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La sentenza di Nietzsche <<Dio è morto>>, Sintesi del corso di Filosofia Teoretica

Sintesi approfondita di "La sentenza di Nietzsche <<Dio è morto>>", da "Sentieri Interrotti" di M. Heidegger

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 05/01/2017

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Scarica La sentenza di Nietzsche <<Dio è morto>> e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! La sentenza di Nietzsche “Dio è morto” da Sentieri Interrotti, di Martin Heidegger In questa indagine sono affrontati due problemi: 1) Il luogo a partire dal quale si potrà un giorno discutere dell'essenza del nichilismo; 2) La posizione assunta da Nietzsche nella storia della metafisica occidentale - La metafisica occidentale è verosimilmente nel suo stadio finale, dato il suo capovolgimento operato da Nietzsche nel non essere. Il soprasensibile è stato riconosciuto come l’incosistente prodotto del sensibile: la destituzione del soprasensibile, annullando ogni distinzione tra soprasensibile e sensibile, ha comportato la destituzione anche del puro sensibile. -Della nostra indagine noi vogliamo intendere la metafisica come la verità dell'ente come tale nel suo insieme, e non come dottrina del singolo pensatore. Trattare della metafisica in Nietzsche non significa limitarsi ad una parte della sua filosofia, ma prendere sul serio Nietzsche come pensatore. Pensare, anche per Nietzsche, significa rappresentare l'ente in quanto ente: la metafisica è onto- logia. Qui noi tentiamo un pensiero preparatorio: si tratta per noi di dissodare un campo, di presentirlo, trovarlo ed infine coltivarlo, un campo, questo, che con l'inevitabile predominio della metafisica doveva restare sconosciuto. Si tratta di entrarvi una prima volta. Numerosi sono i sentieri sconosciuti che conducono ad esso, e per ogni pensatore ne sussiste uno soltanto. Forse il titolo Sein und Zeit è l'indicazione di un cammino di questo genere. In conformità all’ intreccio essenziale della metafisica con le scienze, le quali appartengono alla discendenza della metafisica, il pensiero preparatorio dovrà muoversi talvolta anche nella sfera delle scienze stesse. Ad esso incombe anche un'educazione al pensare all'interno delle scienze. Si tratta di trovare la forma adatta affinché tale educazione al pensare non si confonda con l’erudizione o con la ricerca scientifica. Pensare nel filo delle scienze significa oltrepassarle senza svilirle. Non sappiamo quali possibilità riservi al nostro popolo e all'Occidente il destino [Geschick] della storia occidentale. L'analisi che segue si mantiene nell'ambito di quelle esperienza di pensiero entro cui fu pensato Sein un Zeit. -->Nella storia del pensiero occidentale (sotto forma di metafisica) fin dall'inizio si pensa l’ente rispetto al suo essere, ma senza che sia pensata la verità dell'essere; la verità non solo è rifiutata al pensiero come possibile apprensione, ma lo è in modo tale che il pensiero occidentale stesso nasconde il fatto di questo rifiuto, anche se non ne è consapevole. Il pensiero preparatorio si mantiene perciò necessariamente nel campo della riflessione storica; per questo pensiero la storia non è successione di periodi storici, ma un'unica vicinanza del Medesimo che concerne il pensiero nei modi imprevedibili del destino e secondo gradi diversi di immediatezza. La metafisica di Nietzsche Il pensiero di N. vede se stesso sotto il segno del nichilismo -->“Dio è morto” Si potrebbe pensare che tale affermazione esprima l'opinione dell’ateo N., riflettendo quindi soltanto un atteggiamento personale. Nulla di più sbagliato. N. non fa che pronunciare la sentenza che inespressamente fu già sempre alla base della storia dell'Occidente metafisicamente determinato: il detto di Nietzsche qualifica il destino di due millenni di storia occidentale. La concezione fondamentale della morte di Dio e del morire degli dei era già familiare al giovane N. In una annotazione del tempo in cui stendeva la sua prima opera La nascita della tragedia (1870), Nietzsche scrive: ‘“Io credo al detto del germanesimo primitivo: tutti gli Dei devono morire”. F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125 125. L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto converte in un “sì” della nuova posizione -è questo il nichilismo assunto in una prospettiva positiva, come nichilismo classico o compiuto. L’ambiguità del nichilismo -che indica da un lato la perdita di valore dei valori supremi, e dall’altro un capovolgimento di tutti i valori che è dunque nuova posizione- viene del resto preannunciata dall’ambiguità di un altro fenomeno, il pessimismo. Per Schopenhauer il pessimismo è la convinzione secondo cui in questo che è il peggiore dei mondi la vita non vale la pena di essere vissuta. La vita e quindi l’ente come tale devono essere rifiutati: questo è per Nietzsche il pessimismo della debolezza. Il pessimismo della forza al contrario non si fa illusioni, vede il pericolo, non tollera simulazioni, penetra analiticamente nei fenomeni esigendo la chiarezza circa le condizioni e le forze che nonostante tutto permettono il controllo della situazione storica. Il pessimismo nella sua duplice forma fa emergere gli estremi. Nasce così uno stato di esasperata tensione sotto forma di aut-aut. Si delinea una situazione intermedia in cui si fa chiaro da un lato che la realizzazione dei valori supremi non ha luogo e il mondo appare senza valore, e dall'altro questa consapevolezza volge l'attenzione verso la sorgente di una nuova posizione di valori senza che il mondo riottenga già il proprio valore. Certamente la caduta dei precedenti valori può anche concludersi in un altro tentativo. Se Dio, nel senso del Dio cristiano, ha abbandonato il suo posto nel mondo ultrasensibile, il posto c'è ancora, anche se vacante. Questa regione vuota del mondo sovrasensibile può essere mantenuta. Essa richiede allora un nuovo occupante: nuovi ideali sono pertanto istituiti. Secondo N., come si legge in Volontà di potenza, ciò avviene con le dottrine della felicità universale e col socialismo, con la musica wagneriana. Si ha allora il nichilismo incompiuto -noi viviamo in mezzo alle forme del nichilismo incompiuto; ma i tentativi di sottrarci al nichilismo senza rovesciare i valori precedenti acutizzano il problema. Se il nichilismo incompiuto sostituisce i precedenti valori con altri ponendoli sempre nel medesimo luogo, il nichilismo compiuto invece deve eliminare il luogo tradizionale del valore, il sovrasensibile come regione a sè, che oramai appare priva di vita, e deve pertanto porre i valori in modo diverso, cioè capovolgerli. La posizione dei valori richiede quindi un nuovo principio, una nuova regione, in un capovolgimento che ha il carattere di ciò che è vivente al massimo grado: il nichilismo si muta così in un ideale di vita potenziata al massimo. Cosa è per Nietsche “valore” e “vita”, per arrivare poi alla volontà di potenza valore: Dal XIX secolo parlare di valori diviene abituale. Si parla di valori vitali, di valori culturali, di valori di eternità, di rango di valori, di valori spirituali. Attraverso l'esercizio erudito della filosofia è la rielaborazione del neokantismo nasce la filosofia dei valori. Si costruiscono sistemi di valori e l'etica studia le stratificazioni di valore. Anche la teologia cristiana definisce Dio come supremo valore. Si dichiara la scienza estranea al valore e si collegano i valori alle visioni del mondo. Il valore e ciò che ha valore divengono un surrogato positivistico del metafisico. Al diffuso impiego della nozione di valore fa riscontro l’indeterminatezza del suo significato. Annotazione del 1887-88, Volontà di potenza, af. 715: Il punto di vista del “valore” è il punto di vista delle condizioni di conservazione-accrescimento in ordine alle formazioni complesse di relativa durata della vita in seno al divenire. Da tale definizione apprendiamo innanzitutto che il valore è un punto di vista. Il valore è l'angolo visuale di un vedere che mira a qualcosa, che conta su qualcosa e deve quindi fare i conti con qualcos'altro. Il valore è in un rapporto col tanto, col quantum e col numero. I valori sono perciò rapportati ad una scala numerativa e misurativa. Resta il problema quindi del fondamento di questa scala di accrescimento e diminuzione. In quanto punto di vista, il valore è posto da un determinato vedere e per esso. Il vedere è quel rappresentare che da Leibniz in poi è concepito come tendere (appetitus). Ogni ente è rappresentante perché all'essere dell'ente appartiene il nisus, cioè l'impulso al sorgere, nisus che impone a qualcosa di farsi innanzi (apparire), determinandone in tal modo la presentazione. L’essenza di ogni ente, in quanto determinata dal nisus, irraggia un angolo visuale, che è appunto il valore, ed offre la prospettiva che deve essere seguita. Leggiamo secondo la definizione che coi valori sono poste le condizioni di conservazione- accrescimento, vale a dire di conservazione e insieme di accrescimento, che designano l'unità reciproca dei tra i fondamentali della vita. Il vivente è perciò sempre una commissione di accrescimento e conservazione, e perciò una formazione complessa della vita. La durata di queste complesse formazioni della vita riposa sulla relazione reciproca di accrescimento e conservazione. Essa è pertanto proporzionata alla situazione, è la relativa durata del vivente e quindi della vita. Il divenire, infine, non è lo scorrimento di tutte le cose, il semplice mutamento degli Stati o un'evoluzione o un processo indefinito. Divenire significa il trapasso di qualcosa a qualcos'altro. Nietzsche pensa questo carattere come il tratto fondamentale di ogni reale, quindi di ogni ente. Ciò che determina ogni ente nella sua essenza è la volontà di potenza, dunque il divenire equivale in senso lato alla volontà di potenza. Divenire = Volontà di Potenza=Vita=Essere. La vita si concentra in vari centri della volontà di potenza, che sono lo Stato, la religione, la scienza, la società. La volontà di potenza pone dunque i valori, come sue condizioni, cioè è proprio la volontà di potenza a giudicare secondo valori: Pertanto i valori e il loro mutamento sono in rapporto all’ accrescimento di potenza di coloro che li pongono. Il principio della nuova posizione di valori: la volontà di potenza Il principio della nuova posizione di valori, in quanto principio del capovolgimento di tutti i valori precedenti, è dunque ormai stato identificato: si tratta della volontà di potenza, con la quale si pone in atto il rovesciamento di ogni metafisica. Questo rovesciamento è un oltrepassamento della metafisica -ma in realtà, vedremo che ogni rovesciamento di questo genere non può che essere un inconsapevole irretimento nella medesima cosa, dunque nella metafisica stessa. Diventa chiaro a questo punto il collegamento fra il nichilismo e la sentenza “dio è morto” con la volontà di potenza. Ma cosa significa volontà di potenza per Nietzsche? Volere è tendere a qualcosa; potenza è l’esercizio del potere e della forza, dunque la volontà di potenza è l’appetito della potenza. In quanto tendenza a qualcosa di non ancora posseduto, essa rinvia a un senso di mancanza. L'analisi della volontà di potenza in questo modo finisce tuttavia per cadere nel dominio della psicologia. Per uscire da tale ambito occorre parlare di ciò che Nietzsche intende per volontà di potenza mediante una riflessione sul pensiero metafisico e su tutta la storia della metafisica occidentale. Nella seconda parte di Così parlò Zarathustra, che apparve un anno dopo la Gaia scienza nel 1883, Nietzsche nomina per la prima volta la volontà di potenza nel senso in cui essa doveva venire intesa: “dovunque troverai un vivente, troverai volontà di potenza; anche nella volontà del servo troverai la volontà di essere padrone”. La volontà è dunque presente anche nel volore di coloro che servono. Questo non vuol dire che il servo voglia sottrarsi al proprio ruolo di servo per sostituirsi al padrone: è proprio in quanto servo che egli vuol sempre aver qualcosa sotto di sé a cui poter comandare nel proprio servizio. Così, in quanto servo, è pur anche padrone: anche l'essere servo è un voler essere padrone. La Volontà non è un desiderio o la semplice aspirazione a qualcosa, perché volere è in se stesso comandare. Colui che comanda può, da padrone, disporre delle possibilità dell'agire efficace. Il comandare è da tenere distinto dal semplice impartire ordini agli altri. Solo chi non sa ubbidire a se stesso ha ancora bisogno di ordini. Ciò che la volontà vuole non è allora qualcosa a cui essa mira senza possederlo ancora, ma ciò che vuole è già in suo possesso, perché la volontà non vuole altro che il suo volere. La volontà vuole se stessa ed in questo oltrepassa se stessa. Volere in generale equivale a voler diventare più forte, cioè più potente: la potenza è sempre accrescimento di Potenza, una semplice pausa nell’accrescimento di potenza, un semplice arresto ad un determinato grado di potenza, segnerebbe l'inizio del declino della potenza. Nell'espressione Volontà di potenza “potenza” Indica semplicemente il modo in cui la volontà vuole se stessa in quanto è comando. Una volontà per sé non esiste, come non esiste una potenza per sè. Volontà e Nella seconda considerazione inattuale (1874), Nietzsche considera la giustizia come l'oggettività delle Scienze Storiche. Solo negli anni decisivi 1884-85 in cui la volontà di potenza gli apparve chiaramente come il tratto fondamentale dell'ente, N. annotò due pensieri sulla giustizia, senza però pubblicarli. La prima annotazione (1884) porta il titolo Le vie della libertà e dice: “la giustizia come maniera di pensare costruttiva, eliminante, nullificante -in base alle valutazioni; suprema rappresentante della vita stessa”. La seconda annotazione (1885) dice: “La giustizia, funzione di una potenza veggente ad ampio raggio e mirante oltre le ristrette prospettive del bene e del male, è tale da possedere un orizzonte più ampio del vantaggio - l'intento è di conservare qualcosa che è più di questa o quella persona”. Se vogliamo comprendere esattamente ciò che Nietzsche intende per giustizia è necessario liberarsi da tutte le concezioni della Giustizia propria della morale cristiana, umanistica, illuministica, borghese e socialista. Egli la concepisce a partire dall'essere dell'ente nel suo insieme, cioè sul fondamento della volontà di potenza. Ciò che è giusto lo è per la sua conformità al diritto. Ciò che è “di diritto” si determina come tale in base a ciò che è essente in quanto ente. “Diritto=volontà di eternare un mutevole rapporto di forza. La soddisfazione in esso implicita ne è il presupposto. Tutto ciò che è degno di venerazione partecipa a far sì che il diritto appaia come l'Eterno” (af. 462, 1883). L'argomento riforma nella notazione dell'anno successivo: “ il problema della giustizia. L'elemento primo e più potente è la volontà e la forza dell'ultrapotenza. Solo in un secondo tempo il dominatore istituisce la giustizia, cioè valuta le cose secondo questa misura. Se gli è molto potente può anche andare molto lontano nel lasciar fare e nel riconoscimento dell'individuo che cerca”. Il concetto di giustizia della metafisica di Nietzsche coglie l’essenza della Giustizia quale è già storicamente in atto all'inizio del compimento dell'epoca moderna. La giustizia, come è concepita da Nietzsche, è la verità dell'ente sotto forma di volontà di potenza, è la verità dell’ente determinata dall’essere stesso. Tale verità è la metafisica stessa nel suo compimento moderno. Il “superuomo” Il problema del valore del quale abbiamo discusso fino ad ora incontra se stesso come storico. Il nichilismo è il processo di perdita di valore dei valori supremi e del capovolgimento di tutti i valori: tale processo resta di natura metafisica, proprio nel senso della metafisica della volontà di potenza. I nuovi valori determinano in maniera nuova l’uomo: l’essere-uomo si innalza ad una nuova dimensione storica. L'autocoscienza, in cui consiste l'essenza dell'umanità moderna, compie il suo passo estremo: e sta vuole se stessa come autrice della volontà incondizionata di potenza. Il termine che designa la nuova forma di umanità è quello di “ superuomo”. Di colpo l'uomo viene a trovarsi di fronte al compito dell’assunzione del dominio della Terra. Ma l’uomo di fino ad oggi si è assicurato se la sua essenza possiede la maturità e la forza per corrispondere a questa pretesa dell’essere? L’uomo di fino ad oggi vorrebbe restare ciò che è stato fin’ora, in cui si è trattenuto con ripieghi e raggiri disconoscendo ciò che egli è. Questo uomo non è ancora preparato nella sua essenza per l’essere che frattanto domina l’ente. Nell’essere si accampa la necessità che l’uomo vada oltre l’uomo attuale, esclusivamente per l’essere stesso. La dottrina del superuomo trae origine da un pensiero che pensa l’ente in quanto ente: essa si riconnette pertanto all'essenza della metafisica, senza tuttavia poter rendersi conto di questa essenza, chiusa come è all'interno della metafisica stessa. Resta così nascosto alla metafisica di Nietzsche, e del resto a ogni metafisica precedente, come l'essenza dell'uomo sia determinata dall’essenza dell'essere. Ecco perché nella metafisica di Nietzsche è necessariamente oscuro il fondamento della connessione tra la volontà di potenza e l'essenza del superuomo. Tuttavia in ogni velamento domina già un disvelamento. L'esistenza, che è propria della essenza dell'ente come volontà di potenza, è l'eterno ritorno dell'uguale. L'essere, pensato nel ritorno, contiene il rapporto all’essenza del superuomo. Ma questo rapporto resta necessariamente non pensato nella sua connessione essenziale all'essere. Perciò anche N. resta completamente all'oscuro del rapporto intercorrente fra l'essenza della metafisica e il pensiero che penso il superuomo nella forma di Zarathustra. Si tratta di pensare non sono metafisicamente ma a partire dalla essenza della metafisica stessa (cosa fino ad ora non ancora compiuta). Nietzsche conclude la prima parte di Così parlo Zarathustra (1883) così: “Tutti gli dei sono morti: ora noi vogliamo che viva il superuomo!” Si potrebbe credere grossolanamente che queste parole stiano a significare che il dominio sull’ente passa da Dio all'uomo o, peggio ancora, che Nietzsche pone l'uomo al posto di Dio. L'uomo non può mai porsi al posto di Dio. Ma può accadere qualcosa di assai più inquietante di questa impossibilità. Quel posto che nell'ordine della metafisica appartiene a Dio è il luogo della efficienza causale o della conservazione dell'ente in quanto ente creato. Questo posto di Dio può restare vuoto. In sua vece può aprirsi un altro posto, metafisicamente corrispondente, che non è identico nè alla regione dell' essenza divina nè all’essenza dell’uomo, col quale però l’uomo intrattiene una particolare relazione. Il superuomo non subentra e non può subentrare al posto di Dio: il posto in cui si insedia il volere del superuomo è un altro dominio, da cui procede un'altra fondazione dell'ente in base a un suo altroessere. Questo altro essere dell'ente è la soggettività, quale si è costituita all'inizio della metafisica moderna. Ho niente e o il reale come oggetto o il realizzante come rappresentazione oggettivante in cui si costituisce la oggettività dell'oggetto.La rappresentazione oggettivante, rappresentando, subordina l'oggetto all’ego cogito. Quast’ultimo, in base alla sua attività (la subordinazione rappresentativa) si rivela come soggetto. Il soggetto è soggetto a se stesso. L'essenza della coscienza è l'autocoscienza. Ogni ente è dunque o oggetto del soggetto o soggetto del soggetto. In entrambi i casi l'essere dell'ente consiste in una rappresentazione che è un porsi-innanzi-a-se-stesso e quindi un imporsi. Anche l’uomo si costituisce nell’insorgere, mentre il mondo si muta in oggetto. La natura appare ovunque come l’oggetto della tecnica. Nella Metafisica l’essere è decaduto a valore: ecco l’evento fondamentale della storia occidentale in procinto di trasformarsi in storia universale Risale allo stesso periodo (1881-1882) a cui appartiene lo scritto sull’uomo pazzo, l’annotazione di N.: “ Si avvicina il tempo in cui sarà combattuta la lotta per il dominio della Terra -essa sarà combattuta nel nome di dottrine filosofiche fondamentali”. Questa affermazione non vuol dire che la lotta per lo sfruttamento illimitato della terra come materia prima e per l'Impiego senza riserve del materiale umano al servizio del potenziamento assoluto della volontà di potenza chiama in causa esplicitamente la filosofia. Al contrario, è da presumersi che la filosofia come dottrina e prodotto culturale, quale è stata genuinamente fin’ora, scompaia. Le “dottrine filosofiche fondamentali” non sono le dottrine dei dotti, ma il linguaggio della verità dell’ente come tale; verità, questa, che è la metafisica stessa nella forma della metafisica della soggettività incondizionata della volontà di potenza. La lotta per il dominio sulla terra deriva già, nella sua essenza storica, dall’apparizione dell’ente come tale nel modo della volontà di potenza, senza che tuttavia esso sia riconosciuto e compreso come volontà. Con l'inizio della lotta per il dominio della terra, l'epoca della soggettività è spinta verso il suo compimento. Fa parte di questo compimento che l’ente, essente nella forma della volontà di potenza, si renda certo e perciò consapevole della propria verità circa se stesso, secondo la modalità che gli è propria e sotto ogni riguardo. Il rendersi consapevole è un necessario strumento del volere che vuole sul fondamento della volontà di potenza. Esso si attua, per quanto concerne la oggettivazione, nella forma della pianificazione, mentre per quanto concerne l'insorgere dell’uomo, nella forma dell’autovolizione, mediante l'analisi incessante della situazione storica. Dunque, che ne è dell’essere nell’epoca dell’inizio del predominio della volontà di potenza? “Il grande mezzodì” è il tempo della chiarezza estrema. Nel volere della volontà di potenza, si impone all'uomo la necessità di volere nello stesso tempo le condizioni di questo volere. Ciò equivale a porre valori e a giudicare ogni cosa secondo valori. E così il valore determina ogni ente nel suo essere.
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