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La sindrome del Burnout nell'infermiere di area critica, Tesi di laurea di Infermieristica

Tesi di laurea. Indagine conoscitiva all'interno di alcune delle U.O. di area critica palermitane

Tipologia: Tesi di laurea

2011/2012

In vendita dal 23/05/2022

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stef-le 🇮🇹

4.7

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Scarica La sindrome del Burnout nell'infermiere di area critica e più Tesi di laurea in PDF di Infermieristica solo su Docsity! UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Laurea in Infermieristica Sede Formativa A.O.U.P. “Paolo Giaccone” Presidente: Prof. Salvatore Corrao LA SINDROME DEL BURNOUT NELL’INFERMIERE DI AREA CRITICA:INDAGINE CONOSCITIVA ALL’INTERNO DI ALCUNE DELLE U.O. DI AREA CRITICA PALERMITANE Tesi di Laurea Relatore Stefania Leggio Prof. Vincenzo Gargano Matricola 0563516 Correlatore Dott. Carmelo Di Fresco Anno Accademico 2011/2012 INDICE Introduzione 1 Significato e storia del Burnout 3 Capitolo I -Differenze tra stress e Burnout: 5 1.1 Etimologia e definizione di stress 5 1.1.1 Selye, concetto di stressor 5 1.1.2 Il punto di vista di Lazarus e il concetto di coping 6 1.1.3 Lo stress nell’organizzazione lavorativa 7 1.2 Definizione di Burnout, secondo i modelli internazionali 9 Capitolo II – Cause che determinano o contribuiscono all’insorgenza della sindrome del Burnout 12 2.1 Fattori individuali 12 2.2 Fattori ambientali e situazionali 16 Capitolo III – Categorie di disturbi che caratterizzano la sindrome di burnout 19 3.1 Il modello di Maslach 19 3.1.1 Livelli di analisi 20 3.2 Il modello di Cherniss 21 3.3 Gli effetti del burnout sugli altri 22 Capitolo IV – Strumenti di misurazione del Burnout 23 4.1 Alcuni dei questionari esistenti 23 4.2 “Maslach Burnout Inventory (MBI)”, di Christina Maslach 24 4.2.1 La validità dell’MBI 25 4.2.2 Aspetti problematici del MBI 26 4.3 “Are youburning out”, di Beverly Potter 26 2 Dopo un’attenta descrizione della sindrome, nella quale verranno anche esposte le cause e le categorie di disturbi che la caratterizzano, passerò ad analizzare la varietà degli strumenti utili alla raccolta dati. Seguirà l’indagine da me effettuata. Infine verranno illustrate le strategie potenziali da mettere in atto per prevenire e/o affrontare la sindrome. Questa trattazione pone come obiettivo quello di indagare sulla distribuzione e sul livello raggiunto dal fenomeno burnout, in alcune delle U.O. di area critica di diverse strutture sanitarie palermitane. I risultati di questa indagine, orientata ad esaminare la correlazione tra burnout e caratteristiche ambientali e di personalità degli operatori, tentano di approfondire la tematica in questione e di verificare un modello di previsione del burnout, già esistente in letteratura. I fattori di insorgenza del burnout nel personale sanitario sono stati oggetto di numerosi studi, in cui il burnout è stato considerato come fenomeno multidimensionale dato dall’interazione tra fattori socio-ambientali relativi alla configurazione dei ruoli lavorativi, alle caratteristiche del compito lavorativo, alla struttura di potere presente nell’organizzazione e a fattori individuali, quali le caratteristiche motivazionali e i tratti di personalità. 5 Questa trattazione si pone un altro obiettivo, ovvero quello di rendere coscienti e di sensibilizzare tutti quei soggetti che non sono a conoscenza dell’esistenza della sindrome e/o che non la ritengono importante. Ai fini della mia ricerca, utilizzerò due questionari, finalizzati allo scopo. Uno creato dalla Dottoressa B.Potter, la quale mi ha gentilmente concesso l’utilizzo. L’altro, da me creato, che indaga sulle generalità dei soggetti che partecipano all’indagine. 5 Cordes C.L. e Dougherty T.W. (1993), “A review and integration of research on job burnout.” Academy of Management Review, n°18, pp.621-656. 3 SIGNIFICATO E STORIA DEL BURNOUT La traduzione Italiana letterale di questo termine è “sindrome del bruciarsi”. Secondo Christina Maslach, una tra i primi psicologi ad occuparsi dell’argomento nel 1975, e adesso considerata una dei massimi esperti in materia burnout, questo termine individua una sindrome che si manifesta attraverso un esaurimento emozionale, un rapporto interpersonale sempre più scarno che culmina nella spersonalizzazione e una scarsa realizzazione personale. Essa si presenta con più frequenza in quei soggetti che, per lavoro, detengono contatti prolungati e/o ricchi di coinvolgimento emotivo con soggetti in situazioni problematiche, ovvero i professionisti delle relazioni di aiuto (medici, infermieri, poliziotti, insegnanti, assistenti sociali, psicologi ecc.). Questa trattazione si occuperà meramente della sindrome del burnout legata alla professione infermieristica. L’articolo 2 del codice deontologico dell’infermiere recita: “L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.” 6 Il Decreto Ministeriale 739/1994, all’articolo 1, comma 2 recita: “L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria.” 7 Da ciò, è possibile evincere che la figura dell’infermiere si carica di una duplice fonte di stress, quello personale e quello legato alle persone di cui si occupa. La relazione di aiuto è sempre incentrata sui problemi e sulle difficoltà, di varia natura dell’assistito e spesso gravato da sensazioni di impotenza, rabbia, paura, imbarazzo, frustrazione. La soluzione a questi problemi, non sempre facilmente raggiungibile, può condurre l’infermiere ad una condizione di stress cronico che determina un lento e progressivo deterioramento dello stato psicofisico, legato alla mancanza di energie e all’incapacità di sostenere e/o scaricare lo stress accumulato. Ciò si presta a produrre negli operatori atteggiamenti di disinteresse e distacco verso i propri assistiti e verso l’ambiente di lavoro. 6 Codice deontologico dell’infermiere, approvato dal Comitato centrale della Federazione con deliberazione n.1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009. Capo I, articolo 2. 7 Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n.739. Articolo 1, comma 2. 4 “Dal punto di vista clinico (psicopatologico) i sintomi del burnout sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo e sottolineano la particolare tendenza alla somatizzazione e allo sviluppo di disturbi comportamentali. Il soggetto colpito da burnout manifesta: Sintomi aspecifici (stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, irrequietezza, insonnia); Sintomi somatici: insorgenza di patologie varie (ulcera, cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.); Sintomi psicologici ( rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare a lavoro ogni giorno, negativismo, indifferenza, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, isolamento, sensazione di immobilismo, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi);” 8 Tutto ciò, ovviamente, corrompe la qualità del servizio prestato, provoca assenteismo e alto turnover. E’ importante però ricordare che la suddetta sindrome è possibile che si sviluppi a partire sia da cause soggettive, che dipendenti dal contesto sociale. Infatti, si può affermare che “è una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata; ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro, sia nel modo in cui si lavora.” 9 8www.psicologiadellavoro.org/?q=burnout consultato in data 9/10/2012. 9Ibidem 7 1.1.3 Lo stress nell’organizzazione lavorativa Il lavoro, attività fondamentale dell’uomo, contribuisce alla realizzazione della stima di se, ma qualora si vengano a creare situazioni che espongono l’individuo ad un sovraccarico, sia esso attribuibile a condizioni fisiche, psichiche o a tensione sociale, esso diventa matrice di sofferenza e fatica. Secondo la prospettiva teorica dei sistemi viventi di Miller e Miller, le patologie si manifestano quando nelle organizzazioni (intese come sistemi dotate di sottosistemi a livelli crescenti di complessità e a diversi livelli di importanza e di potere) vengono attivati costosi processi per ovviare a delle disfunzioni (nei processi di comunicazione interna; nella mancanza di informazioni o un eccesso di queste in contrasto tra loro…) senza riuscire ad eliminare le cause. 18 Per disagio organizzativo o, meglio ancora, per patologia organizzativa,si può intendere, “qualsiasi dinamica, di natura personale, sociale o istituzionale, che impedisca sistematicamente, anche se per un periodo di tempo limitato, il raggiungimento degli obiettivi organizzativi e/o incrini la salute psico-fisica dei collaboratori all’organizzazione” 19 Lo stress lavoro correlato viene definito come “L’interazione delle condizioni lavorative con le caratteristiche psicologiche del lavoratore. In particolare esso si manifesta quando c’è un sostanziale squilibrio tra le domande provenienti dall’ambiente e la capacità di risposta individuale, quando cioè le richieste dell’organizzazione eccedono le sue reali capacità; oppure quando i bisogni del lavoratore superano le opportunità di soddisfazione offerte dall’organizzazione .” 20 Uno dei modelli che meglio spiega questa tematica, è quello proposto da Cooper che individua cinque possibili fonti di stress lavorativo: 1. Fonti intrinseche al lavoro: cioè tutti quei fattori fisici e ambientali che incidono negativamente sull’efficienza delle prestazioni lavorative es.: rumorosità, vibrazioni, variazioni di temperatura, illuminazione, carenza di igiene ambientale; pressioni 18 Miller,J. G.,& Miller,J. L. (1991),“A living system analysis of organizational pathology”, citato in De Carlo N.A. (2004). 19 De Carlo N.A. (2004), “Teorie & strumenti per lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni: imprese e tecnologia, disagio,stress, burnout, mobbing”. Franco Angeli, Milano. 20 Caprara G.V., Borgogni L. (1988), “Stress e organizzazione del lavoro.” Bollettino di psicologia applicata n° 187-188, pp. 5-23. 8 derivanti dal carico di lavoro:sia di tipo quantitativo (troppo lavoro da svolgere) che qualitativo (quando il lavoratore percepisce la sua attività come non adatta alle sue capacità); orari prolungati di lavoro, viaggi frequenti ecc. 2. Ruolo nell’organizzazione: può essere fonte distress quando c’è o “ambiguità di ruolo”, ossia poca chiarezza rispetto ai compiti da svolgere o “conflitto di ruolo”, quando il lavoratore deve fronteggiare richieste tra loro incompatibili. 3. Lo sviluppo di carriera: è fonte di stress quando le ambizioni soggettive di emergere, di avanzamento gerarchico nella propria organizzazione, vengono deluse. Anche le sovrapromozioni possono essere rischiose se il soggetto si sente inadeguato a ricoprire il ruolo che gli è stato assegnato, causando frustrazioni e caduta di autostima. 4. Le relazioni di lavoro: cioè le difficoltà a relazionarsi con i colleghi, superiori o dipendenti ecc. Sono cinque gli stressor relazionali fondamentali che vengono individuati e considerati: Incongruenza di posizione: tra il ruolo desiderato e quello realmente occupato Densità sociale: uno spazio vitale psicologico insufficiente, può causare un abbassamento della soddisfazione. Stile di leadership: se è di tipo “autoritario”, che quindi non soddisfa i bisogni dei lavoratori, non li rende partecipi alle attività organizzative, può indurre gli stessi a sviluppare apatia, demotivazione e disturbi psicosomatici. Personalità abrasiva: tipica dei soggetti insensibili allo stato d’animo ed emozioni dei colleghi che si possono rivelare fonte distress per chi vi lavora a diretto contatto. Pressioni del gruppo a conformarsi alle proprie norme: se le norme non sono condivise, vanno contro i propri valori e credenze, possono causare disagi psichici che se protratti nel tempo possono tradursi in vere patologie. 5. La struttura e il clima organizzativo: sono altre due variabili che se non percepite come rassicuranti e positive, possono essere fonte di stress per il soggetto. Date le varie condizioni che possono incidere sullo stress, se l’individuo non adotta strategie di coping funzionali a tali condizioni, può trovarsi in una situazione di disadattamento all’interno dell’organizzazione. 21 21 Cooper D. (1988), “Occupational Stress Indicator Management Guide”, citato in Rossati A., Magro G. 9 Gli elementi che possono favorire l’insorgenza di stress lavoro correlato si distinguono in: Fattori oggettivi di stress: Sovraccarico di attività dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo, impossibilità a sviluppare una propria identità professionale, insufficiente chiarezza dei compiti proposti dall’organizzazione, struttura gerarchica rigida, tensione sociale. Fattori individuali di stress: Instabilità emotiva, labilità emozionale, introversione, comportamento delle personalità di tipo A (particolarmente predisposti all’aggressività, competitività diffusa, insofferenza per i diversi ritmi altrui, impazienza, necessità di avere costantemente il controllo totale della situazione, ecc.), motivazione personale, visione positiva/negativa del proprio lavoro. 1.2 Definizione di burnout secondo i modelli internazionali Con la parola “burnout” intendiamo definire una condizione di stanchezza fisica, emotiva e mentale, che colpisce chi lavora a stretto contatto con soggetti che presentano situazioni problematiche e che ha come risultato l’attuazione di una serie di comportamenti e la percezione di emozioni negative verso l’utenza, i colleghi, i superiori ed il lavoro stesso. In altri termini, una strategia di difesa adottata per rispondere al disadattamento emozionale che vive l’operatore, durante le sue attività. Illustrerò adesso, alcune delle definizioni più rilevanti ai fini di comprendere come esso viene inquadrato in letteratura. Il primo autore che inserì questo termine nel contesto dello stress lavoro correlato fu Freudenberger, che lo definisce come ”Fallire, logorarsi, consumare, o essere esaurito dal porre eccessive richieste alle proprie energie, forze o risorse.” 22 Lo psicologo tedesco faceva cosi assumere al termine, un valore sintomatologico, in termini fisici, psichici e di insoddisfazione lavorativa, dovuti al mancato raggiungimento di un obiettivo prefissato. Pines e Aronson completano il quadro sintomatologico affermando che “Il burnout facilita lo sviluppo negativo del concetto di sé” aggiungendo inoltre che: “I professionisti di servizio umano sono particolarmente suscettibili a soffrire di esaurimento a causa della loro intrinseca necessità di trarre un senso di significato esistenziale dal loro lavoro. 22 Freudenberger H.J. (1974), “Staff burn-out.”. Journal of social issues, Vol.30, n°1, pp. 159-165. 12 Capitolo II - Cause che determinano o contribuiscono all’insorgenza della sindrome del Burnout Quando si cerca di attribuire delle cause alla sindrome di burnout, il primo elemento imputato è sicuramente l’individuo, sia esso benefattore o beneficiario dell’assistenza. Ciò è vero soltanto in parte, poiché vedremo che, all’instaurarsi della sindrome, possono prendere parte molteplici elementi. 2.1 Fattori individuali “Le persone rispondono in maniera diversa alle situazioni stressanti, in rapporto alle caratteristiche di personalità e a stili di vita acquisiti, come anche in base alla loro vulnerabilità allo stress e alla loro capacità di difesa.” 29 Ogni individuo possiede una propria personalità, per cui la manifestazione e gli effetti del burnout possono presentarsi secondo modalità del tutto differenti. Uno dei fattori individuali più interessanti viene cosi descritto: ”Le persone che scelgono le professioni dell’aiuto hanno spesso un bisogno elevato di approvazione e si aspettano molto da se stesse. […] Tali individui ricevono grande soddisfazione dai risultati della loro attività. Se il lavoro diventa il mezzo primario per potenziare la concezione di se stesse, esse possono eccedere nell’impegnare il loro tempo e le loro energie. Di conseguenza, oltre al lavoro, esse sviluppano poche attività che procurano godimento o soddisfazione. Prima o poi questi soggetti diventano oberati dalla fatica, meno efficienti nella loro sfera primaria di gratificazione, e cosi ricevono meno ricompense per le loro fatiche. La frustrazione che ne deriva li sprona a lavorare ancora di più e questo dà l’avvio a un ciclo vizioso che produce il burnout. […] Cominciano allora, con uno schema caratteristico, ad assumersi sempre più responsabilità, a intensificare il lavoro, a cercare e a trovare situazioni che producono pressione fisica ed emozionale.” 30 29 Cherniss C. (1983), “La sindrome del burnout.”. Centro scientifico torinese, Torino. 30 Hall R.C.W., Gardner E.R., Perl M., Stickney S.K., Pfefferbaum B. (1979), “The professional burnout syndrome.” Psychiatric Opinion, Vol.16, n.4, pp. 31- 44. 13 Elencherò di seguito alcuni dei fattori che, secondo la letteratura, presentano una maggiore rilevanza sull’incidenza del fenomeno. Fattori sociodemografici: Sesso: uomini e donne sviluppano due aspetti diversi della sindrome. Mentre nell’uomo si acuisce il sentimento di spersonalizzazione, la donna sviluppa un maggiore esaurimento emozionale. Questa differenza, molto probabilmente, è legata al diverso tipo di educazione che ricevono i differenti sessi, durante la crescita. Appartenenza ad un gruppo etnico: Le maggiori differenze sono state riscontrate paragonando operatori bianchi e neri, risultando questi ultimi più refrattari al burnout. Verosimilmente, nei neri, ciò dipende dall’appartenenza a comunità in cui viene esaltata l’importanza della famiglia e del rapporto tra i singoli. Si suppone inoltre che siano maggiormente preparati a scontrarsi con la sofferenza grazie ad una maggiore empatia acquisita. Età: Sono stati riscontrati risultati differenti nelle varie ricerche. Secondo alcuni autori (ad esempio C.Maslach 31 ) è stato riscontrato un rischio burnout maggiore nei giovani o comunque in soggetti nei primi anni di carriera. Ciò si verifica perché i giovani hanno meno esperienza lavorativa e quindi meno equilibrio nella vita professionale, invece con l’aumentare dell’età si acquisisce una maggiore maturità ed una prospettiva della vita meno idealistica. E’ possibile però che i dati raccolti provengano dai lavoratori più anziani, i quali non hanno abbandonato il loro lavoro. Secondo altri autori (come G.Contessa 32 ), il rischio burnout è maggiore nei soggetti che lavorano da più anni a stretto contatto con situazioni di emergenza. Ciò succede quando gli operatori perdono l’entusiasmo iniziale verso il lavoro e la voglia di crescere professionalmente. 31 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 32 Contessa G. (1987), “L’operatore cortocircuitato.”. CLUP, Milano. 14 Stato civile e stato di famiglia: Risultano più suscettibili di burnout i celibi ed i soggetti che non hanno figli. Molto probabilmente il rapporto coniugale e/o con i figli fortifica l’esperienza in materia di conflitti e problemi personali. 33 Inoltre la famiglia è una risorsa emozionale in quanto rappresenta “un’attività” su cui vengono riversate energie e che procura soddisfazione. Anche secondo Contessa, la famiglia potrebbe consentire una “compensazione affettiva”, “una sorta di risorsa emozionale di sostegno” 34 Livello di istruzione: Un livello di burnout più alto è stato riscontrato in soggetti che hanno terminato l’università e che hanno conseguito specializzazioni postuniversitarie. Il livello di istruzione e l’occupazione sono molto spesso correlati e ciò potrebbe spiegarne il motivo. Inoltre gli individui con un livello di istruzione superiore spesso hanno aspettative più alte e per molti l’impatto con la realtà, potrebbe essere causa di burnout. Chi presenta un basso livello di scolarità non si pone grossi obiettivi da raggiungere ed è più facile che questi risultino essere congruenti con la propria ridotta formazione. 35 Variabili di personalità: Queste possono incidere sul livello di burnout e vengono descritte in maniera diversa a seconda dell’autore che ha condotto gli studi. In particolare, secondo C.Maslach, per “personalità” viene inteso il carattere dell’individuo, nelle sue sfaccettature. Il profilo dei soggetti maggiormente inclini al burnout è quello di individui con personalità debole, ansiosi, che tendono a provare frustrazione per qualsiasi ostacolo incontrato, e che controllano con difficoltà gli impulsi ostili. Inoltre sono individui con poca fiducia in se e poca sicurezza e che cercano perciò continuamente l’approvazione degli altri. Inoltre hanno poca ambizione e poca determinazione a conseguire i loro obiettivi. “Esistono diversi tipi di personalità e ogni individuo si compone di tratti di personalità che si riferiscono a tipologie differenti. Una tipologia di persone ad alto rischio di stress è costituita da coloro che mostrano una personalità di tipo A, le cui caratteristiche sono così riassumibili: eccessiva competitività orientata al successo; 33 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 34 Contessa G. (1987), “L’operatore cortocircuitato.”. CLUP, Milano. 35 De Felice F.,Cioccolanti B. (1999), “Ilrischio di burnout negli operatori sociosanitari”. Edizioni Goliardiche, Udine. 17 Ciò pone l’operatore in una situazione di spossatezza che lo conduce ad assumere atteggiamenti negativi che culminano nella spersonalizzazione e nel desiderio di allontanarsi dagli utenti e dall’attività stessa. Struttura di potere: La struttura di potere fa in modo di stabilire i processi decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo, e quindi la possibilità o meno, da parte dei dipendenti, di partecipare attivamente alle decisioni dell’organizzazione, in maniera tale che si possa godere di una certa autonomia nella conduzione del proprio lavoro. Più rigida è l’impostazione gerarchica della struttura, meno possibilità di controllo avrà l’operatore, sugli eventi riguardanti il proprio lavoro. Ciò comporta una mancata valorizzazione professionale che induce l’operatore ad assumere atteggiamenti di disinteresse e di inefficienza. Relazioni all’interno dell’organizzazione: La qualità e la quantità delle interazioni sociali nell’attività lavorativa incidono decisamente sull’insorgenza del burnout. Pines e Aronson, hanno sottolineato come sia preziosa la possibilità di incontrarsi e confrontarsi, al fine di evitare situazioni di tensione nell’ambiente lavorativo. 40 Il cattivo rapporto con i colleghi sottopone il soggetto ad una situazione di stress, privandolo, per altro, di un fondamentale supporto che invece potrebbe essergli d’aiuto nell’affrontare le situazioni lavorative più stressanti. I sentimenti di collera, frustrazione e risentimento potrebbero cosi essere riversati dall’operatore, sulle persone di cui invece dovrebbe occuparsi. Cosi come i cattivi rapporti con i colleghi, anche i cattivi rapporti con i superiori possono influenzare la comparsa della sindrome. In particolare troviamo in contrasto gli obiettivi favoriti dai superiori, che vertono sulla “quantità” e gli obiettivi degli operatori che invece vertono sulla “qualità”. 41 In particolar modo, se l’operatore non riceve nessun tipo di feedback positivo, né dai colleghi, né dai superiori, potrà avvertire come svalutato il suo lavoro e potrà assumere un atteggiamento negativo e di distacco verso i colleghi, verso i superiori e verso il lavoro stesso. 40 Pines A.M., Aronson E., Kafry D. (1981), “Burnout: from tedium to personal growth.” The free press, New York. 41 C.Maslach (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 18 Se viceversa, i rapporti interpersonali sul posto di lavoro sono ricchi di feedback positivi, ciò può aiutare l’operatore a prevenire o combattere la sindrome. “Gli effetti psicologici di trovarsi in una minoranza professionale o di essere mal compresi, possono indurre a mettere in dubbio le proprie opinioni e i propri metodi.” 42 Relazioni con gli utenti: Un altro aspetto che influenza sicuramente la comparsa della sindrome, è la tipologia di contatto che viene ad instaurarsi tra operatore e utente e che risulta inevitabilmente modulata dall’organizzazione. Quest’ultima, infatti, può imporre dei limiti di tempo, divieti di comportamento, impedire il dirottamento del cliente verso altri operatori che potrebbero affrontare il problema in maniera più competente. Ciò poiché, nonostante gli obiettivi da raggiungere siano comuni per operatori e organizzazione, è probabile che emergano conflitti sulla maniera più adeguata per raggiungerli. Ciò comporta una sensazione di mancanza di controllo sul proprio lavoro, da parte dell’operatore, che reagisce alienandosi dietro le norme e comportandosi da “freddo burocrate” per sfuggire allo stress. “I rapporti del burocrate con la gente sono di alienazione totale. Le persone di cui deve occuparsi sono oggetti che il burocrate considera in maniera… del tutto impersonale; il funzionario-burocrate non deve provare sentimenti nell’ambito dell’attività professionale, ma deve manipolare la gente come se si trattasse di cifre o di cose.” 43 I professionisti dell’aiuto aiuto che sperimentano il burnout, sono esauriti sia fisicamente che psicologicamente a causa dell’interazione sociale con l’assistito, ma anche di alti livelli di stress lavorativo e di livelli di frustrazione personale e/o di competenze inadeguate alla situazione. Tutto questo comporta una risposta negativa sia nei confronti di se stessi che verso il proprio lavoro. 44 42 Van Hoose W.H. (1970), “Conflicts in counselor preparation and professional practice: an analysis.” Counselor education and supervision. Vol. 9, n.4, pp.241-247. 43 Fromm E. (1995), “Psicoanalisi della società contemporanea.” Edizioni di comunità, Milano. 44 Paine W. S.(1982), “Overview: burnout stress syndromes and the 1980s”, citato in Baiocco R. et al. (2004). 19 Capitolo III –Categorie di disturbi che caratterizzano la sindrome di burnout 3.1 Il modello di Maslach Secondo la psicologa C.Maslach, la sindrome di burnout è caratterizzata da tre categorie di disturbi 45 , che verranno di seguito descritti: Esaurimento emozionale: L’operatore, continuamente sottoposto ad eccessive tensioni e richieste emozionali, che scaturiscono dall’instaurazione di un rapporto intimo con l’utente, viene infine sopraffatto dalle stesse. Egli si sente estenuato, gli mancano le energie e sente di non riuscire più a dare qualcosa di sé agli altri. Il soggetto esausto prova fastidio nei confronti l’utenza e si irrita facilmente. La conseguente reazione dell’operatore, volta a proteggersi dal continuo stress a cui è sottoposto, è quella di sottrarsi al coinvolgimento emotivo con gli altri. L’esaurimento non è semplicemente un vissuto, piuttosto spinge ad allontanarsi dal punto di vista emotivo e cognitivo dalla professione, presumibilmente un modo per far fronte al carico di lavoro. 46 L’operatore esaurito, inoltre, è predisposto a disturbi fisici e psicologici che possono danneggiare oltre che se stesso, la sua vita familiare, l’organizzazione per la quale lavora e gli utenti con cui interagisce. I disturbi più frequenti sono l’insonnia dovuta alla difficoltà a rilassarsi e la suscettibilità alla malattia (frequente è la comparsa di sintomi psicosomatici). Altrettanto frequente è il ricorso ad alcol, droghe o farmaci per alleviare questi disturbi. Spersonalizzazione: La conseguenza dell’atteggiamento di distacco nei confronti degli utenti e del lavoro stesso, che subentra nell’operatore, è una classificazione degli utenti secondo rigide categorie. L’operatore tende ad avere una cattiva opinione degli utenti, a disprezzarli, a sminuire i loro problemi e a non prestare l’aiuto di cui necessitano. I sentimenti negativi possono estendersi fino ad includere anche la visione di se stessi. 45 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 46 Maslach C., Schaufeli W.B., Letter M.P. (2001), “Job burnout.” Annual review of psycology, Vol.52, pp.397-422. 22 Cambiamenti di atteggiamento con gli utenti: Chiusura difensiva ai contatti, cinismo, distacco emotivo, indifferenza, colpevolizzazione. 3.3 Gli effetti del burnout su gli altri La sindrome di burnout non interessa soltanto l’operatore che la vive, ma coinvolge tutte le persone che lo circondano. Primi fra tutti a farne le spese sono gli utenti, molto spesso ritenuti responsabili dei loro stessi problemi e per i quali l’operatore prova sentimenti fortemente negativi, che possono portarlo ad assumere atteggiamenti ostili e/o cinici. Il lavoro viene svolto male, in maniera ridotta, evitando i compiti più sgradevoli e soprattutto riducendo al minimo i contatti con l’utenza. Al distacco psicologico, si aggiungerà successivamente il distacco fisico (pause più lunghe, assenteismo), che può culminare nell’abbandono del posto di lavoro. I disagi provocati dal burnout coinvolgono anche la famiglia e le amicizie, intacca quindi la vita privata del soggetto colpito. L’operatore che torna da lavoro è stanco e facilmente irritabile, ha un forte desiderio di solitudine e difficilmente riesce a dedicare tempo ed energie alla famiglia. Ad aggravare la situazione vi è il rifiuto di parlare del lavoro, per evitare il fastidio di “rivivere” lo stress della giornata trascorsa. Tutto ciò può innalzare barriere e contrasti all’interno del nucleo familiare, che spesso vengono interpretati come “problemi coniugali” e non come disagi attribuibili allo stress che l’operatore vive sul posto di lavoro. “I sentimenti cinici e negativi verso la gente, che si sviluppano con il burnout, non sono circoscritti alle persone incontrate nell’ambito del lavoro; diventano sempre più pervadenti e costituiscono la base di un’alterazione quasi stabile nel modo di vedere l’umanità.” 49 49 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 23 Capitolo IV – Strumenti di misurazione del Burnout Esistono differenti tipologie di strumenti per la misurazione del burnout, ognuno dei quali prende in considerazione diversi aspetti di questa sindrome. Ne elencherò di seguito alcuni. 4.1 Alcuni dei questionari esistenti JBI (Job Burnout Inventory) di Ford: Questionario composto da 15 item, organizzati secondo una scala likert a 7 punti. Si presta particolarmente per la rilevazione degli aspetti relazionali nell’ambito lavorativo, in riferimento sia ai colleghi di lavoro che ai superiori. 50 MCD (McDermott Burnout Inventory) di McDermott: Questionario compostoda 7 item, le cui risposte vengono misurate attraverso una scala Likert a 5 punti (da “mai” a “sempre”). E’ connesso particolarmente ad aspetti strutturali dell’ambiente lavorativo, quali il compenso, il riconoscimento del proprio lavoro, ecc. TM (Tedium Measure) di Pines, Aronson e Kafry: Questionario composto da 21 item. Si prefigge di misurare i sintomi e le reazioni dell’operatore in rapporto all’esaurimento emotivo, fisiologico e mentale. Si tratta di un questionario monofattoriale, poiché la sua misurazione fa emergere un unico fattore che sonda i sintomi simili a quelli della sindrome del burnout. Scala dell’università di Siena: Contributo sostanziale di revisione e ampliamento del questionario, effettuato da Sirigatti et al. i quali, aggiungendo altri 7 item ai 22 della Maslach, hanno inteso migliorarne la struttura fattoriale e ampliarne il campo di applicazione. 51 50 Pedrabissi L., Santinello M. (1991), “Confronto tra due scale per la misura del burnout.” Bollettino di psicologia applicata, n°199, pp. 25-31. 51 Sirigatti S. et al. (1988), “Caratteristiche metrologiche di una scala di misurazione del burnout.” Bollettino di psicologia applicata, n°187-188, pp.71-81. 24 Questionario di Pines e Aronson: Questionario composto da 21 item, su una scala Likert a 7 punti, ai quali bisogna rispondere con quale frequenza le situazioni e i sentimenti indicati dalle affermazioni, vengono avvertiti. E’ uno strumento di autovalutazione del burnout orientato a rilevare sia il disagio provocato dal lavoro che il disagio avvertito nei confronti della vita quotidiana. La scala è basata su un modello teorico che prevede tre diverse dimensioni caratterizzanti la sindrome del burnout: l’esaurimento emotivo, l’esaurimento mentale, l’esaurimento fisico. 52 4.2 “Maslach Burnout Inventory (MBI)”, di Christina Maslach “Per la costruzione del Maslach Burnout Inventory (MBI) la Maslach ha raccolto tutta una serie di item formulati nel corso delle precedenti ricerche, per verificare la consistenza della sindrome del burnout nelle diverse occupazioni di aiuto. La raccolta iniziale comprendeva 47 item formulati sotto forma di affermazioni che indicavano eventuali sentimenti o atteggiamenti di burnout provati dai soggetti verso l’utenza cui prestavano il loro servizio. In seguito a una prima somministrazione […] fu eseguita l’analisi fattoriale dalla quale emersero 10 componenti principali, di cui 4 spiegavano i ¾ della varianza. Quindi l’autrice passò a una riduzione di numero di item, da 45 a 25, selezionando quelli che avevano saturazioni elevate su un fattore e saturazioni bassissime sui rimanenti. Successivamente somministrò il questionario cosi revisionato (con i 25 item) […]. L’analisi fattoriale eseguita sul campione combinato […] faceva ancora emergere i 4 fattori, di cui 3 -comprendenti i 22 item della versione definitiva- presentavano gli autovalori maggiori dell’unità. Essi rappresenteranno le tre dimensioni di cui l’MBI attualmente è formato, che possono essere cosi descritte: Esaurimento emozionale (EE): Composta da 9 item, che valuta la sensazione di affaticamento, di esaurimento e di svuotamento per l’eccessivo e intenso lavoro. 52 Pines e Aronson, citato in Santinello M. (1990), “La sindrome del burnout. Aspetti teorici, ricerche e strumenti per la diagnosi dello stress lavorativo nelle professioni di aiuto.” Erip, Pordenone. 27 Ad ogni item verrà attribuito un punteggio mediante scala Likert a 5 punti (1 raramente, 2 qualche volta, 3 non saprei, 4 spesso, 5 continuamente). Sommando il punteggio di tutte le risposte si ottiene un punteggio totale che risulta catalogabile in 3 categorie: Da 25 a 50 basso rischio di burnout (OK); Da 51 a 75 medio rischio di burnout (Meglio intraprendere qualche misura preventiva); >75 alto rischio (Candidato al burnout); 28 Capitolo 5 – Ricerca e risultati della somministrazione dei questionari nei diversi ospedali e nelle diverse U.O. Scopo dello studio: Lo scopo di questa ricerca è quello di analizzare le variabili che potrebbero condurre gli infermieri al burnout e confrontare i risultati ottenuti con la letteratura. Metodo dello studio: Ai fini dello studio da me condotto, ho ritenuto opportuna la somministrazione di due questionari anonimi, inerenti alla tematica. Il primo, da me realizzato, è strutturato in 25 items ed effettua un’indagine riguardante le generalità dei partecipanti. Il secondo, “Are you burning out?” 58 , di cui mi è stato concesso l’utilizzo, mediante autorizzazione scritta, dalla Dottoressa B.Potter, autrice del suddetto, indaga sulle tematiche del burnout. L’indagine è stata condotta in sei strutture ospedaliere di Palermo. Per ogni ospedale ho scelto di esaminare alcune delle U.O. di area critica presenti (Pronto soccorso, U.T.I.C., U.T.I.N., Anestesia e rianimazione). Ho scelto di consegnare , per ogni U.O., un numero di questionari pari al numero delle unità infermieristiche ivi presenti, coordinatore infermieristico compreso. I questionari sono stati consegnati ai rispettivi coordinatori infermieristici di ogni U.O., i quali hanno volontariamente assunto l’impegno di distribuirli personalmente ad ogni membro del personale infermieristico, di ogni turno. Tutte le U.O. di tutti gli ospedali, hanno riconsegnato un numero inferiore di questionari, rispetto a quelli inizialmente distribuiti: U.T.I.N.: Numero complessivo di questionari consegnati: 117; Numero complessivo di questionari compilati: 6 (5%); U.T.I.C.: Numero complessivo di questionari consegnati: 136; Numero complessivo di questionari compilati: 73 (54%); 58 Cap.IV, paragrafo 4.3, pp.26. 29 Pronto Soccorso: Numero complessivo di questionari consegnati: 105; Numero complessivo di questionari compilati: 26 (25%); Anestesia e Rianimazione: Numero complessivo di questionari consegnati: 124; Numero complessivo di questionari compilati: 28 (23%); Complessivamente le U.O. più disponibili alla compilazione dei questionari risultano le U.T.I.C., quelle meno disponibili le U.T.I.N. Procederò adesso con la descrizione dei risultati ottenuti con la mia ricerca. Descrizione del campione: Sono stati distribuiti complessivamente 482 questionari, di cui 133 risultano compilati. Ne consegue che il 28% del personale infermieristico delle diverse U.O., ha partecipato all’indagine. 1. Tra i partecipanti allo studio risultano 71 femmine (53%) e 62 maschi (47%). Figura 1 32 Più di 15 anni di servizio: 74 soggetti (56%). Tra questi, presentano: Basso rischio burnout: 51 soggetti (69%); Medio rischio burnout: 23 soggetti (31%); Alto rischio burnout: 0 soggetti; Non risponde: 1 soggetto (0,8%); Figura 4 33 Il gruppo dei soggetti con più di 15 anni di servizio risulta, seppur di poco, numericamente maggiore. Confrontando il rischio medio di burnout nei due gruppi, possiamo notare come risulti leggermente più alto nel secondo. Ciò può indurci a pensare che i soggetti con più anni di servizio siano maggiormente a rischio di sviluppare la sindrome. I soggetti che presentano un rischio basso di burnout rappresentano complessivamente la maggioranza. L’ipotesi che potrebbe motivare questo risultato è: - Ipotesi I: I soggetti che da più anni lavorano a contatto con situazioni di emergenza, sono più stanchi e maggiormente logorati emotivamente. Inoltre potrebbero aver perso interesse nei riguardi di un eventuale avanzamento di carriera; 4. In relazione allo stato civile ho suddiviso i soggetti in 5 categorie: Coniugati: 89 soggetti (67%): - Basso rischio burnout: 64 soggetti (72%); - Medio rischio burnout: 24 soggetti (27%) - Alto rischio burnout: 1 soggetto (1%); Conviventi: 4 soggetti (3%): - Basso rischio burnout: 3 soggetti (75%); - Medio rischio burnout: 1 soggetto (25%) - Alto rischio burnout: 0 soggetti; Celibi/Nubili: 26 soggetti (19%): - Basso rischio burnout: 20 soggetti (77%) - Medio rischio burnout: 6 soggetti (23%) - Alto rischio burnout: 0 soggetti; 34 Separati/Divorziati: 9 soggetti (7%) - Basso rischio burnout: 6 soggetti (67%) - Medio rischio burnout: 3 soggetti (33%) - Alto rischio burnout: 0 soggetti; Vedovi: 5 soggetti (4%) - Basso rischio burnout: 3 soggetti (60%) - Medio rischio burnout: 2 soggetti (40%) - Alto rischio burnout: 0 soggetti; Le categorie di soggetti coniugati e nubili/celibi sono quelle maggiormente rappresentate. Figura 5 Figura 6 37 Questi grafici, ci mostrano, come in accordo alla letteratura 60 che la percentuale di rischio burnout medio è più alta nei soggetti con un livello di istruzione maggiore. E’ interessante notare che alla domanda n.2 del questionario “Are you burning out?”, che recita “Sono insoddisfatto del mio lavoro”, il 38% dei soggetti laureati attribuisce il punteggio 4 o 5 (spesso e continuamente), il 23% attribuisce il punteggio 2 (qualche volta) e il 39% attribuisce il punteggio 1 (raramente). Alla stessa domanda il 31% dei soggetti diplomati attribuisce il punteggio 4 o 5 (spesso e continuamente), il 17% attribuisce il punteggio 2 (qualche volta) e il 52% attribuisce il punteggio 1 (raramente). Questi risultati mostrano che una percentuale minore di soggetti laureati si ritiene soddisfatta del proprio impiego, rispetto ai soggetti diplomati. Il dato non concorde con la letteratura risulta la percentuale, in entrambe le categorie, di soggetti “spesso” o “continuamente” insoddisfatti del proprio lavoro. Risulta infatti che circa un quarto dei soggetti, sia essi laureati, o diplomati si ritengono tali. Le percentuali risultano di poco differenti tra loro. Per capire le motivazioni che spingono i soggetti all’insoddisfazione lavorativa occorrerebbe però indagare su altri aspetti, come: rapporti con i superiori, compenso, possibilità di carriera, accessibilità alle risorse, clima nell’ambiente di lavoro, ecc. I limiti di questa ricerca mi impediscono di approfondire le tematiche sopra riportate. 6. Le ore di servizio prestate a settimana oscillano tra 6 e 54 (ore di servizio a settimana medie 36). 60 Capitolo II, paragrafo 1, pp.12. 38 7. Esplicano il loro servizio mediante: Turni: 105 soggetti (79%): - Basso rischio: 78 soggetti (74%); - Medio rischio: 26 soggetti (25%); - Alto rischio: 1 soggetto (1%); Giornalieri: 26 soggetti (19%): - Basso rischio: 16 soggetti (62%); - Medio rischio: 10 soggetti (38%) - Alto rischio: 0 soggetti; Non risponde: 2 soggetti (2%) Figura 9 Figura 10 39 Dai grafici risulta evidente che i soggetti che lavorano come giornalieri presentano una percentuale di medio rischio di burnout più alta rispetto ai turnisti. Le ipotesi che potrebbero motivare questo risultato sono: Ipotesi I: I soggetti che lavorano come giornalieri esercitano il loro servizio ogni giorno della settimana (esclusa la domenica), e sempre nella fascia oraria antimeridiana. Questo, già di per sé, potrebbe essere una forte fonte di stress, in quanto potrebbe risultare difficile conciliare la vita privata (gestione della casa, gestione dei figli ecc.) con gli orari di lavoro, considerando che spesso coincidono; Ipotesi II: L’infermiere giornaliero, proprio per la sua costante presenza in reparto ha una maggiore possibilità di stringere relazioni personali con gli utenti, che potrebbero portarlo al sovraccarico emozionale; Ipotesi III: Un'altra peculiarità dell’infermiere giornaliero è quella di trovarsi a lavorare ogni giorno con partner diversi (infermieri turnisti) con i quali, molto probabilmente, non riesce sempre ad instaurarsi l’affiatamento necessario; Ipotesi IV: Un altro impegno che molto spesso assume l’infemiere giornaliero, è quello di aiutare il coordinatore infermieristico nell’espletamento delle sue funzioni, cosa che molto spesso crea tensioni all’interno della squadra, per la scarsa capacità, da parte degli infermieri turnisti, di accettare la figura di leader dell’infermiere giornaliero; 42 Come da aspettative, i grafici ci mostrano che la percentuale di soggetti che ritengono il riposo tra turni “mai sufficiente”, presenta un rischio medio di burnout nettamente superiore alle altre categorie di soggetti (Figura 11). Viceversa, la percentuale maggiore dei soggetti che hanno risposto “qualche volta”, “spesso” e “sempre” presenta un rischio basso di bunout (Figura 12, Figura 13, Figura 14). Il dato si rivela comunque confortante, poichè i soggetti che hanno risposto “Mai” rappresentano la percentuale complessiva più bassa. E’ interessante osservare la distribuzione dei punteggi associati alle domande n. 1 “Mi sento stanco anche dopo una buona dormita” e n.7 “Dormo con fatica (per preoccupazioni di lavoro)” del questionario “Are you burning out?”, nella categoria di soggetti che ha risposto “Mai sufficiente”. Alla domanda n.1, il 22% dei soggetti attribuisce punteggio 1 (raramente), il 35% attribuisce punteggio 2 (qualche volta), il 43% attribuisce punteggio 3,4,5 (Non saprei, Spesso, Sempre). Alla domanda n.7, il 35% dei soggetti attribuisce punteggio 1 (raramente), il 52% attribuisce punteggio 2 (qualche volta), il 13% attribuisce punteggio 3,4,5 (Non saprei, Spesso, Sempre). Da questi dati è possibile constatare che la percentuale maggiore dei soggetti è “spesso” o “sempre” stanca dopo una buona dormita, e che per la maggior parte di essi ciò è “qualche volta” attribuibile a preoccupazioni di lavoro. In ogni caso vi sarebbero molte altre variabili da prendere in considerazione, come: afflusso medio di utenti a settimana, tipologia media di utenza, organizzazione dell’U.O., carenza o meno di personale, ecc. 43 9. Alla domanda “L’organizzazione per cui lavora ha previsto, per gli operatori, momenti di supporto psicologico e/o di condivisione degli eventi più traumatici?”, rispondo: No: 133 soggetti (100%); Si: 0 soggetti; Riterrebbero utile l’inserimento di programmi di supporto psicologico del personale 119 soggetti (89%); Da questi dati risulta assolutamente tangibile la necessità avvertita dagli operatori di riceve supporto psicologico durante la loro vita lavorativa, ma che nessuna delle strutture ospedaliere esaminate offre questo tipo di servizio. Figura 15 44 10. Per quanto riguarda i giorni di permesso per indisposizione fisica utilizzati durante l’ultimo anno, ho suddiviso i soggetti in 2 categorie: <10 giorni: - Basso rischio: 84 soggetti (76%); - Medio rischio: 25 soggetti (23%) - Alto rischio: 1 soggetto (1%); >10 giorni: - Basso rischio: 10 soggetti (56%); - Medio rischio: 8 soggetti (44%) - Alto rischio: 0 soggetti; Figura 16 Figura 17 47 Sempre: 11 soggetti (8%): - Basso rischio: 8 soggetti (73%); - Medio rischio: 3 soggetti (27%) - Alto rischio: 0 soggetti; Questi dati ci permettono di notare che la percentuale più alta di rischio medio di burnout è quella raggiunta dalla categoria di soggetti che risponde “spesso”. Il numero di soggetti appartenenti alla categoria che risponde “sempre” è troppo esiguo per riuscire a trarne informazioni attendibili. I soggetti che hanno risposto “mai” o “qualche volta” hanno una percentuale molto bassa di rischio medio di burnout. Ciò è facilmente prevedibile. C. Maslach descrive molti aspetti su cui è possibile lavorare affinchè si possa operare una buona prevenzione 62 , e che permettono di evitare la sensazione di sopraffazione tipica della sindrome. 62 Capitolo VI, paragrafo 2, pp.64. Figura 21 48 Discutono con parenti/amici di quello che accade a lavoro: Mai: 26 soggetti (19%): - Basso rischio: 22 soggetti (85%); - Medio rischio: 3 soggetti (11%) - Alto rischio: 1 soggetti (4%); A volte: 81 soggetti (61%); - Basso rischio: 59 soggetti (73%); - Medio rischio: 22 soggetti (27%) - Alto rischio: 0 soggetti; Figura 22 Figura 23 49 Spesso: 22 soggetti (16%) - Basso rischio: 14 soggetti (64%); - Medio rischio: 8 soggetti (36%) - Alto rischio: 0 soggetti; Sempre: 4 soggetti (3%): - Basso rischio: 1 soggetti (25%); - Medio rischio: 3 soggetti (75%) - Alto rischio: 0 soggetti; Figura 24 Figura 25 52 A volte: 86 soggetti (65%): - Basso rischio: 64 soggetti (74%); - Medio rischio: 21 soggetti (24%) - Alto rischio: 1 soggetto (2%); Spesso: 13 soggetto (10%): - Basso rischio: 10 soggetti (77%); - Medio rischio: 3 soggetti (23%) - Alto rischio: 0 soggetti; Figura 27 Figura 28 53 Sempre: 6 soggetti (4%): - Basso rischio: 4 soggetti (67%); - Medio rischio: 2 soggetti (33%) - Alto rischio: 0 soggetti; Questi dati non mostrano nulla di rilevante, se non che i soggetti che rispondono “spesso” o “sempre” sono in numero esiguo, rispetto al numero complessivo di partecipanti. Ciò potrebbe essere indice di scarso affiatamento all’interno delle squadre. La percentuale di rischio medio, paradossalmente, risulta più alta nelle categorie di soggetti che rispondono “mai” e “sempre” ed è all’incirca sovrapponibile. L’ipotesi che potrebbe spiegare questo risultato è: Ipotesi I: La letteratura afferma che anche per quanto riguarda i rapporti con i colleghi, è necessario mantenere un equilibro. Infatti i soggetti più inclini al burnout tendono o a isolarsi del tutto, oppure a stringere relazioni cosi strette, da precluderne la partecipazione di chiunque altro. 63 63 Capitolo VI, paragrafo III, pp.68. Figura 29 54 Frequentano amici/parenti al di fuori delle ore di servizio: Mai: 3 soggetti (2%): - Basso rischio: 1 soggetti (33%); - Medio rischio: 2 soggetti (67%) - Alto rischio: 0 soggetti; A volte: 28 soggetto (21%): - Basso rischio: 18 soggetti (64%); - Medio rischio: 9 soggetti (32%) - Alto rischio: 1 soggetto (4%); Figura 30 Figura 31 57 L’ipotesi che potrebbe spiegare questi risultati è: Ipotesi I: I soggetti potrebbero preferire impiegare parte del loro tempo libero in attività che si svolgono prevalentemente in solitudine, utilizzandole come attività di “decompressione” 64 Si sentono apprezzati dalla comunità per il lavoro svolto: Mai: 8 soggetti (6%): - Basso rischio: 4 soggetti (50%); - Medio rischio: 4 soggetti (50%) - Alto rischio: 0 soggetti; 64 Capitolo VI, paragrafo II, pp.64. Figura 34 58 A volte: 39 soggetti (29%): - Basso rischio: 28 soggetti (72%); - Medio rischio: 10 soggetti (26%) - Alto rischio: 1 soggetti (2%); Spesso: 55 soggetti (41%): - Basso rischio: 41 soggetti (75%); - Medio rischio: 14 soggetti (25%) - Alto rischio: 0 soggetti; Figura 35 Figura 36 59 Sempre: 30 soggetti (24%): - Basso rischio: 22 soggetti (73%); - Medio rischio: 8 soggetti (27%) - Alto rischio: 0 soggetti; Dai grafici è possibile evincere che i soggetti, complessivamente godono di un basso rischio di burnout. La percentuale di medio rischio si alza nella categoria di soggetti che risponde “mai”, ma è comunque un numero molto esiguo e perciò non affidabile. L’ipotesi che potrebbe spiegare questi risultati è: Ipotesi I: Esiste un buon sistema di scambio di feedback positivi tra colleghi e/o con i superiori che permette ai soggetti di trovare riscontro sulla buona riuscita del proprio operato. Figura 37 62 Capitolo VI – Strategie potenziali e prevenzione del Burnout 6.1 Prevenzione Il metodo che riscuote più successi nella battaglia contro il burnout, è sicuramente la prevenzione. Christina Maslach suggerisce delle strategie finalizzate sia alla prevenzione che altrattamento della sindrome. 65 Il primo consiglio che Maslach dispensa è quello di impiegare le soluzioni a disposizione per prevenire l’insorgenza della sindrome. Queste entreranno cosi a far parte del bagaglio culturale dell’individuo, preparandolo ad affrontare i problemi che sicuramente insorgeranno durante la vita lavorativa. Nel caso in cui si fosse già presentato un primo segnale di insorgenza della sindrome, diventa necessario saperlo individuare per instaurare un approccio preventivo. E’ comunque probabile che i primi sintomi vengano individuati da qualcun altro piuttosto che dal diretto interessato, in particolare da persone ad egli vicine (amici, familiari, colleghi, superiori). Di conseguenza è importante per noi rappresentare il sistema di allarme precoce per qualcun altro. Inoltre la consapevolezza del loro comportamento può renderci più sensibili al nostro. Questo inoltre contribuisce a creare un clima di fiducia reciproca. Il successo di un sistema di allarme precoce risiede anche nella volontà e nella capacità di parlare dei problemi in modo costruttivo. Da ciò si intuisce che un buon sistema di allarme precoce non può basarsi sull’iniziativa individuale, ma che l’organizzazione dovrebbe instituire dei controlli standard periodici, sia individuali che istituzionali. “Il burnout richiede un ospite vulnerabile: l’infermiera molto idealista. Per molte esso inizia alla scuola infermieri. La studentessa è circondata e protetta dagli insegnanti, molti dei quali hanno avuto poco contatto recente con gli ospedali o con la cura diretta dei malati. Gli ideali che la studentessa apprende spesso non hanno relazione con il mondo reale della sanità. Quando si diploma, legge annunci che la invitano a lavorare <<nell’ospedale che si cura dei malati>> o che <<mette il paziente al primo posto>> o in cui<<il paziente è la nostra unica preoccupazione>>. La giovane infermiera crede che curarsi della gente è la cosa importante, che amare e rispettare gli altri sia l’unico scopo del 65 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 63 nursing. Essa spera di aiutare la gente a guarire, vuole risanare… Ma spesso nell’ambiente ospedaliero trova che <<quello che mi hanno insegnato>> e <<quello in cui voglio credere>> è in netto contrasto con <<la realtà>>. 66 “La mancanza di informazioni anticipate sulle parti di stress emozionale e sul rischio del burnout è una grave omissione in molti programmi di formazione” 67 Queste parole trovano riscontro nella vita dell’infermiere che, terminati gli studi, intraprende la carriera lavorativa. Non viene riconosciuta all’infermiere, la possibilità di sentirsi emotivamente sopraffatto dal lavoro, ma soprattutto non viene accettato che questo si possa tradurre nella comparsa di sentimenti negativi nei confronti dei loro assistiti. “La conoscenza dello stress emozionale non è ritenuta essenziale per svolgere bene il lavoro quanto altre conoscenze o capacità” 68 “[…] In molti casi c’è la convinzione (erronea) che se la gente sapesse quanto emotivamente stressante sia la carriera in questione non la sceglierebbe. Di conseguenza, si parla molto poco della realtà emozionale del lavoro e talvolta il lavoro è presentato intenzionalmente in maniera distorta.” 69 In questo modo prevalgono gli alti ideali e le alte convinzioni morali che la massa attribuisce al tipo di lavoro e che possono indurre l’individuo, colpito da burnout, ad auto- colpevolizzarsi. “Il fatto di fornire previsioni realistiche sul lavoro può quindi anche ridurre i costi derivanti dal logoramento degli operatori e dall’avvicendamento del personale, conclusione questa confermata da alcune ricerche.” 70 Degli errori che frequentemente si compiono durante “l’addestramento del personale”, secondo Maslach 71 sono: principalmente quello di ritenere che le capacità interpersonali (qualora vengano considerate importanti) non possano essere insegnate e che siano quindi ritenute “un dono”. 66 Storlie F.J. (1979), “Burnout: the elaboration of a concept.” American journal of nursing, Vol.19, n.12, pp.2108-11, citato in Maslach C. (1992). 67 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 68 Ibidem 69 Ibidem 70 Wanous J.P. (1977), “Organizational entry: newcomers moving from outside to inside.” Psycological bulletin 84, pp.601-618. 71 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi 64 Un altro errore è quello di pensare che tali capacità possano essere acquisite soltanto con l’esperienza pratica. Secondo la psicologa, infatti, elementi essenziali di tale formazione sono libri e/o manuali che trattino la tecnica dell’aiuto. Maslach, inoltre, fornisce un piccolo elenco di capacità interpersonali che secondo lei è necessario apprendere: Come iniziare, finire ed andare avanti: ovvero come riuscire ad intrattenere correttamente una relazione operatore-utente; Come trattare con persone diverse; Come parlare di argomenti sgraditi; 6.2 Prevenzione individuale Come sostenuto dalla psicologa C. Maslach 72 , è possibile fronteggiare la sindrome con tecniche che implicano il proprio stile di lavoro e/o il proprio stile di vita. Come precedentemente detto, l’individuo sopraffatto dal lavoro reagisce cercando di aumentare ulteriormente i ritmi, alimentando cosi il rischio burnout. Maslach suggerisce alcune soluzioni , per affrontare questo tipo di disagio. La prima delle soluzioni proposte è quella di “lavorare meglio anziché di più” cioè, non dedicarsi maggiormente al lavoro in termini quantitativi, ma in termini qualitativi, effettuando anche dei piccoli cambiamenti, che possono però ridurre lo stress e permettere all’operatore di essere maggiormente efficiente. L’operatore dovrebbe poi, “stabilire degli obiettivi realistici”, evitando gli ideali utopistici, causa spesso di insoddisfazione nel lavoro. L’ideale, per non essere fonte di frustrazione e di sensazione di fallimento, deve essere costantemente fincheggiato da obiettivi più piccoli, ma concretamente raggiungibili. In questo modo l’operatore può avvertire il senso di realizzazione e di progresso, utile a tenere lontana la sindrome. Altro accorgimento, per evitare lo stress è quello di “fare la stessa cosa in modo diverso”, ovvero variando la routine lavorativa, laddove è possibile apportare qualche modifica. Questo permette anche di aumentare la sensazione di controllo sul lavoro. Un altro utile accorgimento è quello di “fare delle pause”, se possibile ad intervalli regolari, ciò permette di rilassarsi e di prendere un po’ di distanza psicologica 72 Ivi pp. 63 67 L’autoanalisi è utile soltanto se costruttiva. E’ necessario, quindi, riconoscere i propri limiti ed i propri errori, senza però lasciarsi distruggere da questi. E’ fondamentale inoltre, individuare dei punti di forza per la crescita personale. Il “riposo e rilassamento” è molto importante per le persone che sono sottoposte a stress cronico. Quando non è sufficiente infatti, l’individuo va incontro ad una serie di sintomi fisici e/o psichici che a lungo andare possono minare lo stato di salute. Imparare a rilassarsi, risulta quindi fondamentale per questi soggetti. Esistono diverse tecniche di rilassamento sia fisico che mentale, che però risultano efficaci soltanto se praticate in maniera costante e regolare. Ne esistono anche di rapide, che sono facilmente eseguibili dappertutto e che impiegano dai 10 ai 15 minuti. E’ chiaro però che trattando il sintomo, sussiste la risoluzione momentanea del problema, le cui causa è comunque ancora viva. “[…] Le infermiere che avevano appreso come rilassarsi interpretavano l’assenza dei sintomi di stress come il segno che <<sono forte, mi sento bene, adesso posso far fronte a qualsiasi cosa>> e cosi si assumevano più responsabilità e lavoravano più di prima. Anziché alleviare lo stress, queste strategie lo acutizzavano.” 77 Un altro concetto introdotto da Maslach è quello della “decompressione”. Per la studiosa, infatti, è importante “tracciare i confini”, ovvero evitare di trascinarsi nella vita privata, lo stress emozionale del lavoro. “Le persone che lavorano in ambienti a elevata pressione emozionale hanno bisogno di decompressione: uscire completamente dall’alta pressione dell’ambiente di lavoro prima di poter entrare nella “pressione normale” della vita privata. […] La decompressione si riferisce a una attività che: a) ha luogo tra i periodi lavorativi e quelli non lavorativi; b) consente alla persona di scaricarsi, rilassarsi, lasciarsi il lavoro alle spalle prima di entrare in pieno coinvolgimento con famiglia e amici. Tale attività è spesso in netto contrasto con la tipica routine del lavoro. […] Molte attività di decompressione non contemplano l’esercizio mentale. […] Invece l’esercizio fisico è spesso un elemento chiave. […] Molte attività di decompressione sono svolte in solitudine. […] L’individuo che riesce ad ottenere questa solitudine risanatrice attraverso un’attività di decompressione è meno soggetto a cercarla attraverso l’isolamento dalle persone care. […] L’importanza della solitudine non annulla l’importanza di stare con gli altri.” 78 77 Maslach C. (1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 78 Ibidem 68 “Una vita propria” è utile a controbilanciare la tensione emozionale. “Il successo nelle relazioni personali può essere un antidoto efficace ai sentimenti di frustrazione o di fallimento nei contatti professionali.” 79 La forza personale può derivare da diverse variabili, come la famiglia, le amicizie, la posizione sociale di cui si gode, la religione ecc. Infine, se nonostante ogni sforzo la situazione lavorativa non migliora, potrebbe essere il caso di prendere in considerazione l’idea di “cambiare lavoro”. Ciò può non voler dire necessariamente un cambio di professione, ma spesso è sufficiente un cambio di mansione. 6.3 Strategie incentrate sull’organizzazione Maslach, illustra come diversi fattori possano influire in maniera positiva o negativa sulla comparsa e/o sul perpetuarsi di questa sindrome. 80 Di seguito citerò, analizzando, i suddetti: Solidarietà dei colleghi: Secondo quanto affermato dalla psicologa C. Maslach, la gestione del burnout si rivela più semplice qualora colleghi, amici, superiori ecc. rappresentino un punto di forza, piuttosto che di frustrazione per l’operatore. Il sostegno sociale, quindi, può essere in grado di attenuare lo stress ed allontanare la comparsa della sindrome. Dalla solidarietà dei colleghi è possibile trarre sostegno (mediante sistemi ufficiali e non), riducendo la tensione emozionale. Inoltre i colleghi possono fornire “aiuto” nell’affrontare e superare una particolare difficoltà o magari permettendo all’operatore sotto stress di usufruire di un periodo di pausa, che gli permetta di allontanarsi dal lavoro e quindi di alleviare la tensione accumulata. Possono offrire “conforto”, ascolto comprensivo, poiché hanno familiarità con la situazione, perciò risulta più semplice condividere con loro pensieri o sentimenti a riguardo. Riuscendo a comprendere meglio la situazione che mette in difficoltà l’operatore, possono aiutarlo ad acquisire una visione alternativa del problema e possono aiutarlo ad analizzare in maniera più approfondita i suoi stati d’animo e le sue reazioni, fungendo 79 Ivi pp.67 80 Ibidem 69 molto spesso da metro di paragone e aiutando quindi a correggere la tendenza ad auto- incolparsi. I colleghi possono essere fonte di “gratificazione”, rappresentando spesso la più importante fonte di apprezzamento sul luogo di lavoro, poiché si ritrovano nella posizione migliore per valutare il nostro operato. Molto spesso un feedback positivo di un collega risulta avere un maggiore impatto rispetto al feedback di un superiore. Un altro aspetto importante, utile ad alleggerire la tensione emozionale sul luogo di lavoro, è il “senso dell’umorismo”. Colleghi che riescono ad inserire elementi positivi in una situazione spesso drammatica o angosciosa, hanno il potere di alleggerire il clima di tensione e risollevare il morale di tutti. L’umorismo risulta però essere un’arma a doppio taglio, poiché se viene usato per esprimere sentimenti di disprezzo o per sminuire qualcuno, si rivela essere soltanto un fattore che scaturisce dall’insensibilità provocata dalla sindrome. I colleghi, infine, possono anche permetterci di allontanarci temporaneamente dalla situazione che ci provoca particolare pressione emotiva. Questa “fuga” assicura una variazione della routine e del ritmo lavorativo. E’ necessario però stabilire rapporti sani con i colleghi. Quando il coinvolgimento, diventa eccessivo e tende cosi ad escludere altre relazioni, cosi come quando si tende a stabilire eccessivo distacco, ecco che diventa possibile cogliere un vero e proprio segnale d’allarme. Per ottenere l’appoggio dei colleghi è necessario innanzitutto stabilire un contatto con loro sia nel luogo di lavoro, che fuori. Il meccanismo che induce gli operatori a sostenersi a vicenda, può essere formalmente creato (ad esempio con la pianificazione delle riunioni), oppure molto spesso si sviluppa in maniera informale (ad esempio riunendosi spontaneamente durante la pausa pranzo). In ogni caso è necessario che il gruppo possieda l’elemento fiducia. Questo è indispensabile affinchè ci si possa sentire liberi di manifestare i propri sentimenti e problemi. Di solito ogni gruppo possiede un leader, un moderatore, il cui ruolo è quello di accertarsi che il confronto tra colleghi sia costruttivo e che ciascuno abbia la possibilità di esprimere il proprio pensiero liberamente. Il leader si fa carico di eliminare eventuali diverbi e si assicura che i problemi vengano esposti e affrontati. 72 D’altro canto le rotazioni possono diventare controproducenti se sono molto frequenti, in questo caso, possono addirittura alimentare la spersonalizzazione e i sentimenti di indifferenza e distacco nei confronti di un’utenza che non si riesce mai a conoscere bene. Modificare il contatto con gli utenti: Il pesante coinvolgimento emotivo è una delle più importanti cause di insorgenza del Burnout. Nasce quindi la necessità di modificare le procedure in modo tale da rendere il contatto diretto meno impegnativo, prima di tutto identificando gli aspetti che potrebbero provocare tensione emozionale. Maslach propone alcuni esempi di cambiamenti possibili. “Il primo esempio riguarda l’accesso agli operatori da parte dell’utente. Gli operatori che sono sempre <<reperibili>> e sempre disponibili per gli utenti, corrono un maggiore rischio di burnout. Si può modificare questa politica della disponibilità ponendo dei limiti. Invece di essere tutte reperibili contemporaneamente, le varie persone potranno esserlo a turno. […] “ 84 “Dare e ottenere informazioni è un altro settore di problemi potenziali nelle relazioni tra personale e utenti, in particolare quando l’utente è imbarazzato […]. In circostanze simili per ottenere informazioni l’operatore deve necessariamente diventare insistente e talvolta perfino brusco. Un’alternativa può essere quella di trovare il metodo con cui indurre l’utente a dare le informazioni volontariamente […]. Dare e ottenere di continuo le stesse informazioni diventa noioso e stancante. […]. Un modo per interrompere questa escalation della tensione emozionale è di ridurre questi eccessi; invece di ripetere sempre lo stesso procedimento con ogni singolo utente, l’operatore può inventare “scorciatoie”, procedure che consentono di raggruppare gli utenti […].” 85 “Un’altra fonte di tensione […] è la non concordanza degli obiettivi e delle aspettative; fattore particolarmente problematico perché le diverse aspettative sono raramente espresse. Il metodo da applicare è quello di rendere le cose molto esplicite tra clienti e operatori, risolvendo le incomprensioni. […] chiarire le aspettative richiede una comunicazione diretta tra operatori e clienti, ma in parte può avvenire utilizzando formulari scritti.” 86 “L’atteggiamento passivo-dipendente di molti clienti può essere un altro fardello emozionale per gli operatori. […] le responsabilità del cliente oltre ad alleviare il personale 84 Ivi pp.71. 85 Ibidem. 86 Ibidem 73 sono benefiche anche per il cliente, il quale è coinvolto più attivamente nella terapia, assistenza o educazione, il che può determinare la base per un maggiore impegno personale a riuscire. Danno al cliente un senso di autonomia e di controllo personale […].” 87 Limitare l’inquinamento del tempo libero: Lo stress lavorativo si insinua facilmente nella vita privata, diventa quindi necessario sforzarsi per proteggerla. Spesso i regolamenti proibiscono agli operatori di frequentare gli utenti al di fuori dell’istituzione, ciò per evitare che si crei un eccessivo coinvolgimento emotivo tra i due soggetti, tale da impedire lo svolgimento delle mansioni in maniera obiettiva ed imparziale. Tali regole spesso facilitano l’instaurazione di un corretto rapporto tra operatori ed utenti, stabilendo sin dal principio i limiti che non devono essere varcati. Prendere periodi di riposo: L’organizzazione può fornire diverse opportunità: “Il <<giorno di permesso per la salute mentale>> (diverso dal permesso per malattia) […]. Un’altra possibilità sono i workshop o i corsi di formazione. L’obiettivo principale di questi seminari è di insegnare e dare stimoli professionali ai dipendenti, ma sono anche una buona occasione per allontanarsi dal lavoro e frequentare ambienti diversi. La vacanza è la forma più usata per staccarsi dal lavoro. E’ utile ad allontanarsi completamente dalla routine lavorativa, per riposarsi e scaricare. Anche il congedo periodico è una forma costruttiva di permesso dal lavoro [...]. E’ un congedo esteso (da un mese ad un anno) durante il quale il dipendente è dispensato dal lavoro regolare e può svolgere qualche altra attività di perfezionamento.” 88 Ottenere aiuto: Secondo Maslach cambiamenti posso essere è raggiunti soltanto agendo come gruppo piuttosto che come individui singoli. “Ho potuto riscontrare che l’incidenza del burnout è minore nei dipendenti che hanno buoni rapporti di lavoro con i superiori e che ottengono da essi sostegno e riconoscimento. […] E’ possibile organizzare programmi di counseling o di terapia per i dipendenti che hanno bisogno di aiuto. I superiori possono svolgere un ruolo molto importante in questo tipo di programmi fungendo da primo sistema di allarme.” 89 87 Seligman M.E.P. (1975), “Helplessness: on depression, development and death.” W.H.Freeman, San Francisco. 88 Maslach C.(1992), “La sindrome del burnout – il prezzo dell’aiuto agli altri.” Cittadella editrice, Assisi. 74 Per molti ricorrere alla psicoterapia è segno di fallimento. Questa convinzione, molto spesso, impedisce a questi soggetti di ottenere l’aiuto di cui necessitano. Per questo motivo, Maslach sostiene che se la terapia viene effettuata sul posto di lavoro, lo studio del terapeuta va posto ad una certa distanza dai locali frequentati dagli operatori e che le visite non debbano essere registrate negli schedari del personale. Infine sarebbe opportuno che i servizi di sostegno fossero aperti anche ai familiari del dipendente, poiché molti lavori sono potenzialmente disgreganti per la vita familiare. 89 Ivi pp. 73. 77 assicura equità di trattamento a livello retributivo, di assegnazione di responsabilità, di promozione del personale; stimola il senso di utilità sociale contribuendo a dar senso alla giornata lavorativa dei singoli; è aperta all’ambiente esterno e all’innovazione tecnologica e culturale. 78 Bibliografia Appley M. H., Trumbull R. (1986), “Dynamics of stress: Physiological, psychological, and social perspectives”. Sta in Baiocco R. et al., (2004). Avallone F.,Bonaretti M. (2003),” Benessere organizzativo per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche”. Rubettino, Roma. Baiocco R., Crea G., Laghi F., Provenzano L. (2012), “Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La sindrome del burnout negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi.” Erickson, Trento. Beck A.T. (1984), “Principi di terapia cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi.”. Astrolabio, Roma. Cannon W.B. (1953), “Bodily changes in pain, hunger, fear and rage”. Sta in Selye H. (1976) Cherniss C. (1983), “La sindrome del burnout.”. Centro scientifico torinese. Torino. Contessa G. (1987), “L’operatore cortocircuitato.”. CLUP, Milano. Cooper D. (1988), “Occupational Stress Indicator Management Guide”. Sta in Rossati A.,Magro G. (1999) De Carlo N. A. (2004), “Teorie & strumenti per lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni: imprese e tecnologia, disagio,stress, burnout, mobbing”. Franco Angeli, Milano. De Felice F.,Cioccolanti B. (1999), “ Ilrischio di burnout negli operatorisociosanitari.” Edizioni Goliardiche, Udine. Del Rio G. (1990),“Stress e lavoro nei servizi. Sintomi cause e rimedi del burnout.” La Nuova Italia Scientifica, Roma. Edelwich J., Brodsky A. (1980), “Burn-out: stages of disillusionment in the helping professions.” Human sciences press, New York. Farqhar J.W., M.D. (1987), “The american way of life need not be hazardous to your healt.”. Capo Press, Standford California. Fromm E. (1995), “Psicoanalisi della società contemporanea.”. Edizioni di comunità, Milano. Jayaratne S., Tripodit., Chess W.A. (1983), “Perceptions of Emotional Support, Stress and Strain By Male and Female Social Workers.”. Sta inBAIOCCO R.. et al., (2004). Lazarus R.S. (1991), “Emotion and adaptation.”. Oxford university press, New York. 79 Maslach C. (1992), “La syndrome del burnout – Il prezzo dell’aiuto agli altri.”. Cittadellaeditrice, Assisi. Paine W. S.(1982), “Overview: burnout stress syndromes and the 1980s”. Sta in Baiocco R. et al., 2004. Pancheri P. (1993), “Stress, emozioni, malattia. introduzione alla medicina psicosomatica”. Biblioteca della EST, Milano Pines A.M., Aronson E., Kafry D.(1981), “Burnout: from tedium to personal growth.”. The free press, New York. Pines A. M., Aronson E. (1988), “Career burnout:causes and cures.”. The free press, New York. Rivolier J. (1989), “L’homme stressé”. Sta in Baiocco R.. et al. (2004) Rossati A., Magro G. (1999), “Stress e burnout.”. Carocci, Roma. Santinello M. (1990), “La sindrome del burnout, aspetti teorici, ricerche e strumenti per ladiagnosi dello stress lavorativo nelle professioni d’aiuto.”. Erip, Pordenone. Seligman M.E.P. (1975), “Helplessness: on depression, development and death.” W.H. Freeman, San Francisco. Selye H. (1976), “Stress senza paura”. Rizzoli, Milano. Walsh J. A. (1987), “Burnout and Values in the Social Service Profession”. Sta in Del Rio G.(1990). 82 Allegati 1. ARE YOU BURNING OUT? Istruzioni: Attribuisca ad ogni frase un punteggio. 1= Raramente; 2= Qualche volta; 3=Non saprei; 4=Spesso; 5=Continuamente; 1. Mi sento stanco anche dopo una buona dormita____ 2. Sono insoddisfatto del mio lavoro____ 3. Mi intristisco senza ragioni apparenti ____ 4. Sono smemorato____ 5. Sono irritabile e brusco____ 6. Evito gli altri sul lavoro e nel privato____ 7. Dormo con fatica (per preoccupazioni di lavoro)____ 8. Mi ammalo più del solito____ 9. Il mio atteggiamento verso il lavoro è “chi se ne frega”____ 10. Entro in conflitto con gli altri____ 11. Le mie performance lavorative sono sotto la norma____ 12. Bevo o prendo farmaci per stare meglio ____ 13. Comunicare con gli altri è una fatica____ 14. Non riesco a concentrarmi sul lavoro come una volta____ 15. Il lavoro mi annoia____ 16. Lavoro molto ma produco poco____ 17. Mi sento frustrato dal lavoro____ 18. Vado al lavoro controvoglia____ 19. Le attività sociali mi sfiniscono____ 20. Il sesso non vale la pena____ 21. Quando non lavoro guardo la tv ____ 22. Non mi aspetto molto dal lavoro____ 23. Penso al lavoro durante le ore libere____ 24. I miei sentimenti circa il lavoro interferiscono nella mia vita privata____ 25. Il mio lavoro mi sembra inutile, senza scopo____ 83 Punteggio attribuito da 25 a 50 - E' tutto OK da 51 a 75 - Meglio prendere qualche misura preventiva da 76 a 100- Sei candidato al burnout da 101 a 125 - Hai bisogno di aiuto CREDIT LINE: Copyright 1980, 1993, 1998, 2005: Beverly. A. Potter. From Overcoming Job Burnout: How To Renew Enthusiasm For Work, by permission of Beverly Potter. Quiz may be copied for personal use only; any other use requires a specific permission. All right reserved. <http://www.docpotter.com 2. Il presente questionario fa parte di una ricerca incentrata sull’indagine delle condizioni di lavoro in ambiti di emergenza. La prego di rispondere a tutte le domande nella maniera più spontanea e sincera possibile. Verrà garantita la riservatezza dei dati, i quali saranno utilizzati esclusivamente per scopi scientifico-statistici e saranno resi disponibili. Grazie per la sua collaborazione. 1. Sesso: M F 2. Età: ____ 3. Stato civile: Celibe/Nubile Convivente Coniugato Separato/Divorziato Vedovo/a 4. Figli: Si No 5. Titolo di studio: _________ 6. Anni di servizio (Indicare anche da quanto tempo è in questa U.O.): __________ 7. Quante ore di servizio presta alla settimana? _______ 8. Esplica il suo servizio secondo: 84 Turni Giornaliero Altro(specificare) 9. Ritiene sufficiente il riposo previsto tra un turno e l’altro? Mai Qualche volta Spesso Sempre 10. Usufruisce della legge 104? Si No 11. L’organizzazione per cui lavora ha previsto, per gli operatori, momenti di supporto psicologico e/o di condivisione degli eventi più traumatici? Si No 12. Se si, di che tipo? __________________________________ 13. Ritiene che possano essere utili il supporto psicologico e la condivisione degli eventi più traumatici tra operatori? Si No 14. Di quanti giorni di permesso, per indisposizione fisica, ha usufruito durante l’ultimo anno? _______ 15. Le capita di pensare al lavoro anche quando non è in servizio? Mai A volte Spesso Sempre 16. Discute con parenti e/o amici di quello che accade nel suo lavoro? Mai A volte Spesso Sempre 17. Frequenta colleghi di lavoro al di fuori delle ore di servizio? Mai A volte Spesso Sempre 18. Quando non è in servizio frequenta amici e parenti? Mai A volte Spesso Sempre 19. Si sente apprezzato dalla comunità per il lavoro che svolge? Mai A volte Spesso Sempre 20. Ritiene che la religione possa aiutarla ad affrontare e superare gli eventi più traumatici legati al suo lavoro? ____________________________
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