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La sindrome da burnout (o più semplicemente burnout) è l'esito patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operator, Tesi di laurea di Pedagogia

TESI SULLA SINDROME DEL BURNOUT

Tipologia: Tesi di laurea

2018/2019
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Caricato il 01/08/2019

Angelavisone
Angelavisone 🇮🇹

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Scarica La sindrome da burnout (o più semplicemente burnout) è l'esito patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operator e più Tesi di laurea in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Anno Accademico 2018/2019 INDICE INTRODUZIONE p.3 I CAPITOLO: STRESS E BURNOUT p.4 1. Dallo stress lavorativo al Burnout p. 4 2. Le reazioni allo stress p. 5 II CAPITOLO: LA STORIA DEL BURNOUT p. 7 2.1 L’origine del Burnout p. 7 2. Il Burnout in Italia e la metafora del circuito p. 8 III CAPITOLO: LE CARATTERISTICHE DEL BURNOUT p. 15 1. La sindrome del Burnout p. 15 3.2 Le fasi del Burnout p. 18 2. Segni e sintomi del Burnout p.24 4. Le cause del Burnout p. 26 5. Sintomatologia p. 30 6. Fattori di rischio p. 32 7. Prevenzione p.33 1 8. Responsabilità del singolo operatore p. 34 9. Responsabilità dell’organizzazione p. 34 IV CAPITOLO: IL BURNOUT A SCUOLA p. 40 4.1 Gli insegnanti e il Burnout p. 40 4.2 Gli insegnanti e lo stress p.40 2. I fattori del Burnout dell’insegnante: fattori storico-sociali p.41 3. I fattori del Burnout dell’insegnante: fattori individuali p.42 4. I fattori del Burnout dell’insegnante: fattori psicosociali p. 44 5. L’insegnante bruciato p.45 6. Compiti dell’organizzazione scolastica p. 45 4.8 p.46 4.9Empowerment p.51 Considerazioni conclusive p. 57 Bibliografia p. 58 INTRODUZIONE Gli insegnanti all’interno della scuola operano per costruire l’autostima dell’alunno, per motivarlo ad apprendere e per conquistare la sua fiducia. Il ruolo dell’insegnante, nelle società più antiche, era considerato di primaria importanza, in quanto garantiva all’alunno un’adeguata preparazione a livello culturale e non solo, in modo tale che lo stesso potesse 2 aggregazione. Negli ultimi anni, in particolar modo, si è preso coscienza del fatto che l’ambiente lavorativo possiede un potenziale stressogeno molto elevato, tanto da far parlare di stress da lavoro correlato, definibile come una situazione di squilibrio, percepita dal lavoratore, che si verifica quando le richieste dell’ambiente lavorativo sembrano eccedere le capacità del lavoratore di farvi fronte. Successivamente nel 1956, sempre Selye, nell’opera The stress of life, interpretò lo stress come una “risposta funzionale con cui l’organismo reagisce ad uno stimolo, più o meno violento, di qualsiasi natura esso sia (fisica e/o psichica)”. 2. Le reazioni allo stress Le reazioni allo stress sono: -EUSTRESS: ovvero lo stress di tipo benigno, adattivo, in cui se il soggetto è in grado di adottare una strategia adeguata, si potrà avere addirittura un miglioramento della performance. -DISTRESS: in riferimento allo stress di tipo dannoso, disadattivo, in cui se il soggetto non è in grado di adottare una strategia adeguata, si potrà avere un peggioramento della performance con la comparsa di sintomi di tipo psicologico e fisico. Ad uno stress grave e prolungato, l’organismo risponde con la sindrome generale di adattamento o risposta “attacco o fuga”: ha carattere fisiologico, ma può risultare comunque dannosa nel caso non sia possibile rimuovere i fattori di stress. La sindrome generale di adattamento si caratterizza per: -Reazione di allarme; -Fase di resistenza; -Fase di esaurimento. Lo stress lavorativo, diversamente dal burnout, può interessare tutti i lavori e ha diverse fonti: 1)intrinseche alla mansione da espletare (rumorosità, sovraffollamento, viaggi, orari); 2)dell’organizzazione (ambiguità e conflitto di ruolo); 3)di carriera (sovrapromozioni); 5 4)di lavoro (colleghi, capi, dipendenti); 5)struttura e clima organizzativo (norme/valori, sentimenti/credenze). Nel corso degli anni è stato rilevato che gli agenti di stress e le modalità di risposta possono variare secondo le caratteristiche personali, il tipo di occupazione e l’ambito lavorativo. Si è infatti visto recentemente, che le persone impegnate in professioni dedite al sostegno, all’aiuto sono esposte maggiormente a particolari agenti stressanti a cui rispondono con modalità specifiche. CAPITOLO II STORIA DEL BURNOUT 2.1 L’origine del burnout Tra le forme di stress che possono derivare dal lavoro, una peculiare tipologia è quella che può essere riscontrata nella cosiddetta sindrome del burnout 3 (definita anche 6 3 La sindrome da burnout (o più semplicemente burnout) è l'esito patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali. semplicemente burnout) che rappresenta una vera e propria forma di esaurimento o disagio psicofisico derivante dalla natura di alcune mansioni professionali, qualora queste non rispondano in modo adeguato agli eccessivi carichi di stress che il lavoro li porta a dover sostenere. Nel corso degli anni, numerosi autori, hanno contribuito a sviluppare una maggiore consapevolezza delle linee di forza più interne delle strutture sanitarie a delineare possibili e più integrati paradigmi operativi. Già agli inizi del 1900 Emil Kraepelin, psichiatra e psicologo tedesco, utilizza il termine burnout (dall’inglese: bruciato, scoppiato, esaurito) ed evidenzia i disagi legati alla professione di psichiatria, ed individua come principale difficoltà: l’eccessivo carico di lavoro, uno scarso piacere ricavato dal lavoro clinico, ed un finale esaurimento del medico. Successivamente, verso la fine degli anni ’30, compare nuovamente in lingua inglese il termine burnout, per designare il fenomeno in riferimento all’ambito sportivo anglosassone, per il quale un atleta, apparentemente molto dotato, dopo alcuni successi non riesce a dare più nulla sul piano agonistico, risultando incapace di ottenere risultati e/o mantenere quelli finora ottenuti. In seguito, nel 1974, il termine burnout fu utilizzato dallo psicologo Herbert J. Freudenberger 4descrivendo l’esaurimento fisico ed emotivo sperimentato dagli operatori di una istituzione psichiatrica; osservando, tuttavia, i lavoratori volontari di un ospedale pubblico. Egli dà una prima descrizione dei segni e dei sintomi specifici che ritiene compaiano dopo il primo anno di lavoro in un setting istituzionale, osservando che vi è una maggiore incidenza negli operatori più motivati, dando molta importanza tanto alla noia quanto alla routine definendoli come aspetti fondamentali per capire la condizione psicofisica degli operatori. Si deve in un certo senso a H.J.Freudenberger la definizione di burnout, il quale lo definisce: uno “stato di frustrazione nato dalla devozione ad una causa, da uno stile di vita, da una relazione che ha mancato di produrre la ricompensa attesa”. Successivamente a Freudenberger, si fa sempre più crescente l’attenzione al fenomeno ed il termine burnout viene usato per descrivere situazioni tra loro affini, ma anche diverse, racchiudendo in sé troppi significati contraddittori fra di loro, come: perdita di volontà, 7 4 Herbert J. Freudenberger (Francoforte sul Meno, 26 novembre 1927 – New York, 29 novembre 1999) è stato uno psicologo statunitense, di origine tedesca. In base alla formazione ed alla mansione, vi sono: - i volontari senza una formazione formale (temporaneità), - i tirocinanti (sovra-identificazione coll’utente), - gli operatori professionali con diploma (gruppo più cortocircuitabile), - gli operatori professionali con laurea (isolamento), - amministratori e coordinatori (impreparazione). Il cortocircuito è una malattia contagiosa. Esso procede da un utente all’équipe, da un membro dell’équipe ad un altro, dall’équipe agli utenti. Perciò la sindrome non è affatto una questione personale di chi ne è affetto, ma riguarda l’organizzazione dei servizi, la comunità, gli utenti oltre che l’individuo stesso. Stadi del cortocircuito Edelwich e Brodsky identificano cinque stadi del cortocircuito: 1.l’entusiasmo; 2.la stagnazione; 3.la frustrazione; 4.l’apatia; 5.l’intervento; Questi stadi, di cui si discuterà in modo più approfondito in un capitolo successivo, hanno due caratteristiche: sono molto contagiosi; la loro progressione non è lineare, ma ciclica. Il ciclo può essere interrotto in ogni punto con un intervento appropriato, ma può ripresentarsi più volte nella vita. Nel 1981, Pines A., Aronson E., Kafry D. definiscono il burnout, come: - esaurimento fisico; 10 - sentimenti di impotenza e disperazione; - svuotamento emotivo; - sviluppo di una percezione di sé negativo; - atteggiamenti negativi verso il lavoro, la vita in generale e gli altri. Si sviluppa un senso di scontentezza, afflizione, fallimento nella ricerca di un ideale, che è il risultato di una costante o ripetuta pressione emotiva, associata con persone, per lunghi periodi di tempo; Si associano a queste definizioni anche quella delineata nel 1982 da Perlman e Hartman, secondo cui il burnout viene definito come risposta ad uno stress emotivo cronico, caratterizzato da tre componenti: - esaurimento emotivo o fisico; - ridotta produttività sul lavoro; - spersonalizzazione; Cherniss (1986), con "burnout syndrome" definiva la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l'individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla. Nel 1988 Cournoyer, definisce il modello “ciclo di stress personale e professionale”, delineando quattro stadi: 1) neutrale, che può condurre ad uno stress benefico, caratterizzato da: - incremento di attività; - performance positive nella relazione di aiuto; 2) caratterizzato verso il passaggio verso il distress, in cui si lamentano: - sintomi psicosomatici; - insofferenza verso il lavoro e gli utenti; - depressione e ansietà; 3) corrisponde ad un grave livello di stress, con sintomatologia fisica ingravescente. Le possibili reazioni a questo disagio possono essere: 11 - abbandono del posto di lavoro; - assunzione di un atteggiamento negativo, cinico e distaccato; 4) prevede un crollo a livello lavorativo e/o privato, con possibile presenza di: - gravi patologie somatiche; - gravi quadri psichiatrici; Nel 1994 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito il burnout nella classificazione internazionale delle malattie, nel capitolo XXI, riguardante i “Fattori che influenzano lo stato di salute e il contatto con i servizi sanitari”. Esistono infatti diversi punti di vista sul burnout: 1. psicologia dell’apprendimento: il burnout come impotenza appresa. Essa si manifesta nell’uomo con deficit motivazionale (è compromessa l’iniziativa finalizzata a riprendere il controllo della situazione), deficit cognitivo (il soggetto non è cosciente che gli avvenimenti dipendano almeno in parte dalle sue azioni) e deficit emozionale (paura, depressione, ansia, rabbia). Gli esseri umani nella costruzione delle loro aspettative si basano spesso sull’intuizione usando regole approssimative o si lasciano sviare da opinioni persistenti invece di compiere una precisa valutazione della situazione attuale (stima soggettiva delle possibilità di successo) 2. clinico -psicoanalitico: il burnout come autonomia. La mente umana ha la capacità di difendere illusoriamente se stessa di fronte a un dolore ritenuto intollerabile auto mutilandosi e rifiutando di vivere l’esperienza dolorosa. Autonomia come tendenza umana della mente ad evacuare e allontanare da sé le esperienza frustranti e dolorose che restano aldilà della barriera della pensabilità. 3. sociologico : burnout come conseguenza del declino della vita in comunità. Nelle società moderne prevale l’anomia, nella vita comunitaria c’era un maggior senso comunitario, un sistema di sostegno primario come vicinato, parrocchia, famiglia patriarcale, svolgevano un’importante funzione psicologica che si è persa nei grandi agglomerati urbani; fornivano valori, aiuto morale, sicurezza che aiutava a comprendere e affrontare le varie forme di disagio. Ciò favorisce l’insorgenza del burnout in 4 modi: 12 specialmente dell'area socio-sanitaria: medici, psicologi, assistenti sociali, counselors, fisioterapeuti, infermieri, notando un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e un altrettanto rapido peggioramento delle prestazioni professionali. Il burnout non è, tuttavia, manifestazione peculiare delle professioni sociosanitarie, ma costituisce un rischio potenziale per ogni operatore che lavora “con la gente”: dall'insegnante al sacerdote, dal consulente legale all'educatore. Questo rischio sembra derivare da rapporti interpersonali, frequenti e intensi, che tali operatori intrecciano con i loro utenti. Rapporti spesso carichi emotivamente, caratterizzati da stati di tensione, di ansia, di imbarazzo e anche di ostilità. Si è visto come negli anni, sono state proposte differenti definizioni concettuali di burnout. Tuttavia, Maslach (1982) ritiene che, pur nelle differenze, si abbiano anche consistenti analogie, utili per una definizione provvisoria condivisibile dalla maggioranza degli specialisti. In termini più specifici, Maslach e Jackson (1981) definiscono il burnout come una sindrome costituita da: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione professionale. Per esaurimento emotivo si intende lo svuotamento delle risorse emotive e personali e la sensazione che non si abbia più niente da offrire a livello psicologico; la depersonalizzazione si riferisce ad atteggiamenti negativi, di distacco, di cinismo, di ostilità nei confronti della gente con cui si lavora. La ridotta realizzazione, infine, riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, implica una caduta dell'autostima e una attenuazione del desiderio di successo. La definizione proposta da Maslach e Jackson (1981) – divenuta punto di riferimento per gli studiosi di questa sindrome – ha contribuito ad evitare che il termine burnout divenisse un «contenitore» di tutti i tipi di crisi lavorative6. Ancora, Cherniss7 (Cherniss,1986), con "burn-out syndrome" definiva la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l'individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla. E’ inoltre importante sottolineare come il burnout si differenzi dallo stress in quanto quest’ultimo è un fenomeno prettamente individuale, mentre il burnout è un fenomeno fondamentalmente psicosociale. Un fenomeno multidimensionale che si sviluppa nel tempo e implica una relazione “diretta” tra operatore ed utente, quando le capacità personali sono, nella maggioranza dei casi, implicate più delle abilità professionali nel rapporto con il destinatario della richiesta d’aiuto. 15 6 Meier, 1983; Savicki e Cooley, 1983. 7 C Cherniss - 1980 . La sindrome del burnout è dunque indice di una non corrispondenza tra quello che le persone sono e quello che debbono fare. Esprime un vero e proprio deterioramento che colpisce i valori, la dignità, lo spirito e la volontà delle persone. Si può arrivare a parlare addirittura di corrosione dell’animo umano. La sindrome del burnout, o sindrome da disaffezione e disimpegno dal lavoro, si ribadisce che non è, solitamente, un processo rapido ed immediato: comincia con i primi episodi di sconfitta, con una lunga serie di aspettative frustrate, progetti falliti, ricompense mancate per sfociare, in ultimo, esito di una patologia dell’organizzazione lavorativa con possibili ripercussioni negative sia sulla salute dell’operatore sia sulla qualità del servizio stesso. E’ con il Progetto di Legge 4562 del 2 maggio 2000 che il burnout è stato definito chiaramente come sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità professionali che può presentarsi in soggetti che per mestiere si occupano degli altri e si esprime in una costellazione di sintomi quali somatizzazioni, apatia, eccessiva stanchezza, risentimento, incidenti. Ne consegue che, se non opportunamente trattati, i soggetti coinvolti nel processo di burnout cominciano a sviluppare un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e quella degli utenti/pazienti. Il burnout porta il soggetto a sfuggire all'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. Si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a segnali psicosomatici come l'insonnia e psicologici come la depressione. I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale, ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l'abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout. La prevalenza della sindrome nelle varie professioni non è ancora stata chiaramente definita, ma sembra essere piuttosto elevata tra operatori sanitari quali medici e infermieri (ad esempio, secondo uno studio olandese in Psychological Reports, non meno del 40% dei medici di base andrebbe incontro ad elevati livelli di burnout), seguono insegnanti e 16 poliziotti. Ma sicuramente, questo disagio colpisce anche coloro che hanno investito di più nella professione in termini di aspettative e che non sono riusciti a trovare gli strumenti per controllare la situazione. Si innesca una sorta di circolo vizioso di frustrazioni che possono portare all’isolamento o all’adozione di strategie maladattive. E’, in ogni caso, opinione condivisa da diversi autori che la sindrome del burnout generalmente si sviluppi negli operatori sanitari attraverso quattro fasi fondamentali, secondo quanto assunto da Edelwich e Brodsky (1980): I)entusiasmo idealistico: II)stagnazione; III)frustrazione; IV)apatia; Questi stadi, come si è già detto, sono molto contagiosi, poiché il burnout non è un problema personale che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia contagiosa” che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’équipe, da un membro dell’equipe all’altro e dall’équipe agli utenti e riguarda quindi l’intera organizzazione dei servizi, degli utenti della comunità oltre che il singolo individuo; in secondo luogo la loro progressione non è lineare, ma ciclica (può essere interrotto in ogni punto con un intervento appropriato, ma è possibile che esso si ripresenti più di una volta nella vita). 3.2 Le fasi del burnout Analizzando ogni singola fase, si evidenziano diverse caratteristiche: FASE I: Entusiasmo idealistico La prima fase – preparatoria -, è quella dell’entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale. A tal proposito, bisogna partire dalle motivazioni che spingono un operatore sociale a fare questa scelta professionale. Un elemento centrale è sicuramente riscontrabile nella voglia di fare qualcosa per migliorare il “mondo”, ma ve ne possono essere svariati. In certi casi vi è un sottofondo ideale, religioso, politico o 17 dunque a che fare con l’assenza di potere: sorge essenzialmente dalla caduta dell’onnipotenza e dalla constatazione della parzialità radicale del proprio intervento. Anche le istituzioni nelle quali l’operatore lavora vengono vissute come impotenti ed emerge drammaticamente la discrepanza fra obiettivi dichiarati e formali, e modalità e risultati realizzati: “servizi di prevenzione che diventano ambulatori; servizi antidroga sommersi da compiti burocratici; servizi di educazione, che operano come centri di custodia”. A ciò si aggiunga il burocratismo, i giochi di corridoio a sfondo partitico, il conservatorismo istituzionale, la rigidità organizzativa, la spersonalizzazione: tutto porta ad un quadro di impotenza istituzionale e di frustrazione generalizzata. Un mega-corto- circuito nazionale, dove le vie d’uscita sembrano inesistenti. Uno degli elementi del senso di impotenza dell’operatore è poi la scoperta che egli stesso e l’istituzione per cui lavora non rispondono ai bisogni reali degli utenti. Quali bisogni e quali utenti? Gli utenti dei servizi sociali, come i genitori della scuola, vengono tirati in ballo strumentalmente a seconda dei casi dai conservatori o dai progressisti, dagli operatori di base e dagli amministratori, dai politici locali e dalle avanguardie degli utenti stessi. Gli utenti sono via via soggetti che conoscono i loro bisogni o che li ignorano; che vanno coinvolti o che vanno esclusi; che hanno sempre ragione o sempre torto; che sono insieme vittime e colpevoli. Il problema è sempre derivante dal fatto che l’ideologismo e la magia prevaricano sul realismo. La frustrazione in questo caso ha origine nella difficoltà a considerare la realtà come un sistema plurale, complesso, lento, contraddittorio. Un altro elemento di frustrazione è lo scarso apprezzamento dei superiori, siano essi coordinatori, capi, supervisori, amministratori. La gerarchia è il sistema sociale più odiato e desiderato nel contempo. Il superiore è fonte di frustrazione sia che imperversi sia che si assenti. L’idea del superiore "democratico" sottintende spesso quella di un superiore che si comporta come il subalterno desidera. Causa di frustrazione è anche lo scarso apprezzamento da parte degli utenti. Ci sono utenti in qualche modo "obbligati" ad avvicinare un servizio: costoro sono comprensibilmente ostili. Altri chiedono cose che gli operatori non vogliono o possono dare, e da ciò nasce lo scarso apprezzamento. Altri infine avvicinano al servizio chiedendo cose che l’operatore può dare, ma in misura controllata e limitata: anche qui l’apprezzamento cala. 20 Il bisogno di stima degli operatori nasconde spesso insicurezza o volontà di potere. E' inoltre frustrante il lavoro d’ufficio: schede, relazioni, rapporti, progetti trasformano l’operatore in un impiegato e ciò delude il suo desiderio "di campo". La maggior parte degli operatori rifiuta questo lavoro, trascurandolo del tutto o espletandolo sciattamente. Infine la frustrazione deriva dalla consapevolezza di una “inadeguata formazione al lavoro sociale”. Questo rimanda alla responsabilità delle scuole e delle università, ma rimanda parimenti allo scarso auto-aggiornamento individuale. La frustrazione è generata anche da altri fattori, forse meno importanti dei primi, ma ugualmente diffusi. Si pensi al maschilismo quale fonte di frustrazione per le operatrici (ad esempio un utente entra al consultorio e alla dottoressa chiede: "dov’è il dottore?"). Altra area di frustrazione è il dilemma fra area politica ed area tecnica. La cosa è ancora più complessa quando dei tecnici vengono eletti in organismi di gestione. Il gioco delle invasioni di campo o delle abdicazioni è frenetico e diventa un moltiplicatore di frustrazioni incrociate. Anche l‘immagine sociale è causa di frustrazione. Gli insegnanti hanno perso negli ultimi anni gran parte della loro immagine; i medici dei servizi pubblici hanno abbassato la loro immagine a burocrati; le assistenti sociali appaiono spesso come le assistenti degli psicologi; e questi ultimi sono considerati sovente “stregoni inutili”. Una comunità (territorio) insensibile e ostile è, ancora, un’altra fonte di grosse frustrazioni. Per motivi ideologici o per arretratezza culturale, per diffidenza verso i tecnici o per timore di vedere rotti certi equilibri consolidati, il territorio respinge spesso gli operatori, oppure chiede loro servizi impossibili; collabora scarsamente, per poi accusare i servizi di inefficienza; chiede di partecipare, per poi disinteressarsi. Infine provoca frustrazione, l’insieme dei rapporti con i colleghi. In un lavoro che non può fare a meno della collegialità e della interdisciplinarietà, anzi dove questi elementi sono idealizzati come un aspetto fondante della scelta lavorativa, la scoperta che essi sono sottoposti alle stesse regole di tutti i rapporti umani, può portare frustrazioni fortissime. Risposte alla frustrazione possono essere: 1.aggressività distruttiva (verso se stessi o verso gli altri); 2.aggressività positiva (cambiamento); 21 3.disinvestimento (lunghe assenze); FASE IV: Apatia L’apatia prende forma come un progressivo disimpegno emozionale, conseguentemente ad una situazione di frustrazione. Il punto di partenza è sempre l’entusiasmo idealistico. L’apatia può essere sentita come noia o nausea. Il desiderio di aiutare gli altri sparisce, come il coinvolgimento verso l’utente. Operatori che, in un primo momento, si preoccupano degli utenti, diventano d’improvviso preoccupati solo della propria salute, del proprio benessere, della propria serenità e della propria sopravvivenza. L’atteggiamento è rassegnato e infelice; le aspettative si abbassano, e così l’impegno: “dall’empatia si è giunti all’apatia”. Si tratta di un’evidente difesa dalla frustrazione. Il ciclo è del tipo: ■ rabbia ■ tentativi di rimedio ■ senso di inutilità degli sforzi ■ indifferenza. Un lavoro è un lavoro!"; "chi me lo fa fare!"; "chi se ne frega!..: sono frasi tipiche della situazione apatica. L’apatia nasconde una disperazione. Oltre al costo che questo stadio procura al servizio, agli utenti ed ai colleghi; ed oltre la contagiosità di questo stadio; resta il fatto che l’apatia è soprattutto una sorta di consapevole "morte professionale" dell’operatore. Ideali e potenziale personale, realizzazione sul lavoro, autostima, subiscono un arresto. In questo stadio solo una forte scossa emotiva o un drastico cambiamento possono superare il cortocircuito. Riprendendo il concetto di entusiasmo idealistico, Cherniss (1983), evidenzia cinque conseguenze negative della “mistica professionale”: a)La prima conseguenza negativa nasce dalla convinzione presente in molti operatori che sia vera l’equazione “credenziali = competenza = successo”, molti operatori credono che la 22 professions) portano quasi sempre dentro di sé un forte desiderio di affermazione personale in senso professionale e relazionale. Il docente vuole sicuramente insegnare qualcosa ai propri allievi, il medico vuole guarire i propri pazienti, lo psicologo essere di aiuto per i propri clienti e così via. Ogni fattore che porti ad una frustrazione nei confronti di questa aspettativa contribuirà in maniera lenta ma continua allo stress. Se gli operatori cominciano a sentirsi inefficienti, cioè incapaci di svolgere il proprio lavoro, si svilupperà a poco a poco la condizione psicologica di impotenza appresa e quindi, tenderanno sempre più a utilizzare “difese” inappropriate il cui esito finale può essere il Burnout, in un tipico processo a spirale. In breve, il burnout consiste nell’utilizzo di meccanismi di difesa inappropriati basati sul ritiro e sul distanziamento. In questo modo, quanto più stress (di qualunque origine) l’operatore subisce, tanto minore è l’energia che resta disponibile per l’impatto e per l’aiuto all’utente. 3.4 Le cause del Burnout Nella società moderna vi è una maggiore presenza della sindrome di burnout in varie professioni sanitarie e sociali. Nei paesi Occidentali tale sindrome sta diventando sempre più presente ma questo non è dovuto ad un mal funzionamento della persona ma ai vari cambiamenti avvenuti nel contesto lavorativo (ambiente freddo, ostile, esigente) e che influenzeranno l’atteggiamento della persona. Il burnout può essere inteso come l’ultimo passo, di una serie di tentativi falliti per superare situazioni stressanti; può, quindi, essere una drastica conseguenza di uno stato di stress emotivo. Il burnout, come sottolineato da Rossati e Magro, è un fenomeno più complesso dello stress, poiché lo stress è un fenomeno individuale, il burnout, invece, è un fenomeno psicosociale. Pertanto, le cause possono essere molteplici: individuali, che si suddividono in soggettive e oggettive, e socio – culturali. Gli elementi individuali reputano la persona soggetta al burnout estremamente empatica, ansiosa, introversa e ossessiva. L’influenza ambientale porta il soggetto ad avere mancanza 25 di autonomia, di formazione, di supporto psicologico, di supervisione, di risorse e strumenti. Le cause individuali soggettive sono caratterizzate da elementi tipici della personalità e dalle aspettative professionali. I primi sono: incapacità di mantenere le relazioni sociali, immaturità emotiva, incapacità di gestione del tempo, frustrazione, poca ambizione. Le seconde, invece, sono caratterizzate da: desiderio di comandare, visioni distorta riguardo la professione e i vari compiti, narcisismo. Un contributo importante su tale argomento è stato dato da K. Lewin (psicologo). Egli ha evidenziato come la soddisfazione e la capacità di controllo del proprio lavoro incidono nel cosiddetto successo psicologico. Quest’ultimo si raggiunge quando l’individuo si prefigge di raggiungere una meta precisa a prescindere dall’eventuale conseguimento dell’obiettivo. Viene a determinarsi, quindi, un forte bisogno interiore che, però, viene ostacolato da alcuni fattori esterni (ostacoli della struttura organizzativa del lavoro). Tutto questo porta la persona a dover assumere degli atteggiamenti come negazione ed evitare situazioni spiacevoli. Le cause individuali oggettive riguardano maggiormente il contesto lavorativo, prestando attenzione alla struttura organizzativa. A tal proposito Cherniss analizza alcuni fattori tipici della struttura organizzativa: struttura di ruolo, struttura di potere, struttura normativa. Per struttura di ruolo si intende la suddivisione dei compiti e delle funzioni dell’organizzazione. Quando questa varia ci si ritroverà davanti a una maggiore o minore partecipazione verso la propria equipe che potrebbe portare a tensioni e di conseguenza al burnout. Ciò che crea maggiormente tensione e stress all’interno di un’organizzazione sono il conflitto di ruolo, l’ambiguità di ruolo e la mancanza di stimoli. Un esempio potrebbe essere il “sovraccarico di ruolo”, inteso come l’eccessivo carico di lavoro e/o di responsabilità rispetto al tempo e alle forze che l’operatore possiede. L’ambiguità di ruolo, invece, è causata dall’insufficienza di informazioni che si possiedono e che impediscono di svolgere al meglio i singoli compiti. Questo porta l’operatore a non avere consapevolezza del proprio ruolo entrando in conflitto con se stesso. Per struttura di potere, invece, si intende la suddivisione e la gestione dei vari incarichi e responsabilità delle decisioni da prendere. Se un’organizzazione è gerarchica, burocratizzata e formalizzata sarà caratterizzata da una limitata autonomia individuale e da una poca partecipazione e interesse per le attività da svolgere. Quando si parla di decisione si può fare riferimento a varie tipologie: decisione autonoma, la decisione collettiva e la decisione gerarchica. La 26 decisione autonoma viene presa dalla singola persona. Quella collettiva viene presa dal singolo in collaborazione con un gruppo di altre persone. La decisione gerarchica, invece, consiste nella supervisione ed è quella che può alimentare maggiormente la sindrome di burnout. Questo perché la decisione che deve essere presa su una persona viene subita da quest’ultima poiché impotente. Il terzo fattore che costruisce la struttura organizzativa è la struttura normativa. Essa alimenta la condizione di burnout influenzando il ruolo e le strutture di potere in quattro modi diversi: -l’intensità, la chiarezza e il grado di identificazione dello staff con il modello di gestione della terapia; -la forza e la capacità di diffusione della mentalità burocratica; -l’importanza della sperimentazione e dell’acquisizione di nuove conoscenze che costituiscono precisi obiettivi del programma; -il grado di interesse del personale e l’impatto delle condizioni di lavoro su di esso. Tale modello organizzativo, però, viene influenzato anche dai rapporti che il singolo operatore instaura con i colleghi. L’operatore per mantenere la sua condizione di benessere usa uno strumento, la supervisione. Essa viene intesa come forma di “manutenzione” degli operatori socio-sanitari ma anche strumento di prevenzione del burnout e di miglioramento della qualità dei Servizi. All’interno del gruppo, attraverso la supervisione, possono essere definiti e condivisi gli aspetti emotivi che possono usurare o rafforzare il gruppo di lavoro. Coloro che si occupano di supervisione forniscono un sostegno agli operatori (assistenza tecnica, mostrano maggiore sensibilità ai bisogni della loro equipe, li aiutano nelle difficoltà, valorizzano le loro capacità regolandone i comportamenti con norme condivise dal gruppo, stimolandoli verso la solidarietà, la partecipazione, l’autonomia e la creatività). Allo stesso modo la supervisione può essere insufficiente causata dall’assenza di feedback (questo perché il singolo individuo ha bisogno di continui apprezzamenti e gratificazioni), dalla carenza di informazioni, dalla predisposizione a non apprezzare il lavoro svolto. Altro elemento importante è la relazione che il singolo operatore istaura con ogni singolo membro dell’equipe. La relazione che l‘individuo ha con il superiore è caratterizzato da un rapporto problematico causato maggiormente dal compito che il superiore ha di valutare il rendimento professionale. L’operatore ha anche degli obblighi nei confronti del dirigente la 27 •professione in continua ridefinizione poiché soggetta a vari mutamenti sociali; •elevate aspettative della società nei confronti della professione; •basso riconoscimento da parte di altri professionisti; Pertanto, tutto questo fa capire come il burnout non è un problema che riguarda solo l’individuo in quanto singolo ma l’individuo influenzato dal contesto sociale, dalla struttura e dal funzionamento del posto di lavoro in cui opera. Quando l’ambiente lavorativo non riconosce l’aspetto umano del lavoro il rischio del burnout cresce sempre di più. 3.5 Sintomatologia Molto spesso l’operatore si trova a dover lavorare in una rete caratterizzata da un insieme di interdipendenze facendo diventare la diversità una grande fonte di arricchimento. Il lavorare in un contesto multidisciplinare e multidimensionale può creare una situazione di disagio personale e professionale dell’operatore. Le professioni più soggette al burnout sono quelle definite “hightouch” (di alto contatto) che prevedono numerosi contatti diretti con le persone in difficoltà. Tali contatti prevedono uno scambio reciproco che porta, però, a un coinvolgimento emotivo e fisico che porta un elevato rischio di conflitto fino a sfociare nella sindrome di burnout. Tale sindrome è il risultato di una non corrispondenza tra ciò che è la persona e ciò che dovrebbe essere e fare. La sindrome del burnout è una malattia che si evolve gradualmente partendo dalle prime sconfitte fino alle manifestazioni vere e proprie delle patologie risucchiando la persona in una “spirale discendente” da cui è difficile riprendersi. Tale situazione inizia con una condizione di sovraccarico lavorativo causato da una carenza di risorse, eccesivo carico lavorativo, poco tempo a disposizione, cattiva gestione delle risorse umane. Il tutto viene alimentato dal continuo contatto con le persone fino a sentirsi vuoto e ad assumere atteggiamenti distaccati nei confronti degli altri colleghi e utenti. L’operatore diventa inefficiente poiché non si sente in grado di svolgere determinati compiti, non ha più fiducia né in se stesso né negli altri. Nei casi più gravi si arriva ad un vero e proprio disinteresse per l’utente, tale che diventa un numero o una cartella, e ai disturbi psicofisici (uso di sostanze stupefacenti, abuso di farmaci e alcool). Alcuni arrivano ad abbandonare il lavoro. La sindrome del burnout si manifesta attraverso varie forme di sintomatologia: psichica, comportamentale e fisica. 30 I sintomi psichici, anche detti cognitivo – emozionali, sono quelli che intervengono sulla sfera emotiva e cognitiva. Sono sentimenti come sensi di colpa, negativismo, isolamento e alterazione del tono dell’umore. I sintomi psichici si possono classificare in 4 categorie: •collasso delle energie psichiche (apatia, demoralizzazione, irritabilità, scarsa concentrazione, incubi, paure immotivate, senso di colpa, di inadeguatezza e di fallimento. Sono tutti sintomi tipici degli stati ansioso – depressivi); •collasso della motivazione (disfunzioni psichiche che portano alla depersonalizzazione dell’utente come la perdita empatica, rigidità delle norme e delle regole, disinteresse e rifiuto dell’utente e dei colleghi); •caduta dell’autostima (crollo della fiducia in se stessi, nelle proprie capacità e risorse, svalutazione dell’operatore sia a livello personale e che professionale); •perdita di controllo (l’operatore non riesce a dividere la vita privata da quella lavorativa poiché egli pensa sempre alle esigenze/problemi dei propri utenti); I sintomi comportamentali riguardano gli atteggiamenti che l’operatore assume durante le ore di lavoro quali l’assenteismo, cercare scuse per lavorare, poca partecipazione al lavoro di gruppo, perdita dell’autocontrollo, allontanamento dagli utenti e assunzione di psicofarmaci e alcool. I sintomi fisici si differenziano in: •disfunzioni gastro intestinali (gastrite, ulcera e stitichezza); •disfunzioni sessuali; •malattie della pelle (dermatite, acne e afte); •disturbi del sonno (insonnia, incubi ricorrenti); •disturbi dell’alimentazione; •disturbi psico somatici (diabete e problemi cardiaci); 3.6 Fattori Di Rischio 31 Farber ha fatto degli studi per analizzare quali sono i fattori che portano il soggetto ad avere un esaurimento emozionale e un comportamento difensivo. Egli ha individuato tre tipologie di variabili, fattori di rischio, che influenzano il soggetto: •variabili individuali: riguardano le caratteristiche personali si ogni singolo soggetto come le variabili anagrafiche, i tratti di personalità (bassa autostima, rabbia, eccessivo bisogno di approvazione, impulsività), aspetti motivazionali (aspettative troppo alte, bisogni in contrasto fra loro). Possedere tali caratteristiche, a parità di variabili organizzative e sociali, porta la persona ad un maggiore rischio di cadere nel burnout; •variabili organizzative: riguardano l’ambiente lavorativo e il suo funzionamento. La Maslach a riguardo afferma che il burnout dei lavoratori descrive maggiormente le condizioni di lavoro più che i lavoratori stessi; •variabili sociali: riguardano lo sfaldamento graduale del tessuto sociale, il declino della vita comunitaria e la scomparsa della rete informale; Le variabili individuali sono molto importanti poiché portano l’individuo a un possibile deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro (il lavoro inizia come un lavoro importante e affascinante ma poi diventa sgradevole e insoddisfacente), al deterioramento delle emozioni (l’entusiasmo, il piacere e la dedizione diventano rabbia, ansia e depressione), il problema di adattamento tra persona e lavoro (lo squilibrio che il singolo prova lo interpreta come una crisi personale piuttosto che un problema del posto di lavoro). L’individuo che è soggetto alla sindrome di burnout non solo porta a delle conseguenze più o meno gravi al singolo individuo ma influirà anche sui rapporti con gli utenti, operatori e comunità poiché l’operatore assume atteggiamenti distaccati nei loro confronti. Pertanto, le conseguenze possono essere classificate in due livelli: individuali e organizzative. Livello individuale Livello organizzativo Atteggiamenti negativi verso gli utenti Aumento dell’assenteismo Atteggiamenti negativi verso i colleghi e il lavoro Calo della performance Atteggiamenti negativi verso la vita Calo della qualità del servizio Calo della soddisfazione lavorativa Calo della soddisfazione lavorativa Calo dell’impegno 32 totale distacco nel rapporto con l’utente, quindi si parla di un interessamento umanamente ricco. Altri autori non hanno analizzato solo l’aspetto individuale per individuare le strategie d’intervento ma anche gli aspetti organizzativi del lavoro. Tra questi si può fare riferimento a Cherniss che analizza cinque tipi d’intervento: •sviluppo professionale dello staff (gli operatori vengono invitati a ridurre l’ambiguità di ruolo attraverso l’adozione di meccanismi di controllo e di feedback sul proprio lavoro attraverso incontri periodici); •cambiamenti nella struttura di lavoro e di ruolo (distribuire in maniera adeguata i compiti ad ogni operatore in base alle sue competenze. Sono previsti periodi di riposo e la costruzione di nuovi programmi d’intervento per una buona pianificazione del lavoro in modo da bilanciare le attività gratificanti con quelle non gratificanti) •sviluppo del managment (programmi di formazione per il personale amministrativo e i responsabili in modo da fornire un feedback sulle loro prestazioni); •incremento delle modalità di problem – solving organizzativo e di presa di decisioni (creare meccanismi formali in modo da risolvere i conflitti organizzativi e di fornire le abilità per gestire i conflitti, migliorare il grado di autonomia e di partecipazione alle prese di decisioni); •definizione degli obiettivi del programma e di modelli di gestione (alimentare la consapevolezza dei vari operatori di avere obiettivi comuni e di avere determinate responsabilità); Altri studiosi che si sono occupati di prevenzione dal burnout sono stati Santinello e Furlotti. I loro studi iniziavano da una valutazione dei bisogni e dei problemi individuali e organizzativi individuando quattro tipologie d’intervento: •lavorare per obiettivi e piani (definire dei piani d’intervento a lungo – medio termine che siano basati su un’analisi delle possibili fonti di stress e che potranno affiancare gli operatori a raggiungere gli obiettivi) ; •promuovere la partecipazione del personale ai momenti decisionali ( permette un flusso di comunicazione più aperto per una buona organizzazione); 35 •agire sulla struttura dei compiti e delle mansioni ( è necessario definire gli standard di qualità, i meccanismi di feedback, la varietà delle mansioni poiché influiranno sulla motivazione lavorativa del singolo operatore); •realizzare un sistema di monitoraggio periodico (analizzare il clima psicologico, gli atteggiamenti e le opinioni degli operatori sulle condizioni di lavoro); Tutti gli studiosi concordano nel dire che un elemento essenziale per la prevenzione è la formazione degli operatori. Quando si parla di formazione si fa riferimento alla formazione di base e alla formazione continua (aggiornamento continuo attraverso corsi di formazione, riunioni di gruppo). Pertanto, elementi essenziali della prevenzione sono: 1.adottare obiettivi raggiungibili; 2.mantenere la giusta distanza tra operatore e utente; 3.sviluppare ed utilizzare meccanismi di controllo e di feed-back; 4.fornire frequenti possibilità di training per incrementare l'efficienza del ruolo; 5.preparare l’equipe a difendersi attraverso alcune strategie (studio del tempo); 6.controlli periodici per tutta l’equipe per calcolare il grado di burnout; 7.incoraggiare lo sviluppo di gruppi di sostegno e/o sistemi di scambio di risorse; 8.non avere un numero superiore di pazienti/utenti; 9.suddivisione dei vari compiti tra i vari membri del gruppo; 10.pianificazione giornaliera del lavoro da svolgere; 11.non lavorare più delle ore previste per il proprio ruolo; 12.rendere liberi i vari operatori di poter creare nuovi programmi d’intervento; 13.usare strumenti di supervisione (indagini fatti da supervisori, alcune volte, esterni); 14.alimentare l'autonomia dell’equipe e la sua partecipazione alle fasi decisionali; La sindrome del burnout viene intesa come un “virus dell’anima” perché invisibile, sottile e penetrante in maniera silenziosa. Pertanto, se le persone soggette a questa sindrome non vengono accompagnate e inserite in un percorso trattamentale entreranno in un processo di logoramento psicofisico perché vengono a mancare le energie e le capacità per sostenere tutto lo stress accumulato. 36 Quando la condizione di burnout viene conclamata la persona deve attivare un cambiamento radicale della propria vita professionale. Bernstein e Halaszyn nei loro studi hanno evidenziato dieci possibili cambiamenti da attuare per migliorare questa condizione di eccessivo e limitante stress: 1.Cambiare il tipo di utenza; 2.Sviluppare le proprie abilità professionali iscrivendosi a una scuola di formazione; 3.Diventare amministratori o manager nel campo dei servizi sociali; 4.Diventare formatori nel campo dei servizi sociali; 5.Dedicarsi all’organizzazione dei servizi sociali; 6.Impegnarsi politicamente per i servizi sociali; 7.Dedicarsi agli aspetti giuridici, economici o medici dei servizi sociali; 8.Diventare supervisori nel campo dei servizi sociali; 9.Dedicarsi alla ricerca applicata al sociale; 10.Scrivere testi; In casi in cui il soggetto è a un livello patologico si può ricorrere anche alla psicoterapia. La Psicoterapia Cognitivo - Comportamentale è attualmente considerata a livello internazionale uno dei più efficaci modelli per la comprensione e il trattamento dei disturbi psicopatologici. La corrente cognitivo - comportamentale unisce due metodologie ed è caratterizzata da alcune proprietà: -Scientificamente fondato (la psicoterapia viene considerata efficace quanto gli psicofarmaci nel trattamento della depressione e dei disturbi d’ansia ma viene considerata più utile per prevenire le ricadute). -Mirato allo scopo: (nei primi incontri viene fatta una valutazione diagnostica approfondita, vengono definiti gli obiettivi da raggiungere, viene stabilito un piano trattamentale per il singolo individuo, vengono definiti tempi e modalità di verifica per il raggiungimento dei cambiamenti desiderati); -Attivo e collaborativo (operatore e utente lavorano insieme per riconoscere e modificare le condizioni da cui nascono i problemi emotivi e di comportamento; 37 Esso in pratica si manifesta quando il soggetto non riesce più a far fronte alle richieste, interne ed esterne, relative all’attività svolta, i livelli di stress diventano non più gestibili, il rendimento dell’individuo viene compromesso e le ripercussioni sulla qualità della prestazione appaiono evidenti. L’insorgenza della sindrome del burnout si manifesta attraverso una serie di segni e sintomi variamente associati che, se identificati precocemente, consentono il riconoscimento del disagio lavorativo latente e la gestione del processo di logorio professionale attraverso idonee strategie. 4.2 Gli insegnanti e lo stress Un tempo la scuola godeva di un notevole prestigio e i docenti erano tenuti in gran considerazione; oggi, invece, prevale un atteggiamento generalmente più distaccato nei loro confronti e la figura del docente è svalutata per mancanza di riconoscimento dei loro meriti, ma soprattutto per una scarsa stima da parte delle istituzioni e dell’opinione comune. Tutto ciò ha dato origine a un calo del prestigio sociale della categoria. Valutata inizialmente come malattia professionale specifica delle attività socio-sanitarie, il burnout si riscontra, in realtà, in tutte le professioni basate sui rapporti interpersonali che comportano un elevato investimento emotivo, colpendo soprattutto i soggetti più motivati e con elevate aspettative nei confronti del lavoro. Tra le categorie particolarmente esposte al rischio spicca, così, quella degli insegnanti. Secondo Gilles Ferry la figura del docente è sottoposta a quattro ruoli ben definiti: • l’insegnante come “mediatore di cultura”; • l’insegnante come “valutatore”; • l’insegnante come “esperto di programmazione didattica”; • l’insegnante come “genitore alternativo” e “psicologo suo malgrado”. Le persone che ricoprono il ruolo di docente devono quindi adempiere ad una pluralità di mansioni, e già questo è, almeno in via potenziale, fonte di stress. Esistono inoltre molti altri fattori che “pesano” sulla classe docente e, quindi, possono facilmente scatenare o alimentare lo stress, portando infine al burnout. 4.3 I fattori del burnout dell’insegnante: fattori storico-sociali 40 La scuola, oltre alla tradizionale funzione educativa, è chiamata a svolgere anche quella di custodia ed assistenziale, la classe docente è, quindi, sottoposta a richieste eccessive, deve ricoprire una molteplicità di ruoli spesso discordanti tra loro, che deludono poi le iniziali aspettative nei confronti della professione. L’aumento delle contraddizioni implicite nel ruolo di docente che si compone di vari aspetti tra loro diversi, che l’insegnante deve cercare di combinare armonicamente, ma non sempre questo può accadere. Il mutato atteggiamento della società nei confronti degli insegnanti, infatti c’è una tendenza alla svalorizzazione della classe docente che sarebbe tipica della nostra società. Tra i numerosi fattori che determinano una situazione di stress nell’ambiente di lavoro scolastico è possibile isolarne almeno sei che sembrano ritornare con puntualità ed essere legate con le trasformazioni in atto: 1. la formazione come continua: l’impressione di essere sempre alle prese con qualcosa di nuovo che sfugge alla tradizione di un sapere acquisito e trasmesso; 2. la valutazione del valutatore: la paura di sentirsi sempre sotto esame dalla dirigenza scolastica a anche dai colleghi; 3. l’idea di una classifica di merito: la paura di sentirsi giudicati e collocati in ruoli differenziati anche economicamente all’interno di strutture in cui tutti erano uguali; 4. l’enorme crescita della domanda di competenze: la sensazione che siano richieste competenze sempre più vaste senza un adeguato riconoscimento professionale ed economico; 5. i poteri concessi alla dirigenza scolastica: la preoccupazione che ai dirigenti scolastici siano concessi poteri sempre più allargati e la preoccupazione di essere messi da parte o ai margini; 6. lo stridore tra vecchio e nuovo: nella scuola delle autonomie le vecchie professionalità sembrano scavalcate dalla capacità di elaborare progetti e reperire risorse sul territorio. Molti docenti sentono di non comprendere che cosa sia loro richiesto di essere e di fare. 4.4 I fattori del Burnout dell’insegnante: fattori individuali I fattori individuali possono essere distinti in tre categorie: 41 • 1. FATTORI LEGATI A VARIABILI DEMOGRAFICHE (SESSO, ETA’). a) Per quanto riguarda il sesso lo stress femminile è rivolto maggiormente verso l’interiorità, sperimentando un più alto livello di esaurimento emotivo; quello maschile, invece, verso l’esterno, esprimendo il disagio con alti livelli di depersonalizzazione; b) Per quanto riguarda l’età, i giovani insegnanti, pur disponendo di una dose di maggior entusiasmo e di risorse emotive, risultano essere quelli maggiormente esposti ad alti livelli di stress, dal momento che devono affrontare situazioni e relazioni che non conoscono bene e non sono ancora in grado di padroneggiare. Al contrario chi ha una lunga anzianità di servizio padroneggia maggiormente la situazione lavorativa e non corre più il rischio di un eccessivo coinvolgimento, ma questo può portarlo ad un distacco motivazionale legato alla routine e alla noia; • 2. FATTORI LEGATI A TRATTI DI PERSONALITA’. a) Per quanto riguarda la relazione tra il burnout e determinati tratti di personalità, alcune ricerche hanno rilevato la connessione tra individui con locus of control“esterno”(che cioè tendono a vedere fuori di loro le cause degli eventi positivi che li coinvolgono e dentro di loro le cause degli eventi negativi) e burnout; b) Alcuni ricercatori hanno evidenziato tra le cause individuali di burnout la rigidità del docente in merito alle norme, agli obiettivi, ai ruoli; soprattutto quando essa si associa ad un sistema scolastico “chiuso”; c) Inoltre alcuni ricercatori hanno evidenziato la predisposizione al burnout in quelle persone che scelgono l’insegnamento sulla base di un modello idealizzato e poco realistico di questa professione. Ad esempio Ada Abraham ha sottolineato l’importanza del rapporto tra Sé ideale e Sé professionale realmente percepito. Se queste due immagini sono corrispondenti o almeno non troppo disarmoniche, la scelta della professione sarà fonte di benessere e soddisfazione. Qualora invece il docente riscontri una forte discrepanza tra l’immagine idealizzata della professione e l’immagine reale di sé si verificherà una “crisi di identità” con diversi possibili sbocchi; • 3. FATTORI LEGATI A VARIABILI MOTIVAZIONALI. La motivazione al lavoro risulta essere un elemento protettivo nei confronti delle sindromi da stress, tuttavia la gratificazione dell’insegnante nel proprio lavoro ha un doppio legame con la motivazione alla base della propria scelta. Alcune ricerche sembrano mostrare che 42 fonti di soddisfazioni e gratificazioni anche esterne al contesto lavorativo; formulare al dirigente proposte per ottimizzare gli aspetti critici a livello organizzativo (preferibilmente insieme ad altri colleghi che sperimentano le stesse difficoltà); valorizzare se stessi e le proprie potenzialità proponendosi per gestire particolari ambiti dell’organizzazione scolastica (formazione, rapporti con il territorio, progettualità specifiche)”. 4.7 Compiti dell’organizzazione scolastica Ridurre il “rischio burnout” è, dunque, un fattore strategico per incrementare il benessere organizzativo e migliorare l’ambiente scolastico. Secondo l’art. 6 dell’Accordo Europeo sullo stress lavoro-correlato spetta al datore di lavoro stabilire misure adeguate per la prevenzione e la riduzione dello stress, si legge nella scheda e attuarle con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. Tre le direttrici sulle quali intervenire: il complesso generale della gestione e comunicazione; la formazione (stimolare la consapevolezza degli insegnanti, aiutarli a comprendere le cause dello stress e il modo in cui affrontarlo) e, infine, l’informazione e la consultazione dei lavoratori (fornire conoscenze aggiornate rispetto all’organizzazione scolastica, coinvolgere i docenti nelle decisioni e nella gestione). 4.8 Stress lavoro-correlato. La letteratura più recente sullo stress lavoro-correlato pone particolare attenzione al lavoro educativo, quale ambito professionale particolarmente esposto a condizioni stressogene. Questo in quanto l’insegnamento è considerato tra le professioni più predisposte allo sviluppo di problemi di salute mentale (ansia, depressione, rabbia, etc.), malattie fisiche (mal di testa, ulcera, reattività cardiovascolare, etc.), o sintomi comportamentali (assenza per malattia, minore impegno, assenteismo, etc.).9 L’obiettivo della presente ricerca è stato quello di verificare il livello di stress occupazionale e di burnout in un campione di 300 insegnanti italiani appartenenti alla scuola dell’infanzia ed al primo ciclo di istruzione, stabilendo possibili relazioni con probabili elementi protettivi, quali lo stile comportamentale, l’intelligenza emotiva e le strategie di coping. Diversi studi scientifici effettuati in tale ambito, hanno indagato la 45 9 Pulido-Martos, Lopez-Zafra, Estévez-López, e Augusto-Landa, 2016. relazione tra il rischio per i docenti di sviluppare, nel corso della loro carriera, la sindrome di Burnout ed i possibili fattori di protezione10.In particolare, i fattori che paiono assumere maggiore rilevanza sono quelli sociali (ad esempio, il tipo di supporto ricevuto nei momenti di difficoltà), emotivi (ossia il tipo di competenze emotive e relazionali possedute dal docente), e quelli di ordine cognitivo (nello specifico, le concezioni degli insegnanti sullo sviluppo intellettivo degli alunni, e sulla rilevanza che riveste il processo di insegnamento-apprendimento). La ricerca in oggetto ha, tra questi, posto particolare attenzione sui fattori emotivi e sullo stile comportamentale e di gestione dello stress adottato dai docenti. Dalle ricerche effettuate nel corso degli ultimi anni, la sindrome di burnout presenta ancora molti elementi sottoponibili ad indagine. Ciò che appare comunque evidente, è il disagio sempre più diffuso nel lavoro docente, tanto da comportare l’inserimento di tale professione, da parte degli studiosi di settore, tra le helping professions da tenere sotto osservazione . Al fine di meglio comprendere le problematiche connesse alla professione docente, nella presente indagine sono stati utilizzati quattro questionari, volti ad indagare diversi ambiti problemici connessi con lo sviluppo della sindrome: il primo, l’MBI, (Maslach e Jackson, 1981a), nella versione italiana standardizzata di Sirigatti e Stefanile (1992), è volto a misurare la sindrome di Burnout, in relazione a tre dimensioni (esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione personale); il secondo (Profilo di Assertività di Gillen, 1992), misura lo stile comportamentale manifestato dal docente (stile assertivo, passivo, aggressivo); il terzo (Trait Meta-Mood Scale – TMMS-24) di Salovey e Mayer (1995), valuta la consapevolezza presentata dal soggetto rispetto alle proprie emozioni, e la capacità di regolazione delle stesse, fornendo un indice di percezione dell’Intelligenza Emotiva; mentre l’ultimo (Cuestionario de Afrontamiento del Estrés – CAE) di Sandín e Chorot (2003), permette di comprendere lo stile di coping adottato, e la peculiare modalità di gestione dello stress presentata dal docente. Tali strumenti, nella loro interazione, sono in grado di offrire una panoramica relativa agli elementi di rischio ed ai fattori protettivi, in grado di facilitare o contrastare l’esordio della sindrome di Burnout. Attraverso le indagini effettuate, la ricerca ha permesso di delineare un profilo del docente appartenente al primo ciclo d’istruzione, caratterizzato da un livello medio di esaurimento emotivo e depersonalizzazione, e basso di realizzazione personale. Al contempo, ed apparentemente in contrapposizione a quanto prima affermato, è emerso che il docente investigato utilizza prevalentemente una modalità assertiva nel confronto con allievi e colleghi, ossia capace di tenere nella giusta considerazione i propri bisogni, e quelli di coloro con i quali entra in relazione. 46 10 Albanese et al., 2008; Greenglass, Burke, e Konarski, 1997; Brouwers, Will, e Welko, 2001; Hakanen, Bakker, e Schaufeli, 2006; Day e Qing, 2009; Doudin et al., 2009. La figura del docente che si scorge dall’analisi effettuata è, inoltre, quella di un soggetto che presenta un buona padronanza della propria componente emotiva, soprattutto della capacità di comprendere e regolare le proprie emozioni, senza lasciarsi sopraffare da esse in modo incontrollato. È, infine, un docente che utilizza strategie di affrontamento dei problemi prevalentemente basate su modalità funzionali di gestione dello stress, capace di focalizzarsi sul problema per risolverlo, e di cercare una lettura positiva anche nelle situazioni critiche e problematiche.In linea con l’analisi investigativa sullo stato dell’arte e con i risultati prima esposti, una delle azioni che la ricerca condotta ha inteso sollecitare, riguarda la promozione di gruppi di ascolto per docenti, oltre all’apprendimento di tecniche di empowering e di coaching, al fine di fornire strumenti atti a gestire lo stress lavorativo nelle situazioni più problematiche, ed a programmi di formazione ad hoc volti a sostenere lo stato di benessere globale dell’insegnante (emotivo, relazionale, etc.), rispetto ai rischi di esaurimento professionale, ed alle conseguenze sul piano emotivo, relazionale e dell’apprendimento dei propri allievi . Al contempo appare necessario sensibilizzare i docenti sulle malattie professionali alle quali risultano maggiormente esposti (prevalentemente psichiatriche ed oncologiche), sulle caratteristiche d’insorgenza e sui sintomi più comuni, sulle modalità per affrontarle, e sugli strumenti medici, burocratici e legali dei quali servirsi. Ciò in linea con quanto sancito dal D.L. 81/08 circa l’attuazione, da parte dei Dirigenti, delle azioni di prevenzione e monitoraggio dello stress lavoro correlato. D’altro canto, è opportuno sottolineare che i medici facenti parte delle CMV (Commissioni Mediche di Verifica) spesso ignorano le patologie professionali dei docenti, finendo per riammettere in servizio insegnanti con pesanti diagnosi psichiatriche . Dai risultati desunti dallo studio, oltre che da quelli riportati dalla letteratura sull’argomento si rileva, infatti, l’importanza di sostenere la categoria degli insegnanti dall’inizio della carriera fino alla fine, in quanto, come emerso dalla presente ricerca, sono gli insegnanti più giovani, e con meno anni di servizio, a mostrare un maggior livello di depersonalizzazione, ovvero di distanziamento emotivo e relazionale dai propri allievi, spesso per la mancanza di un adeguato sostegno nei momenti di difficoltà, e per lo scollamento tra aspettative e realtà. A tal proposito, ciò che lo studio ha permesso di evidenziare, è che spesso ciò che manca nel lavoro docente è la possibilità di essere sostenuti da una rete (di esperti, di colleghi, etc.), che contribuisca a fornire un supporto sempre presente e disponibile nei momenti di inevitabile difficoltà vissuti a scuola. Ciò appare in linea con quanto emerso in diversi studi nazionali ed internazionali (Gabola e Albanese, 2015; Di Giovanni e Greco, 2015), rispetto alla possibilità di garantire il benessere a lungo termine degli insegnanti. In conclusione, è possibile sostenere sulla base dei risultati desunti dal presente studio, che i docenti che esprimono la prevalenza di uno stile comportamentale assertivo ed un adeguato livello di competenza emotiva, manifestano una migliore adesione al proprio ruolo professionale ed alle competenze ad esso richieste, riuscendo adeguatamente a gestire le inevitabili situazioni stressogene che il mondo della scuola comporta. 47 che è possibile grazie alla particolare progettazione della struttura. Tale sistema però fa riflettere su un fatto di non lieve entità: talvolta gli agenti della polizia penitenziaria possono nutrire una forma di ossessione nei confronti dei detenuti; gli elevati livelli di stress, una forma gerarchica di controllo, l’essere a contatto con dei criminali che potrebbero nuocere alla vita degli agenti stessi, sono tutte variabili che porterebbero l’agente alla ricerca di una sempre crescente autorità sui detenuti. Tale problematica deriva soprattutto dal tipo di organizzazione; nella “Tab.1” vengono riportate alcuni tipi di organizzazioni analizzati da Kets de Vries e Miller. La seguente tabella analizza alcune tipologie di conduzione di varie organizzazioni di vario genere, se però si uniscono tali conseguenze al lavoro di un agente penitenziario si potrebbe incorrere in ulteriori problematiche per l’agente stesso o nei casi più sgradevoli per il detenuto. “Tab.1” Modalità patologiche di funzionamento di un’organizzazione secondo la teoria psicodinamica di Kets de Vries e Miller.11 Organizzazione Caratteristiche Pericoli Paranoide Diffidenza e sfiducia nei confronti degli altri, ipersensibilità, iper- vigilanza, prontezza nel contrasto minacce percepite, eccessiva preoccupazione per i particolari, freddezza, razionalità; Agire per confermare i sospetti, atteggiamenti difensivi e perdita dell'iniziativa; Isterica Espressione eccessiva delle emozioni, incessante attività di attrazione dell'attenzione su di sé, oscillazione tra idealizzazione e svalutazione degli altri, sfruttamento, incapacità concentrazione; Superficialità, impressionabilità, rischio di operare su basi immaginarie, impressionismo, sentimento di sfruttamento, reazioni eccessive ad eventi minori; Distacco, mancanza di coinvolgimento, sensazione di estraniazione, mancanza di Frustrazione dovuta dalla dipendenza dagli altri, smarrimento, aggressività; 50 11N.D. De Nicola, Teorie e strumenti per lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni. Milano: Franco Angeli, 2004. Schizoide entusiasmo, indifferenza a lodi o critiche, freddezza, mancanza di emozioni; 4.9 Empowerment L’empowerment è un sistema di potenziamento volto a migliorare la resistenza allo stress da parte degli agenti, in modo tale da prevenire eventuali complicazioni in ambito psicologico. Tali tecniche possono essere di carattere individuale o organizzative. A livello individuale il soggetto può ricorrere a tecniche di training autogeno per il controllo dello stress. A livello organizzativo sono già in atto misure inerenti, ad esempio l’utilizzo di un supervisore, il quale si occupa di controllare eventuali situazioni con un alto livello di stress ed agire di conseguenza, inoltre potrebbe contribuire nella creazione del senso di gruppo utile per il superamento collettivo di situazioni stressanti per gli agenti. Vi è inoltre una seconda opzione, la creazione di uno sportello di ascolto per gli agenti a cui rivolgersi in situazioni di stress non solo in ambito lavorativo ma anche familiare da parte di esperti capaci di analizzare il problema ed intervenire in caso di bisogno. Infine tra le soluzioni più utilizzate ritroviamo la creazione di “gruppi di pari”, luoghi di incontro fra agenti dello stesso livello (gerarchico) i quali possono confrontarsi su problematiche di vario genere in ambito lavorativo. I sistemi di empowerment organizzativo quindi possono essere fonte di sollievo e tranquillità per gli agenti e contemporaneamente possono fornire all’organizzazione (in questo caso i superiori o supervisori) un feedback sulla reale situazione lavorativa degli agenti e di conseguenza sanare eventuali situazioni di forte stress. 51 Il ruolo della scuola in uno Stato è fondamentale, è questa che forma la classe dirigente del futuro e che dà gli strumenti alle prossime generazioni per poter prendere in mano le redini della società, Durkheim a proposito diceva: “la scuola mantiene intatto il suo essere un microcosmo, nel quale si rispecchiano tutte le tensioni, i cambiamenti, le risorse e i fallimenti di una intera società” e proprio una società che non investe nell’istruzione e nella formazione degli insegnanti mina le basi della propria sopravvivenza. Gli insegnanti, se un tempo erano tenuti in gran considerazione, adesso, nei loro confronti prevale un atteggiamento sociale generalmente più distaccato, svalutando così la figura del docente che si ritrova ad essere sempre più stressato e quindi con la presenza del rischio di incorrere nella sindrome da burnout. Lo stress provato da un docente, al contrario di ciò che si può pensare, deriva da vari fattori e problematiche tra cui: • Classi numerose e sempre più diversificate, con la presenza di disabili e immigrati che necessitano di attenzioni speciali; • Le nuove tecnologie per la didattica ma anche per le questioni burocratiche, che, specie per i docenti più anziani, sono difficili da usare; 52 E’ legato ai problemi che si sviluppano con le trasformazioni dell’ambiente socio-culturale di riferimento. In Italia particolarmente si riscontrano due principali fenomeni: • Lo sviluppo delle tecnologie informatiche, le quali creano un divario tra gli insegnanti e le nuove generazioni di alunni, oggi definito “Digital Divide”. I docenti risentono di una difficoltà nell’utilizzo di hardware e software, continuando a preferire i metodi tradizionali, come l’utilizzo di libri di testo. Le nuove generazioni (Web generation), invece, abituate ad agire e pensare in tempi brevi, trovano questi metodi frustanti e noiosi. • La Grande Immigrazione comunitaria ed extra-communitaria, costringe gli insegnanti a modificare la comunicazione verso l’alunno straniero, mettendo in discussione i valori tradizionali, dominanti e locali. Personali professionali In questa categoria lo stress è alimentato dalla concezione personale che il singolo pone alla base del propria professione d’insegnante: • Le famiglie del post bum economico, stanno diventando iperprotettive, scatenando effetti di de-responsabilizzazione nei figli, instaurando in loro la convinzione che l’apprendimento scolastico sia esclusivamente finalizzato al raggiungimento di un benessere futuro, ponendosi così come ostacolo nel rapporto alunno – insegnante. • Uno studio condotto in America da Mia Bullock16, nel 2015, analizza la domanda “Chi è un buon insegnante?” per concludere che “un buon insegnante è colui che sa relazionarsi con disponibilità, pazienza, che sa intrattenere e che si pone positivamente verso la classe”. Alla luce di questo studio, si nota che gli insegnanti sembrano preferire maggiormente un riconoscimento da parte degli altri colleghi e del sistema istituzionale, piuttosto che da parte dei propri studenti. 55 16 Bullock M., What Makes a Good Teacher? Exploring Student and Teacher Beliefs on Good Teaching, in «A Rising Tide: Action and Reflection on Teaching in Diverse Environments», Vol. 8, St. Mary’s College Educational Studies MD, 2015. Considerazioni conclusive Tutte le conclusioni hanno portato ad un unico inequivocabile verdetto, a fronte dei problemi di ogni settore, non sussistono al momento soluzioni efficaci al problema attuabili dopo la materializzazione del problema stesso. Nell’analisi di numerosi testi di natura scientifica e non solo, emergono alcune tecniche di prevenzione (citate in precedenza) attuabili in potenza ed in taluni casi già in atto in numerose organizzazioni. Tali tecniche comporterebbero la risoluzione del problema prima che si presenti anche in forma lieve e non percepita dai soggetti, aiutando gli stessi a svolgere il loro lavoro nel modo più produttivo e sereno possibile; il ché sarebbe utile non solo per i lavoratori ma anche per gli enti o organizzazioni per cui operano. Al pari di campi precedentemente 56 analizzati è emerso come la prevenzione dello stress sia l’arma più efficace contro il burnout e tutte quelle patologie che derivano dallo stress; in considerazione del fatto che il burnout presenti una forte capacità di contagio sui soggetti. Tale prevenzione può essere, in prima istanza, promossa dalla dirigenza, la quale dovrebbe fornire più supporto agli insegnanti, mostrando interessamento e riconoscendo a questi ultimi considerazione in presenza di un buon lavoro. Al livello individuale, gli insegnanti potrebbero attuare le già citate tecniche di empowerment, quali il rafforzamento delle capacità di resilienza attraverso corsi formativi antecedenti all’inserimento nel mondo della scuola e durante il tirocinio. Infine, come avviene in alcuni enti privati, si potrebbero assumere dei supervisori volti a controllare situazioni potenziali di stress. Tutte le soluzione preventive sopracitate comporterebbero non solo un efficiente e un efficace servizio alla società, ma anche un’umanizzazione dei contesti e delle relazioni, in quante anche queste, nonostante siano di lieve entità rispetto al ruolo dei docenti, tendono ad educare in modo informale e non intenzionale. Bibliografia AA.VV L'operatore cortocircuitato.(1987) Strumenti per la rilevazione del burn-out fra gli operatori sociali. Ed. CLUP. Pulido-Martos, Lopez-Zafra, Estévez-López, e Augusto-Landa, 2016. Albanese et al., 2008; Greenglass, Burke, e Konarski, 1997; Brouwers, Will, e Welko, 2001; Hakanen, Bakker, e Schaufeli, 2006; Day e Qing, 2009; Doudin et al., 2009. Agostini L., Pacchi C., Parisi R., "Burnout e servizi sociosanitari. Un'indagine esplorativa". In: Difesa Sociale, 1990 pp. 41-62 57 De Rijk A.E., Le Blanc P.M., Schaufeli W.B. (1998) ''Active coping and need for control as moderators of the job demand-control model: effects on burnout''. In Journal of Occupational an Organizational Psychology, 71, 1-18: The British Psychological Society De Vos A., Buyens D., Schalk R. (2003) ''Psychological contract development during organizational socialization: adaptation to reality and the role of reciprocity''. In Journal of Organizational Behavior, 24, 537-559 Del Rio (1990) Stress e lavoro nei servizi. Sintomi, cause e rimedi del burnout. Roma: Nuova Italia Scientifica Demerouti E., Bakker A.B., Nachreiner F., Ebbinghaus M. (2002) ''From mental strain to burnout''. 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