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La sindrome del burnout, Tesi di laurea di Metodi E Tecniche Del Servizio Sociale

Nel lavoro di tesi c’è una spiegazione dettagliata della sindrome del burnout, inoltre viene rappresentato il caso specifico di una RSA.

Tipologia: Tesi di laurea

2021/2022

In vendita dal 07/02/2023

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Scarica La sindrome del burnout e più Tesi di laurea in PDF di Metodi E Tecniche Del Servizio Sociale solo su Docsity! UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE Dipartimento di Scienze della Formazione Corso di Laurea magistrale in Management delle Politiche e dei Servizi Sociali (LM87) TESI DI LAUREA La sindrome del burnout Il caso specifico: R.S.A. Mater Dei Relatrice: Candidata: Prof.ssa Maria Chiara Mancinelli Noemi Di Iulio Correlatrice: Prof.ssa Cristina Tilli Anno Accademico 2020/2021 A mia madre, stella polare di ogni mio cammino. Alla me del passato, convinta che non ce l’avrebbe fatta Alla me del presente, goditi questo momento, te lo meriti tutto Alla me del futuro, ogni volta che penserai di non essere abbastanza, voltati, ce l’hai fatta una volta, puoi farcela di nuovo. 5 Introduzione Ho iniziato a lavorare come Assistente Sociale, qualche mese dopo essermi abilitata, in piena pandemia, all’interno di una RSA, entusiasta e pronta a sperimentare, non avrei mai detto che dopo due anni di lavoro, mi sarei ritrovata a fare una ricerca sul livello di burnout presente all’interno della struttura. E invece da che volevo soffermarmi sull’importanza del PAI, Piano Assistenziale Individualizzato, mi sono ritrovata a rendermi conto che probabilmente il modo in cui veniva e viene tuttora compilato il PAI, era soltanto una delle attività svolte in maniera erronea ma chiarificatoria di un malessere generale, soprattutto dato dalla dimensione organizzativa. Dopo aver fatto le prime riflessioni, ho deciso quindi di spostare l’interesse della mia ricerca, proprio sul burnout, considerando soprattutto le sue conseguenze all’interno della struttura. Il tema del burnout è particolarmente importante, tanto che è entrato a pieno titolo nella programmazione dei Fondi del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza (PNRR) che l’Unione Europea ha avarato per aiutare i paesi europei ad uscire dalla crisi economica e sociale causata dalla pandemia Covid-19. A questo proposito, nell’Avviso pubblico per la presentazione di Proposte di intervento da parte degli Ambiti Sociali Territoriali da finanziare nell’ambito del PNRR, Missione 5 “Inclusione e coesione”, Componente 2 "Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” emanato a febbraio 2022 dal Ministero del lavoro si legge all’obiettivo dell’Investimento 1.1 (M5C2-6), da raggiungere entro marzo 2026, che almeno l'85% dei distretti sociali/ambiti territoriali italiani “debbano aver completato uno degli interventi previsti (sostegno ai genitori; autonomia delle persone anziane; servizi a domicilio per gli anziani o sostegno agli assistenti sociali al fine di prevenire i burn-out”. L’investimento economico previsto, solo per la misura 1.1.4 relativa alla prevenzione del burnout è pari a 42 milioni di euro e prevede interventi di rafforzamento dei servizi sociali attraverso l’introduzione di meccanismi di condivisione e supervisione degli assistenti sociali. 6 Nel primo capitolo viene descritto il fenomeno del burnout, le cause e i sintomi di quest’ultimo, considerando in particolare le variabili individuali e quelle legate all’organizzazione, dato che sembra essere la causa principale dello sviluppo del burnout stesso. Infine viene riportata, anche se non integralmente, una testimonianza di un’infermiera pediatrica, che spiega come il suo grande entusiasmo si sia spento negli anni e abbia creato grandi problemi non solo nella sua vita professionale ma anche e soprattutto in quella privata, che è riuscita a risolvere solo quando si è resa conto di essere vittima del burnout. Nel secondo capitolo viene descritta la normativa afferente al burnout, che solo da qualche anno è stato inserito all’interno dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, con l’art.28 del D.Lgs 81/08 si riconosce la presenza dello stress lavoro-correlato, e si obbligano i datori di lavoro alla prevenzione e alla protezione dei dipendenti. Si sottolinea l’importanza della prevenzione, considerando le responsabilità degli operatori e i doveri delle organizzazioni, prediligendo la formazione continua e la supervisione. Infine si riflette su come l’empatia possa essere d’aiuto o meno rispetto alla sindrome del burnout. Nel terzo capitolo, dedicato alla ricerca sul campo, viene inizialmente descritto il contesto delle RSA, la normativa di quest’ultime, e si cerca di comprendere quale siano le cause per cui si ricorre al ricovero in RSA, in una società che inevitabilmente invecchia sempre di più. Successivamente vengono riportati i risultati dei test somministrati all’interno della RSA Mater Dei, sintetizzati in tabelle e grafici, concludendo con i commenti del personale che ha scelto di partecipare alla ricerca. Non è stato semplice analizzare una problematica come quella del burnout, all’interno del proprio luogo di lavoro, lavorando nello stesso tempo, e senza mai dimenticare le difficoltà e gli imprevisti dati dall’epidemia del Covid-19, presente soprattutto in luoghi come le RSA, che ospitando persone vulnerabili non possono permettersi errori. 7 È stato possibile concludere la ricerca con risultati soddisfacenti e interessanti, che in caso ci sia la volontà, possono essere un punto di partenza per migliorare la realtà organizzativa della RSA Mater Dei. Una professionista dice: “Il mio corpo e la mia mente si sono sbriciolati per lo stress a cui ero sottoposta e sapevo che non potevo continuare a vivere a quel ritmo. Il mio medico mi ha informato che quel pomeriggio il mio corpo era andato in esaurimento e se non avessi fatto un cambiamento drammatico, la mia salute ne avrebbe sofferto molto.” Un buon professionista dell’aiuto dovrebbe sempre ricordarsi che per potersi prendere cura dell’altro, in primis è necessario prendersi cura di sé. 10 1.1 Descrizione del fenomeno Il termine burnout traducibile in italiano con “bruciato”, esprime con un’efficace metafora il bruciarsi della persona e il suo cedimento psicofisico rispetto alle difficoltà dell’attività professionale. Questo esprime il malumore, l’irritazione quotidiana, lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori, in particolare di quelli che operano nei servizi sociosanitari.1 Il termine burnout compare per la prima volta negli anni Trenta nel gergo sportivo, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di migliorare le sue prestazioni o mantenere il livello acquisito, pur essendo in perfetta forma. Negli anni Settanta lo psicanalista statunitense Freudenberger, osservando un gruppo di volontari sociosanitari, si rese conto che dopo un breve periodo di entusiasmo per la loro attività questi ultimi sviluppavano come risposte alle richieste provenienti dall’ambiente di lavoro, uno stato di esaurimento psicofisico caratterizzato da apatia e depressione. È Freudenberger il primo a considerare il burnout una manifestazione dello stress lavorativo. Successivamente la sindrome del burnout è stata identificata come specifica malattia professionale degli operatori dell’aiuto da Christina Maslach nel 1975. Secondo Cherniss il burnout è come una malattia data da un impegno eccessivo, da cui la persona non riesce a liberarsi, e per tale motivo si ritira psicologicamente dal lavoro perdendo entusiasmo e interesse per ciò che fa. In sostanza il burnout è inteso come una risposta a una situazione di lavoro intollerabile, quando la persona comincia a sentire la frustrazione perché magari non riesce a rispondere a tutti i bisogni o a tutte le richieste che gli vengono poste e si ritira psicologicamente per difendersi dal rischio di esaurirsi.2 1 Ferdinando Pellegrino, La sindrome del burn-out, Centro Scientifico Editore, Torino 2009. 2 Cary Cherniss, La sindrome del burnout. Lo stress lavorativo degli operatori dei servizi sociosanitari, Centro Scientifico Torinese, Torino 1983. 11 Secondo Edelwich e Brodsky il burnout consiste “in una progressiva perdita di idealismo, energie e scopi causata dalle condizioni in cui lavorano gli operatori sociali”.3 Gli autori descrivono le fasi che caratterizzano il cortocircuito: entusiasmo, stagnazione, frustrazione, apatia, intervento. Il passaggio dall’entusiasmo alla stagnazione corrisponde al passaggio dall’investimento al disinvestimento per la scoperta che i risultati dell’impegno sono incerti e imprevedibili. Le cause della frustrazione si ritrovano nel senso di impotenza riguardo al rapporto operatore-utente, operatore-istituzione, operatore-comunità, e nell’eventuale scarso apprezzamento da parte dei superiori e degli utenti. Il passaggio dalla frustrazione all’apatia è caratterizzato dai tentativi di difesa che in una progressione ciclica a partire dalla rabbia arrivano all’indifferenza. Si percepisce infine uno squilibrio tra le risorse disponibili e quelle richieste, le risposte risultano inadeguate sia in riferimento ai propri obiettivi che rispetto alle richieste dell’organizzazione lavorativa e degli stessi utenti.4 Cherniss, Maslach, Freudenberger, concordano sul fatto che la sindrome del burnout deve essere considerata più un processo che un evento, non scoppia all’improvviso, dietro ci sono necessariamente aspettative frustrate, fallimenti e ricompense mancate.5 Nello specifico secondo Maslach tre sono le componenti essenziali della sindrome: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale. Per esaurimento emotivo si intende la situazione in cui l’operatore ha la sensazione di essere in continua tensione e si sente emotivamente inaridito dal rapporto con gli altri. L’operatore si sente come svuotato delle risorse emotive e personali, così da non avere più nulla da offrire agli altri. L’esaurimento emotivo è la caratteristica centrale del burnout e la manifestazione più ovvia di questa complessa sindrome. 3 Jerry Edelwich, Archie Brodsky, Burn-out - Stages of Disillusionment in the Helping Professions, Human Science Press, New York 1980 4 Ivi. 5 P.Giorgio Gabassi, Burnout: 1974-1994. Venti anni di ricerche sullo stress degli operatori socio-sanitari, Franco Angeli, Milano 1995, p.12. 12 L’esaurimento non è semplicemente un vissuto, piuttosto spinge ad allontanarsi dal punto di vista emotivo e cognitivo dalla professione, presumibilmente una reazione per far fronte al carico di lavoro. Per liberarsi dal problema emozionale c’è la tecnica del distacco che poi si esplica nella cosiddetta depersonalizzazione, che non è altro che una risposta negativa nei confronti delle persone che ricevono la prestazione professionale; questo è un modo per porre una distanza tra sé ed i destinatari del servizio, ignorando attivamente le qualità che li rendono unici. Le richieste di queste persone sono maggiormente gestibili quando queste ultime vengono considerate oggetti impersonali. In questa condizione l’operatore cerca di evitare il coinvolgimento emotivo con un atteggiamento burocratico e distaccato, e con comportamenti di rifiuto o palese indifferenza verso l’utente. Questi atteggiamenti negativi di distacco, cinismo, freddezza ed ostilità costituiscono il tentativo di proteggere se stessi dall’esaurimento emotivo, riducendo al minimo il proprio coinvolgimento nel lavoro. L’armatura del distacco potrebbe creare delle situazioni spiacevoli, proprio come dice un assistente sociale: “Ho cominciato a disprezzare tutti e non riuscivo più a nascondere il mio disprezzo”.6 Una frequente conseguenza della depersonalizzazione è la percezione del senso di colpa da parte dell’operatore, che percepisce il fatto che sta diventando una persona fredda e indifferente, da qui può comparire il terzo aspetto del burnout, che inevitabilmente è connesso ai primi due descritti. La ridotta realizzazione personale è la sensazione che nel lavoro a contatto con gli altri la propria competenza e il proprio desiderio di successo stiano venendo meno. L’operatore si percepisce come inadeguato e incompetente sul lavoro e perde la fiducia nelle proprie capacità. La motivazione al successo cala drasticamente, l’autostima diminuisce e possono emergere sintomi di depressione. In questa condizione è possibile che il soggetto si rivolga alla psicoterapia oppure decida di cambiare lavoro. 6 Christina Maslach, La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri., Cittadella editrice, Assisi 1997, pp.19-25. 15 dal lavoro. Sono veramente stanco e deluso, non avei mai immaginato di poter essere trattato in questo modo”.11 Nel corso degli anni molti ricercatori, alcuni citati sopra, hanno dato al burnout diversi significati che tuttavia possono essere sintetizzati come segue: la burning-out syndrome è un insieme di sintomi che testimoniano la evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale. Non a caso il nuovo Codice Deontologico dell’assistente sociale entrato in vigore il 1 giugno 2020, che è il frutto di un lavoro plurale e cerca un contatto forte con la realtà operativa, introduce delle linee guida per affrontare tale problematica, nello specifico nel titolo VII , capo I, art. 51 e capo II art. 55. Art. 51: “L’assistente sociale segnala al proprio Ente di appartenenza l’eccessivo carico di lavoro, se sussiste il rischio che risulti compromesso il corretto svolgimento della professione in relazione anche alla tutela e alla salvaguardia dei diritti della persona. La segnalazione, precisa e circostanziata, è resa in forma scritta.”12 È dovere dell’assistente sociale segnalare al proprio datore l’eccessivo carico di lavoro, avendo sempre presente la sua responsabilità verso la professione e l’organizzazione nel reciproco rispetto delle singole funzioni. Non segnalare è quindi una violazione del Codice Deontologico, segnalando infatti all’ente di appartenenza la criticità di una condizione lavorativa, si ha la finalità di costruire un percorso di risoluzione del problema. Per fare questo appare necessario avere un dialogo positivo con la propria organizzazione che implica capacità di adattamento da entrambe le parti. Tutto questo appare come un buon antidoto al burnout. Inoltre l’art. 20 del nuovo Codice Deontologico sottolinea un altro aspetto fondamentale del lavoro dell’assistente sociale, quello di saper riconoscere i confini tra vita privata e professionale, considerando che ad oggi un sano equilibrio tra lavoro e vita privata, il cosiddetto work life balance, è un 11 Ferdinando Pellegrino, La sindrome del burn-out, Centro Scientifico Editore, Torino 2009. 12 https://cnoas.org/wp-content/uploads/2020/03/Il-nuovo-codice-deontologico- dellassistente-sociale.pdf 16 fenomeno che interessa ormai indistintamente tutta l’Europa, ma che soprattutto crea le condizioni per un lavoro produttivo e soddisfacente. 17 1.2 Le cause del burnout Non esiste una sola causa all’origine del burnout, bisognerebbe pensare infatti al burnout come l’epilogo di complesse vicende lavorative e/o personali. Rispetto alle indagini condotte sulle possibili cause del burnout, si identificano due studi principali: uno relativo alle differenti strutture di personalità, l’altro è invece più legato al contesto, più incentrato a rilevare l’incidenza delle condizioni ambientali e situazionali sul soggetto. Un’altra variabile da considerare è il tipo di lavoro che viene svolto, alcune professioni indubbiamente sembrano più a rischio di altre, perché richiedono un maggiore dispendio di energia, perché il contatto con le persone è carico di emotività e non sempre facile da gestire. Vari studi hanno dimostrato che il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale opera. Il lavoro modella il modo in cui le persone interagiscono tra di loro e il modo in cui ricoprono la propria mansione, quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout aumenta inevitabilmente. Gran parte dei disagi degli operatori riflette proprio la sensazione di non sentirsi valorizzati professionalmente , di non essere coinvolti nei processi decisionalie di non avere autonomia professionale. Ci sono vari fattori che possono alimentare la comparsa del burnout, Cherniss si sofferma su dei fattori individuali, Maslach e Leiter sostengono però che le cause siano più da ricercarsi nell’ambiente di lavoro, che nell’individuo. Le persone sono tutte diverse tra loro per quanto riguarda la loro vulnerabilità e la loro capacità di difesa, secondo Cherniss per una giusta analisi del burnout vanno necessariamente considerati dei fattori individuali. A tal proposito sono stati scoperti cinque tratti di personalità che influenzano una risposta individuale allo stress: l’ansia nevrotica, la sindrome di “tipo A”, il luogo di controllo, la flessibilità e l’introversione. Secondo Maslach e Leiter le cause del burnout possono essere ricondotte anche e soprattutto alle variabili dell’organizzazione, nello specifico alle sei discrepanze tra persone e lavoro: sovraccarico di lavoro, mancanza di 20 sempre più complessi e le persone si trovano a dover assumere più ruoli simultaneamente, non è un caso che gli assistenti sociali si ritrovano a perdere tempo con le faccende amministrative piuttosto che dedicarsi ad altro. Diventa quasi impossibile, a meno che non si conosca un modo per conservare o riprodurre l’energia, mantenere un rapporto equilibrato con il lavoro. In realtà nessuno all’interno di un’organizzazione detiene il controllo assoluto. Tutto ciò che si fa in un’organizzazione comporta la collaborazione con altre persone, ciascuna delle quali vuole esercitare una propria parte di controllo sul lavoro che svolge, senza dimenticare però che l’autonomia di una persona termina quando inizia quella di un’altra. Non si può pretendere il controllo su tutto, ciò impedirebbe la creatività e non considererebbe gli imprevisti, ma è importante averlo su aspetti importanti del lavoro per evitare che venga meno il rapporto produttivo con quest’ultimo. L’attuale crisi nel mondo del lavoro si ripercuote sulle capacità delle organizzazioni di gratificare il personale nel modo giusto, non sempre si ottengono gratificazioni materiali in termini di aumenti retributivi, di prestigio, tantomeno di sicurezza. Un problema più grande a proposito della gratificazione è la perdita della soddisfazione interiore, le persone che si sentono gratificate da ciò che fanno gioiscono del lavoro in sé, ma ciò non è più possibile perché le condizioni di lavoro non lo permettono. Il quarto impatto prodotto dalla crisi attuale è il crollo del senso di appartenenza comunitario all’ambiente di lavoro, non si riesce più a lavorare in team e i rapporti personali risultano ormai frammentati. Il senso di appartenenza scompare quando le persone tendono a lavorare separatamente piuttosto che insieme. Un posto di lavoro può essere considerato come equo quando sono presenti tre elementi principali: fiducia, lealtà e rispetto. Nel periodo attuale però i dipendenti non contano sul fatto che la direzione prenda delle decisioni nel migliore interesse dei clienti, dei dipendenti o dell’organizzazione stessa, allo stesso tempo la direzione non attribuisce molto valore alla valutazione dei dipendenti, è chiaro che ci sia una sfiducia 21 reciproca. C’è segretezza da parte della direzione centrale nella maggior parte dei casi e raramente si mostra rispetto per i dipendenti, trattati solitamente come numeri piuttosto che come persone. È evidente che la distribuzione impari e ingiusta delle ricompense distrugge il senso di comunità e compromette i rapporti produttivi con il lavoro. La comunità di un’organizzazione è costruita su valori condivisi, ma è ovvio che un sistema di valori basato sulla sopravvivenza-profitto a breve termine è contrario ai valori che i dipendenti più devoti hanno in relazione al loro lavoro. Il tutto è ormai orientato al profitto e molti degli aspetti umani del lavoro sono al fondo della lista delle priorità di qualsiasi direzione. La sfida è allora quella di prendersi cura della vita organizzativa, il burnout non è mai un problema personale ma piuttosto un problema che va analizzato all’interno del contesto sociale del luogo di lavoro.14 1.2.2.1 Analisi dei processi organizzativi Le organizzazioni di lavoro sono fenomeni complessi non riconducibili ad un unico paradigma interpretativo, alcuni autori propongono diversi modelli di lettura delle organizzazioni. Elton Mayo ad esempio, in contrasto con l’interpretazione di Frederick Winslow Taylor, sottolineò l'importanza di valutare i rapporti all'interno di un gruppo di lavoro per arrivare ad una integrazione tra individui e organizzazione che faccia coesistere la logica economica con quella dei sentimenti. Secondo Mayo la creazione di un clima relazionale sereno e collaborativo tra i capi e i collaboratori favorisce l’incremento della produttività aziendale, mentre quello improntato ad una logica esclusivamente gerarchica, che non riconosce uno spazio di socializzazione delle persone, pregiudica eventuali possibilità di miglioramento della stessa.15 14 Christina Maslach e Michael P. Leiter, Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro., Erikson, Trento 2011, pp.44-66. 15 Giulia Cecchini, Lezioni di organizzazione aziendale, Università degli Studi di Roma Tre, 2020, pp.29-33. 22 Inoltre è bene ricordare che gli individui all'interno delle organizzazioni cercano, oltre alla sicurezza economica, di soddisfare alcuni dei loro bisogni personali. A proposito di bisogni Abraham Maslow definì una gerarchia di motivazioni che sono alla base del comportamento degli individui e che portano il singolo ad agire per soddisfare tali bisogni, ponendo ai livelli più alti della piramide i bisogni di autostima e di autorealizzazione. È importante perciò capire se l’ambiente lavorativo è efficace nel soddisfare i bisogni individuali di realizzazione. La motivazione di un comportamento nasce dalla tendenza a soddisfare un particolare bisogno e può essere definita come la spinta interiore che porta l'individuo ad applicarsi con impegno nel lavoro. La motivazione al lavoro e il senso di appartenenza all’organizzazione non si possono sviluppare naturalmente, devono essere stimolati dal management aziendale, ma soprattutto devono essere create le condizioni professionali, organizzative e relazionali necessarie a supportare tale fenomeno, attraverso politiche mirate e coerenti.16 Rensis Likert distingue tra un'organizzazione di tipo repressivo-autoritario e quella che prevede una partecipazione di gruppo. Quest'ultima prevede il coinvolgimento nella formulazione degli obiettivi da raggiungere, la creazione di un clima organizzativo improntato ad un'aperta collaborazione, la facilitazione dell'autonomia e l'assunzione di responsabilità da parte degli individui membri dell'organizzazione. Secondo l’autore «i dipendenti che si sentono liberi di regolare il proprio lavoro si dimostrano più produttivi rispetto a quelli che sono privi di questo senso di libertà», sottolineando in questo modo l'importanza dell'autonomia di ogni lavoratore.17 Per tutti gli autori citati appare fondamentale l’aspetto umano e l’autonomia dei lavoratori, sottolineando che un buon clima organizzativo crea migliori 16Antonio Cocozza, Organizzazioni. Culture, modelli, governance., Franco Angeli, Roma 2014, p.49. 17 Giulia Cecchini, Lezioni di organizzazione aziendale, Università degli Studi di Roma Tre, 2020, p.121. 25 Oltre ai segni somatici bisogna sottolineare la presenza di segni psicologici che possono essere presenti, come: senso di colpa, negativismo, isolamento, rigidità di pensiero, sospetto, paranoia, e l’alterazione del tono dell’umore. Burisc, individua sette gruppi di sintomi all’interno dei quali si possono cogliere ulteriori specificazioni20:  I sintomi premonitori: accresciuto impegno verso gli obiettivi ed esaurimento;  La riduzione dell’impegno: verso gli utenti, verso gli altri, verso il lavoro, per arrivare ad un aumento delle rivendicazioni;  Reazioni emotive e colpevolizzazione: depressione e aggressione;  Il declino dell’efficienza cognitiva, della motivazione e della creatività fino alla indifferenziazione;  L’appiattimento della vita emotiva, della vita sociale, della vita psichica;  Le reazioni psicosomatiche;  La disperazione.  È chiaro che i sintomi associati alla sindrome del burnout sono complessi e possono generalmente riguardare tre ambiti diversi:  La sfera psichica, relativa al pensiero e alle emozioni;  La sfera comportamentale;  La sfera psicosomatica. A livello cognitivo-emotivo la persona che si trova in burnout sperimenta una vera e propria disaffezione al proprio lavoro che può esplicitarsi in modi differenti:  Crollo delle energie psichiche: l’operatore fa sempre più fatica a recarsi al lavoro la mattina, è apatico e demoralizzato, non riesce a concentrarsi come dovrebbe, è irritabile, costantemente preoccupato, sviluppa paure immotivate e sensi di colpa, si sente un fallito.  Crollo della motivazione: il rapporto con l’utenza perde la sua caratterizzazione di relazione d’aiuto e si trasforma in una mera 20 P.Giorgio Gabassi, Psicologia del lavoro nelle organizzazioni, Franco Angeli, Roma 2007, p.255 26 relazione “tecnica” di servizio. Ciò comporta la perdita di sentimenti positivi verso l’utenza e la professione, la perdita di entusiasmo e l’assunzione di un modello lavorativo standardizzato e rigido. Il distacco emotivo sperimentato dall’operatore conduce alla perdita della sua capacità empatica e, in alcuni casi, al rifiuto (anche fisico) degli utenti o dei colleghi.  Caduta dell’autostima: l’operatore non si sente realizzato sul lavoro e tende a svalutarsi sia sul piano professionale, sia, gradualmente, su quello personale. Tutti i compiti lavorativi gli appaiono troppo difficili, insostenibili. Egli perde la fiducia nelle proprie capacità e sente di non essere all’altezza delle situazioni.  Perdita di controllo: l’operatore non riesce più a circoscrivere lo spazio o l’importanza del lavoro nella propria vita. Il malessere percepito pervade anche la sfera privata. Lo sviluppo della sindrome di burnout può stimolare comportamenti che costituiscono un rischio per la salute.  Comportamenti che testimoniano un forte disimpegno sul lavoro: aumento dell’assenteismo, il lavoratore cerca continuamente scuse per uscire o svolgere attività che non richiedano interazioni con utenti e colleghi, presenzia alle riunioni strettamente necessarie senza interagire.  Reazioni comportamentali con finalità autodistruttiva: il burnout può spingere l’operatore ad un forte tabagismo e/o all’assunzione di alcool, psicofarmaci, stupefacenti;  Comportamenti eterodistruttivi: il soggetto è propenso a compiere atti violenti e crudeli verso gli utenti come sedazione, allontanamento fisico, aggressività verbale, manifestazioni di indifferenza, ma anche a manifestare reazioni emotive impulsive e violente verso i colleghi. Il burnout provoca o, più spesso, aggrava alcuni disturbi di tipo psicosomatico. Tra questi i più frequenti sembrano essere:  Disturbi gastrointestinali;  Disfunzioni a carico del Sistema Nervoso Centrale; 27  Disturbi sessuali;  Malattie della pelle (acne, dermatite, eczema, afte);  Sensazioni di soffocamento e prurito prevalentemente diffuso;  Disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento, risvegli frequenti o precoci) e insonnia;  Disturbi dell’appetito;  Dolori articolari, reazioni cardio – vascolari (es. tachicardia);  Diminuzione delle difese immunitarie.21 21 ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Stress e burnout – Come riconoscere i sintomi e prevenire il rischio, Dipartimento Processi Organizzativi Mediapubbligrafica, Roma 2008, pp. 13-16. 30 2. La normativa e la prevenzione del burnout …c’è qualcosa di profondamente sbagliato in una cultura che considera i “pescecani” di Wall Street più importanti degli assistenti sociali, la produzione bellica più importante di quella artistica e i grandi avvocati più importanti dei muratori. Dobbiamo cercare di rendere il mondo un pochino più abitabile per gli idealisti, che abbiano 18 o 38 anni. (Ehrenreich,1986) Oggi giungono da molte direzioni, segnali che indicano l’importanza e l’urgenza di porre attenzione alla strategia di tutela della salute e della sicurezza psicologica del lavoratore, anche in ragione del progressivo aumento delle cause di stress e delle patologie correlate allo stress. Lo stress legato all’attività lavorativa è un rischio reale e di impatto crescente per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Sono più di 40 milioni i lavoratori dell’Unione Europea affetti da stress, con costi annui stimati di circa 20 miliardi di euro, secondo le valutazioni dell’European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition. In Italia l’interesse verso questa tematica trova riscontro nella normativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/08) che ha esplicitato in modo incisivo l’obbligo di valutare anche i rischi connessi allo stress occupazionale. In questo contesto si definisce l’importanza di affiancare ai tradizionali interventi volti a garantire il buon funzionamento dell’organizzazione, l’intervento dello psicologo clinico, quale figura competente in merito alla salute e al benessere della persona. Interventi centrati sul singolo lavoratore e il suo benessere, non solo prevengono e riducono fattori di stress a livello individuale, ma hanno una ricaduta significativa sull’azienda, in termini di efficienza ed efficacia. Inoltre la normativa individua nella formazione dei lavoratori, uno degli strumenti cardine per un’efficace prevenzione. 31 Il benessere dei dipendenti fa bene alle aziende: persone soddisfatte e sane sono più creative, produttive e meno problematiche. Lo stress, al contrario, fa male alle persone e alle aziende: provoca frustrazione, problemi di salute, assenteismo, scarsa produttività, conflitti, errori e decisioni sbagliate che possono frenare la crescita di un’azienda.24 Una delle lezioni più difficili da imparare, per chi lavora nel campo dei servizi alle persone, è che non si può riuscire a salvare tutti, acquisire tale consapevolezza è una delle prime forme di prevenzione che ogni persona dovrebbe considerare per il proprio benessere. Non sarà possibile raggiungere in tutti gli interventi il massimo risultato, e ciò può accadere per vari motivi, ad esempio perché potrebbe essere necessario acquisire maggiori competenze, oppure perché le persone non vogliono essere aiutate nel modo in cui gli operatori credono sia giusto aiutarle o semplicemente perché non è possibile avere sempre il controllo della situazione che permette successivamente di raggiungere gli obiettivi prefissati. Ad ogni persona che lavora con i problemi umani, è fondamentale ricordare che ci sono alcuni problemi che nessuno sa come risolvere completamente, e soprattutto che gli operatori dei servizi alle persone non hanno la bacchetta magica per risolvere tutti i dilemmi esistenti.25 24 https://www.benessereorg.it/tag/cura/ 25 Gail S. Bernstein, Judith A. Halaszyn, Io,operatore sociale. Come vincere il burn-out e rendere gratificante il mio lavoro, Erikson, Trento 1993, pp. 17-20. 32 2.1 La normativa di riferimento L’Organizzazione mondiale della sanità inserisce il burnout nell’11° revisione della classificazione internazionale delle malattie (ICD-11) come fenomeno occupazionale. Nella nuova classificazione il burnout è un fattore che influenza lo stato di salute e il ricorso all’assistenza sanitaria. Viene definito come segue: “Il burnout è una sindrome concettualizzata come risultante dallo stress cronico sul posto di lavoro, che non è stato gestito con successo”.26 L’approccio odierno tende a dare una definizione dello stress lavorativo in termini di distress, derivante da un disequilibrio tra le richieste lavorative e le capacità di adattamento dell’individuo. Il lavoratore a fronte di una situazione lavorativa stressante, sente di non poter esercitare alcun controllo su di essa, di essere impotente, di non poter prendere alcuna decisione risolutiva, di avere la consapevolezza di non possedere gli strumenti idonei per fronteggiare in modo adeguato lo sforzo richiesto, di non avere interlocutori credibili e competenti e infine di non ricevere nessun tipo di supporto. In Italia la normativa principale che fa riferimento alla sindrome del burnout e alle sue modalità di prevenzione è il D.Lgs. 81/08, che in diversi articoli sottolinea l’importanza dei rischi psicosociali. Il D.Lgs. 81/08, anche detto “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro, ha riordinato e riformato le principali norme previgenti in materia, andando ad abolire tutte le leggi emanate a partire dagli anni ‘50 fino al 2008. 26 https://www.certifico.com/sicurezza-lavoro/357-news-sicurezza/10029-burn-out-oms- test-mbi-note 35 2.2 Come prevenire il burnout ? Per prevenire il burnout sarebbe opportuno iniziare dalla rilevazione della effettiva incidenza del fenomeno, dei suoi effetti nel breve, nel medio e lungo termine, e dei suoi costi rispetto all’organizzazione lavorativa ma soprattutto rispetto alle persone. Le singole strutture dovrebbero svolgere con cadenza programmata delle indagini al loro interno per rilevare e analizzare il fenomeno secondo standard condivisi, al fine di adottare degli idonei provvedimenti per la salute degli operatori. Ci sono ambienti lavorativi stressanti che inducono al burnout, così come ci sono condizioni di lavoro positive che lo prevengono. Spesso si predica la prevenzione, ma raramente la si mette in pratica. Le persone tendono a evitare gli sforzi supplementari finché il problema non le travolge, ma è evidente che sia molto più difficile affrontare un problema dopo che si è verificato piuttosto che cercare di prevenirlo.28 A volte, come sottolinea L'ISPESL, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, in una guida per gli operatori sanitari, si può prevenire anche con semplici cambiamenti privi di costo, o a costo contenuto, all’organizzazione e al contenuto del lavoro. Ad esempio, sono importanti per la persona le innovazioni partecipative tendenti a:  aumentare la sua partecipazione nelle decisioni in merito all’organizzazione del lavoro al quale è adibito;  assicurarsi che i compiti a lui affidati siano compatibili con le sue motivazioni e le sue effettive capacità;  chiarire, ove possibile, gli obiettivi perseguiti dalla struttura e/o dall’organizzazione e i valori cui essi sono rivolti; 28 Christina Maslach, La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri., Cittadella editrice, Assisi 1997, p.247 36  esplicitare agli operatori il ruolo di ciascuno di essi rimarcandone il rilievo nell’intero processo grazie anche alle motivazioni individuali.29 È bene ricordare che la prevenzione del burnout è un diritto del singolo lavoratore e un interesse della collettività, entrambi tutelati costituzionalmente. È possibile prevenire in modo efficace il burnout, sia a livello primario sia quando già i sintomi di stress sono manifesti, attraverso un’adeguata progettazione e gestione dell’organizzazione del lavoro, non solo per contenere l’insorgenza dello stress ma soprattutto per aumentare le occasioni di soddisfazione lavorativa. Pellegrino afferma che: “Si è concordi sull’entità del fenomeno, sulla necessità di contenerlo e prevenirlo, sulle conseguenze negative che comporta per l’utenza e per l’organizzazione, sull’importanza di favorire la gestione ottimale delle risorse umane, ma si fan ben poco sul piano applicativo e risultano ancora occasionali i progetti operativi in tal senso.”30 L’autore descrive le principali strategie per la prevenzione del burnout, alcune delle quali richiedono tempi di attuazione molto lunghi, l’impegno e il coordinamento tra strutture organizzative a volte molto distanti tra loro, ma è bene che siano presenti sia all’operatore che alla struttura organizzativa:  formare lo studente universitario all’acquisizione della consapevolezza delle influenze emozionali nel rapporto con il paziente e alla definizione realistica degli obiettivi professionali;  addestrare, fin dai corsi di laurea, al lavoro in équipe multidisciplinare;  prevedere l’inserimento programmato nell’ambito lavorativo previo adeguato addestramento; 29 ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Stress e burnout – Come riconoscere i sintomi e prevenire il rischio, Dipartimento Processi Organizzativi Mediapubbligrafica, Roma 2008, pp. 23-25. 30 Ferdinando Pellegrino, La sindrome del burn-out, Centro Scientifico Editore, Torino 2009, p.43 37  pianificare i livelli di intervento, fornire agli operatori programmi chiari e ben definiti;  garantire un discreto margine di autonomia decisionale e una partecipazione attiva agli obiettivi aziendali;  incoraggiare lo sviluppo di spazi programmatici e creativi all’interno della struttura organizzativa;  prestare attenzione alle esigenze e alle difficoltà di ogni singolo operatore, equilibrando, di volta in volta, il numero di pazienti da affidargli, il tipo di attività e i periodi di riposo;  creare sistemi di supervisione continua e di controllo dell’attività svolta;  garantire a tutto il personale un livello formativo ottimale, attraverso programmi di formazione continua;  favorire frequenti possibilità di training in settori specifici di intervento;  individuare elementi indicativi di cedimenti psicofisici che preludono al burnout;  fornire consulenza e assistenza a operatori che sperimentano elevati livelli di stress. Infine è doveroso sottolineare che le strategie di prevenzione del burnout sono in parte legate alle responsabilità del singolo operatore ed in parte legate ai doveri dell’organizzazione, quindi si parla di una prevenzione primaria che consiste nel reclutamento, la formazione e la selezione del personale, e una prevenzione secondaria che consiste in tecniche specifiche e precisi compiti della direzione organizzativa.31 31 Mauro Pini, Pietro Mauro Martellucci, Michela Pullerà, Livelli Di Burnout e Sintomatologia Nevrotica In Un Gruppo Di Operatori Dei Servizi Per Le Tossicodipendenze (Ser.T), Terza Conferenza Nazionale Sui Problemi Connessi Con La Diffusione Delle Sostanze Stupefacenti E Psicotrope, Genova 28-30 Novembre 2000. 40 Nella prevenzione secondaria rientrano invece le tecniche specifiche di prevenzione e i compiti specifici del direttore. Le tecniche specifiche della prevenzione secondaria secondo Mosher e Burti, esperti di prevenzione del burnout in azienda, sono:  esercizi didattici mirati: l’équipe segue degli esercizi didattici centrati su argomenti specifici nell’ambito dei quali lo specialista può trasmettere nuove conoscenze e tecniche finalizzate a ridurre lo stress professionale;  gruppo per la soluzione dei problemi: lo staff si riunisce in gruppi ed affronta i problemi sorti tra gli operatori. Questi incontri vengono considerati come una sorta di terapia dove gli operatori si possono chiarire e confrontare;  discussione dei casi problematici con un consulente: periodicamente l’équipe si riunisce per discutere i casi più difficili e complessi;  apprendimento di nuove tecniche: l’apprendimento di nuove tecniche educative può avvenire in occasione di esercizi didattici mirati, durante una discussione o supervisione di un caso clinico;  supervisione: lo scopo è quello di monitorare le condizioni psichiche degli operatori;  feste: assicurano la coesione, la fiducia e il rispetto reciproco all’interno dell’équipe;  amicizie: i rapporti di amicizia al di fuori del setting rappresentano un altro metodo di prevenzione del burnout.34 I compiti specifici del direttore secondo Bernstein e Halaszyn sono:  essere accessibili;  mettere in pratica ciò che si predica. Se i collaboratori devono trattare gli utenti e i colleghi con rispetto e comprensione, 34 Serena Cascioli, Il volontariato è una risorsa. Come motivarla e gestirla al meglio, Franco Angeli, Roma 2014. 41 hanno il diritto di essere trattati allo stesso modo dal loro superiore;  chiarire gli obiettivi del servizio ed i poteri degli operatori;  rispettare tutti nelle decisioni e coinvolgere il più possibile gli operatori nelle decisioni stesse;  fornire un feedback completo ed efficace ai collaboratori, commenti quotidiani o settimanali su quanto di buono stanno facendo e su cosa andrebbe migliorato;  ricordare che tutti i collaboratori possono commettere errori;  un responsabile efficace si esprime in pubblico solo con parole di apprezzamento, in privato con critiche costruttive.35 È necessario quindi non solo l’impegno del singolo operatore ma soprattutto quello dell’organizzazione, a partire dalla figura e dalle responsabilità del direttore senza sottovalutare l’importanza dell’équipe, della supervisione, della formazione continua e della creazione di un clima aziendale sereno che permetta alle persone di stare bene, poiché dove si sta bene si lavora anche bene e ciò inevitabilmente aumenta la produttività e i profitti dell’azienda. 2.2.3 L’engagement: l’antitesi del burnout Christina Maslach, pone l’attenzione anche sull’engagement, ossia quello stato di positivo impegno, dedizione e coinvolgimento per il proprio lavoro, che in parte può aiutare a comprendere meglio il fenomeno del burnout. Partendo dal modello a tre dimensioni, l’engagement può essere visto come l’opposto del burnout, che si snoda sugli stessi fattori, ma in positivo piuttosto che in negativo. Quindi se il burnout è caratterizzato da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione professionale, al contrario l’engagement è costituito da uno stato di grande energia, un forte e positivo coinvolgimento e la percezione di una adeguata autoefficacia. 35 Gail S. Bernstein, Judith A. Halaszyn, Io,operatore sociale. Come vincere il burn-out e rendere gratificante il mio lavoro, Erikson, Trento 1993, p.60 42 Un lavoratore caratterizzato da un forte engagement, sarà una persona attiva e proattiva, positivamente coinvolta sul lavoro, in grado di gestirlo con profitto perché sente di avere le capacità e le potenzialità necessarie per padroneggiare ogni evenienza. Burnout e engagement sono quindi le due facce della stessa medaglia, il positivo e il negativo, il bianco e il nero, due antipodi che si rispecchiano. L’engagement è una reazione sana e positiva dell’individuo al lavoro, che si dispiega sulle medesime dimensioni del burnout, ma in positivo, può quindi essere uno spunto interessante per la formulazione di strategie di prevenzione e trattamento finalizzate al benessere degli operatori.36 36 Marina Maffoni, Christina Maslach. La scala del burnout, Hachette, Milano 2017, p.55. 45 nostri cervelli e cerchiamo soluzioni nuove. Qualche volta ci rivolgiamo anche a un consulente esterno.”40 Sarebbe auspicabile quindi, fissare delle riunioni periodiche tra gli operatori, così da potersi confrontare, e nel contempo includere delle supervisioni, per poter avere dei feedback anche da professionisti esterni al contesto lavorativo. Infine può essere utile un monitoraggio periodico sulla salute psico-fisica di ciascun operatore, così da poterli aiutare tempestivamente e comprendere al meglio le cause che scatenano la sindrome del burnout. 40 Christina Maslach, La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri., Cittadella editrice, Assisi 1997, p.210 46 2.4 L’empatia: punto di forza o di debolezza? Tra i fattori di rischio e di protezione del burnout, molte ricerche si sono concentrate sull'empatia. Il termine “empatia” compare per la prima volta alla fine del Settecento nella forma tedesca Einfühlung (letteralmente “sentire dentro”) coniata dal filosofo Robert Vischer, ed era considerata come una modalità di comprendere l’altro tale da fondersi con esso, perdendo i confini tra soggetto e oggetto. Nel contesto psicologico, però, la ricerca ha portato ad una concezione più complessa dell'empatia, dove non si prevede più la fusione con l'altro ma al contrario si rilevano due soggetti distinti e indipendenti seppure emotivamente coinvolti. Ad oggi l’empatia viene definita come la capacità di mettersi “nei panni degli altri”, e risulta essere cruciale per la costruzione di relazioni interpersonali positive e per la promozione di comportamenti cooperativi e pro sociali. Kohut, negli anni Sessanta analizzò l'empatia come qualità fondamentale in chi attua una relazione di aiuto, in particolare cita gli psicoterapeuti, e di come essa potesse spingere verso una nuova terapia, distaccandosi da quella classica freudiana. Il rapporto diviene diretto e il terapeuta mette in gioco se stesso con le proprie esperienze e le proprie emozioni, con un livello cognitivo idoneo, per non lasciarsi sopraffare dalla storia di vita e dalle emozioni dell'altro. La comprensione dell’altro è possibile solo se si comprende se stessi e dunque, la base del lavoro terapeutico è una introspezione a lungo allenata.41 Nell'età contemporanea Baron-Cohen studia l’empatia invece per comprendere le origini della crudeltà e capire perché alcune persone ne hanno più o meno di altre, definendola così: “c’è empatia quando smettiamo di focalizzare la nostra attenzione in modo univoco (single-minded), per adottare invece un tipo di attenzione doppia (double-minded). L’empatia è la nostra capacità di identificare ciò che qualcun altro sta pensando o 41 Heinz Kohut, Introspezione ed empatia – Raccolta di scritti (1959-1981), a cura di Anna Carusi, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p.40. 47 provando, e di rispondere a quei pensieri e sentimenti con un’emozione corrispondente”.42 L’autore ipotizza l'esistenza di un circuito dell'empatia nel cervello, che permette il meccanismo di empatizzazione. Definisce sette condizioni, all'interno delle quali la persona può muoversi: dal livello zero, dove si trovano coloro che non hanno alcuna empatia, che sono capaci di commettere crimini senza provare alcun rimorso, al livello sesto, dove ci sono gli individui con una notevole empatia, focalizzati continuamente sui sentimenti degli altri. Secondo Zenasni e i suoi collaboratori43 esistono tre ipotesi sul rapporto empatia-burnout:  Il burnout spegne l'empatia: il burnout ha effetti negativi, a partire da prestazioni di lavoro ridotte fino al suicidio. Il burnout è in parte definito da un atteggiamento di depersonalizzazione, il che comporta una disumanizzazione nelle interazioni sociali e, probabilmente, una riduzione significativa di empatia globale.  L'empatia conduce al burnout: se molte prove dimostrano che il burnout ostacola l'empatia, l'effetto opposto dell'empatia sul burnout è meno chiara. Alcuni ipotizzano che un alto livello di empatia può provocare “compassion fatigue” e quindi creare stanchezza e burnout. La “compassion fatigue” si riferisce ad un esaurimento emotivo causato dal contatto continuo con pazienti difficili, associato con l'esigenza di grande attenzione e ascolto empatico. Tuttavia, se un certo tipo di empatia può chiaramente portare ad esaurimento e burnout, dobbiamo anche considerare che un atteggiamento empatico ottimale può, al contrario, alleviare lo stress e il burnout.  L'empatia previene il burnout: si suggerisce che l'empatia può proteggere i promotori di salute del burnout. L'empatia può essere associata con la soddisfazione lavorativa per gli operatori della salute e può aiutarli a trovare un significato nella loro attività professionale. 42 Simon Baron-Cohen, La scienza del male. L'empatia e le origini della crudeltà, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, p. 13. 43 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3381244/ 50 3. Il caso specifico: R.S.A. Mater Dei “La mancanza di salute e la disabilità non sono mai una buona ragione per escludere o, peggio, per eliminare una persona; e la più grave privazione che le persone anziane subiscono non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore.” (Papa Francesco, 2014) La società di oggi è pronta ad accogliere un numero sempre più grande di anziani, ognuno profondamente diverso dall’altro e con esigenze altamente differenziate? Una cura adeguata dell’anziano fragile è determinata dalla preparazione e dalle qualità di coloro che sostengono formalmente o informalmente il peso delle cure, chi ha il privilegio di esercitare una responsabilità rilevante come questa, deve essere a conoscenza della sfida che si presenta su diversi piani, ma che una società civile non può permettersi di perdere.45 La persona che invecchia, sia in buona condizione, sia affetta da una malattia, ha bisogno di cure che rispettino il suo vissuto, i suoi spazi di vita e il suo sentire, chiunque se ne prende cura non può prescindere da tutto questo. In età adulta avanzata il potenziale biologico degli esseri umani si indebolisce, causando varie forme di fragilità, definita come una riduzione delle riserve di cui l’individuo dispone, che lo rende più vulnerabile all’ambiente e meno idoneo a gestire i compiti della quotidianità. Il divenire sempre più fragili e dipendenti è quindi una conseguenza inevitabile del processo di invecchiamento.46 45 Marco Trabucchi, I vecchi, la città e la medicina, Il Mulino, Bologna 2005, p.54. 46 Rossana De Beni, Erika Borella, Psicologia dell’invecchiamento e della longevità, Il Mulino, Bologna 2015, p.39. 51 3.1 Le Residenze Sanitarie Assistenziali “La R.S.A. è una struttura extra-ospedaliera per anziani disabili, prevalentemente non autosufficienti, non assistibili a domicilio, abbisognevoli di trattamenti continui e persistenti, finalizzata a fornire accoglienza ed erogazione di prestazioni: sanitarie, assistenziali, di recupero funzionale e sociale; essa va intesa come la struttura residenziale, della rete dei servizi territoriali, in cui deve realizzarsi il massimo della integrazione degli interventi sanitari e sociali.” (POA del 1992). L’invecchiamento progressivo della popolazione richiede un maggior ruolo e impegno da parte della rete dei servizi territoriali, delle stesse RSA e anche di coloro che non le vivono in prima persona. Le RSA restano quasi sconosciute al mondo fuori da esse, a meno che non si abbia un interesse diretto, come operatore, familiare o volontario, e finchè non si avrà la giusta considerazione degli anziani purtroppo resteranno dei luoghi di vita separati dal resto, come se rappresentassero un mondo a parte oramai distante da quello che si vive quotidianamente. All’interno delle RSA si possono distinguere tre gruppi che formano un organismo sociale ben determinato:  Gli ospiti: sono stati madri, padri, professionisti, operai, casalinghe, viaggiatori, sedentari, ricchi, poveri; oggi sono ospiti e sono accomunati dall’età avanzata, dal bisogno di assistenza, dalla malattia, a volte dalla solitudine e dallo sradicamento. Per loro la RSA diventa il luogo di vita, per necessità, non sempre per convinzione, non sempre volentieri;  Gli operatori: sono persone di ogni orientamento ideale, età, sesso e formazione, si prendono cura degli ospiti ognuno con il proprio ruolo professionale e tutti con la loro umanità;  I familiari: per loro la RSA è il luogo di delega o affidamento dei loro affetti più cari. Le RSA accolgono soprattutto persone anziane, spesso con poli patologie gravemente invalidanti, ma anche persone più giovani con problemi psichiatrici, sociali o di salute in mancanza di altri luoghi in cui accoglierli, 52 ci sono persone per lo più in situazioni di precarietà, che sono impossibilitate a gestire autonomamente la loro vita.47 Abitare in struttura per molti significa aver abbandonato la loro casa, il che significa aver abbandonato tutto ciò che avevano costruito nel corso degli anni, abbandonare le proprie regole, le proprie abitudini, le proprie libertà e intimità, ritrovandosi a condividere degli spazi con qualcuno che non si conosce e che tantomeno si ha avuto la possibilità di scegliere. L’obiettivo principale delle strutture residenziali assistenziali è quello di assicurare la migliore qualità possibile di vita agli anziani non autosufficienti. Le persone in condizioni soggettive ed oggettive di non autosufficienza preferiscono l’assistenza a domicilio, è sottointeso quindi che il ricorso alla residenzialità avviene principalmente in situazioni di fragilità familiare o in presenza di condizioni di salute che rendono più idonea l’assistenza in struttura residenziale. La fragilità obbliga le strutture residenziali assistenziali a rendere indispensabili tutti quegli interventi medici, ambientali e di supporto psicologico in grado di rallentarne o ritardarne la comparsa o l’aggravamento. 3.1.1 Cause del ricorso all’accoglienza in RSA: solitudine ed isolamento Il Rapporto Istat 2019 sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia riporta che: “Quasi 9 milioni di italiani hanno paura di restare soli al momento del bisogno. Gli anziani sono i più insicuri di avere qualcuno che li sostenga in caso di necessità e nella fascia tra i 65 e i 74 anni solo 1,6 milioni di persone si sentono al sicuro.”48 La popolazione residente nel Lazio all’inizio del 2011 ammontava a più di 5 milioni e 700 mila abitanti, concentrati prevalentemente nel comune e nella provincia di Roma: circa un abitante su due vive a Roma, uno su quattro vive nei comuni della sua provincia. La popolazione della regione si presenta complessivamente invecchiata, ma non più della media nazionale. 47 Loretta Rocchetti, Negli occhi di chi cura. L’accompagnamento nelle ultime fasi della vita in RSA, Erikson, Trento 2017, pp.14-22. 48 Marco Trabucchi, Una lunga vita buona. Il futuro delle RSA in una società che invecchia, Il Mulino, Bologna 2020, p.63. 55 condizioni di fragilità e che non avevano la possibilità di curarsi a domicilio, l’opportunità di essere ospitate in strutture residenziali extra ospedaliere che potessero offrire loro tutta l’assistenza necessaria. È importante sottolineare che la materia della organizzazione dei servizi sanitari residenziali extra-ospedalieri rientra nelle competenze regionali, per cui la gran parte degli atti nazionali costituiscono delle indicazioni per le Regioni, che vengono emanate allo scopo di garantire un uniforme livello di assistenza su tutto il territorio nazionale. Al fine di superare il problema legato alla frammentarietà dei livelli di assistenza e al fine di stabilire quelli essenziali e minimi, nei primi anni duemila, con il DPCM 29 novembre 2001 vengono introdotti i LEA (Livelli Eessenziali di Assistenza), cioè, l’insieme delle prestazioni e dei servizi che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini sul territorio nazionale. Sintetizzando le indicazioni normative, la RSA offre:  una sistemazione residenziale, organizzata in modo da rispettare il bisogno individuale di riservatezza e di privacy;  tutti gli interventi medici, infermieristici e riabilitativi necessari a prevenire e curare le malattie croniche e le loro eventuali riacutizzazioni;  un’assistenza individualizzata, orientata alla tutela e al miglioramento dei livelli di autonomia, al mantenimento degli interessi personali e alla promozione del benessere. Dal punto di vista dell’organizzazione e del funzionamento, esistono diversi modelli di RSA, variabili, come detto, in base alla Regione. In via generale possono essere pubbliche o private, accreditate e non accreditate. Le Regioni, anche sulla base di precise indicazioni del Ministero della Salute, possono prevedere, infatti, che la loro gestione sia affidata ad organismi pubblici, privati o misti, disciplinando le modalità di controllo della qualità delle prestazioni e del servizio reso. I requisiti organizzativi e strutturali propedeutici all’autorizzazione sono previsti dal D.M. 308/2001 e, come previsto all’art. 4, esso va integrato con i provvedimenti di natura regionale, nonché (art. 5) con le norme vigenti in 56 materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza e l'applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi che ne diventano il presupposto. Per svolgere un servizio sociosanitario è necessaria, in primo luogo, l’autorizzazione regionale e successivamente l’accreditamento, al fine di assicurare un elevato standard qualitativo dei servizi e delle strutture e regolare i rapporti tra committenti pubblici e soggetti che erogano i servizi.51 51 https://www.studiolegalesardella.com/blog/le-rsa-definizione-inquadramento-normativo- e-natura-giuridica#_ftn1 57 3.2 Contesto della ricerca La ricerca è stata effettuata presso la R.S.A. Mater Dei, Residenza Sanitaria Assistenzale, sita ad Ariccia (RM), accreditata per 70 posti letto di mantenimento alto e per 20 posti letto di estensiva per non autosufficienti. L’edificio che ospita la RSA si sviluppa su più piani, raggiungibili sia da un impianto elevatore, sia da scale interne ed esterne, dispone di stanze singole, doppie e triple, nonché di una camera di degenza singola, da utilizzare in caso di necessità per l’isolamento temporaneo dei pazienti. Al primo piano è inoltre presente un ampio terrazzo, dotato di apposite protezioni, utile a favorire le visite e i contatti tra gli ospiti e i familiari, evitando gli spazi chiusi. Nella struttura è garantita l’assistenza medica (h24), infermieristica, riabilitativa e la terapia occupazionale. Fanno parte del complesso sanitario anche due centri di riabilitazione non residenziali, che dispongono di personale e locale dedicati. All’interno della RSA lavorano varie figure professionali, come i medici, gli infermieri, gli operatori socio sanitari, l’assistente sociale, la psicologa, le fisioterapiste e gli educatori, i quali in modo differente e in base alle loro competenze specifiche si occupano del benessere globale degli ospiti, redigendo entro 15 giorni dall’ingresso di un nuovo paziente, il PAI, il piano assistenziale individualizzato, ovvero il documento di sintesi che raccoglie e descrive in ottica multidisciplinare le informazioni relative alle persone in condizioni di bisogno, con l’intento di formulare ed attuare un progetto di cura e assistenza che possa favorire la migliore condizione di salute e benessere raggiungibile per il paziente. Le strutture residenziali per anziani trovano ragione di esistere principalmente nella loro capacità di offrire un’assistenza di qualità, superando ostacoli e vincoli che non sempre consentono un ottimale rapporto costo-prestazione. Negli ultimi anni c’è stato un miglioramento rispetto alla qualità delle RSA, anche e soprattutto grazie all’accreditamento istituzionale, che dà la possibilità di erogare servizi solo se in possesso di determinati requisiti predefiniti e periodicamente controllati. 60 Le buone prassi, ponendosi in un’ottica critico-riflessiva e assumendo un approccio aperto e flessibile, diventano modalità operative, azioni e strategie che offrono un contributo alla guida del lavoro professionale degli operatori sociosanitari. Una buona pratica d’integrazione socio-sanitaria deve essere innovativa, efficace, ed efficiente, deve promuovere i diritti e il benessere delle persone, garantendo la continuità e la qualità della cura durante tutto il percorso assistenziale. Il tutto in un quadro logico progettuale ed attuativo che presenti caratteristiche di adeguatezza e completezza.55 Il lavoro nelle residenze sanitarie assistenziali per anziani non è facile, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico, ma spesso ciò non viene considerato da chi governa e vengono richiesti di continuo atteggiamenti di dedizione e di servizio senza che vengano valutate le reali condizioni di lavoro. In questi casi la frustrazione è frequente, con la conseguente riduzione della qualità dell’assistenza. La crisi dovuta al Covid-19 ha permesso di comprendere molte questioni e difficoltà presenti già da prima, ma che sono affiorate maggiormente e che necessitano di essere affrontate, se si vuole realmente implementare dei servizi sociosanitari migliori, se veramente si è compreso quanto sia necessario un reale rinnovamento per le RSA. 3.2.2 Gli obiettivi della ricerca Il benessere del caregiver professionale ha ricadute importanti sulla gestione dell’anziano ricoverato in struttura, pertanto la ricerca si è posta l'obiettivo di comprendere la presenza o meno di burnout all'interno della RSA, il grado di esposizione degli operatori, ricercando anche quali siano i principali fattori di rischio lavorativi, approfondendo parallelamente la tematica del burnout stesso. Come è stato detto nei paragrafi precedenti l’operatore sociosanitario è esposto più di altri lavoratori al rischio del burnout, principalmente a causa dell’utenza per la quale lavora, ma anche per altre cause collegate alla struttura degli ambienti, ai tempi, all’organizzazione del lavoro, ai rapporti 55 Franco Iurlaro, RSA: metodi e buone prassi per raggiungere l’eccellenza, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2015, p.10. 61 relazionali con colleghi e/o superiori, all’insoddisfazione per la remunerazione non sempre gratificante. Dato che approfondendo la tematica è stato possibile comprendere che in casi estremi tale sindrome può comportare gravi danni psicopatologici (insonnia, problemi familiari, incremento nell’uso di alcol o farmaci) e deteriora la qualità delle cure prestate dagli operatori provocando assenteismo e alto turnover, la ricerca si è focalizzata sull’analisi del burnout, proprio per avere un’idea chiara del fenomeno all’interno della struttura e se necessario proporre delle strategie migliorative e risolutive per il benessere del personale. È necessario sottolineare che la ricerca è stata effettuata dopo due anni estremamente difficili per l’ambiente sociosanitario, il Covid-19 ha colpito in modo significativo le RSA e ha fatto sì che molte problematiche esistenti già da prima, fossero messe in risalto con la necessità di essere risolte nell’immediato. La struttura dove è stata effettuata la ricerca ha subìto il peso della mancanza del personale infermieristico, come tante altre RSA, con reali difficoltà rispetto alle nuove assunzioni e alle necessità impellenti di cura degli assistiti. Non è stato semplice, per nessuna figura professionale, operante all’interno di strutture sanitarie, mantenere le proprie competenze professionali durante la pandemia, poiché lavorare con chi necessita di cura continua comporta il fatto che questa venga assicurata sempre, qualunque siano le condizioni contestuali e temporali. Attraverso la somministrazione del Maslach Burnout Inventory è stato possibile stabilire il grado generale di burnout e il livello di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione personale nel campione di lavoratori, che si sono sottoposti volontariamente e anonimamente al test. 62 3.3 Metodologia e strumenti della ricerca Negli anni Ottanta del secolo scorso, Christina Maslach, crea insieme ad altri colleghi, uno degli strumenti per misurare il burnout più conosciuti e utilizzati a livello internazionale: il Maslach Burnout Inventory. Questo test vanta ormai circa quarant’anni di ricerche e ampie validazioni in tutto il mondo, è apprezzato per la semplicità, la velocità di somministrazione l’utilità e la precisione dei dati forniti. Il test (fig. n.1) si compila in pochi minuti e in autonomia, è composto da 22 brevi affermazioni (item), a cui la persona deve rispondere esprimendo una valutazione della frequenza con la quale sperimenta quanto affermato, la scala va da 0 (mai) a 6 (quotidianamente). Figura n.1 65 3.4 Analisi dei dati Hanno eseguito il test 15 operatori: 3 educatori, 3 fisioterapisti, 1 terapista occupazionale, 2 operatori sociosanitari e 6 infermieri, con un’età che varia dai 25 ai 62 anni e che sono in servizio presso la struttura da almeno 2 anni. Considerando che alla ricerca ha partecipato circa ¼ del personale è possibile considerare i risultati interessanti, e pensare che sia necessario attuare degli interventi, così da non sottovalutare i risultati del test e soprattutto le condizioni di malessere/benessere di coloro che hanno partecipato. Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti, prima nelle tre scale, ovvero esaurimento emotivo (tab. n.2), depersonalizzazione (tab. n.3) e realizzazione personale (tab. n.4), infine considerando i risultati ottenuti nelle tre scale, si mette in evidenza il grado di burnout, attraverso la tabella (tab. n.5) e il grafico associato (fig. n.2). Esaurimento emotivo Grado Frequenza Percentuale Elevato 2 13% Medio 4 27% Basso 9 60% Totale 15 100% Tabella n.2 66 Depersonalizzazione Grado Frequenza Percentuale Elevato 3 20% Medio 9 60% Basso 3 20% Totale 15 100% Tabella n.3 Realizzazione personale Grado Frequenza Percentuale Elevato 7 47% Medio 6 40% Basso 2 13% Totale 15 100% Tabella n.4 Burnout Grado Frequenza Percentuale Elevato 3 20% Medio 8 53% Basso 4 27% Totale 15 100% Tabella n.5 67 Figura n.2 Analizzando i risultati è possibile notare che poco più della metà degli intervistati ha un grado medio di burnout, il 20% ha un grado elevato e il restante 27% ha un grado basso. Osservando nello specifico le tre scale, si può notare come nella scala della depersonalizzazione, l’80% degli intervistati registra un livello medio-alto, tale risultato è significativo poiché questi item descrivono una sensazione di insensibilità verso i destinatari delle cure, appare chiaro che l’80% degli intervistati, quindi gran parte degli operatori, consideri i pazienti come oggetti e probabilmente sia distaccato se non addirittura indifferente rispetto ai loro bisogni. D’altra parte è possibile sottolineare invece che nella scala dell’esaurimento emotivo, relativa all’affaticamento dovuto dall’intesità lavorativa, si osserva che il 60% mantiene un livello basso, dimostrando che quindi probabilmente non c’è un problema relativo alla tipologia di lavoro ma piuttosto rispetto all’organizzazione e alle scarse risorse. Inoltre il 47% degli intervistati afferma di avere un elevato livello di realizzazione personale, quindi almeno la metà degli operatori, sembra essere soddisfatto e realizzato rispetto alla propria carriera e alle proprie competenze. Elevato 20% Medio 53% Basso 27% Burnout Elevato Medio Basso 70 ma dipendono esclusivamente dalla mancanza di organizzazione lavorativa, che crea delle difficoltà operative e degli squilibri professionali inevitabili.” Dalle parole dell’operatore si percepisce che sarebbe necessaria e utile la presenza di un supervisore esterno, che potrebbe rendersi conto attraverso delle riunioni di équipe delle difficoltà organizzative, e potrebbe proporre dei modelli organizzativi migliorativi. In conclusione, analizzando i risultati e riflettendo anche sulle parole degli operatori, appare chiara la necessità di far luce sulla problematica, capirne le cause e nei casi più acuti intervenire, per il benessere non solo degli operatori ma dell’intera struttura. 71 Conclusioni In conclusione, dopo aver approfondito il tema del burnout, attraverso la ricerca sul campo presso la RSA Mater Dei, è possibile affermare che la sindrome del burnout può colpire qualsiasi categoria lavorativa, a maggior ragione coloro che lavorano a contatto con altre persone, ed è, nonostante sia inserita anche nel Testo Unico sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, spesso sottovalutata. È fondamentale dire che la ricerca è stata effettuata in piena emergenza Covid-19 e questo ha in parte condizionato i risultati, molte delle situazioni difficili sono state esasperate dall’epidemia e dalle condizioni di lavoro che necessariamente sono state vissute. Considerando i risultati della ricerca, è possibile affermare che all’interno della RSA Mater Dei, il 20% degli operatori che si sono sottoposti al test, i quali sono circa ¼ del personale totale, registra un livello alto di burnout e soltanto il 27% registra un livello basso. Il Maslach Burnout Inventory analizza tre scale differenti, quella dell’esaurimento emotivo, della depersonalizzazione e della realizzazione personale, successivamente in base ai risultati di quest’ultime è possibile rappresentare il grado di burnout, ed è interessante vedere come le percentuali più alte sono state riscontrate nella scala della depersonalizzazione. Questo risultato è forse il più importante su cui riflettere, considerando il luogo di lavoro dove è stata effettuata la ricerca, ovvero una RSA, è preoccupante che gran parte degli operatori registri una percentuale alta nella scala della depersonalizzazione, perché ciò significa che chi paga le maggiori conseguenze della sindrome, in tal caso, sono proprio gli ospiti, i quali pian piano perdono la loro identità di fronte a coloro che dovrebbero assicurargli un servizio di qualità e un’umanità indiscutibile. Grazie soprattutto al confronto, avuto successivamente ai risultati del test, con gli operatori, è stato possibile cogliere alcuni dei problemi che probabilmente creano gran parte del malessere riscontrato: la mancanza di organizzazione, di lavoro in équipe e di confronto utile tra professionisti e superiori. 72 Molti degli operatori sottolineano le difficoltà che si creano a causa della mancanza di organizzazione, non essendoci delle linee guida e dei raccordi tra professionisti rispetto ad ogni caso specifico, a volte risulta complicato intervenire sul singolo ospite rispetto ai suoi reali bisogni individualizzati ma piuttosto si procede per bisogni generalizzati. È bene evidenziare che la mancanza della redazione corretta del PAI, crea non poche difficoltà, manca in tal modo la comunicazione tra i vari professionisti e di conseguenza ognuno lavora rispetto alla sua area specifica, perdendo l’idea della globalità e soprattutto del benessere dell’ospite a 360°. Eppure molti operatori appaiono ancora entusiasti e volenterosi di cambiamenti, magari questa ricerca potrebbe essere un punto di partenza per mettere in luce alcune problematiche e cercare di intervenire come possibile nell’ottica di un miglioramento generale, di cui potrebbero giovare non solo gli operatori ma anche e soprattutto gli ospiti. Partendo dalla formazione in itinere, si potrebbero proporre dei corsi da effettuare direttamente all’interno della RSA, così da facilitare la presenza del personale, successivamente sarebbe idoneo riflettere sulla presenza di un supervisore/coordinatore esterno che potrebbe intervenire nelle dinamiche di gruppo e nelle difficoltà che spesso si creano tra professionisti, e infine ma non per importanza sarebbe il caso di iniziare a lavorare realmente in équipe, organizzando delle riunioni cadenzate, confrontandosi attivamente sui pazienti e creando insieme dei piani assistenziali individualizzati realmente incentrati sui bisogni degli ospiti. In fondo, considerando anche i risultati dei test, la situazione potrebbe migliorare iniziando da alcune semplici dinamiche, principalmente organizzative, in caso ci sia la volontà, probabilmente questa ricerca tornerà utile al miglioramento della RSA Mater Dei, sperando che non resti inefficace ma piuttosto smuova chi si trova ai vertici e non solo. 75 Sitografia https://www.benessereorg.it/tag/cura/ https://www.cattolicanews.it/covid-19-burnout-per-7-operatori-sanitari-su- 10 https://www.certifico.com/sicurezza-lavoro/357-news-sicurezza/10029- burn-out-oms-test-mbi-note https://cnoas.org/wp-content/uploads/2020/03/Il-nuovo-codice- deontologico-dellassistente-sociale.pdf http://www.elisanegro.it/storia-di-un-burnout/ https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3381244/ http://www.reteagenziesicurezza.it/rischi_psicosociali/burnout/contessa_pre venzione_burnout.pdf https://www.studiolegalesardella.com/blog/le-rsa-definizione- inquadramento-normativo-e-natura-giuridica#_ftn1 https://www.wikilabour.it/dizionario/salute-e-sicurezza/stress-lavoro- correlato-e-burnout/ 76 Ringraziamenti Non è stato facile… Gli ultimi tre anni della mia vita sono stati un turbinio, un continuo susseguirsi di eventi che sono sfuggiti al mio controllo e inevitabilmente hanno creato un disequilibrio disarmante. È doveroso per me ringraziare chi c’è stato, chi ha sopportato e supportato questi tempi così faticosi. Alla mia famiglia, che se pur piena di difetti, resta il luogo migliore dove abitare. A mia nonna, la più grande sostenitrice della mia vita. A mio nonno, anima pura e giusta tanto quanto me. A mio padre, per l’amore incondizionato con cui mi ha resa l’incredibile romantica che sono ma soprattutto per avermi dimostrato che siamo tutti pieni di sbagli. A mia sorella, esatta metà della mia anima, in qualsiasi momento, luogo o scelta tu prenderai, mi troverai sempre dalla tua parte. A Teresa, l’amica della mia vita, per tutto quello che siamo state e che saremo. A Federica, la distanza non potrà mai scalfire il nostro affetto puro e sincero. Ad Arianna, per essere stata un porto sicuro per il mio cuore. A Chiara, per l’empatia sincera con cui mi hai sempre compresa senza necessità di parole. A Fiore, per essere stata luce in questi mesi bui. Ai miei colleghi e alle mie colleghe, per aver condiviso dubbi, fragilità, situazioni difficili e infiniti caffè insieme. Alla mia relatrice, che mi ha consigliata e aiutata nella stesura del mio elaborato con grande professionalità. E infine alla vita, che continua a stravolgere i miei piani per ricordarmi che non merita programmi, ma piuttosto merita semplicemente di essere vissuta, a volte inciampando, a volte sbagliando, ma con la meraviglia costante di andare avanti, per ricordarmi che oltre c’è sempre qualcosa di straordinario.
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