. Garantitosi a est con il patto con l’Urss, Hitler, il 1° settembre, attaccò la Polonia. Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania mentre l’Italia, che da poco aveva concluso il patto d’acciaio con i tedeschi, annunciò la non belligeranza. La conquista tedesca della Polonia fu rapidissima, grazie al nuovo tipo di “guerra-lampo” praticato dai tedeschi con l’uso congiunto di aviazione e mezzi corazzati, e già alla fine di ottobre cessava ogni resistenza da parte dell’esercito polacco. Nei primi mesi la guerra si svolse in pratica solo a nord: la Russia attaccò la Finlandia colpevole di aver rifiutato delle rettifiche di confine; la Finlandia resistette fino al marzo del ’40, quando cedette alle richieste sovietiche conservando tuttavia la sua indipendenza. Nell’aprile fu di nuovo la Germania a sferrare un nuovo attacco a nord: occupò la Danimarca, arresasi senza combattere, e la Norvegia. 7 immediatamente arrestato. Capo del governo divenne Badoglio. L’annuncio della caduta di Mussolini fu accolto con esultanza: l’entusiasmo era dovuto alla diffusa speranza di una prossima fine della guerra, ma l’uscita dal conflitto si rivelò più drammatica della guerra stessa. Se Badoglio promise che non ci sarebbero stati cambi nell’impegno bellico, in segreto sottoscrisse l’8 settembre l’armistizio fra l’Italia e gli anglo-americani, che fu in realtà un atto di resa senza garanzia per il futuro. Mentre il re e Badoglio fuggivano a Brindisi sotto la protezione degli alleati, i tedeschi occupavano l’Italia centro-settentrionale; prive di chiare direttive, le forse armate italiane si sbandarono e ogni forma di resistenza fu repressa dai tedeschi con veri e propri massacri. Diventata campo di battaglia per eserciti stranieri, l’Italia doveva affrontare i momenti più duri di tutta la sua storia unitaria. A quel punto il paese era diviso in due: lo Stato monarchico sopravviveva nel Sud occupato dagli alleati, mentre al Nord Mussolini, liberato da Campo Imperatore dagli occupanti nazisti, costituiva la Repubblica sociale italiana che si proponeva di punire gli artefici del tradimento: monarchici, badogliani e fascisti moderati. In generale la Rsi non acquistò mai credibilità data la sua dipendenza dai tedeschi e la sua funzione principale fu quella di reprimere e combattere il movimento partigiano dando così il via a una guerra civile. Le prime bande partigiane si formarono alla fine del ’43 e nacquero dall’incontro di militanti antifascisti e militari sbandati. I partigiani agivano con attacchi improvvisi, con azioni di sabotaggio e disturbo o compivano attentati contro militari o contro singole personalità tedesche. I tedeschi rispondevano a questi attacchi con inumana ferocia: per ogni militare tedesco morto fucilavano 10 antifascisti. Tra la fine del ’42 e l’estate del ’43 si erano ricostituiti i partiti antifascisti ( Democrazia Cristiana, Partito Liberale, Partito repubblicano, Partito d’azione, Partito socialista di unità proletaria e Democrazia del lavoro), che nel settembre ’43 diedero vita al Comitato di Liberazione Nazionale e si proposero come rappresentanti dell’Italia democratica. Era però il governo Badoglio ad avere l’appoggio degli alleati e La contrapposizione con il Cln si sbloccò per l’intervento di Togliatti, che propose formare il primo governo di unità nazionale, con i partiti del Cln. Dopo la liberazione di Roma il re trasmise i propri poteri al figlio Umberto e si costituì un nuovo governo con alla testa Bonomi, più direttamente legato al movimento partigiano. Le azioni militari dei partigiani diventarono più ampie e frequenti e molte città furono liberate prima dell’arrivo degli alleati. Nonostante i contrasti interni alla resistenza, il movimento riuscì a mantenersi attivo fino al definitivo cedimento delle difese tedesche nella primavera del ’45. Mentre gli anglo-americani erano impegnati in Italia, fra il ’43 e il ’44 l’Urss con l’Armata Rossa iniziava una lenta ma inarrestabile avanzata sul fronte orientale che si sarebbe conclusa nel maggio ’45 con la conquista di Berlino. Stalin assunse più peso contrattuale in seno alla grande alleanza e riuscì ad ottenere da Roosevelt e Churchill l’impegno per uno sbarco sulle coste francesi. Con una lunga preparazione e un grande dispiegamento di forze aeronavali l’operazione Overlord ebbe luogo nel giugno ’44: gli alleati sbarcavano in Normandia e, di lì a poco, liberavano la Francia. L’esercito tedesco era in piena crisi: una serie di errori nei reparti alleati permise una riorganizzazione su una linea molto vicina al confine ma la fine de Terzo Reich era soltanto rinviata. 10 Il fronte degli alleati tedeschi si andava sfaldando: Romania, Bulgaria, Finlandia e Ungheria cambiarono fronte; la Grecia era stata liberata dagli inglesi, Belgrado dai russi. Nonostante il territorio del Reich, sgombero dagli eserciti stranieri, fosse sottoposto a continui bombardamenti, Hitler rimase intransigente, convinto di poter rovesciare la situazione bellica con nuove armi e fiducioso in una frattura nello schieramento opposto. Ipotesi del tutto infondata: nonostante l’accesa concorrenzialità all’interno della grande alleanza, anglo-americani e sovietici continuarono a tener fede agli impegni assunti e nelle conferenze di Mosca ( ottobre ‘44) e di Yalta (febbraio ‘45) si accordarono sulla futura sistemazione dell’Europa. Mentre i grandi discutevano a Yalta era già scattata l’offensiva finale che avrebbe portato alla caduta del Terzo Reich: i tedeschi dovettero arretrare su tutti i fronti da Berlino a Vienna a opera dei russi, sul Reno a opera di americani e inglesi. Il 25 aprile, mentre la resistenza proclamava l’insurrezione generale, l’Italia era liberata dai tedeschi e Mussolini giustiziato dai partigiani. Pochi giorni dopo, entrati i russi a Berlino, Hitler si suicidava e la Germania capitolava: le ostilità cessarono ufficialmente nella notte tra l’8 e il 9 Maggio 1945. Il conflitto continuava però in Estremo Oriente, dove il Giappone continuava ostinatamente a combattere con eccezionale accanimento e l’uso di Kamikaze. Terminò il 2 settembre quando, dopo che il nuovo presidente americano Truman ordinò l’uso dell’arma “totale” l’esplosione di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l’imperatore Hirohito offrì la resa senza condizioni. Con la firma dell’armistizio si concludeva il secondo conflitto mondiale. 11
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