Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

la sindrome del burnout, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

riassunto sulla sindrome del burnout

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 21/03/2019

riccardo9141
riccardo9141 🇮🇹

4.4

(16)

28 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica la sindrome del burnout e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! LA SINDROME DEL BURNOUT: Le persone tendono molto spesso a percepire il proprio ambiente di lavoro come altamente stressante, non riuscendo a gestire le tensioni causate dall’intensa attività lavorativa. I propri valori e desideri all’interno delle imprese hanno scarsa considerazione. Questo atteggiamento spinge i lavoratori ad adottare comportamenti di distacco, sia fisico che psicologico, verso l’organizzazione nella quale lavorano. Quando poi le organizzazioni si accorgono di questa inefficienza, talvolta agiscono colpevolizzando il singolo lavoratore anziché riflettere e indagare sulla propria qualità gestionale. Oltre a ciò le imprese sono in continuo mutamento. La forte competizione le spinge a continue ridefinizioni degli obiettivi. Ciò comporta altrettante modifiche nel modo di lavorare perché sia in sintonia con gli obiettivi che l’organizzazione si è proposta di raggiungere. Questi elementi facilitano l’insorgenza di patologie organizzative che compromettono sia la qualità dei beni e servizi offerti ai clienti, sia la salute dei lavoratori che agiscono in un ambiente patologico. Infatti se le organizzazioni, non sostengono i propri collaboratori, contribuiscono all’insorgenza di alcune patologie come il mobbing, lo stress e il burnout. Lo stress e il burnout vengono affrontati come principi del disagio organizzativo. Per disagio organizzativo o, meglio ancora, per patologia organizzativa, si può intendere, “qualsiasi dinamica, di natura personale, sociale o istituzionale, che impedisca sistematicamente, anche se per un periodo di tempo limitato, il raggiungimento degli obiettivi organizzativi e/o incrini la salute psico-fisica dei collaboratori all’organizzazione”. Questa definizione ci fa capire che una patologia individuale, nonostante incrini la salute psico- fisica del soggetto stesso, non sempre è la causa del mancato raggiungimento degli obiettivi organizzativi ma, qualsiasi patologia individuale rischia di essere a lungo termine dannosa anche per l’organizzazione in cui opera il soggetto patologico. Secondo la prospettiva teorica dei sistemi viventi di Miller e Miller [1991]: ✓ Le patologie si manifestano quando nelle organizzazioni vengono attivati costosi processi per ovviare a delle disfunzioni senza riuscire ad eliminare le cause. Ma ancor più interessante e più funzionale appare l’approccio evoluzionistico espresso da Nicholson [1998] sull’argomento: ✓ Egli sostiene che le organizzazioni sociali hanno il ruolo di mediare tra le caratteristiche dell’essere umano, e quelle dell’ambiente, cercando di mantenerle in equilibrio. Quando le organizzazioni non riescono o falliscono in questo compito, rendono l’ambiente circostante fertile all’insorgere delle patologie organizzative. Il burnout è una forma esasperata dello stress occupazionale. Quindi se lo stress degli individui nelle organizzazioni deriva da un qualche mal funzionamento del sistema, allora anche il burnout non può non derivare da esso. Il termine stress deriva dal latino strictus e venne utilizzato già nel 1600 con il significato di “difficoltà”, “avversità”; nel 1700 e 1800 assunse il significato di “forza”, produttrice di tensione che deforma l’oggetto a cui tende. Col passare degli anni si sono susseguite diverse correnti teoriche che hanno cercato di ridefinire e approfondire la tematica dello stress. • Inizialmente, secondo il modello dell’ambiente sociale di French e Kahn [1962], a determinare l’esperienza dello stress nell’individuo, era fondamentale il ruolo dell’ambiente esterno. • Con Selye [1976], divennero determinanti a provocare lo stress i fattori interni all’individuo ma, con lo sviluppo dei modelli interazionista e transazionale, venne considerata determinante l’interazione tra soggetto e ambiente. L’interpretazione scientifica del fenomeno stress, offerta dal fisiologo H. Selye [1976], ha rivoluzionato le teorie contemporanee su tale tematica. Selye ci fa notare come, aveva intuito che “l’ambiente interiore di un organismo vivente deve rimanere il più possibile costante, nonostante il mutamento del suo ambiente esterno”, constatando quindi che “la stabilità dell’ambiente interiore è la condizione necessaria per una vita libera”. • Selye definisce lo stress come “reazione aspecifica(generalizzata) del corpo a qualunque esigenza gli venga imposta. • Queste esigenze, considerate come delle situazioni critiche, sono da lui definite “stressor”. Quindi lo stress funziona come un segnale di allarme che scatta nel momento in cui qualcuno o qualcosa turba il nostro equilibrio psico- fisico; è un “normale processo psico- fisiologico finalizzato all’adattamento con l’ambiente”. • Gli stressor, per provocare uno stress, non devono necessariamente essere spiacevoli o piacevoli per chi li vive, ma ciò che conta è “solo l’intensità del bisogno di adattamento”. In seguito ad alcuni studi in laboratorio sul concetto di a-specificità elaborò il concetto di “Sindrome Generale di Adattamento” o G. A. S. che attraversa tre stadi: A) reazione di allarme; B) Fase di resistenza; C) Fase di esaurimento; Ogni soggetto può attribuire un peso diverso allo stesso stressor. La valutazione di questo è quindi correlata a fattori personali: atteggiamenti, modi di pensare e di rapportarsi ecc.. Lo “stress lavorativo” si manifesta quando “le richieste esterne percepite dall’individuo appaiono eccedenti la sua capacità di rispondere”, oppure quando “l’individuo percepisce un conflitto rispetto a valori e bisogni”. In questi casi l’ambiente lavorativo diviene fonte di stress per il soggetto che è in rapporto diretto con esso. Uno dei modelli che meglio spiega questa tematica, è quello proposto da Cooper [1988] che individua cinque possibili fonti di stress lavorativo: ✓ Fonti intrinseche al Job: cioè tutti quei fattori fisici e ambientali che incidono negativamente sull’efficienza delle prestazioni lavorative. ✓ Ruolo nell’organizzazione: può essere fonte di stress quando c’è: “Ambiguità di ruolo”; “Conflitto di ruolo”; ✓ Lo sviluppo di carriera ✓ Le relazioni di lavoro: Sono cinque gli stressor relazionali fondamentali che vengono individuati e considerati: 1. Incongruenza di posizione; 2. Densità sociale; 3. Stile di leadership; 4. Personalità abrasiva; 5. Pressioni del gruppo a conformarsi alle proprie norme; ✓ La struttura e il clima organizzativo; Date le varie condizioni che possono incidere sullo stress, se l’individuo non adotta strategie di coping funzionali a tali condizioni, può trovarsi in una situazione di disadattamento all’interno dell’organizzazione. Se lo stress è protratto nel tempo senza intervenire positivamente su di esso, può causare: • Effetti individuali: cattiva alimentazione, fumo e abuso di sostanze, squilibri ormonali, ipertensione, indebolimento immunitario • Effetti organizzativi: il burnout può essere considerato un tipico esempio di disagio in risposta ad uno stress cronico, definito come una sindrome multidimensionale che apporta depersonalizzazione, esaurimento emotivo, ridotta realizzazione professionalità e, di conseguenza, scarsa produttività, creando difficoltà alla stessa organizzazione del lavoro. Lo stress e il burnout sono due concetti e due fenomeni che potrebbero essere confusi in quanto presentano delle affinità è necessario chiarire il modo in cui differiscono: • Il burnout deriva sempre da una situazione di stress ma, mentre lo stress è un fenomeno individuale, il burnout è prevalentemente un fenomeno psico/sociale. • Secondo Walsh[1987] lo stress è il “genere”, il burnout la “specie”, cioè una “particolare forma di risposta a certe condizioni di stress”. • Farber [1983], specifica che il burnout è la conseguenza dello “stress non mediato”. Pare evidente come tutti questi problemi, influiscano sulla prestazione economica di un’impresa. Infatti se l’organizzazione considera il burnout come una problematica strettamente individuale si troverà in un futuro con delle spese maggiori. Nonostante il fenomeno dello stress e del burnout si stia diffondendo in una moltitudine di contesti organizzativi, le professioni più a rischio sono quelle che offrono educazione, sostegno e cure alle persone in difficoltà, per la moltitudine di fattori e risorse emozionali messe in gioco dagli operatori. ▲ Come dicono Maslach e Leiter [2000], queste professioni sono high-touch, a contatto continuo. Da un lato sentono la necessità di attuare degli interventi di tipo contestuale per soddisfare le esigenze delle singole persone, dall’altro l’organizzazione richiede, un adattamento acritico alla routine burocratica. Ciò comporta che gli operatori, oltre ad affrontare i problemi degli utenti, devono cercare di far fronte anche alle difficoltà imposte dalla rigida organizzazione del lavoro che impedisce l’esercizio in modo creativo e spontaneo della propria mansione causando una discrepanza tra i propri bisogni e quelli dell’organizzazione. Gli operatori sociali sono coloro che svolgono la loro attività presso i servizi sociali e che mettono le loro competenze e la propria persona a disposizione di chi vive situazioni di forte disagio. Gli operatori sociali a cui Baiocco et al. [2004] fanno riferimento nella loro ricerca sono rispettivamente gli assistenti sociali, gli assistenti domiciliari e gli operatori di comunità. Dal momento che questi professionisti mettono in gioco quasi globalmente la propria persona nell’aiuto e nel sostegno dei bisognosi, se l’organizzazione non dà credito alla dimensione umana del servizio di conseguenza gli operatori tenderanno a diffidare della stessa organizzazione e a offrire un servizio inadeguato alle persone. La ricerca condotta su un campione di 177 operatori appartenenti alle tre categorie precedentemente elencate, ha avuto l’obiettivo di verificare se il sovraccarico di lavoro e le eccessive richieste volte agli operatori dall’organizzazione e dall’utenza e altri tipi di variabili, come quella di personalità, in qualche modo influiscono sull’ esaurimento emozionale e il ritiro motivazionale tipici dello stress lavorativo e del burnout. Dai risultati dell’indagine è emerso che: • La categoria professionale degli assistenti domiciliari è più soggetta alla sindrome del burnout, seguono gli assistenti sociali e gli operatori di comunità. Per quanto riguarda l’anzianità di servizio: • Gli assistenti sociali e gli operatori di comunità sembrano sperimentare condizioni di burnout dopo tanti anni di attività professionale rispetto agli assistenti domiciliari che sembrano soggetti a rischio di burnout soprattutto nei primi anni di attività. I ricercatori spiegano questa differenza in base al diverso grado di stabilità che differenzia queste tre categorie professionali: l’assistente sociale e l’operatore di comunità sperimentano il burnout dopo tanti anni di lavoro perché hanno maggiore stabilità dentro l’organizzazione e svolgono tendenzialmente lo stesso lavoro con lo stesso tipo di utenza. L’assistente domiciliare che si reca direttamente a casa dell’utente “entra sempre in sistemi diversi e non sa mai cosa gli aspetti. Anche qui le variabili di personalità sembrano incidere significativamente sulle manifestazioni di stress e burnout. Gli operatori che manifestavano la sindrome sono stati descritti come poco stabili dal punto di vista emotivo, incapaci di prendersi cura e fornire supporto emotivo, poco aperti verso le novità e verso i propri sentimenti. Gli ospedali e le organizzazioni sanitarie in cui i medici e gli infermieri operano, sono considerati gli ambienti in cui è più ricorrente sperimentare la sindrome del burnout. Il rapporto con i pazienti, il carico di lavoro, i turni, le mansioni da svolgere, e quindi le continue richieste dell’organizzazione, dei pazienti e anche delle loro famiglie sono tutti fattori che portano l’operatore sanitario a sperimentare gravi situazioni di stress, rischiando di “consumare le proprie energie soprattutto a livello emotivo”. Rispetto ai medici gli infermieri sono più a rischio perché è loro compito assistere il malato “da vicino” in tutto il periodo di cura. Molte ricerche hanno cercato di capire il legame esistente tra “soddisfazione lavorativa” e “burnout”. Ma i risultati sono spesso contrastanti: ▲ Infatti alcuni studi mostrano l’indipendenza tra i due costrutti, altri spiegano che il burnout è la causa dell’insoddisfazione lavorativa e altri ancora spiegano l’insoddisfazione lavorativa come causa del burnout. Altre ricerche in ambito sanitario hanno riscontrato che, mentre la soddisfazione lavorativa è influenzata dalle caratteristiche del lavoro in sé, il burnout è invece maggiormente influenzato dalle variabili di personalità. A tale proposito, Baiocco et al, hanno svolto una ricerca su un campione di 196 soggetti del personale sanitario di diverse cliniche mediche e chirurgiche: I risultati ottenuti da questo studio confermano l’ipotesi secondo cui la sindrome del burnout si manifesta diversamente a seconda della categoria professionale di appartenenza: • Infatti gli infermieri e poi i fisioterapisti che sono più a contatto con le sofferenze del personale, riguardo all’esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione lavorativa, ottengono punteggi medi significativamente superiori rispetto ai medici. Riguardo all’anzianità di servizio: • I dati mostrano che i più giovani che da poco tempo operano in un contesto sanitario si sentono maggiormente esauriti a livello emotivo rispetto a chi ha più anni di esperienza. Le caratteristiche di personalità sembrano incidere particolarmente sull’insorgere del fenomeno. Gli psicologi e psicoterapeuti sono i professionisti che si occupano, attraverso le loro competenze, di “ripristinare la salute psicologica dei loro utenti”. Se l’operatore non gode di una buona salute psichica, non riesce a capire i propri limiti ecc., non può sperare di attuare degli interventi terapeutici di provata efficacia. Baiocco et al. [2004] ritengono che, anche questi professionisti possono andare incontro a questa patologia perché anche la loro attività implica un continuo contatto con le esigenze delle persone. • Il burnout in questi operatori si manifesta con una perdita di empatia, abbassamento delle capacità comunicative e di ascolto verso i pazienti, percezione di fallimento personale e quindi una difficoltà nello svolgere il proprio lavoro. Alcune ricerche hanno rilevato che gli psicologi e psicoterapeuti che lavorano presso gli enti pubblici sperimentano il burnout con più facilità rispetto a chi lavora in uno studio privato: Nella ricerca condotta da Baiocco et al. [2004] su un campione di 195 soggetti, psicologi e terapeuti che lavorano in strutture pubbliche (56.4%) e studi privati (43.6%), sono emerse delle differenze statisticamente significative tra gli operatori che lavorano in questi ambienti: Mentre chi lavora in contesti pubblici sperimenta con più facilità l’esaurimento emotivo e la depersonalizzazione, chi lavora in ambito privato si sente più realizzato dal punto di vista professionale. ▲ Un problema fondamentale di questi “operatori della salute” è il seguente: “carenze e fragilità, motivazioni e problemi vengono riconosciuti solo negli altri, mentre l’immagine di sé deve restare ad ogni costo sgombra da queste macchie”. Peracchi [1992] sostiene che essendo la professione del docente fondata sulla relazione docente- alunno la cui finalità è l’educazione è da considerarsi facente parte delle “professioni di aiuto” e ciò comporta per l’insegnante un “alto rischio di burnout”. Come per tutte le altre categorie professionali sopra analizzate, anche in ambito scolastico l’insorgere del burnout è influenzato dall’interazione tra diverse variabili psicosociali: • Dal rapporto che gli insegnanti instaurano con gli allievi, con i colleghi, con i superiori, con i genitori degli allievi e dalla dimensione fisica e psicologica dell’ambiente di lavoro. Il burnout in campo educativo è un grosso limite poiché impedisce il cambiamento e ostacola, per via indiretta, l’efficacia del processo educativo perché l’insegnante, sentendo esaurite le proprie energie ed essendo insoddisfatto circa la sua attività, non assolve in modo adeguato alla sua professione docente. “Dal burnout non si guarisce ma a esso si re-agisce. Si tratta di essere responsabili, del proprio benessere anche lì dove sembra più difficile e assurdo”. È necessaria una profonda responsabilità del soggetto nel cercare d’ intervenire su di se per garantirsi un equilibrio sia fisico che psichico. Ma l’individuo da solo non potrebbe fare tanto. È importante che anche le organizzazioni si attivino e sostengano i soggetti, attuando dei percorsi di prevenzione a lunga scadenza, rivolti sia a fattori strettamente organizzativi che potrebbero suscitare il burnout; sia rivolti al gruppo e ai singoli per dare a questi adeguati strumenti di gestione del burnout che agiscano ove l’organizzazione non può arrivare. È quindi necessario porre l’organizzazione nelle condizioni di poter controllare il fenomeno, gestirlo e ridurlo a livelli tollerabili, minimizzandone gli effetti, ma non prima che esso sia adeguatamente compreso e riconosciuto come fondamentale problema sia per l’organizzazione che per l’individuo. Si può quindi osservare che è necessario attuare delle misure preventive per i problemi che la citata patologia può arrecare sia a livello individuale che sul piano professionale. Se l’organizzazione ignora l’incidenza del fenomeno, porterebbe i suoi dipendenti ad esaurire le loro energie professionali e ad avere una scarsa percezione dei reali problemi dell’utenza e, a sua volta, l’organizzazione si troverebbe ad affrontare i problemi in termini di assenteismo, turn-over, deterioramento del clima e cali complessivi di efficienza ed efficacia. Maslach e Leiter [2000] riconoscono che il rischio di burnout è molto elevato, perciò bisognerebbe intervenire ancor prima che diventi un reale problema. ▲ La prevenzione oltre ad essere più efficace, comporta minori spese per l’organizzazione: “pagare ora per un corso di formazione eviterà in seguito i costi di una scarsa prestazione. Affinché si possa affrontare lo stress e il burnout ancor prima di avere un supporto organizzativo, sembra importante avere una rete di relazioni con persone che ci offrono il loro sostegno. Del Rio [1990] riconosce nel sostegno sociale (social support system) una funzionalità di tipo preventivo ma, anche se non interviene direttamente sul disagio causato dal burnout, potrebbe essere un primo passo, attuato dal soggetto disagiato, verso un futuro ed effettivo intervento sulla problematica. ✓ Per sostegno sociale si intende: “un durevole vincolo interpersonale in un gruppo di individui che possono contare sulla disponibilità di sostegno emotivo, assistenza e risorse nel momento del bisogno, che forniscono feedback e che condividono standard e valori”. Più volte si è detto che il burnout è la causa dell’interazione tra variabili individuali e organizzative. Ciò implica che per prevenire o curarsi da una situazione di burnout è corretto che anche il singolo individuo si muova nella direzione del cambiamento. In che modo ciò può avvenire? Baiocco et al. [2004] ci danno alcune indicazioni: a. Affinando le proprie capacità relazionali e le competenze professionali; b. Acquisendo nuove tecniche e nuove strategie per la soluzione dei problemi; c. Apprendendo delle modalità per migliorare la comunicazione all’interno dell’equipe di lavoro; d. Recuperare spazi propri di tempo libero e cultura estranei al lavoro. Tutto ciò sarà possibile e facilitato se il soggetto partecipa ad eventi di formazione specifici per colmare ciò che riconosce come lacune personali. In molti casi le aziende proiettano i loro interventi nel breve periodo a causa della scarsità delle risorse finanziarie, ostacolando in tal modo la reale efficacia degli investimenti, ottenendo quindi scarsi risultati. Santinello e Furlotti [1992] elencano quattro tipologie di programmi di intervento per la prevenzione e la gestione delle cause di stress che risultano efficaci se si orientano nell’ottica di un processo continuo: 1) lavorare per obiettivi e piani; 2) partecipare alle decisioni; 3) la struttura dei compiti e delle mansioni; 4) Sistema di monitoraggio periodico; Questo è un sistema che deve coinvolgere tutti i livelli gerarchici dell’organizzazione lavorativa. I quattro modelli non sono alternativi ma possono essere utilmente intergrati. A questo punto gli autori in un’ottica di prevenzione o in situazioni altamente stressanti propongono: ▲ Forme di rotazione del personale; ▲ Creazione di gruppi di supporto al personale, sia tecnico che emotivo; In precedenza si è visto, come il burnout, oltre a essere causato da un eccessivo coinvolgimento emotivo, può anche essere accentuato, da sei tipi di discrepanze tra la natura del lavoro e la natura della persona che lo svolge. In tale proposito sembra opportuno procedere l’analisi della prevenzione dello stress e burnout attraverso i metodi suggeriti da Maslach e Leiter [2000] e che dovrebbero agire sui sei tipi di discrepanze per promuovere l’impegno. L’impegno, specificano, deve essere promosso attraverso un processo sociale e collaborativo, in modo da favorire la comunicazione tra le persone e l’organizzazione. ▲ L’approccio individuale: Prima di prendere la decisione di intervenire nel merito della prevenzione o della cura del burnout, è necessario che l’individuo abbia la consapevolezza dei motivi o dei tipi di discrepanze che possono intervenire nel determinarlo. Date queste condizioni di partenza allora il soggetto può decidere di prendere l’iniziativa per attuare questo processo di problem solving. Ciò avviene:
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved