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La Seconda Rivoluzione Industriale, Appunti di Storia

La crisi deflazionistica che ha colpito l'economia di tutti i paesi sviluppati negli ultimi anni del 1800, portando alla nascita dell'industria novecentesca e alla modernizzazione dell'economia. Si parla di innovazione tecnologica, apertura di nuovi settori produttivi e mutamenti nella forma organizzativa e proprietaria delle aziende.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 26/09/2022

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andrea-pisani-9 🇮🇹

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Scarica La Seconda Rivoluzione Industriale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! La Seconda Rivoluzione Industriale Gli ultimi anni del 1800 sono anni di grandi trasformazioni sul piano economico, politico, sociale e culturale, tanto che questo periodo è stato chiamato “età del progresso”. Anche se gli inizi di quest’epoca non prometteva niente di buono agli uomini di quell’epoca. Infatti, nel 1873 iniziarono a verificarsi notevoli difficoltà nell’economia di tutti i paesi sviluppati, con rallentamenti in crescita e profitti, che durarono per oltre 20 anni. Tutto ciò si verificava dopo una fase di crescita che pareva inarrestabile. Questo “stop” venne battezzato dagli economisti dell’epoca come la “grande depressione”. I socialisti, dal canto loro, quasi gongolavano perché si scorse per la prima volta l’avverarsi della profezia di Marx sull’inevitabile crollo a cui era destinato il sistema capitalistico per le sue interne contraddizioni. C’è, però, da dire che, in prospettiva storica, entrambi i partiti avevano torto. Infatti, il soprannome pessimistico dato a quest’epoca riflette la percezione degli uomini di quel tempo e non deve trarci in inganno. Quella che si verificò fu una crisi deflazionistica, ovvero una riduzione dei prezzi agricoli e industriali (40%), dovuta a un eccesso di offerta rispetto alla domanda (crisi di sovraproduzione). Era un fenomeno mai visto prima, perché da sempre i problemi economici si verificavano in seguito a una carenza di beni, non a un suo eccesso. La deflazione mise gli operatori e gli economisti di fronte alla nuova realtà del ciclo economico, una teoria per cui a momenti di espansione economica, seguono ciclicamente momenti di depressione, in maniera imprevedibile. L’epicentro della crisi fu il settore agricolo, dove la riduzione dei costi fu dovuta all’immissione nel mercato globale di cereali a basso costo. Queste merci provenivano dai cosiddetti “nuovi granai” del mondo (es. Stati Uniti, Australia), stati in cui la produzione di grano era maggiore per via delle enormi estensioni di terra coltivabile, manodopera a basso costo e agricoltura meccanizzata e altamente produttiva (nel caso degli USA) permettendo a questi Stati di vendere a prezzi più bassi. Fino ai primi anni ’70 non si era verificato questo problema perché la lentezza dei trasporti e il loro alto costo, aveva protetto gli stati del nostro continente, ma con lo sviluppo delle ferrovie e della navigazione a vapore, questa barriera crollò e tonnellate su tonnellate di cereali a basso costo invasero il mercato europeo. Anche in campo industriale si verificò la tendenza alla diminuzione dei costi, dovuta principalmente a tre fattori: il progresso tecnologico, che spingeva al ribasso dei costi; l’eccesso di offerta rispetto alla domanda, conseguente al fatto che il livello dei salari non era aumentato, come il reddito disponibile per i consumi; la sempre più forte concorrenza sul mercato dei nuovi paesi industrializzati. In più, c’è da aggiungere un altro dato, la “geografia dello sviluppo”. Infatti i paesi a industrializzazione tardiva (late comers), come Russia e Italia, si stavano avvicinando sempre di più a Gran Bretagna e Belgio, di prima industrializzazione (first comers). La deflazione ha come conseguenza il rallentamento dell’economia, perché, riducendo i profitti, le persone tendono ad investire di meno. Ma questo accade se gli operatori economici, ovvero Stato e industrie, non fanno niente. Ma ciò non accadde. La crisi stimolò una profonda trasformazione sia dei rapporti commerciali sia delle attività produttive. Dal punto di vista della politica economica, si abbandonò il libero scambio per ritornare al protezionismo. Ciò comportò l’aumento sei dazi sulle importazioni, in particolare sulle merci agricole, ma coinvolse anche quelle industriali. Le trasformazioni maggiori, però, avvennero in campo produttivo, in quanto gli Stati attuarono una profonda ristrutturazione produttiva e organizzativa. È per questo che alla fine dell’800 si assistette a una modernizzazione dell’economia; così grande da indurre gli storici a parlare di seconda rivoluzione industriale. Questi storici, però, non sono tutti della stessa opinione. Alcuni ritengono che essa non sia stata una vera e propria rivoluzione, quanto un forte sviluppo dell’industrializzazione all’interno di forme produttive che rimanevano sostanzialmente costanti. Sta di fatto che è in questo periodo che nacque l’industria novecentesca; in particolare, questa modernizzazione toccò 3 aspetti: 1. l’innovazione tecnologica: fu intensa e riguardò sia ambiti tradizionali (siderurgico, meccanico), sia i nuovi settori produttivi che le nuove fonti d’energia. In particolare la meccanica, vide il perfezionamento dei macchinari di lavoro e l’introduzione di nuovi prodotti, come il motore a scoppio. Invece, il settore siderurgico venne sconvolto dalla rivoluzione dell’acciaio; 2. l’apertura di nuovi settori produttivi: è qui che avvenne il grande salto di qualità della rivoluzione industriale, grazie ai settori della chimica, dell’elettricità e del petrolio. La chimica permise di fabbricare prodotti quotidiani come l’alluminio, il concime, la soda e i coloranti artificiali; l’elettricità, invece, ha portato una rivoluzione sia nelle vita quotidiana, sia nelle industrie, specialmente con le macchine, che furono separate dalla fonte di energia che ne alimentava il motore, per non parlare della costruzione delle centrali idroelettriche, che industrializzarono gli stati più poveri; infine, il petrolio semplifico i trasporti, dando slancio a quella che sarà l’epoca delle automobili; 3. mutamenti nella forma organizzativa e proprietaria delle aziende. Questo forte sviluppo economico ebbe alla base due fattori decisivi: l’intreccio sempre più stretto tra scienza e tecnica e l’intervento del potere pubblico, attraverso investimenti e strutture in favore della ricerca scientifica. Era ovvio che nella prima rivoluzione industriale il contesto dell’“illuminismo industriale” aveva favorito lo scambio e la circolazione di idee e invenzioni, che non erano, però, strettamente legate alla ricerca scientifica. Fu con la comparsa della produzione meccanica, chimica, elettrica e farmaceutica che l’industria iniziò a incorporare in sé quote crescenti di sapere scientifico, tanto da generare essa stessa domanda di nuovo sapere. Da qui in poi, scienza, Stato e industria divennero i tre grandi poli del progresso economico e del benessere di una nazione, come fu reso evidente che senza massicci investimenti in ricerca scientifica e tecnica, un paese non poteva progredire. In contemporanea con l’innovazione tecnologica, ci furono trasformazioni di grande rilievo riguardanti la struttura stessa del capitalismo. Infatti, gli studiosi iniziarono a parlare di capitalismo organizzato, per indicare un sistema in cui grande industria, finanza e Stato sono strettamente intrecciati, accordandosi nel definire politiche favorevoli allo sviluppo. Il fattore di novità sono proprio le grandi industrie, chiamate così per: la dimensione fisica; la dimensione finanziaria, con l’investimento di quote sempre più alte di capitale nei fattori della produzione. Esse si sono formate in seguito a diversi fattori: - l’incessante sviluppo tecnologico, e lo sviluppo di settori ad alta intensità di capitale, ovvero che richiedono ingenti investimenti in impianti, macchinari e attrezzature; - ciò portò le imprese ad aumentare le proprie dimensioni per realizzare l’economia di scala, ovvero ottenere un più rapido ammortamento dei capitali investiti aumentando volume e valore della produzione; - la fase dell’economia che si era aperta aveva messo fuori mercato molte piccole aziende che, per sopravvivere, o si accoppiavano fra loro, o venivano assorbite da altre imprese maggiori; - questo, portò alla tendenza alla concentrazione industriale, con la formazione di trust e cartelli. Tutto questo portò il capitalismo concorrenziale, in cui molti piccoli e medi imprenditori agivano in un regime di concorrenza, a una situazione dominata da oligopoli e monopoli (capitalismo monopolistico), soprattutto nei settori strategici come il siderurgico, il chimico, l’elettrico e il petrolifero. Un secondo fondamentale cambiamento riguardò il rapporto fra settore industriale e sistema finanziario. Infatti, con la necessità di compiere grandi investimenti, gli imprenditori non potevano più affidarsi solo ed esclusivamente all’autofinanziamento, ma dovettero fare un massiccio ricorso al sistema bancario.
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